Il termine di prescrizione dell’azione della curatela decorre della conoscibilità esteriore dell’incapienza patrimoniale

In tema di azione di responsabilità contro gli amministratori promossa dal curatore ai sensi dell’art. 146 l.f. nel testo pre-riforma, il termine di prescrizione decorre dalla conoscibilità esteriore dell’incapienza patrimoniale, e quindi dell’insufficienza dell’attivo sociale a soddisfare i debiti.

Esprimendo questo principio, la Suprema Corte, con la sentenza n. 13378/2014, depositata il 12 giugno 2014, ha rigettato i ricorsi degli ultimi due amministratori, condannati in primo e secondo grado a risarcire il danno ai creditori sociali, il primo per aver messo in essere una serie di operazioni dannose per il patrimonio sociale e il secondo per non avere esercitato l’azione di responsabilità verso il primo. Il caso. Con citazione del 30 marzo 1998, la curatela del fallimento E. S.r.l., conveniva dinanzi al Tribunale di Napoli gli ex amministratori della società, E.S. e A.I., esercitando congiuntamente le azioni, ex art. 146 l.f., di responsabilità sociale e dei creditori, di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c., con richiesta di risarcimento del danno pari a 28 miliardi di lire. Si costituirono in giudizio gli amministratori, eccependo tra le altre cose la prescrizione dell’azione, l’inammissibilità della domanda per indeterminatezza dell’oggetto e nel merito l’infondatezza, anche per l’asserita carenza di prova del danno. Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 29 gennaio 2003, accolse la domanda, dichiarando prescritta l’azione sociale e fondata quella dei creditori, condannando il S. amministratore dal 1986 al dicembre 1989 e autore di alcune operazioni che avevano depauperato il capitale sociale al pagamento di € 7.746.853,4, pari a 15 miliardi di lire condannava altresì il sig. I. al pagamento di € 774.865, pari a un miliardo e mezzo di lire. Ambedue gli amministratori proposero appello contro la sentenza del Tribunale. La Corte d’appello di Napoli rigettava l’appello, dichiarandolo inammissibile, con sentenza del 21 marzo del 2007. Secondo la Corte territoriale, la prescrizione quinquennale dell’azione dei creditori sociali non era maturata al momento della notifica dell’atto di citazione, avvenuta il 30 marzo 1998, dato che essa decorreva dall’acquisita conoscenza dell’insufficienza patrimoniale della società, e cioè secondo la Corte d’appello , dalla data della dichiarazione di fallimento. Inoltre, ai fini del decorso del termine di prescrizione, non sarebbe stato idoneo a comprovare la conoscenza da parte del ceto creditorio neppure la presentazione dell’istanza di fallimento. Nel merito, ha poi considerato responsabili i due amministratori, il primo a causa di alcune operazioni gravemente intaccanti il patrimonio sociale, il secondo per non avere esercitato l’azione di responsabilità nei confronti del primo. Contro tale sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli amministratori, ricorsi che la Suprema Corte ha provveduto a riunire in quanto presentati contro la medesima sentenza e in quanto aventi in comune alcuni motivi. Il momento da cui far decorrere la prescrizione dell’azione dei creditori verso gli amministratori di società fallita è quello della sua oggettiva percepibilità. La Suprema Corte ha rigettato i ricorsi, andando anche oltre al principio stabilito dal Giudice territoriale. Per la Suprema Corte, infatti, nemmeno la dichiarazione di fallimento stabilisce il momento da cui far decorrere la prescrizione dell’azione di responsabilità. Infatti, neppure l’insolvenza conclamata può essere automaticamente identificata con l’insufficienza patrimoniale, requisito indispensabile per l’esercizio dell’azione di responsabilità dei creditori. Per la Cassazione, il termine di prescrizione decorre dalla conoscibilità esteriore dell’incapienza patrimoniale, e quindi dall’insufficienza dell’attivo sociale a soddisfare i debiti. Di conseguenza, ai sensi di legge, esso deve risultare conoscibile ai terzi, nel senso che deve essere oggettivamente percepibile. Nel caso in esame, quindi, la Cassazione ha ritenuto che tale termine non potesse esser fatto risalire al momento dell’istanza di fallimento, come sostenuto dai ricorrenti, e ha rigettato i ricorsi, non ritenendo prescritta l’azione

