Spese di giustizia della procedura fallimentare: a carico del debitore ed ammesse al passivo del fallimento

Al creditore istante per la dichiarazione di fallimento del suo debitore va riconosciuto il privilegio per le spese di giustizia di cui agli artt. 2755, 2770 c.c. e 95 c.p.c. con riferimento alle spese all’uopo sostenute, atteso il sostanziale parallelismo tra creditore procedente nella procedura esecutiva singolare e creditore istante nella procedura concorsuale.

Con la pronuncia n. 2112 del 31 gennaio 2014, la Corte di Cassazione interviene sull’interessante questione dell’opponibilità al fallimento di un decreto ingiuntivo e delle spese di giustizia, fornendo anche alcuni interessanti considerazioni sul significato e sull’efficacia del giudicato sostanziale e del giudicato formale. Il caso . La sentenza in commento si pronuncia in ordine ad una opposizione allo stato passivo promossa dal creditore di una società fallita, il quale aveva visto estromesso il proprio credito portato da un decreto ingiuntivo, divenuto esecutivo prima della dichiarazione di fallimento in quanto non opposto, ma la cui esecutorietà era stata rilasciata dopo la dichiarazione di fallimento del pari, il medesimo creditore aveva proposto opposizione avverso il summenzionato stato passivo, in quanto era stata altresì rigettata la sua richiesta di ammissione in ordine alle spese della procedura, indicate nel decreto ingiuntivo ritenuto, per quanto poc’anzi riferito, non opponibile alla massa. La Corte, richiamando la propria giurisprudenza sull’inopponibilità al fallimento del decreto ingiuntivo priva della formula esecutiva prima del fallimento, rimette però la causa innanzi al Tribunale, in diversa composizione, per il profilo delle spese, che invece ritiene di spettanza del creditore e, quindi, da ammettere nel passivo. Giudicato sostanziale e giudicato formale come e perché . Preliminarmente, il S.C. si sofferma sulla distinzione, richiamata anche dal ricorrente in opposizione, tra giudicato sostanziale e giudicato formale, pur sottolineando, per il profilo di interesse in questa sede, la sostanziale identità dei termini, trattandosi di due diversi profili del medesimo fenomeno. In particolare, il giudicato sostanziale art. 2909 c.c. - che, quale riflesso di quello formale art. 324 c.p.c. , fa stato ad ogni effetto tra le parti per l’accertamento di merito positivo o negativo del diritto controverso - si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, compresi gli accertamenti di fatto che rappresentano le premesse necessarie ed il fondamento logico e giuridico della pronuncia, con effetto preclusivo dell’esame degli stessi elementi in un successivo giudizio, che abbia identici elementi costitutivi della relativa azione e cioè i soggetti, la causa petendi ed il petitum, secondo l’interpretazione della decisione affidata al giudice del merito insindacabile in sede di legittimità, ove immune da vizi logico-giuridici. Giudice fallimentare e opposizione a decreto ingiuntivo quali poteri di controllo? Successivamente, la Corte affronta la questione, altresì rilevante nel caso di specie, sui poteri del tribunale fallimentare in ordine alla verifica dello stato del decreto ingiuntivo. Al riguardo, il S.C. precisa che in tema di opposizione allo stato passivo, il tribunale fallimentare non ha il potere di accertare, neanche incidenter tantum , la tardività della proposizione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo di conseguenza, il decreto ingiuntivo, non dichiarato esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c., non ha efficacia di giudicato formale e sostanziale e non è opponibile alla procedura fallimentare. Decreto ingiuntivo quando è opponibile al fallimento . L’ulteriore passaggio affrontato, per confermare la legittimità dell’operato della corte territoriale e, quindi, per rigettare tale motivo di ricorso, riguarda le condizioni per le quali un decreto ingiuntivo è opponibile al fallimento. In particolare, richiamando il consolidato orientamento in materia, la Cassazione afferma che il decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo ex art. 647 c.p.c. e passato in giudicato in data anteriore alla dichiarazione di fallimento, per mancata tempestiva opposizione o perché l’opponente non si è costituito, costituisce titolo per l’ammissione del credito allo stato passivo, non essendo operante in questo specifico caso il principio dell’inefficacia