La cointestazione di un c/c presume la contitolarità dell’oggetto del rapporto, salvo prova contraria

Il fatto stesso che un conto corrente sia intestato a due persone fa presumere che tutte e due siano titolari del rapporto e spetta quindi al contitolare la restituzione della somma pari alla metà di quanto ivi contenuto e dal primo prelevato gli interessi vanno però conteggiati dalla data della domanda e non da quella dei prelievi effettuati dall’altro intestatario.

Esprimendo questo principio, la I Sezione Civile della Suprema Corte, con la sentenza n. 1646 depositata il 27 gennaio 2014, ha rigettato il ricorso di G.T., cointestatario di un conto corrente bancario, condannato in secondo grado alla restituzione di un cifra consistente, in favore dell’altro intestatario. Nella stessa sentenza, la Cassazione ha però stabilito che, in assenza di prova relativa al rapporto sottostante la cointestazione del conto corrente, siano dovuti gli interessi dalla domanda e non da quando sono stati effettuati i prelievi sul conto. Il caso. Con atto di citazione la sig.ra S.C. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano il sig. G.T. e la società di fatto tra lei e il medesimo, della quale chiedeva l’accertamento con la condanna del T. al pagamento del valore di liquidazione della quota a lei spettante chiedeva anche, e in ogni caso, la condanna del predetto alla restituzione della metà da lui prelevata, tra gennaio e marzo 1996, dal conto cointestato. Sosteneva, a giustificazione della sua pretesa, di essere subentrata al marito, nel 1972, nella s.d.f., poi ceduta alla B. S.r.l., e di aver svolto con continuità attività lavorativa nella suddetta società. Si costituiva in giudizio il T., il quale negava che l’attrice fosse mai stata socia della società, e per quanto riguarda il conto corrente, chiedeva il rigetto della domanda in quanto sosteneva che detto conto fosse stato alimentato esclusivamente con somme provenienti da sue attività personali. Il Tribunale di Milano rigettava tutte le domande, e la sig.ra S.C. proponeva ricorso in appello, a seguito del quale, in accoglimento parziale del gravame, veniva accolta la sola domanda di rendiconto proposta dall’appellante e veniva condannato il T. a restituire la somma di € 1.160.736,88, oltre gli interessi legali dalla data della domanda, da lui prelevata dal conto corrente bancario cointestato. Secondo la Corte d’Appello, l’accertamento della titolarità di socia era irrilevante, mentre doveva essere presunta, vista la cointestazione del conto, la contitolarità dello stesso, in mancanza di prova sull’esclusiva alimentazione o sul fatto che le somme prelevate fossero state utilizzate per interessi comuni alla cointestataria, da parte dell’appellato. Contro tale sentenza, ha proposto ricorso per Cassazione il sig. T., mentre ha resistito con controricorso e ricorso incidentale la sig.ra S.C. La parte che ha prelevato da un c/c cointestato delle cifre è tenuto alla restituzione all’altro intestatario, a prescindere dal rapporto sottostante. La Suprema Corte, dopo aver riunito i ricorsi, li ha rigettati entrambi. Per quanto riguarda il ricorso principale, essa ha statuito che la domanda di restituzione delle somme era stata proposta dalla signora C. in ogni caso”, dunque per il mero fatto che vi fosse un conto cointestato e a prescindere dall’accertamento sul rapporto sociale. Di conseguenza, ha ritenuto fondata la domanda di restituzione dei prelievi, dato che si presume la contitolarità del rapporto, per quanto riguarda i cointestatari, anche perché non è provato che il T. avesse alimentato il conto in via esclusiva. Relativamente al ricorso incidentale, la Corte ha deciso per analogo rigetto. La controricorrente e ricorrente incidentale sosteneva che gli interessi sulla somma illegittimamente prelevata, avrebbero dovuto essere calcolati dalla data del prelievo e non da quella della domanda. Il presupposto di tale richiesta è che il mandatario deve corrispondere gli interessi sulle somme riscosse per conto del mandante con decorrenza dal giorno in cui avrebbe dovuto rimetterle a quest’ultimo. Secondo la Cassazione, però, nel caso di specie non si può figurare l’esistenza di un rapporto di mandato, in mancanza di accertamento in ordine al rapporto sottostante la cointestazione del conto corrente e quindi non è provato che i singoli prelievi costituissero esplicazione di un’attività di mandato. Di conseguenza, ha rigettato anche il ricorso incidentale confermando la debenza degli interessi dalla data della domanda e non dei singoli prelievi.