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 12 febbraio – 12 giugno 2014, numero 13378 Presidente Rordorf –Relatore Bernabai Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 30 marzo 1998 la curatela del fallimento Edilba s.r.l. conveniva dinanzi al Tribunale di Napoli gli ex amministratori della società, tra cui i sigg. S.E. e I.A. , esercitando congiuntamente, ex articolo 146 legge fallimentare, le azioni di responsabilità, sociale e dei creditori, di cui agli artt. 2393 e 2394 cod. civile, con il conseguente risarcimento del danno, preteso nella somma di lire 28 miliardi. Resistevano alla domanda i convenuti. Il S. , premesso di essere rimasto in carica dal 15 gennaio 1986 fino al dicembre 1989, eccepiva la prescrizione e nel merito l'infondatezza della domanda. In subordine, chiedeva di essere garantito dagli altri convenuti. L'I. , ultimo amministratore della società in bonis , nominato il 28 giugno 1990 e rimasto in carica fino al fallimento, dichiarato in data 28 aprile 1998, eccepiva, a sua volta, la prescrizione, l'inammissibilità della domanda per indeterminatezza dell'oggetto e nel merito l'infondatezza, anche per carenza di prova del danno. Con sentenza 29 gennaio 2003 il Tribunale di Napoli dichiarava prescritta l'azione sociale e fondata invece, quella dei creditori e per l'effetto, condannava il S. al pagamento della somma di Euro 7.746.853,48 pari a lire 15 miliardi e l'I. al pagamento della somma di Euro 774.685,00 pari a lire 1.500.000.000 oltre rivalutazione, interessi e spese di giudizio. Il successivo gravame era dichiarato inammissibile dalla Corte d'appello di Napoli con sentenza 21 marzo 2007. La corte territoriale motivava - che la prescrizione quinquennale dell'azione dei creditori ex articolo 2394 cod. civ. decorreva dall'acquisita conoscenza dell'insufficienza patrimoniale della società - e cioè, dal 28 aprile 1993, data della dichiarazione di fallimento - e non era quindi ancora maturata all'atto della proposizione della domanda con atto di citazione notificato il 30 marzo 1998 - che, infatti, il dies a quo non poteva essere retrodatato alla data di ammissione alla procedura concorsuale di amministrazione controllata della C. costruzioni s.p.a., società controllante della fallita Edilba s.r.l. per la diversità, sia soggettiva delle imprese debitrici, sia oggettiva dei presupposti delle due procedure concorsuali, consistenti rispettivamente nell'illiquidità temporanea e nella definitiva insolvenza - che, ai fini del decorso del termine di prescrizione, non era neppure idoneo a comprovare la conoscenza da parte dell'intero ceto creditorio dell'insufficienza patrimoniale dell'Edilba il ricorso di fallimento nei suoi confronti, depositato dall'Isveimer, in forza di un'obbligazione insoddisfatta di restituzione di un mutuo ipotecario - che, nel merito, la responsabilità del S. consisteva nella stipulazione di due mutui, dell'ammontare complessivo di lire 18 miliardi, assistiti da ipoteca di primo grado su un fondo ubicato in provincia di XXXXXX, e di averne poi trasferito la provvista alla società controllante C. costruzioni s.p.a., il cui stato di crisi emergeva già dai bilanci del 1988, senz'alcuna garanzia di rimborso - che, a sua volta, l'I. non aveva svolto alcuna attività idonea ad evitare il danno, né esercitato razione di responsabilità nei confronti del S. , precedente amministratore - che la tesi