dei decreti ingiuntivi nei confronti della massa, applicabile solo a quelli non definitivi perché opposti o perché pende il termine per l’opposizione al momento della dichiarazione di fallimento. Sul punto, è inoltre pacifico che il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato sostanziale solo a seguito della dichiarazione di esecutività ai sensi dell’art. 647 c.p. e, dunque, è inopponibile alla massa dei creditori concorsuali se non dichiarato esecutivo prima della sentenza dichiarativa di fallimento, ricorrendo l’esigenza di verificarne l’irrevocabilità. Opposizione a decreto ingiuntivo e fallimento del debitore . Il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, ancora pendente alla data del fallimento del debitore opponente, comporta l’inopponibilità al fallimento del decreto medesimo e l’onere del creditore di sottoporre il credito opposto alla procedura di verifica in sede fallimentare ed in quella sede dare la prova della fondatezza della propria domanda. Spese di giustizia ed ammissione allo stato passivo . Come visto in precedenza e come espresso dalla massima, al creditore istante per la dichiarazione di fallimento del suo debitore va riconosciuto il privilegio per le spese di giustizia di cui agli artt. 2755, 2770 c.c. e 95 c.p.c. con riferimento alle spese all’uopo sostenute, atteso il sostanziale parallelismo tra creditore procedente nella procedura esecutiva singolare e creditore istante nella procedura concorsuale e questo è il principio espresso dalla Cassazione che, su tale argomentazione, rinvia al tribunale per un nuovo esame. Vi è però da precisare che, in virtù della espressa previsione di cui all’art. 95 c.p.c. - secondo cui sono a carico di chi ha subìto l’esecuzione le spese sostenute dal creditore procedente e da quelli intervenuti che partecipano utilmente alla distribuzione - il recupero delle spese sostenute dai creditori può trovare realizzazione solo in caso dell’utile partecipazione di costoro alla distribuzione, all’esito di risultata fruttuosa esecuzione, che abbia cioè consentito la realizzazione di una massa attiva da distribuire, formata da quanto proviene dall’assoggettamento ad espropriazione del patrimonio del debitore art. 2740 c.c. , comprensivo di beni e di crediti, a carico del quale vengono quindi in definitiva a gravare le spese dell’esecuzione ne consegue che, a parte le spese fatte nell’interesse comune dei creditori, da soddisfarsi in prededuzione dalla massa attiva in ragione del privilegio che le assiste artt. 2755, 2770, 2777 c.c. , le altre spese sostenute dal creditore procedente e dai creditori intervenuti sono collocate nello stesso grado del credito, e possono trovare soddisfazione - al pari del credito per capitale ed interessi - solamente in caso di capienza.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 20 novembre 2013 - 31 gennaio 2014, n. 2112 Presidente Salmè – Relatore Di Amato Svolgimento del processo Con decreto del 24 gennaio 2012 il Tribunale di Treviso rigettava l'opposizione allo stato passivo del fallimento della s.r.l. Facchin proposta dalla s.p.a. Tonello, osservando che 1 non era opponibile al fallimento il decreto ingiuntivo munito del visto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c. in data successiva a quella della dichiarazione di fallimento e ciò anche se in data anteriore alla stessa dichiarazione era ormai decorso il termine per proporre opposizione tale conclusione, conforme all'orientamento della giurisprudenza di legittimità, discendeva sia dalla necessità di distinguere il giudicato sostanziale, collegabile soltanto all'emissione del decreto di esecutività, dal giudicato formale, collegabile alla scadenza dei termini per proporre esecuzione, sia dal fatto che, ai sensi dell'art. 45 l. fall., sono senza effetto rispetto ai creditori le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi se compiute dopo la dichiarazione di fallimento 2 non potevano essere ammesse al passivo le spese giudiziali liquidate nel decreto ingiuntivo in quanto fondate su un titolo non opponibile al fallimento 3 le spese della procedura esecutiva immobiliare, iniziata sulla base del citato decreto ingiuntivo, munito di provvisoria esecutività, potevano essere ammesse al passivo soltanto per l'importo corrispondente alle anticipazioni sostenute per la trascrizione del pignoramento immobiliare, difettando per il resto una documentazione idonea a comprovarne l'esborso o