Il condono fiscale può essere presentato dall’imprenditore fallito

L’imprenditore fallito può presentare istanza di condono fiscale poiché conserva i rapporti con il Fisco che non sono riservati esclusivamente al curatore della procedura concorsuale.

La Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 6248, del 18 marzo 2014, ha affermato che l’istanza di adesione all’istituto del condono fiscale può essere presentata anche dall’imprenditore sottoposto a procedura concorsuale tale soggetto, infatti, conserva ancora tutti i rapporti con l’amministrazione finanziaria che non sono riservati solo” al curatore della procedura concorsuale. Il caso. Il contenzioso fiscale vede contrapposti una società per azioni, in qualità di assuntore del concordato fallimentare di una società in accomandita semplice e Equitalia spa. Alla base del ricorso per Cassazione vi sono due motivi che contestano la sentenza della Corte di Appello che aveva, a sua volta, accolto l’appello contro la sentenza del Tribunale ordinario i giudici di prime cure avevano dato parere favorevole, solo in minima parte, all’opposizione allo stato passivo del fallimento della S.a.S, proposto da Equitalia, ed avevano conseguentemente ammesso al passivo del fallimento predetto la somma di oltre 99mila euro in privilegio ex art 2752, numero 1, c.c. , e la somma di euro 4.432 in chirografo. Con i due motivi di ricorso della società ricorrente è contestata , sotto i profili della violazione di legge e del vizio motivazionale, la sentenza impugnata laddove questa ha ritenuto che l’amministratore della società fallita, pur dopo la dichiarazione di fallimento, fosse legittimato a presentare istanza di condono fiscale nel 2003 il mancato pagamento delle rate del condono aveva determinato l’emissione della cartella di pagamento da parte di Equitalia e la successiva istanza di ammissione al passivo sulla base di quest’ultima. Il condono presentato riguardava la cd. chiusura delle liti fiscali pendenti di cui all’articolo 16, della legge numero 289/2002. La chiusura delle liti fiscali pendenti quali gli atti condonabili. La vicenda giuridica dei condoni introdotti dalla L. 27 dicembre 2002, numero 289 legge Finanziaria 2003 ha, come noto, subito il susseguirsi di molteplici interventi di rango normativo che, certamente, hanno non poco contribuito a determinare notevoli difficoltà di esegesi e di applicazione delle stesse, arrecando sicuro danno sia agli operatori della materia che, soprattutto, ai cittadini-contribuenti chiamati a confrontarsi con le relative disposizioni. Va ricordato che, ai sensi dell'art. 16 legge Finanziaria 2003 L. numero 289/2002 e successive modifiche e integrazioni , esteso al periodo di imposta 2002, dal comma 49, dell'art. 2 L. numero 350/2003, erano definibili le liti fiscali pendenti - entro la data di entrata in vigore della legge Finanziaria 2003 1° gennaio 2003 , per le vecchie definizioni - entro la data di entrata in vigore della legge Finanziaria 2004 1° gennaio 2004 , per le nuove definizioni in ogni grado del giudizio, anche a seguito di rinvio, dinanzi alle Commissioni tributarie provinciali, regionali e centrale al giudice ordinario e, quindi, dinanzi al Tribunale, alla Corte d'appello e alla Corte di Cassazione . La definizione poteva essere effettuata mediante il pagamento entro il 16 marzo 2004, di una somma determinata sulla base di quanto indicato dal comma 1, dell'art. 16 Legge numero 289/2002. Successivamente al predetto pagamento, per ciascuna lite l'interessato doveva presentare, entro il 22 marzo 2004, una distinta domanda di definizione in carta libera secondo le modalità stabilite con provvedimento del Direttore dell'Agenzia competente in quanto parte nel giudizio in corso di definizione. Potevano essere definite le controversie aventi ad oggetto gli avvisi di accertamento, i provvedimenti di irrogazione di sanzioni e ogni altro atto di imposizione di converso, erano da intendersi estranee alle disposizioni recate dall'art. 16, le controversie concernenti il rifiuto espresso o tacito alla restituzione di tributi, i dinieghi e le revoche di agevolazioni. Tra i chiarimenti resi in materia dalla circolare numero 12/E del 2003 