difensiva di una divisione di compiti tra società controllante e società controllata - secondo cui la prima avrebbe dato esecuzione alle opere progettate, alle quali era finalizzato il mutuo concesso dall’isveimer, e l'Edilba avrebbe poi provveduto alla vendita finale degli immobili realizzati, dopo il loro acquisto al costo di produzione - non poteva essere provata dalla relazione del dipartimento crediti dell'Isveimer, la cui produzione in grado di appello, era preclusa ai sensi dell'articolo 345, terzo comma, cod. proc. civile - che l'interesse del c.d. gruppo C. , del quale l'Edilba faceva parte, non poteva andare a scapito di quest'ultima, autrice di un finanziamento estraneo all'oggetto sociale né vi era prova di alcun suo vantaggio compensativi o della possibilità di rivalsa verso la C. Costruzioni, mediante surroga ex articolo 1203 numero 3 cod. civ. nel credito ipotecario dell'Isveimer, non estinto dall'Edilba - che, in ordine alla liquidazione del danno, il tribunale aveva giustamente detratto la somma effettivamente ottenuta da riparti delle procedure concorsuali del gruppo, senza considerare ulteriori crediti insinuati al passivo, di cui non era prevedibile il soddisfacimento Avverso la sentenza, notificata l'il aprile 2007, il sig. S.E. proponeva ricorso per cassazione, articolato in nove motivi e notificato l'8 giugno 2007. A sua volta, il I.A. proponeva ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi e notificato il 7 giugno 2007. Resisteva con controricorso la curatela del fallimento Edilba s.r.l Tutte le parti depositavano memorie illustrative ex articolo 378 cod. proc. civile. All'udienza del 12 Febbraio 2014 il Procuratore generale e i difensori precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate. Motivi della decisione Dev'essere preliminarmente disposta la riunione del ricorso numero 16.376 R.G. 2007, proposto dall'I. , e del ricorso numero 17.276 R.G.2007 proposto dal S. , concernenti entrambi la medesima sentenza articolo 335 cod. proc. civ. . Vanno trattati congiuntamente, per affinità di contenuto, i primi due motivi del ricorso del S. e del ricorso dell'I. , con cui si denunzia, rispettivamente, la violazione degli articoli 2394, 2497 2949 cod. civ. e la carenza di motivazione in ordine all'individuazione della data iniziale di decorrenza del termine quinquennale di prescrizione dell'azione di responsabilità. La corte avrebbe infatti posto come dies a quo la data di acquisita conoscenza effettiva, da parte di tutto il ceto creditorio, dell'insufficienza patrimoniale della Fidelba, anziché di conoscibilità oggettiva, a prescindere dalla percezione avutane in concreto. Al riguardo, giova premettere in sede dogmatica che, in tema di azione di responsabilità contro gli amministratori promossa dal curatore fallimentare ex articolo 146 legge fallimentare, nel testo anteriforma applicabile ratione temporis , è jus receptum che il termine di prescrizione decorre dalla conoscibilità esteriore dell'incapienza patrimoniale, e quindi dell'insufficienza dell'attivo sociale a soddisfare i debiti. Cass., sez. I, 22 aprile 2009 numero 9619 Cass., sez. I, 8 aprile 2009 numero 8516 Cass., sez. I, 25 luglio 2008 numero 20.476 . Tale tesi trae fondamento dal dato normativo letterale secondo cui l'insufficienza patrimoniale deve risultare” ed è condivisa dalla dottrina largamente prevalente, concorde nel ritenere che esso non faccia riferimento all'effettiva conoscenza della situazione da parte dei terzi, bensì alla sua oggettiva percepibilità. Ne consegue che l'insufficienza patrimoniale può in concreto rendersi palese prima, dopo, o al momento del fallimento. Neppure l'insolvenza conclamata, presupposto della dichiarazione di fallimento, può essere automaticamente identificata, infatti, con l'insufficienza patrimoniale, requisito per l'esercizio dell'azione di responsabilità dei