la liquidazione giudiziale. La s.p.a. Tonello propone ricorso per cassazione, deducendo tre motivi. Il fallimento della s.r.l. Facchin resiste con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 324, 641, 645 e 647 c.p.c. e 2909 c.c., lamentando che erroneamente il Tribunale ha ritenuto che solo l'apposizione del visto di esecutorietà in data anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento determina la formazione del giudicato sostanziale con conseguente opponibilità alla massa di un decreto ingiuntivo non opposto nei termini. Il motivo è infondato. Nella giurisprudenza di questa Corte è costante l'affermazione del principio secondo cui non è opponibile al fallimento il decreto ingiuntivo non munito di decreto di esecutorietà ai sensi dell'art. 647 c.p.c. In tale giurisprudenza, peraltro, come rileva esattamente la difesa della ricorrente, l'affermazione è spesso contenuta in un obiter dictum , come nel caso di Cass. 25 marzo 1995, n. 3580 ove si affermava che entrambi i provvedimenti sopra individuati ex art. 647 c.p.c., ovvero sentenza sull'opposizione non possono più essere emessi a seguito del fallimento, con effetti vincolanti per la massa”, ma in una situazione nella quale al momento del fallimento pendeva l'opposizione al decreto ingiuntivo ovvero nel caso di Cass. 20 settembre 1971, n. 2627, che decideva, per escluderla, sulla sindacabilità in sede fallimentare della erroneità della sentenza che aveva accolto l'opposizione al decreto ingiuntivo ovvero ancora nel caso di Cass. 3 gennaio 2013, n. 38 chiamata a decidere sul rilievo di una sentenza emessa all'esito di opposizione a decreto ingiuntivo, pubblicata dopo la dichiarazione di fallimento. Nella giurisprudenza di legittimità, peraltro, è stata sempre salda l'affermazione, resa indipendentemente dal fallimento del debitore, che il decreto ingiuntivo munito del decreto di esecutorietà ha efficacia di cosa giudicata così dalle risalenti Cass. nn. 659/1966, 1246/1966, 1776/1967, 1125/1968 sino alla più recente Cass. 31 ottobre 2007, n. 22959 . Tuttavia, all'attenzione di questa Corte è venuta anche la specifica questione, risolta sempre in senso negativo, della opponibilità al fallimento del decreto ingiuntivo, munito o meno della provvisoria esecutività, ma non munito del decreto ex art. 64 7 c.p.c., quando i termini per proporre opposizione siano inutilmente scaduti prima della dichiarazione di fallimento Cass. 26 marzo 2004, n. 6085 Cass. 13 marzo 2009, n. 6198 Cass. ord. 23 dicembre 2011, n. 28553 Cass. 13 febbraio 2012, n. 2032 Cass. 17 luglio 2012, n. 12205 Cass. 11 ottobre 2013, n. 23202 . In alcuni casi si è anche precisato che il decreto ingiuntivo è opponibile soltanto quando il decreto di esecutorietà è stato emesso prima della dichiarazione di fallimento le citate Cass. nn. 6085/2004 6198/2009 12205/2012 . Tali ultime decisioni hanno argomentato, in un caso, distinguendo tra giudicato formale, interno, endoprocessuale”, che si formerebbe al momento della scadenza dei termini per proporre opposizione, e giudicato sostanziale, che si formerebbe soltanto al momento della apposizione del decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c. Cass. n. 6085/2004, richiamata da Cass. n. 6198/2009 e, in un altro, sottolineando che è solo con la dichiarazione di esecutività che il giudice verifica se non sia possibile che, per la nullità della notificazione del decreto di ingiunzione, l'intimato non ne abbia avuta conoscenza, e dichiara che, per non esservi stata tempestiva opposizione, si sono verificate le condizioni perché esso sia divenuto non ulteriormente opponibile ed abbia acquistato esecutorietà, si da poter fondare il diritto a procedere alla esecuzione forzata per la realizzazione coattiva del credito” Cass. n. 12205/2012 . A tale orientamento deve darsi continuità con qualche precisazione. La diversificazione sul piano temporale tra giudicato formale e giudicato sostanziale non può essere accolta esula, ovviamente, dal tema il caso delle decisioni in rito suscettibili di giudicato formale, ma non di giudicato sostanziale . La distinzione tra i due concetti si basa sulla disciplina dettata, da una parte, dall'art. 324 c.p.c. la cui rubrica è intitolata cosa giudicata formale e, dall'altra, dall'art. 2909 c.c. la cui rubrica è intitolata cosa giudicata . Il primo stabilisce che si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell'articolo 395”. Il secondo stabilisce