La revoca dell’ammissione al concordato preventivo non può essere impugnata se non ha carattere decisorio

La Cassazione affronta e risolve la questione relativa all’impugnabilità della revoca dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo.

Sul punto si registra l’intervento della Prima Sezione Civile di piazza Cavour, la quale, con la sentenza n. 9998/2014 datata 8 maggio 2014 stabilisce che la revoca dell’ammissione al concordato preventivo non è impugnabile con reclamo - in analogia con quanto previsto dagli artt. 162, comma 2, e 179, comma 1, l. fall. rispettivamente in caso di mancata ammissione alla procedura e di mancata approvazione del concordato da parte dei creditori - e non può essere impugnata neppure con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. quando non abbia carattere decisorio e cioè non sia fondata sull’insussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per l’accesso alla procedura o sul difetto di giurisdizione al di fuori di tali ipotesi, infatti, la decisorietà è acquisita soltanto con la dichiarazione di fallimento, in difetto della quale il debitore può proporre nuova domanda di concordato. Il caso. La vicenda si svolge nei seguenti termini con decreto del 13 marzo 2012 il Tribunale di Verona revocava l’ammissione al concordato preventivo di una s.r.l., riservando all’esito della convocazione della debitrice, ogni decisione sulla istanza di fallimento presentata nei confronti della medesima. In particolare, il Tribunale scaligero rilevava che la proposta di concordato si fondava sulla pretesa opponibilità di un vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. ai creditori che successivamente alla trascrizione di detto vincolo avevano maturato un diritto di prelazione. Invero, il predetto vincolo non era opponibile ai creditori poiché la fattispecie prevista dall’art. 2645 ter c.c. non era idonea a comprendere un atto di segregazione dei beni da parte dell’imprenditore intenzionato a presentare domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo. Il valore dei beni, costituenti l’attivo era assorbito per intero dai crediti muniti di prelazione sugli stessi per effetto di ipoteche iscritte tra la data di costituzione del vincolo inopponibile e la data di presentazione del concordato. Ne conseguiva, pertanto, la non fattibilità del concordato. Avverso quest’ultima decisione la s.r.l. proponeva ricorso straordinario per cassazione che, tuttavia, veniva respinto in toto. Al momento della proposizione del ricorso il fallimento della ricorrente non era ancora stato dichiarato, anche se era stato avviato, come risulta dallo stesso decreto impugnato, il procedimento prefallimentare. In questa situazione, pertanto, il decreto di revoca dell’ammissione al concordato preventivo non era impugnabile con ricorso per cassazione. Difatti - chiariscono i Supremi giudici Cass. n. 1240/2013 - i provvedimenti giurisdizionali aventi forma giuridica diversa da quella della sentenza sono impugnabili con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. soltanto quando presentano, nel loro contenuto e nella loro disciplina, i caratteri della decisorietà e della definitività. E, nel caso de quo , difetta il requisito della decisorietà. In proposito, le Sezioni Unite Cass., Sez. Un., n. 9743/2003 hanno chiarito che la dichiarazione d’inammissibilità ha intrinseco carattere decisorio soltanto quando dipende da ragioni che escludono una consequenziale declaratoria di fallimento, quali, ad esempio, l’esclusione della qualità di imprenditore commerciale o l’assenza dello stato d’insolvenza o il difetto di giurisdizione. L’atto di destinazione dei beni, ex art. 2645 ter c.c Con l’atto di destinazione, un soggetto definito conferente” può sottrarre uno o più beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri” appartenenti al suo patrimonio alla garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c., imprimendo su di essi un vincolo di destinazione funzionale al soddisfacimento di interessi meritevoli di tutela riguardanti beneficiari determinati, a favore dei quali sia tali beni che i loro frutti devono essere impiegati. Il vincolo non può avere durata superiore a novanta anni. Esso deve risultare da atto avente forma pubblica e può essere trascritto ai fini dell’opponibilità nei confronti dei terzi. Per la realizzazione dello scopo può agire, oltre al disponente, anche qualsiasi altro interessato. La conseguenza dell’apposizione del vincolo è che i beni destinati alla finalità ed i loro frutti possono essere oggetto di esecuzione – salvo quanto previsto dall’art. 2915, comma 1, c.c. – per i soli debiti contratti per tale scopo. L’utilizzo dell’atto di destinazione nell’ambito della procedura di concordato preventivo. La finalità