Il soddisfacimento dei creditori nel caso di proposta di concordato con cessione dei beni

Nella disciplina dettata dall’art. 160, comma 2, n. 2, l. fall., nel testo applicabile ratione temporis anteriore al d.l. n. 35/2005, la cessione deve riguardare tutti i beni esistenti nel patrimonio del debitore alla data della proposta di concordato, tranne quelli indicati nell’art. 46 ed, inoltre, la valutazione di tali beni deve fare fondatamente ritenere che i creditori possano essere soddisfatti almeno nella misura del 40%. Ne consegue che non è ammessa una cessione parziale e che la misura del soddisfacimento dei creditori rappresenta soltanto l’oggetto di una valutazione preventiva, ai fini dell’ammissibilità del concordato, senza che il raggiungimento di detta misura rappresenti né un obbligo del debitore come dimostra l’art. 186, comma 2, c.c. nel testo ante riforma, con la previsione dell’esclusione della risoluzione nel caso in cui detta misura non sia raggiunta né tantomeno un limite al soddisfacimento dei creditori cui è destinato, nei limiti del loro credito, il ricavato dalla liquidazione di tutti i beni ceduti.

È quanto stabilito dalla I sezione Civile della Corte di Cassazione con sentenza n. 8966 del 17 aprile 2014. Il fatto. Il Tribunale di Salerno rigetta il reclamo proposto ai sensi dell’art. 26 l. fall. da parte di un debitore, che, opponendosi alla prosecuzione della liquidazione, ne chiede la sospensione e chiede altresì la restituzione dei beni residui dopo il soddisfacimento dei creditori nella percentuale, che secondo il suo assunto lo ha liberato dagli obblighi concordatari. Avverso il predetto decreto emesso dal Tribunale in sede di reclamo, il debitore ricorre in Cassazione facendo valere due distinti gravami. E, i Supremi Giudici, conformandosi al grand arrêt delle Sezioni Unite n. 19506/2008, in primis precisano che nel caso di decreti emessi dal tribunale fallimentare in tema di vendite nel concordato con cessione dei beni, e in coerenza con l’analogo orientamento in tema di provvedimenti pronunziati nell’ambito della giurisdizione esecutiva del processo fallimentare, risulta ammissibile il ricorso stesso per cassazione ex art. 111 Cost I motivi, invero, risultano infondati e, pertanto, il ricorso viene rigettato. Funzione del concordato preventivo. L’imprenditore che si trova in stato di crisi può evitare la più grave misura del fallimento offrendo ai suoi creditori un concordato che è chiamato preventivo proprio perché diretto a prevenire il fallimento. Questa funzione della procedura corrisponde sia all’interesse del debitore, che può estinguere i propri debiti, sia all’interesse dei creditori che conseguono un soddisfacimento, ancorché parziale delle loro ragioni, sia, infine all’interesse dell’economia generale alla eliminazione del dissesto tramite uno strumento più duttile del fallimento che consenta l’eventuale sopravvivenza dell’impresa. Concordato con cessione dei beni ante riforma . Ai sensi dell'art. 160 l.fall., nel testo applicabile ratione temporis anteriore al d.l. n. 35/2005, il concordato preventivo può essere realizzato, alternativamente, con il pagamento di una percentuale pari ad almeno il 40% dei crediti chirografari o con la cessione di tutti i beni pignorabili del debitore, sempre che la loro valutazione faccia fondatamente ritenere la soddisfazione dei creditori chirografari in misura non inferiore al 40%. Nel caso di cessione di beni, che qui ci occupa, il debitore, pur mantenendo l'amministrazione del proprio patrimonio, viene di fatto spossessato dalla gestione dello stesso. Il tribunale, con la sentenza di omologazione del concordato con cessione dei beni, procede alla nomina di uno o più liquidatori ed alla definizione delle modalità con cui dovrà svolgersi la liquidazione. Funzione principale del liquidatore è quella di pervenire alla realizzazione del patrimonio dell'imprenditore concordatario, e di effettuare il riparto fra i creditori delle somme resesi in tal modo disponibili. La percentuale ricavabile dalla liquidazione è oggetto di una mera previsione e