creditori articolo 2394 cod. civ. e ciò, perché l'incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni non dipende prevalentemente dall'insufficienza della garanzia patrimoniale generica articolo 2740 cod. civ. , quanto piuttosto dall'impossibilità di ottenere ulteriore credito. L'onerosità della prova a carico del curatore ha indotto la giurisprudenza ad introdurre una presunzione iuris tantum di coincidenza del dies a quo con la dichiarazione di fallimento salva la prova contraria, a carico dell'amministratore, della diversa data di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale Cass., sez. I, 21 Luglio 2010 numero 17121 Cass., sez. I 18 gennaio 2005 numero 941 Cass., sez. I, 28 maggio 1998 numero 5287 . Dei principi suesposti la sentenza impugnata ha fatto applicazione sostanzialmente corretta, ritenendo non superata la prova presuntiva della conoscenza dell'insufficienza patrimoniale della Fidelba per effetto della dichiarazione di fallimento nonostante l'erronea premessa - rimasta peraltro a livello di mera enunciazione teorica - che tutti i creditori dovessero essere edotti di tale presupposto oggettivo. Sotto questo profilo, vengono riproposte dai ricorrenti le argomentazioni già motivatamente confutate dai giudici di merito circa l'idoneità probatoria di taluni fatti storici antecedenti, ritenuti sintomatici del dissesto. Tale, in particolare, l'ammissione della società controllante, C. Costruzioni, alla procedura concorsuale di amministrazione controllata. In contrario, si osserva come la diversità soggettiva delle due società impedisca di ritenere automaticamente estensibili all'Edilba s.r.l. le difficoltà economiche proprie della società controllante. Non senza aggiungere che appare esatto il rilievo della corte territoriale che il presupposto dell'amministrazione controllata - istituto concorsuale poi abrogato - non è l'irreversibile insolvenza, bensì solo la temporanea difficoltà di adempiere alle obbligazioni. soggetta, però, a ragionevoli possibilità di recupero dell'equilibrio finanziario e di risanamento dell'impresa articolo 187, legge fallimentare . Il ricorrente lamenta altresì la contraddizione nel valutare diversamente la rilevanza dello stato di crisi della società controllante rispettivamente, negandola ai fini della determinazione del termine prescrizionale e riconoscendola, invece, in sede di accertamento della responsabilità dell'amministratore nel trasferire il finanziamento alla C. , già in stato di illiquidità. Ma la contraddizione è solo apparente, data l'asimmetria conoscitiva tra chi rivestiva la carica di legale rappresentante della società controllata - ed era dunque al corrente della situazione economica delle società del gruppo - e chi, terzo creditore, non godeva di analoghi flussi informativi. Neanche la riduzione di capitale dell'Edilba al minimo di legge, nell'esercizio anteriore alla dichiarazione di fallimento, può considerarsi, di per sé, fonte automatica di conoscenza dell'incapacità patrimoniale, data la diversità oggettiva del capitale rispetto al patrimonio e l'impossibilità di estendere a quest'ultimo le vicende del primo, sia pure legate ad ingenti perdite di esercizio. In particolare, la corte territoriale ha escluso che già dai bilanci degli esercizi 1988 - 1991 emergessero sintomi chiari di insolvenza dell'Edilba s.r.l. con la conseguenza che la prescrizione dell'azione dei creditori doveva decorrere, in concreto, dalla dichiarazione di fallimento, coincidente con la prima manifestazione esteriormente percepibile dell'insufficienza patrimoniale della società. Si tratta di un accertamento di fatto, di natura presuntiva, che i ricorrenti si limitano contestare con argomentazioni contrarie ed una difforme valutazione degli elementi istruttori, aventi natura di merito e come tali inammissibili in questa sede. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso I. - con cui si denunzia, rispettivamente, l'insussistenza dei presupposti per l'azione di responsabilità e l'insufficiente motivazione sotto il profilo del nesso eziologico tra condotta e danno - sono inammissibili perché meramente assertivi, oltre che generici, risolvendosi, in realtà, in un sindacato di merito. Il ricorso dell'I. dev'essere dunque rigettato. Per quanto riguarda il ricorso del S. , di cui si sono già esaminate le prime due censure, si osserva come con il terzo e quarto motivo si denunzia la violazione dell'articolo 345, terzo comma, cod. proc. civ. e la carenza di motivazione in ordine alla ritenuta inammissibilità della produzione, in grado di appello, della relazione del dipartimento crediti dell'Isveimer, per difetto del requisito dell'indispensabilità ai fini del decidere, come pure dell'inimputabilità dell'omessa produzione in primo grado, secondo la previsione alternativa contenuta nel testo normativo ratione temporis applicabile. I motivi sono infondati. Premesso, in sede dogmatica, che il giudizio di indispensabilità della prova nuova in appello attiene all'accertamento di una preclusione processuale, e dunque integra, in ipotesi, un error in procedendo , con la conseguenza che la Corte di cassazione è giudice anche del fatto e quindi tenuta a stabilire se si verta, davvero, in tema di prova indispensabile Cass., sez. I, 17 giugno 2009, numero 14.098 , si osserva che il requisito coincide, in sostanza, con quello della decisività. Come tale, non può identificarsi con la semplice rilevanza, richiesta per ogni prova costituenda, pur se tempestivamente dedotta frustra probatur, quod probatum non re levat . D'altra parte, la sequenza temporale dell'attività istruttoria, segnata da rigorosi termini di preclusione, è incompatibile con la negligente omissione della produzione di documenti, tanto più inescusabile proprio se decisivi in favore della parte inerte. Per riconoscere quindi un significato coerente con l'impianto normativo processuale riformato con la legge 353/1990, bisogna ricollegare il concetto di indispensabilità alle altre previsioni dei nova ammessi dalla medesima norma e pertanto ritenere consentito l'ingresso di mezzi documentali in grado di appello, se correlati con nuove eccezioni - ove proponibili - e, a fortiori, nel caso della c.d. sentenza a sorpresa o della terza via fondata, cioè, su fatti rilevati d'ufficio, senza previo contraddittorio sul punto in questo senso, l'indirizzo giurisprudenziale ammissivo di nuovi mezzi di prova solo ove il loro apporto non fosse apprezzabile come necessario nel primo grado di giudizio Cass., sez.3, 5 Dicembre 2011 numero 26020 Cass., sez.3, 31 Marzo 2011 numero 7441 . Non pure ammissibile, per contro, qualora la decisione sia stata assunta con applicazione del nudo principio dell'onere della prova, dipendente proprio dalla mancata offerta di prova, imputabile alla parte interessata. Ne consegue che difetta il requisito dell'indispensabilità della relazione Isveimer in oggetto, destinata, in ipotesi, ad apportare, elementi di fatto a sostegno della tesi difensiva dell'amministratore ab initio rappresentata. L'ulteriore profilo di censura carenza di motivazione sulla inimputabilità dell'omessa produzione in primo grado resta assorbito dalla mancanza del requisito di decisività nel senso chiarito. È appena il caso di aggiungere, per completezza di analisi, che l'eventuale conferma del collegamento del mutuo al progetto imprenditoriale di costruzione di un complesso immobiliare alberghiero cui avrebbero dovuto partecipare sia la Edilba, sia la sua controllante C. non eliderebbe la responsabilità dell'amministratore della prima - datrice di ipoteca in favore dell’isveimer, a garanzia del rimborso del mutuo - nel trasferire la provvista ottenuta alla società controllante C. senza richiedere, a sua