è quella di proteggere, ossia funzionalizzare beni determinati, di soci illimitatamente responsabili, o di terzi, da destinare all’attuazione del piano concordatario. In base alla nuova normativa, introdotta con il d.l. n. 35/2005, convertito nella l. n. 80/2005, e valutata l’esigenza di contemperare l’interesse dei creditori concorsuali con quello dei creditori particolari, nulla sembra ostacolare la messa a disposizione dei creditori concordatari di beni di terzi, in modo da non pregiudicare i creditori particolari, mediante un apposito atto di destinazione ex art. 2645 ter c.c La messa a disposizione dei creditori, o dell’assuntore, di beni non rientranti nel patrimonio del debitore concordatario può avvenire sia perché i beni sono messi a disposizione da parte dei soci illimitatamente responsabili della società debitrice, sia perché i beni sono messi a disposizione da parte di soggetti che, pur non essendo obbligati a pagare i debiti dell’impresa in crisi, presentano un interesse, ex art. 1322 c.c., alla realizzazione del piano concordatario. L’opponibilità del vincolo di destinazione ai creditori. Il grande spazio riconosciuto all’autonomia privata nel campo degli accordi concordatari rende, dunque, certamente possibile anche la messa a disposizione di beni da parte di terzi in tal caso, l’atto di destinazione costituisce lo strumento più idoneo, stante la sua causa destinatoria, essendo quest’ultima diretta alla funzionalizzazione di uno o più beni al perseguimento di uno specifico interesse, attraverso la creazione di un vincolo di scopo. Riguardo alla tutela dei creditori dei terzi, che mettono a disposizione i propri beni per l’imprenditore-debitore, vengono in soccorso gli ordinari rimedi di cui alla disciplina generale degli atti di disposizione. L’atto di destinazione, ancorché non necessariamente attributivo sul piano patrimoniale, ma necessariamente dispositivo, in quanto teso alla creazione di un vincolo di destinazione opponibile, potrà essere impugnato con l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. o, in caso di fallimento del conferente, potrà essere dichiarato inefficace ex art. 64 l. fall. quale atto a titolo gratuito. E, nel caso che qui ci occupa, il vincolo di destinazione – costituito al fine di evitare che l’aggressione disordinata del patrimonio dell’impresa in crisi potesse comportare una dispersione di valore che danneggiasse i creditori ed impedisse un’equa distribuzione degli effetti dell’insolvenza – non era in realtà opponibile ai creditori perché la fattispecie prevista dall’art. 2645 ter c.c. non era idonea a comprendere un atto di segregazione dei beni da parte dell’imprenditore intenzionato a presentare una domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 21 febbraio – 8 maggio 2014, n. 9998 Presidente Ceccherini – Relatore Di Amato Svolgimento del processo Con decreto del 13 marzo 2012 il Tribunale di Verona revocava l'ammissione al concordato preventivo della s.r.l. Scardoni, riservando all'esito della convocazione della debitrice, fissata per il 24 aprile 2012, ogni decisione sulla istanza di fallimento presentata nei confronti della medesima. In particolare, il Tribunale osservava che 1 la proposta di concordato si fondava sulla pretesa opponibilità di un vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. ai creditori che successivamente alla trascrizione di detto vincolo avevano maturato un diritto di prelazione 2 tuttavia, tale vincolo costituito al fine di evitare che l'aggressione disordinata del patrimonio dell'impresa in crisi” potesse comportare una dispersione di valore” che danneggiasse i creditori” e impedisse un'equa distribuzione degli effetti dell'insolvenza” - non era in realtà opponibile ai creditori poiché la fattispecie prevista dall'art. 2645 ter c.c. non era idonea a comprendere un atto di segregazione dei beni da parte dell'imprenditore intenzionato a presentare domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo. A tale conclusione doveva pervenirsi non tanto per il carattere inderogabile dell'art. 2740 c.c., in realtà più volte derogato dal legislatore, quanto per il carattere speciale della disciplina concorsuale che, con riferimento agli effetti protettivi, ha riguardo, come dispone l'art. 168 l. fall., alla data di presentazione della domanda di concordato, nonché per inconfigurabilità sia di un potere del debitore di scegliere il momento nel quale rendere operativo il vincolo, con possibile discriminazione tra i creditori e con possibile conseguente esito favorevole di una eventuale azione revocatoria del creditore pregiudicato, sia addirittura, come previsto nella specie, di un potere di riservare i beni vincolati soltanto al soddisfacimento dei creditori aderenti alla proposta 3 