non è affatto garantita. C’è da dire, quanto alla vecchia normativa qui esposta, che la differenza fra percentuale offerta e percentuale realizzata era completamente giustificata, come se derivante da un fatto fisiologico e connaturato, connessa al rischio insito nella procedura di concordato con cessione di beni, basata interamente su previsioni e non su certezze. La fattispecie del c.d. concordato misto. Poteva anch’esso rientrare nella tipologia del concordato con cessione dei beni con la conseguente applicazione del relativo regime giuridico. Ricorreva il concordato di tipo misto quando alla cessione dei beni si abbinavano garanzie di vario genere. In tal caso, infatti, il debitore oltre a cedere i beni ai creditori poteva offrire garanzie, evidentemente di terzi, sul pagamento di una percentuale e poteva prevedere che con il relativo pagamento fossero assolti gli obblighi concordatari. La configurazione della cessione come pro solvendo oppure come pro soluto . La legge fallimentare non prevede nessuno schema obbligatorio e rigido con cui attuare la cessione dei beni, consentendo, invece, di raggiungere l'accordo nel modo più conveniente per i creditori, sotto la guida ed il controllo del giudice. La cessione può quindi assumere di volta in volta la forma del pro solvendo oppure del pro soluto ed addirittura quella del passaggio in proprietà dei beni ai creditori. Invero, l’orientamento dominante della Suprema Corte, a partire dalle Sezioni Unite n. 4779/1987, non accoglie l'ipotesi del trasferimento della proprietà, affermando invece che la cessione dei beni ai creditori deve essere inquadrata nell'istituto generale della cessio bonorum che comporta perciò solo il trasferimento, in favore degli organi della procedura concordataria, della legittimazione a disporre dei beni ceduti. A tal fine – aggiungono gli Ermellini – è indifferente la configurazione della cessione come pro solvendo , con diritto del debitore all’eventuale sopravanzo, oppure come pro soluto , con diritto dei creditori all’eventuale ricavo superiore alla percentuale garantita. Il soddisfacimento dei creditori la clausola pro solvendo . Secondo la dottrina, la differenza tra cessione pro solvendo e pro soluto non riguarda il criterio di attribuzione dell’esubero rispetto ad una percentuale di pagamento dei crediti chirografari, oggetto di una eventuale e distinta altra clausola, ma la previsione o meno dell’immediata e totale liberazione del debitore che caratterizzerebbe il concordato con cessione pro soluto dei beni ai creditori e non il concordato con cessione pro solvendo . Non si può nemmeno escludere, d’altro canto, che, ferma la cessione di tutti i beni e la destinazione del loro ricavato al soddisfacimento dei creditori, una percentuale sia comunque garantita. In questo caso, il debitore assume il rischio, garantito da terzi, del soddisfacimento dei creditori nella misura indicata, fermo restando che, raggiunta tale percentuale, la liquidazione può proseguire in favore dei creditori fino al soddisfacimento dei loro crediti, naturalmente nei limiti derivanti, quanto agli interessi, dalla procedura concorsuale. Ne consegue che la clausola pro solvendo , in assenza dell’espressa previsione della liberazione del debitore dopo il pagamento della percentuale garantita, è del tutto compatibile con la previsione che i creditori siano soddisfatti almeno in detta percentuale. E, nel caso che qui ci occupa, la proposta di concordato prevedeva il soddisfacimento di almeno il 40% dei creditori chirografari. L’indicazione della percentuale di soddisfazione riservata ai creditori. In conclusione è da rilevare che nelle numerose possibilità concesse dal rinnovato art. 160 l.fall. non è più richiesto l’obbligo di indicare la percentuale promessa ai creditori anzi, talora è anche difficile farlo, come nel caso di attribuzione delle attività dell’impresa ad un assuntore, o è, addirittura, impossibile come quando si volesse indicare l’entità della percentuale corrispondente al valore delle azioni attribuite ai creditori ai sensi sia del punto a che del punto b di detto articolo.