L'amministratore che compie atti sociali per ottenere interessi personali agisce in conflitto di interessi

L'amministratore può compiere atti nel suo interesse purché espressamente autorizzato. Il contratto con se stesso stipulato dall'amministratore di una società può essere legittimo a condizione che venga autorizzato preventivamente e specificatamente dall'assemblea dei soci.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10109/14, depositata il 9 maggio scorso, la quale ha altresì precisato che ove manchi tale autorizzazione il contratto stipulato è certamente annullabile ma non è automaticamente individuabile una condizione di conflitto di interessi. Il caso. Una società a responsabilità limitata intratteneva un rapporto di conto corrente con un istituto di credito detto rapporto era garantito da un terzo soggetto s.r.l. quale fideiussore. La banca, interrotto il rapporto di conto corrente, chiedeva ed otteneva decreto ingiuntivo per il recupero del saldo negativo di conto, quindi, lo notificava al fideiussore. La società che aveva prestato la garanzia formulava opposizione al d.i. adducendo la nullità della fideiussione perché stipulata da legale rappresentate in condizione di conflitto di interessi con la società garantita. Il tribunale respingeva l'opposizione. La Corte d'appello confermava la decisione del giudice di prime cure ed osservava che era vero che la società garantita e la società garante erano amministrate dalla stessa persona ma tanto non era sufficiente ad individuare un conflitto di interessi perché l'amministratore non operava per se stesso ma quale amministratore delle società, inoltre, l'operato risultava essere autorizzato dall'assemblea dei soci. La società opponente proponeva ricorso per cassazione. Per completezza espositiva, occorre segnalare che, dalla lettura della sentenza, appare verosimile che il contestato conflitto di interessi si fondasse su diverse condotte riconducibili alla formulazione - applicabile ratione temporis - dell'art. 2624 c.c. che sanzionava penalmente gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori che contraevano prestiti sotto qualsiasi forma, sia direttamente sia per interposta persona, con la società che amministravano o con una società che questa controllava o da cui era controllata. Impedire qualsiasi commistione tra gli interessi sociali e quelli personali di amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori. La fattispecie richiamata, ha chiarito la S.C., non si riferiva esclusivamente ai prestiti intesi come rapporto di mutuo ed era ben più ampia, potendosi individuare la ratio nella volontà di impedire qualsiasi commistione tra gli interessi sociali e quelli personali di amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori. La volontà del legislatore, in modo evidente, era quella di impedire condotte che direttamente e/o indirettamente esponevano la società per debiti che appartenevano a coloro che a vario titolo e con diverse funzioni potevano esprimerne la volontà. Nel caso di specie, la fideiussione non era stata prestata in favore di uno dei soggetti testé richiamati ma era stata prestata da una persona giuridica ad un'altra sebbene entrambe amministrate dalla stessa persona fisica. Dunque la prova dell'eventuale conflitto di interessi doveva essere effettuata in ragione di altro percorso logico normativo. Contratto con se stesso. La fideiussione di cui trattasi, richiama la fattispecie del contratto con se stesso. La corte territoriale aveva escluso il conflitto di interessi riportandosi ad una delibera assembleare con cui l'amministratore risultava essere stato autorizzato a sottoscrivere atti di fideiussione art. 1395 c.c. . Detto verbale, per quanto è dato capire, risulterebbe composto da una fotocopia la cui veridicità non è stata accertata in giudizio, pertanto, osservano i giudici di legittimità, la decisione del giudicante non può fondarsi su un atto cui lo stesso giudice non ha riconosciuto valenza probatoria. Inoltre, i giudici di legittimità, distinguono la fattispecie del conflitto di interessi dalla diversa fattispecie del contratto con se stesso concluso senza autorizzazione. La Cassazione, distinte le due fattispecie, ha cassato la sentenza rimettendola ad altro giudice territoriale affinché accerti la valenza probatoria del verbale assembleare così da valutare l'esistenza o inesistenza del potere di firma da parte dell'amministratore.