che l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”. Come è evidente, e come è riconosciuto da autorevole dottrina e dalla pacifica giurisprudenza di questa Corte Cass. 3 luglio 1987, n. 5840 Cass. 2 marzo 1988, n. 2217 , non esiste alcuna contrapposizione fra cosa giudicata formale e cosa giudicata sostanziale, posto che i due concetti sono relativi a due aspetti del medesimo fenomeno. L'art. 2909 stabilisce, infatti, gli effetti sul piano sostanziale del giudicato, presupponendo che altrove si stabilisca quando si forma il giudicato. La decisione giurisdizionale non più impugnabile con i rimedi ordinari previsti dall'art. 324 c.p.c. determina, d'altro canto, gli effetti sul piano delle certezze giuridiche, che, ai sensi dell'art. 2909 c.c., vengono definiti giudicato sostanziale. Affermata la coincidenza temporale del giudicato formale e di quello sostanziale, si deve stabilire se il giudicato si forma al momento del decorso dei termini per proporre opposizione al decreto ingiuntivo quando questa non sia stata proposta, ovvero al momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, dichiara esecutivo il decreto ingiuntivo. La seconda soluzione si impone per due connesse ragioni. In primo luogo, al momento dello scadere dei termini per l'impugnazione non vi è stato alcun controllo giurisdizionale sulla notificazione e sulla sua idoneità a provocare un contraddittorio eventuale e posticipato sulla domanda proposta con il decreto ingiuntivo. Tale controllo, invece, rappresenta un momento irrinunciabile a garanzia del diritto di difesa dell'intimato ed ha natura analoga all'imprescindibile controllo che nel giudizio a cognizione ordinaria il giudice deve necessariamente effettuare prima di dichiarare la contumacia del convenuto artt. 164, 183, 291 c.p.c. . Senza tale controllo sarebbe fuori sistema parlare di giudicato anche solo formale e vi è spazio, come si preciserà più avanti, solo per un giudicato interno, i cui presupposti, però, sono oggetto di verifica da parte del giudice all'interno del processo. In secondo luogo, l'art. 647 c.p.c. prevede che, nel caso in cui non sia stata fatta opposizione nel termine, il giudice deve ordinare che sia rinnovata la notificazione, quando risulta o appare probabile che l'intimato non abbia avuto conoscenza del decreto”. L'eventuale rinnovazione della notificazione consente perciò all'ingiunto di proporre, nei termini decorrenti dalla nuova notificazione, opposizione che va qualificata come ordinaria, ai sensi dell'art. 645 c.p.c., e non già tardiva ai sensi dell'art. 650 c.p.c. il che conferma che alla scadenza dei termini per proporre opposizione non si forma la cosa giudicata formale e che questa si forma solo dopo il controllo del giudice sulla notificazione. Coerentemente, l'art. 656 c.p.c. prevede che, non il decreto non opposto, ma il decreto d'ingiunzione, divenuto esecutivo a norma dell'articolo 647, può impugnarsi per revocazione nei casi indicati nei numeri 1, 2, 5 e 6 dell'articolo 395” sono esperibili, perciò, come emerge chiaramente dal confronto con l'art. 324 c.p.c., mezzi straordinari previsti per l'impugnazione contro i provvedimenti passati in cosa giudicata, ai quali mezzi si aggiunge, per espressa previsione dello stesso art. 656, la revocazione per contrasto con precedente giudicato art. 395, n. 5 nonché, per l'espressa previsione dell'art. 650 c.p.c., l'opposizione tardiva sul fatto che l'efficacia di giudicato del decreto ingiuntivo non opposto e munito di esecutorietà ex art. 647 non viene meno di per sé a seguito dell'opposizione tardivamente proposta v. Cass. s.u. 16 novembre 1998, n. 11549 e Cass. 6 ottobre 2005, n. 19429 . È il caso di rilevare, sul piano sistematico, che la mancata definizione del procedimento d'ingiunzione con il decreto ex art. 647 c.p.c. non rende ovviamente irrilevante il fatto che il decreto ingiuntivo non sia stato opposto nei termini. Qualora, infatti, l'intimato dovesse proporre opposizione, e non ricorressero i presupposti per una opposizione tardiva, il giudizio di opposizione, che si configura come uno sviluppo della fase monitoria, dovrebbe chiudersi, previa ancora una volta l'imprescindibile verifica della regolarità della notificazione del decreto ingiuntivo, con il rilievo d'ufficio del giudicato interno, formatosi nell'ambito dell'unitario procedimento in corso Cass. 6 giugno 2006, n. 13252 Cass. 26 marzo 1991, n. 3258 Cass. 3 aprile 1990, n. 2707 . Il