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 13 novembre 2013 - 27 gennaio 2014, n. 1646 Presidente Rordorf – Relatore Scaldaferri Svolgimento del processo 1. C.S. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano T.G. e la società di fatto tra lei ed il medesimo, della quale chiedeva l'accertamento con la condanna del T. al pagamento del valore di liquidazione della quota a lei spettante chiedeva altresì, in ogni caso, la condanna del predetto alla restituzione della metà della somma L. 4.495.000.000 da lui prelevata, tra gennaio e marzo 1996, dal conto corrente bancario cointestato. Deduceva, con riguardo alla prima domanda, di essere subentrata, al momento della separazione nel 1972 dal di lei marito B.D. , nella società di fatto da questi costituita, con pari quote, nel 1961 con il T. operante sotto la ditta individuale Bator di T.G. , società di fatto la cui azienda nel 1977 era stata trasferita alla Bator 2000 s.r.l. e di aver svolto continuativamente, in tale società e nelle numerose altre Fin 2000 s.r.l., Bator 2000 s.r.l., Progress 3C s.r.l., Euroblok s.r.l. e Plastik Bator s.r.l. costituite con i proventi della società di fatto, attività lavorativa e gestionale, unitamente al T. , sino allo scioglimento del rapporto tra le parti. Si costituiva in giudizio il T. , deducendo che non era mai stato socio di fatto né del B. né della C. , che quest'ultima non era socia di alcuna delle società di capitali cui aveva fatto riferimento in citazione ma vi aveva solo svolto attività lavorativa - ricoprendo anche cariche sociali - sempre adeguatamente retribuita deduceva inoltre che la pretesa di restituzione della metà della somma depositata sul conto corrente cointestato era prescritta, ed in ogni caso infondata, perché il conto era sempre stato alimentato da lui solo e l'importo in parte rivendicato dall'attrice era stato utilizzato in relazione a vicende nelle quali anche lei era coinvolta. Con sentenza del luglio 2005 il Tribunale rigettava per quanto qui rileva entrambe le domande proposte dalla C. . Proposto appello da quest'ultima, cui resisteva il T. , la Corte d'appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la sola domanda di rendiconto proposta dalla appellante e condannava quindi il T. a restituirle la somma di Euro 1.160.736,88 - oltre interessi legali dalla data della domanda - da lui prelevata dal conto corrente bancario cointestato. Rilevava in sintesi la Corte milanese a che l'accertamento della società di fatto era di per sé irrilevante, avendo la stessa attrice sostenuto che la relativa azienda era stata ceduta alla Bator s.r.l. - della quale l'attrice non era mai stata socia, così come non lo era delle altre società che sarebbero state poi costituite con gli utili realizzati – e non avendo neppure dedotto che l'originaria società di fatto avrebbe mutato il proprio oggetto, da artigianale e manifatturiero in quello, meramente finanziario, proprio di una holding b che era invece fondata la domanda - autonoma dalle altre proposte dalla C. - di restituzione della metà della somma prelevata dal conto cointestato, atteso che la cointestazione di un conto corrente, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori o debitori solidali del conto stesso a norma dell'articolo 1854 cod.civ., fa presumere la contitolarità dell'oggetto del contratto, salva la prova contraria che il T. non aveva fornito, non avendo provato che la provvista del conto fosse stata alimentata unicamente da lui, né che le somme prelevate nel 1996 fossero state da lui utilizzate per interessi comuni alla cointestataria. Avverso tale sentenza, resa pubblica il 15 novembre 2007, T.G. ha proposto ricorso a questa Corte, cui resiste C.S. con controricorso e ricorso incidentale, al quale a sua volta resiste il T. con controricorso. Motivi della decisione 1. Si impone innanzitutto, a norma dell'articolo 335 cod.proc.civ., la riunione dei ricorsi proposti avverso la medesima sentenza. 