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 11 febbraio – 9 maggio 2014, n. 10109 Presidente Vitrone – Relatore Ceccherini Svolgimento del processo 1. Con citazione notificata il 29 maggio 2000, Em-bassy s.r.l. in liquidazione, fideiussore con F.M. e ad altri della debitrice principale F.M. Group s.r.l., nei confronti di Banca Popolare Valconca s.c. a r.l., si oppose al decreto ingiuntivo notificatole dalla banca per quanto dovuto a titolo di saldo di conto corrente. L'opponente eccepì la nullità, a norma dell'art. 2624 c.c., della fideiussione stipulata dal suo amministratore unico, F.M. , a vantaggio di altra società nella quale questi rivestiva pure il ruolo di amministratore unico, o in subordine l'annullabilità del contratto stipulato in conflitto d'interessi. All'esito del giudizio, il Tribunale di Rimini respinse l'opposizione. 2. Contro questa sentenza propose appello l'Embassy s.r.l. in liquidazione. La corte d'appello di Bologna, con sentenza 27 giugno 2006, ha respinto il gravame. La corte ha escluso che ricorresse l'ipotesi dell'art. 2624 c.c., posto che la fideiussione non era stata stipulata dal F. a vantaggio suo, bensì di altra società da lui amministrata, ed essendo irrilevante la sua obbligazione di fideiussore personale, non essendosi mai instaurato tra l'Embassy e il F. alcun rapporto diretto di garanzia. La corte escluse anche il conflitto d'interessi tra la società e il F. , perché l'assemblea della società aveva deliberato all'unanimità di delegare il F. a prestare fideiussioni a favore di terzi anche gratuitamente per un importo non superiore a L. 3.000.000.000, dando il suo operato per rato, valido e benfatto e successivamente aveva deliberato all'unanimità di autorizzarlo a rilasciare a favore della Banca Popolare Valconca fideiussione nell'interesse di diverse società, tra le quali, in particolare F.M. Group s.p.a. fino a L. 2.750.000.000, sempre che la fideiussione fosse attivabile solo previa escussione degli altri garanti F.M. e R.D. , qualora il loro patrimonio fosse insufficiente a soddisfare gli impegni da essi assunti deliberazione assunta con verbale 30 maggio 1996 n. 32 prodotto in copia fotostatica di contestata conformità all'originale, ritenuta tuttavia dal giudice di merito dimostrativa dell'inesistenza del conflitto d'interessi sulla base della sua conformità con la precedente delibera e con la successiva lettera, nella quale i poteri così conferitigli erano stati dichiarati dal F. alla banca. 3. Per la cassazione di questa sentenza, non notificata, ricorre Embassy s.r.l. in liquidazione, per tre motivi. La banca popolare resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie. Motivi della decisione 4. Con il primo motivo la società ricorrente, deducendo la violazione dell'art. 2624 c.c., pone il quesito se la norma invoca renda illecita anche la condotta dell'amministratore unico che costituisce la società da lui amministrata fideiussore del debito di un terzo, del quale lo stesso amministratore è a sua volta fideiussore personale. Al quesito deve darsi risposta negativa. Va premesso che l'invocato precedente di questa corte, 8 agosto 1990 n. 7998, lungi dall'avallare la tesi della ricorrente, conferma il carattere tassativo del precetto penale. Né argomento a favore della tesi del ricorrente è desumibile dalla sentenza di Cass. penale 8 febbraio 2001 n. 17017, che regola un caso in cui c'era stato un passaggio diretto di denaro dalla società all'amministratore, e per il resto esclude che per la realizzazione della fattispecie penale debba trattarsi necessariamente di mutuo. In effetti, la lettura della disposizione in esame nel testo anteriore alla sostituzione del Titolo XI del libro V del codice civile, disposta dal d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61 , nel sanzionare penalmente gli amministratori delegati, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di società che sotto qualsiasi forma, sia direttamente, sia per interposta persona, contraggono prestiti con la società che amministrano o con società controllante o controllata, ovvero si facciano prestare da una delle dette società garanzie per i debiti propri , se dimostra la volontà del legislatore di punire condotte anche indirettamente finalizzate al risultato di esporre la società rappresentata per debiti propri del suo amministratore, non autorizza l'estensione della fattispecie penale all'esposizione della banca per debiti altrui, per i quali lo stesso amministratore abbia già prestato fideiussore, perché altro è il debito garantito, che è del terzo e rispetto al quale deve essere accertato il potenziale conflitto d'interessi, altra l'obbligazione fideiussoria dell'amministratore. Vero è che gli artt. 1940 e 1948 c.c. regolano la figura del fideiussore del fideiussore, e che la norma in questione sarebbe stata certamente applicabile se la fideiussione fosse stata prestata a favore del fideiussore invece che a favore della società debitrice principale. Tuttavia una tale ipotesi suppone allegazioni di fatto che mancano. Essa sarebbe forse argomentabile dalla previsione che la fideiussione fosse attivabile solo previa escussione degli altri garanti F.M. e R.D. , qualora il loro patrimonio fosse insufficiente a soddisfare gli impegni da essi assunti. Questa clausola, tuttavia, era presente solo in un documento allegato dalla banca e del quale la società ricorrente nega l'esistenza. 