dell’Agenzia delle Entrate, occorre segnalare che non erano definibili, di regola, l'avviso di liquidazione, l'ingiunzione, il ruolo, in considerazione della natura di tali atti, finalizzati alla riscossione del tributo e degli accessori si derogava, tuttavia, a tale principio qualora uno dei predetti atti assolveva anche alla funzione di atto di accertamento, oltre che di riscossione nel caso in cui con un unico atto o con atto separato fosse stato richiesto il pagamento dell'imposta o della maggiore imposta e delle sanzioni ad esse correlate e il contribuente avesse impugnato l'atto solo in relazione alle sanzioni, prestando acquiescenza limitatamente al tributo richiesto, per il calcolo degli importi rilevanti ai fini della definizione, occorreva riferirsi esclusivamente alle sanzioni irrogate nel caso di acquiescenza parziale sul tributo, la chiusura poteva , invece, avvenire prendendo a base l'ammontare del tributo in contestazione in primo grado, senza tenere conto delle sanzioni e degli interessi che allo stesso si riferiscono erano liti definibili anche quelle pendenti concernenti sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari. La perdita della capacità processuale derivante dalla dichiarazione di fallimento ha carattere relativo. I giudici di legittimità rilevano che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale della Cassazione, è già stato chiarito che in tema di condono fiscale e, con riferimento alla chiusura delle liti fiscali pendenti prevista dall'art. 16, legge numero 289/2002, legittimato a proporre istanza di definizione agevolata, a seguito del fallimento del contribuente, dev'essere considerato, in caso d'inerzia del curatore, anche il fallito quest'ultimo, infatti, non è privato, per effetto della dichiarazione di fallimento, della qualità di soggetto passivo del rapporto tributario, restando esposto ai riflessi anche sanzionatori che conseguono alla definitività dell’atto impositivo, ed essendo per tale motivo legittimato, nell'inerzia degli organi fallimentari, anche a ricorrere alla tutela giurisdizionale, tenuto conto che la perdita della capacità processuale derivante dalla dichiarazione di fallimento ha carattere relativo, potendo essere fatta valere soltanto dal curatore, nell'interesse della massa dei creditori. Va ricordato che con la sentenza numero 7791/2006, citata nella sentenza in commento la Corte di Cassazione aveva già stabilito che se il curatore fallimentare impugni gli avvisi di rettifica ed irrogazione di sanzioni emessi contro il fallito e tale impugnazione venga rigettata con sentenza passata in giudicato, il fallito tornato in bonis non è legittimato a impugnare, deducendo di non aver avuto notizia degli atti impositivi, la cartella esattoriale con cui gli è chiesto il pagamento delle somme in questione. Ciò in quanto il potere del fallito di impugnare l'atto impositivo sussiste solo in caso di inerzia del curatore. La controversia introdotta dal fallito aveva come oggetto un atto di mera liquidazione di un debito ormai consolidato e non è suscettibile di sanatoria, ai sensi del citato art. 16, L. numero 289/2002. Le conclusioni. Per la Corte di Cassazione, l’amministratore della società fallita era certamente legittimato a proporre l’istanza di condono come già riportato, a seguito del mancato pagamento delle rate di quest'ultimo è stata emessa la cartella esattoriale non impugnata dal curatore. Come correttamente osservato dalla sentenza impugnata, in sede di verifica dello stato passivo nessuna contestazione poteva essere mossa dal curatore avverso la detta cartella non impugnata a suo tempo, essendo ogni questione che si riferisce alla fondatezza della pretesa tributaria, riservata alla giurisdizione tributaria. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 18 febbraio – 18 marzo 2014, n. 6248 Presidente Di Palma – Relatore Ragonesi Fatto e diritto La Corte rilevato che sul ricorso n. 20470/12 proposto dalla. Superemme spa nei confronti di Equitalia Sardegna spa il Consigliere relatore ha depositato ai sensi dell'art. 380 bis cpc la relazione che segue. Il relatore Cons. Ragonesi, letti gli atti depositati RILEVATO che la Superemme spa quale assuntrice del concordato Elettroforniture ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi avverso la sentenza n. 65/12 con cui la Corte d'appello di Cagliari sez. dist. Sassari ha accolto l'appello contro la sentenza n. 126/10 del Tribunale di Tempio Pausania, che aveva accolto solo in minima parte l'opposizione allo stato passivo del fallimento della Elettroforniture proposto da Equitalia Sardegna, ed ha conseguentemente ammesso al passivo del fallimento predetto la somma di Euro 99.194,87 in privilegio ex art. 2752 n. 1 c.c. e la somma di Euro 4432 in chirografo che Equitalia Sardegna ha resistito con controricorso. Osserva Con i due motivi di ricorso la società ricorrente contesta, sotto i profili della violazione di legge e del vizio motivazionale, la sentenza impugnata laddove questa ha ritenuto che l'amministratore della società fallita, pur dopo la dichiarazione di fallimento, fosse legittimato a presentare istanza di condono fiscale nel 2003, il mancato pagamento delle cui rate aveva determinato l'emissione della cartella di pagamento da parte di Equitalia e la successiva istanza di ammissione al passivo sulla base di quest'ultima. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto contengono diverse prospettazioni della medesima questione, sono manifestamente infondati. La giurisprudenza di questa Corte, correttamente richiamata dalla sentenza impugnata, ha già chiarito che in tema di condono fiscale, e con riferimento alla chiusura delle liti fiscali pendenti prevista dall'art. 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, come nella fattispecie in esame legittimato a proporre istanza di definizione agevolata, a seguito del fallimento del contribuente, dev'essere considerato, in caso d'inerzia del curatore, anche il fallito quest'ultimo, infatti, non è privato, per effetto della dichiarazione di fallimento, della qualità di soggetto passivo del rapporto tributario, restando esposto ai riflessi anche sanzionatori che conseguono alla definitività dell'atto impositivo, ed essendo per tale motivo legittimato, nell'inerzia degli organi fallimentari, anche a ricorrere alla tutela giurisdizionale, tenuto conto che la perdita della capacità processuale derivante dalla dichiarazione di fallimento ha carattere relativo, potendo essere fatta valere soltanto dal curatore, nell'interesse della massa dei creditori. Cass. 11068/06 . Dunque l'amministratore della società fallita era certamente legittimato a proporre l'istanza di condono non risultando dedotta alcuna attivazione della procedura sul punto. Come già riportato, a seguito del mancato pagamento delle rate di quest'ultimo è stato emessa cartella esattoriale non impugnata dal curatore. Ne consegue che - come correttamente osservato dalla sentenza impugnata - in sede di verifica dello stato passivo nessuna contestazione poteva essere mossa dal curatore avverso la detta cartella non impugnata a suo tempo essendo ogni questione relativa alla fondatezza della pretesa tributaria riservata alla giurisdizione tributaria. Sul punto è sufficiente ricordare quanto affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui la giurisdizione del tribunale fallimentare sull'accertamento dei crediti e sulla loro ammissione al passivo non può estendersi a questioni sulla debenza dei tributi o di sanzioni tributarie previsti dall'art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, o a tributi in genere, a seguito della modifica introdotta dall'art. 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, sulle quali è attribuita una giurisdizione esclusiva alle commissioni tributarie. Cass. Sez. Un 20112/05 Cass. 7791/06 . Ove si condividano i testé formulati rilievi, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio ricorrendo i requisiti di cui all'art. 375 cpc. PQM. Rimette il processo al Presidente della sezione per la trattazione in Camera di Consiglio. Roma 7.9.13. Il Cons. relatore Considerato che non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra e che pertanto il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in favore di Equitalia Sardegna spa in Euro 5000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi ed oltre accessori di legge.