ne conseguiva la non fattibilità del concordato in quanto il valore dei beni, costituenti l'attivo, era assorbito per intero dai crediti muniti di prelazione sugli stessi per effetto di ipoteche iscritte tra la data di costituzione del vincolo inopponibile e la data di presentazione della domanda di concordato. La s.r.l. Scardoni propone ricorso straordinario per cassazione, deducendo due motivi. Il fallimento della s.r.l. Scardoni resiste con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell'art. 2645 ter c.c. nonché degli artt. 160 e 173 l. fall,, lamentando che erroneamente il Tribunale aveva escluso l'opponibilità ai creditori del vincolo di destinazione trascritto. Infatti, l'art. 2645 ter ha tipizzato un effetto negoziale di separazione e destinazione non limitato ai soli negozi diretti a perseguire un fine di solidarietà, ma esteso a tutti i negozi diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela in particolare, meritevole di tutela è lo scopo di determinare tra tutti i creditori una situazione di assoluta par condicio e di salvaguardare le condizioni per un accordo con i creditori e tale meritevolezza prescinde dalla possibilità di un uso distorto dell'istituto, cui l'ordinamento consente di reagire, in caso di pregiudizievolezza, indipendentemente dalla validità del vincolo. Quanto al riferimento ai creditori aderenti alla proposta, lo stesso era giustificato dal fatto che la ricorrente si era mossa inizialmente nella prospettiva dell'accordo di ristrutturazione, la cui disciplina prevede, comunque, per i creditori non aderenti l'integrale soddisfacimento con il passaggio al concordato preventivo era evidente che la proposta era diretta a tutti i creditori. Il vincolo, d'altro canto, era diretto ad evitare quelle iscrizioni di ipoteche che la legge, in caso di fallimento, indica come revocabili se effettuate nel periodo immediatamente precedente l'inizio della procedura concorsuale. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 168 e 169 l. fall. nonché dell'art. 2645 ter c.c. lamentando che il Tribunale, nell'affermare che l'effetto protettivo poteva collegarsi unicamente alla proposizione della domanda di concordato, non aveva considerato, per la sostanziale equiparabilità degli effetti del vincolo di destinazione al pignoramento, l'applicabilità nella procedura di concordato dell'art. 45 l. fall., e, quindi dell'art. 2916 c.c. laddove prevede l'inopponibilità dell'ipoteca iscritta dopo il pignoramento, ma prima della domanda di concordato. Il ricorso è inammissibile. Al momento della proposizione del ricorso il fallimento della ricorrente ancora non era stato dichiarato, anche se era stato avviato, come risulta dallo stesso decreto impugnato, il procedimento prefallimentare. In questa situazione, pertanto, occorre, anzitutto, verificare se il decreto di revoca dell'ammissione al concordato preventivo, non ancora seguito dalla dichiarazione di fallimento, sia impugnabile con ricorso straordinario per cassazione e solo ove a tale interrogativo si dia risposta positiva si dovrebbe accertare quali siano gli effetti sul ricorso della sopravvenuta dichiarazione di fallimento. Al primo interrogativo, tuttavia, deve darsi risposta negativa. I provvedimenti giurisdizionali aventi forma giuridica diversa da quella della sentenza sono impugnabili con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. soltanto quando presentano, nel loro contenuto e nella loro disciplina, i caratteri della decisorietà e della definitività. Tali caratteri, che devono coesistere, consistono, quanto alla decisorietà, nella risoluzione di una controversia su diritti soggettivi o status e, quanto alla definitività, nella mancanza di rimedi diversi e nell'attitudine del provvedimento a pregiudicare, con l'efficacia propria del giudicato, quegli status o quei diritti e plurimis Cass. 18 gennaio 2013, n. 1240 Cass. s.u. ord. 7 dicembre 2006, n. 26181 . Quanto alla definitività, la stessa può essere affermata, dovendosi ritenere che, nella specie, il provvedimento di revoca non sia reclamatale. Al riguardo, la prevalente dottrina si è espressa per l'esperibilità del reclamo, dividendosi poi sul punto se lo stesso sia disciplinato dall'art. 26 l. fall., ovvero dall'art. 739 c.p.c, ovvero, infine, dall'art. 131 l. fall., che in relazione al concordato fallimentare prevede, al quarto comma, la legittimazione del fallito, con riferimento, evidentemente, al caso in cui il decreto abbia negato l'omologazione, considerato anche che il decreto di omologazione del concordato fallimentare non è soggetto a gravame art. 129, quarto comma . In proposito, i dati offerti dalla legge fallimentare non sono univoci poiché, nelle varie fattispecie in cui la procedura di concordato si conclude