5. Il secondo motivo del ricorso lamenta che la corte abbia ritenuto l'autorizzazione dell'amministratore a contrarre fideiussioni in nome della società ragione sufficiente a escludere il conflitto d'interessi con la società rappresentata. 6. Il terzo motivo censura l'affermazione dell'impugnata sentenza che il conflitto non sarebbe stato riconoscibile dalla banca, e deduce che il requisito della conoscibilità sarebbe insito nella richiesta di autorizzazione assembleare idonea, in tesi, a superare la situazione di conflitto. I due motivi, intrinsecamente collegati, devono essere esaminati insieme. 7. La corte del merito, dopo aver considerato l'esistenza di una deliberazione assembleare di autorizzazione generale dell'amministratore a prestare fideiussione a norma della società a favore di terzi, ha esaminato la questione della valenza probatoria della fotocopia, disconosciuta, di una successiva deliberazione dell'assemblea dei soci, che autorizzava l'amministratore a prestare fideiussione per un'altra società da lui rappresentata, stabilendo il limite garantibile e ponendo la condizione della preventiva escussione degli altri fideiussori. A questo riguardo la corte territoriale ha premesso il richiamo della giurisprudenza di questa corte in tema di disconoscimento della fotocopia, e della possibilità di utilizzare il documento qualora ne sia accertata anche per presunzioni la conformità all'originale ha quindi esposto delle considerazioni presuntive basate sulla precedente autorizzazione assembleare, che peraltro non faceva riferimento alla garanzia per altre società rappresentate dallo stesso amministratore, e ha concluso sul punto dichiarando che nella fattispecie non vi era conflitto d'interessi. Questa conclusione è svincolata dal ragionamento che la precede, e che verte non già sull'accertamento diretto della sussistenza del conflitto d'interesse nell'amministratore delle due società, bensì sul valore probatorio della fotocopia di un documento, che dovrebbe dimostrare la verificazione dell'ipotesi regolata dall'art. 1395 c.c. specifica autorizzazione del contratto con se stesso . A parte dunque l'ambiguità del giudizio, che esclude il conflitto d'interesse senza far riferimento all'art. 1395 c.c., resta che la corte territoriale non è pervenuta all'affermazione della sostanziale veridicità della fotocopia disconosciuta, sicché di quel documento non poteva poi tener conto nel successivo giudizio sulla riconoscibilità del conflitto. Non è dunque coerente con queste premesse il giudizio dato dalla corte sulla non riconoscibilità del conflitto da parte della banca. Nell'ipotesi considerata, il conflitto potenziale d'interessi tra le due società rappresentate dal medesimo amministratore era immanente al rilascio della fideiussione, sicché la sua riconoscibilità sarebbe stata superata soltanto dall'esistenza di un'autorizzazione ex art. 1395 c.c., e ciò supponeva l'accertamento della veridicità della fotocopia della seconda deliberazione. La decisione impugnata si basa dunque su un passaggio mancante ma indispensabile, e la censura di vizio di motivazione su un punto decisivo è fondata. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata, e la causa rimessa alla medesima corte di merito, in altra composizione, per il nuovo giudizio, nel quale si accerterà - anche ai fini del regolamento del presente giudizio di legittimità - se la fotocopia della deliberazione assembleare di Embassy s.r.l. in data 3 maggio 1996 sia conforme all'atto originale, e consenta pertanto di ritenere verificata l'ipotesi difensiva di autorizzazione dell'amministratore F.M. al rilascio di fideiussione a favore della F.M. Group s.r.l P.Q.M. La corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo e il terzo nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche ai fini del regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, alla corte d'appello di Bologna in altra composizione.