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 21 febbraio – 17 aprile 2014, n. 8966 Presidente Ceccherini – Relatore Di Amato Svolgimento del processo Con decreto del 3 febbraio 2011 il Tribunale di Salerno rigettava il reclamo proposto, ai sensi dell'art. 26 l. fall., da D.P.A. , in proprio e nella qualità di socio accomandatario della s.a.s. Automobili D.P. e della s.a.s. Dian Car, avverso il provvedimento con il quale il giudice delegato al concordato preventivo del reclamante, omologato in data 30 settembre 1997, aveva disposto la prosecuzione dell'attività di liquidazione dei beni ceduti anche dopo il raggiungimento della percentuale del 40% nel soddisfacimento dei creditori chirografari. In particolare, il Tribunale osservava che 1 il concordato omologato prevedeva la cessione pro solvendo dei beni per il soddisfacimento di almeno il 40% dei crediti chirografari 2 la prima clausola, secondo la terminologia correntemente adoperata in materia concordataria, escludeva l'attribuzione ai creditori dell'intero ricavato della liquidazione, ma riservava al debitore il supero del ricavato della liquidazione rispetto all'importo pattizio offerto 3 la seconda clausola, interpretata secondo i canoni di affidamento e buona fede, non escludeva che le operazioni di liquidazione potessero comportare per i creditori chirografari una percentuale di soddisfacimento superiore al 40% ne conseguiva l'offerta di soddisfacimento in una misura minima, appunto quella del 40%, suscettibile di concreti incrementi all'esito dell'attività liquidatoria. D.P.A. , in proprio e nella predetta qualità, propone ricorso per cassazione, deducendo due motivi illustrati anche con memoria. La s.p.a. Intesa Sanpaolo e la s.p.a. Italfondiario resistono con distinti controricorsi. Il concordato di D.P.A. , della s.a.s. Automobili D.P. e della s.a.s. Dian Car, l'Agenzia Imo di B.F. , la s.r.l. Consilina Car, la BNL e la s.p.a. U.G.C. Banca non hanno svolto attività difensiva. Motivi della decisione 1. Il ricorso è ammissibile. Al riguardo non deve fuorviare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui i decreti del giudice delegato, e gli eventuali provvedimenti del tribunale in sede di reclamo, resi nell'esercizio del potere dovere di sorveglianza sull'attuazione del concordato, hanno carattere meramente esecutivo della sentenza di omologazione e sono privi tanto di carattere decisorio, non potendo influire con efficacia di giudicato sulle situazioni soggettive di natura sostanziale degli interessati, quanto di carattere definitivo v., e plurimis, con riferimento all'esecuzione del concordato preventivo, Cass. 18 giugno 2008, n. 16598 Cass. 27 ottobre 2006, n. 23272 Cass. 27 ottobre 2006, n. 23271 e, con riferimento all'esecuzione del concordato fallimentare, Cass. 15 marzo 2013, n. 6643 Cass. ord. 2 dicembre 2010, n. 24438 . Infatti, nel caso di decreti emessi dal tribunale fallimentare in tema di vendite nel concordato con cessione dei beni, le Sezioni unite di questa Corte, risolvendo un precedente contrasto di giurisprudenza, e in coerenza con l'analogo orientamento in tema di provvedimenti pronunziati nell'ambito della giurisdizione esecutiva del processo fallimentare, hanno ritenuto ammissibile il ricorso straordinario avverso provvedimenti che decidono controversie del tutto analoghe a quelle di opposizione agli atti esecutivi previste dagli artt. 617 e 618 c.p.c Ciò sul duplice rilievo che 1 essendo pacifica l'ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione avverso le sentenze che decidono sull'opposizione agli atti esecutivi, la sola diversità formale - ossia la differente veste del corrispondente provvedimento adottato nella procedura concorsuale all'esito di un procedimento di tipo camerale non basta, per la necessità di un'interpretazione sistematica dell'ordinamento improntata al rispetto del principio di uguaglianza, a giustificare una diversità quanto al regime dell'impugnazione in cassazione 2 anche la fase esecutiva del concordato per cessione dei beni, al pari della procedura