volta, alcuna adeguata garanzia per la restituzione. Con il quinto motivo si denunzia l'insufficiente motivazione in merito alla lesione dell'interesse sociale e alla mancanza di vantaggi per l'Edilba per effetto delle operazioni di finanziamento. Il motivo è inammissibile per mancanza del momento di sintesi ex articolo 366 bis cod. proc. civile. Con il sesto e settimo motivo, da trattare congiuntamente per affinità di contenutoci censura la violazione degli artt. 2697, 2911 2934, 1203 numero 3 cod. civile, 54 e 61 legge fallimentare nella ritenuta sussistenza del danno preteso dalla curatela in forza della mera allegazione della non recuperabilità, in via di regresso, delle somme pagate dall'Edilba alla mutuante Isveimer. La medesima doglianza è svolta, pure, nell'ottavo motivo, sotto il profilo, stavolta, della carenza di motivazione. Le censure sono infondate. La corte territoriale ha accertato il danno sulla base di dati che ha testualmente affermato essere obiettivi e gli unici esistenti e cioè, detraendo dalla somma versata alla società controllante C. l'importo di quanto la curatela del fallimento Edilba è poi riuscita a recuperare dal fallimento della Finberrg 2 altra società del gruppo . Eventuali sopravvenienze future ed incerte, dipendenti dal recupero di ulteriori crediti insinuati al passivo delle altre procedure fallimentari delle società del c.d. gruppo C. , non potevano essere quindi considerate in detrazione, stante l'assenza di realistiche prognosi di recupero né, tanto meno, si poteva considerare pregiudiziale l'accertamento dell'esito delle domande di insinuazione al passivo delle società cooobbligate rispetto alla presente azione di responsabilità verso gli amministratori. Incombeva quindi sul S. l'onere della prova di ulteriori fatti estintivi o riduttivi dell'esposizione debitoria accertata, non meramente congetturali o ipotetici, avuto riguardo alla fruttuosa esperibilità di azioni di regresso o surroga restando esclusa, naturalmente, la duplicazione di pagamento in favore del fallimento Edilba, in sede esecutiva, in ipotesi di un eventuale riparto futuro nei fallimenti delle altre società del gruppo. Con l'ultimo motivo si denunzia la carenza di motivazione e la falsa applicazione dell'articolo 1227 cod. civ. nella ritenuta imputabilità del danno, nella sua interezza, al S. , senza apprezzamento del concorso di colpa della curatela nell'insinuare al passivo della C. Costruzioni al rango chirografario, anziché privilegiato ipotecario e nel non coltivare, anche in via cautelare, le proprie ragioni nei confronti del fideiussore, geom. C.F. . Sotto entrambi profili la censura è infondata. Ai sensi dell'articolo 61 cpv. legge fallimentare, il regresso tra coobbligati falliti può essere esercitato solo dopo che il creditore sia stato soddisfatto per l'intero credito e manca la prova, e financo l'allegazione, che il creditore Isveimer sia stato, per l'appunto, interamente soddisfatto in sede di riparto nel fallimento Edilba. La presenza di un fideiussore - peraltro, non emergente dalla sentenza - resta, poi, irrilevante ai fini dell'azione di responsabilità nei confronti dell'amministratore, salve le successive, eventuali azioni di regresso. Entrambi i ricorsi devono dunque essere rigettati, con la conseguente condanna alla rifusione delle spese processuali, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore delle cause e del numero e complessità delle questioni trattate. P.Q.M. - Riunisce i ricorsi e li rigetta - condanna S.E. alla rifusione delle spese sostenute dal fallimento Edilba s.r.l., liquidate in complessivi Euro 15.200,00, di cui Euro 15.000,00 per compenso, oltre gli accessori di legge - condanna I.A. alla rifusione delle spese sostenute dal fallimento Edilba s.r.l., liquidate in complessivi Euro 11.200,00, di cui Euro 11.000,00 per compenso, oltre gli accessori di legge.