giudicato formale e sostanziale, tuttavia, si formerebbe solo con la sentenza che dichiara l'inammissibilità dell'opposizione, come è reso evidente dal fatto che ove il giudice dell'opposizione erroneamente non rilevasse il giudicato interno ed accogliesse l'opposizione, la sentenza, se non impugnata, sarebbe idonea a passare in cosa giudicata Cass. 20 settembre 1971, n. 2627 . In conclusione, la funzione devoluta al giudice dall'art. 647 c.p.c. è molto diversa da quella della verifica affidata al cancelliere dall'art. 124 d.a.c.p.c. sulla mancata proposizione di una impugnazione ordinaria nei termini di legge e dall'art. 153 d.a.c.p.c. sulla verifica che la sentenza o il provvedimento del giudice è formalmente perfetto”. Se ne differenzia, infatti, per il compimento di una attività giurisdizionale avente ad oggetto la verifica del contraddittorio, che, come già detto, nel processo a cognizione ordinaria ha luogo come primo atto del giudice e nel processo d'ingiunzione, ove non sia stata proposta opposizione, ha luogo come ultimo atto del giudice. La conoscenza del decreto da parte dell'ingiunto non rappresenta perciò una condicio juris che può essere accertata al di fuori del processo d'ingiunzione, eventualmente anche dal giudice delegato in sede di accertamento del passivo, ma costituisce l'oggetto di una verifica giurisdizionale che si pone all'interno del procedimento di ingiunzione e che chiude il cerchio dell'attività in esso riservata al giudice in caso di mancata opposizione. Ne consegue che il decreto ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di fallimento, di decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c. non è passato in cosa giudicata formale e sostanziale né può più acquisire tale valore con un successivo decreto di esecutorietà per mancata opposizione poiché, intervenuto il fallimento, ogni credito, secondo quanto prescrive l'art. 52 l. fall., deve essere accertato nel concorso dei creditori, secondo le regole stabilite dagli artt. 92 ss. l. fall., in sede di accertamento del passivo. Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 45 l. fall. e 647 c.p.c., lamentando che erroneamente il decreto impugnato ha ritenuto che il visto di esecutorietà costituisca formalità necessaria per rendere opponibile il decreto ingiuntivo ai terzi. Il rigetto del primo motivo assorbe il secondo e con esso ogni rilievo sul fatto che il decreto di esecutorietà si pone su un piano diverso da quello delle formalità per rendere opponibili gli atti ai terzi. Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 96 l. fall., 1709, 2770, 2702 e 2727 c.c., lamentando che erroneamente il Tribunale aveva escluso dal passivo le spese della procedura esecutiva non documentate da esborsi, ma corrispondenti ad attività processuali esposte nella nota spese e necessarie a far progredire la procedura esecutiva, prima del fallimento, sino al deposito dell'istanza di vendita. Il motivo è fondato. Le spese della procedura esecutiva e le spese che rappresentano un accessorio di legge delle spese processuali sono a carico del debitore, e devono essere ammesse al passivo del suo fallimento, anche quando alla procedura non sia opponibile il titolo in base al quale è stata promossa l'esecuzione. Il privilegio previsto dagli artt. 2755 e 2770 c.c. per gli atti di espropriazione, certamente applicabile anche in caso di fallimento del debitore, presuppone, infatti, la sussistenza del relativo credito nei confronti del fallito indipendentemente dalle condizioni per il riconoscimento del privilegio questo perché le citate disposizioni attribuiscono il diritto di prelazione, ma non il diritto di credito che è preesistente e si fonda sul generale principio dettato dall'art. 90 c.p.c Tali spese, inoltre, non possono essere limitate agli esborsi, come ha ritenuto la sentenza impugnata, ma si estendono anche a quelle relative a tutte le attività poste in essere dal creditore per promuovere e proseguire l'espropriazione sino al momento della dichiarazione di fallimento. Ne consegue il diritto del creditore di essere ammesso al passivo anche per le spese legali sostenute per l'esecuzione e la necessità che tali spese, ove non vi abbia provveduto il giudice dell'esecuzione, siano liquidate dal giudice delegato. P.Q.M. accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbito il secondo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale di Treviso in diversa composizione.