fallimentare, è riconducibile alla categoria, in senso lato, dei procedimenti di esecuzione forzata e deve svolgersi, quanto alla liquidazione, secondo i parametri previsti dal concordato o dalla sentenza di omologazione così Cass. s.u. 16 luglio 2008, n. 19506 conff. Cass. 16 settembre 2009, n. 3903 Cass. 14 marzo 2011, n. 5993 . A maggior ragione deve ritenersi possibile il ricorso per cassazione quando, come nella specie, il debitore, opponendosi alla prosecuzione della liquidazione, ne chieda la sospensione e chieda altresì la restituzione dei beni residui dopo il soddisfacimento dei creditori nella percentuale che, secondo il suo assunto, lo ha liberato dagli obblighi concordatari. In tal caso il debitore propone un'azione assimilabile per contenuto e funzione all'opposizione prevista dall'art. 615 c.p.c., per l'esecuzione individuale. Ne consegue che il decreto emesso dal tribunale in sede di reclamo, avverso il provvedimento del giudice delegato che rigetta tali richieste, ha carattere decisorio rispetto ai diritti del debitore e dei creditori ed è definitivo per la mancanza di rimedi diversi e per l'attitudine del provvedimento a pregiudicare tali diritti, con l'efficacia propria del giudicato il provvedimento è, pertanto, impugnabile con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost 2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia il vizio di motivazione, lamentando che il Tribunale, dopo avere affermato che nella specie era stata proposta ai creditori una cessione pro solvendo dei beni, e cioè una cessione nella quale era riservato al debitore il supero del ricavato della liquidazione rispetto all'importo offerto, aveva contraddittoriamente concluso che con la clausola che prospettava il soddisfacimento di almeno il 40% dei creditori chirografari non si era escluso che le operazioni di liquidazione potessero comportare una percentuale più elevata di soddisfacimento. Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 c.c., lamentando che il Tribunale, da un lato, aveva dato rilievo all'elemento letterale, rappresentato dall'uso dell'avverbio almeno , senza porre la clausola che lo conteneva in correlazione con la clausola che qualificava la cessione come pro solvendo e, dall'altro, aveva proceduto ad una interpretazione secondo i criteri integrativi sussidiari dell'affidamento e della buona fede in una situazione in cui il significato della proposta concordataria poteva essere desunto dai criteri interpretativi principali significato letterale delle espressioni usate e collegamento logico tra le varie clausole , pervenendo ad una interpretazione che finiva con il privare di ogni effetto la clausola della cessione pro solvendo, inapplicabile in mancanza di una soglia oltre la quale il ricavato della liquidazione è oggetto di riserva a favore del debitore. I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi e sono infondati. Al loro esame si deve premettere un quadro, sia pure sintetico, dell'istituto del concordato con cessione dei beni e l'individuazione del significato che in esso può assumere, in astratto, la clausola pro solvendo. Nella disciplina dettata dall'art. 160, secondo comma n. 2 l. fall., nel testo applicabile ratione temporis anteriore al d.l. n. 35/2005, la cessione deve riguardare tutti i beni esistenti” nel patrimonio del debitore alla data della proposta di concordato, tranne quelli indicati nell'art. 46” ed, inoltre, la valutazione di tali beni” deve fare fondatamente ritenere che i creditori possano essere soddisfatti almeno nella misura” del 40%. Ne consegue che non è ammessa, alla stregua di detta disciplina, una cessione parziale e che la misura del soddisfacimento dei creditori rappresenta soltanto l'oggetto di una valutazione preventiva, ai fini dell'ammissibilità del concordato, senza che il raggiungimento di detta misura rappresenti né un obbligo del debitore come dimostra l'art. 186, secondo comma, nel testo ante riforma, con la previsione dell'esclusione della risoluzione nel caso in cui detta misura non sia raggiunta né tantomeno un limite al soddisfacimento