negativamente, mentre l'art. 162 qualifica espressamente come non reclamatale il decreto che dichiara inammissibile la proposta di concordato, l'art. 173, applicabile nella specie, tace sul punto l'art. 179, primo comma, richiama l'art. 162 con conseguente non reclamabilità del decreto emesso a seguito della mancata approvazione del concordato da parte dei creditori l'art. 183 prevede la reclamabilità del decreto che conclude il giudizio di omologazione e lo stesso deve dirsi per il già citato art. 131, nel caso di diniego dell'omologazione. In tale situazione si deve concludere che la reclamabilità è prevista soltanto all'esito del giudizio di omologazione, e non nel caso in cui il procedimento si interrompa al suo inizio o nel suo corso. Invero, la scelta del legislatore, in situazioni nelle quali la riproponibilità del concordato non è necessariamente esclusa se non viene dichiarato il fallimento , trova la sua spiegazione nel fatto che, giunti al termine della procedura, la riproposizione della domanda è stata ritenuta particolarmente gravosa in termini di celerità ed economia processuali, comportando il sacrificio delle rilevanti attività poste in essere sino a quel momento. Non altrettanto può dirsi nel caso previsto dall'art. 173 che, almeno normalmente, trova applicazione in una fase intermedia tra l'ammissione del concordato e la votazione dei creditori. Difetta, tuttavia, nel caso in esame il requisito della decisorietà. In proposito, con riferimento all'art. 162 l. fall., le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che la dichiarazione d'inammissibilità ha intrinseco carattere decisorio soltanto quando dipende da ragioni che escludono una consequenziale declaratoria di fallimento, quali, ad esempio, l'esclusione della qualità di imprenditore commerciale o l'assenza dello stato d'insolvenza e, dopo la riforma l'assenza dello stato di crisi o il difetto di giurisdizione, dovendosi invece negare l'ammissibilità del ricorso straordinario ex art. 111 Cost. quando il decreto è inscindibilmente connesso ad una successiva e consequenziale sentenza dichiarativa di fallimento anche non contestuale , giacché in tal caso i vizi del decreto debbono esser fatti valere mediante l'impugnazione della sentenza Cass. s.u. 14 aprile 2008, n. 9743 . Lo stesso principio è stato ribadito anche dopo le riforme del 2005, 2006 e 2007, con riferimento al caso in cui l'inammissibilità della proposta di concordato è stata dichiarata in pendenza di una istanza di fallimento Cass. 25 settembre 2013, n. 21901 Cass. s.u. 23 gennaio 2013, n. 1521 Cass. 2 aprile 2010, n. 8186 . I principi esposti devono valere anche in caso di revoca dell'ammissione al concordato e nel caso in esame non vi è dubbio che la revoca abbia rappresentato l'imprescindibile antecedente logico della successiva dichiarazione di fallimento, ancorché la stessa sia stata pronunziata soltanto dopo la proposizione del ricorso. Dalla stessa esposizione del ricorso emerge, infatti, che non erano in contestazione né lo stato di crisi nella specie lo stato di insolvenza , né i requisiti soggettivi e dimensionali per la declaratoria di fallimento, né tantomeno la giurisdizione, ma la fattibilità giuridica del piano di concordato. Rispetto a tale questione, inoltre, è indifferente il fatto che al momento della proposizione del ricorso non fosse ancora intervenuta la dichiarazione di fallimento rispetto alla fattibilità giuridica, infatti, la decisorietà è assunta soltanto dalla dichiarazione di fallimento, in difetto della quale la revoca non pregiudica la riproposizione di una nuova proposta di concordato. Ne consegue l'inammissibilità del ricorso poiché le questioni proposte possono essere esaminate soltanto nell'eventuale reclamo avverso la dichiarazione di fallimento. In conclusione, la revoca dell'ammissione al concordato preventivo non è impugnabile con reclamo - in analogia con quanto previsto dagli artt. 162, secondo comma, e 179, primo comma, l. fall., rispettivamente in caso di mancata ammissione alla procedura e di mancata approvazione del concordato da parte dei creditori - e non può essere impugnata neppure con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. quando non abbia carattere decisorio e cioè non sia fondata sull'insussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per l'accesso alla procedura o sul difetto di giurisdizione al di fuori di tali ipotesi, infatti, la decisorietà è acquisita soltanto con la dichiarazione di fallimento, in difetto della quale il debitore può proporre nuova domanda di concordato. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso condanna la ricorrente al rimborso delle spese di lite liquidate in Euro 5.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre IVA e CP.