dei creditori cui è destinato, nei limiti del loro credito, il ricavato dalla liquidazione di tutti i beni ceduti. È vero, tuttavia, che la sentenza di omologazione rappresenta, comunque, la lex specialis dalla quale è regolata l'esecuzione del concordato il che impone, malgrado il chiaro quadro normativo, di accertare quale possa essere in astratto il significato giuridico della clausola pro solvendo contenuta nel concordato omologato. La distinzione tra concordato con cessione pro solvendo e concordato con cessione pro soluto è presente in alcune decisioni di questa Corte chiamate a stabilire se effetto del concordato con cessione dei beni è il trasferimento della proprietà dei beni ovvero soltanto il trasferimento, in favore degli organi della procedura concordataria, della legittimazione a disporre dei beni ceduti. Questa seconda soluzione è stata accolta con la precisazione che, a tal fine, è indifferente la configurazione della cessione come pro solvendo, con diritto del debitore all'eventuale sopravanzo, oppure come pro soluto, con diritto dei creditori all'eventuale ricavo superiore alla percentuale garantita” Cass. s.u. 28 maggio 1987, n. 4779 Cass. 21 gennaio 1993, n. 709 Cass. 13 maggio 1998, n. 4801 . Tali definizioni, tuttavia, non appaiono riferibili al concordato con cessione dei beni previsto dal citato n. 2 del secondo comma dell'art. 160 l. fall, poiché, come ricordato, la percentuale ricavabile dalla liquidazione è oggetto di una mera previsione e non è affatto garantita. La garanzia, invece, può intervenire nella diversa fattispecie, elaborata dalla pratica, del concordato c.d. misto. In tal caso, infatti, il debitore oltre a cedere i beni ai creditori può offrire garanzie, evidentemente di terzi, sul pagamento di una percentuale e può prevedere che con il relativo pagamento siano assolti gli obblighi concordatari. In questo caso, coerentemente con il significato dell'espressione pro solvendo, il debitore cedente assume il rischio, garantito da terzi, che i beni ceduti non siano sufficienti al pagamento della percentuale garantita. Diversamente, nel caso del concordato pro soluto, il rischio sulla insufficienza del ricavato della liquidazione a soddisfare la percentuale prevista, e non garantita, resta a carico dei creditori. Appropriatamente, infatti, secondo la dottrina, la differenza tra cessione pro solvendo e pro soluto non riguarda il criterio di attribuzione dell'esubero rispetto ad una percentuale di pagamento dei crediti chirografari, oggetto di una eventuale e distinta altra clausola, ma la previsione o meno dell'immediata e totale liberazione del debitore che caratterizzerebbe il concordato con cessione pro soluto dei beni ai creditori e non il concordato con cessione pro solvendo . Non si può neppure escludere, d'altro canto, che, ferma la cessione di tutti i beni e la destinazione del loro ricavato al soddisfacimento dei creditori, una percentuale sia comunque garantita. In questo caso il debitore assume il rischio, garantito da terzi, del soddisfacimento dei creditori nella misura indicata, fermo restando che, raggiunta tale percentuale, la liquidazione può proseguire in favore dei creditori sino al soddisfacimento dei loro crediti, naturalmente nei limiti derivanti, quanto agli interessi, dalla procedura concorsuale per tale precisazione v. Cass. 13 maggio 1998, n. 4801 . Ne consegue che la clausola pro solvendo, in assenza dell'espressa previsione della liberazione del debitore dopo il pagamento della percentuale garantita, è del tutto compatibile con la previsione che i creditori siano soddisfatti almeno in detta percentuale. Pertanto, tornando al caso di specie, la Corte di appello, pur errando sul significato da attribuire in astratto alla clausola pro solvendo, con conseguente necessità di correzione della motivazione nei sensi sopra indicati, ha valorizzato, con motivazione congrua ed immune da vizi logici, il fatto che la proposta di concordato prevedeva il soddisfacimento di almeno” il 40% dei crediti chirografari. Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.