2. Il ricorso principale si fonda su due motivi. Con il primo il signor T. denuncia un vizio di motivazione consistente nell'avere la Corte di merito, nel decidere sulla titolarità delle somme depositate sul conto corrente cointestato, omesso di considerare la pacifica circostanza che tale conto corrente era stato alimentato unicamente con i proventi di un'attività imprenditoriale che la sentenza stessa ha riconosciuto far capo al solo T. . Con il secondo denuncia la falsa applicazione degli artt. 1854 e 1298 cod.civ., deducendo che erroneamente la Corte di merito ha ritenuto di sussumere nella disposizione normativa dell'articolo 1854 cod.civ. una fattispecie nella quale il conto corrente era pacificamente alimentato dal denaro di uno soltanto dei contitolari. 3. Entrambi i motivi non meritano accoglimento. 3.1. Quanto al primo, deve da un lato evidenziarsi come la omessa considerazione della quale si duole il ricorrente trovi invece puntuale giustificazione nel fatto che la domanda di restituzione delle somme prelevate dal conto cointestato fosse stata proposta dalla signora C. in ogni caso , dunque per il mero fatto che vi fosse un conto cointestato ed a prescindere dall'accertamento sul rapporto sociale. Sulla esistenza effettiva di tale rapporto sociale, del resto, la sentenza impugnata non si è pronunciata, essendosi limitata a considerare l'irrilevanza delle prove articolate a tal fine dalla parte attrice in quanto inidonee a dimostrare che la pretesa società di fatto avesse, dopo la cessione, ancora beni da distribuire ai soci in sede di liquidazione. 3.2. Quanto al secondo motivo, va rammentato che la falsa applicazione di norme di diritto può essere censurata liberamente in sede di legittimità proprio perché presuppone che sulla fissazione del fatto non vi sia discussione, essendo invece l'accertamento del fatto - riservato al giudice di merito - sindacabile in cassazione solo nei limiti del vizio di motivazione cfr. tra molte Cass. n. 3205/95, n. 4698/87 . Ciò posto, il motivo è inammissibile, in quanto in effetti diretto non già a censurare l'interpretazione delle norme nel caso concreto così come accertato nella sentenza impugnata, bensì a criticare peraltro genericamente la ricognizione del fatto stesso, sulla quale tuttavia la Corte di merito si è insindacabilmente pronunciata. 4. Il ricorso incidentale si fonda su due motivi. 4.1. Con il primo si censura, sotto il profilo del vizio di motivazione, la sentenza di merito nella parte in cui ha escluso che la società di fatto, dopo essersi disfatta della propria azienda, avesse ancora un patrimonio da liquidare tra i soci. Il motivo è tuttavia inammissibile, a norma dell'articolo 366 bis cod.proc.civ. applicabile nella specie in ragione dell'avvenuto deposito della sentenza impugnata nel periodo di vigenza della norma , giacché la sua illustrazione è priva del momento di sintesi richiesto dalla norma stessa a pena di inammissibilità. 4.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 1713, 1714 e 1224 cod.civ., sostenendo che gli interessi sulla somma che il T. ha illegittimamente prelevato dal conto corrente comune avrebbero dovuto essere calcolati dalla data del prelievo e non da quella della domanda. La doglianza è infondata. Essa muove infatti da un presupposto - che sia applicabile nella specie il disposto dell'articolo 1714 cod.civ. secondo cui il mandatario deve corrispondere gli interessi sulle somme riscosse per conto del mandante con decorrenza dal giorno in cui avrebbe dovuto rimetterle a quest'ultimo - del quale non risulta accertato il fondamento in mancanza di accertamento in ordine al rapporto sottostante la cointestazione del conto corrente la Corte di merito ha basato il suo convincimento esclusivamente sulla non vinta presunzione normativa di comproprietà delle somme depositate , non può affermarsi che i prelievi effettuati unilateralmente da uno dei cointestatari costituissero esplicazione di un'attività di mandato, con quanto ne consegue in ordine alla applicabilità dello schema normativo relativo a tale rapporto contrattuale. 5. Il rigetto di entrambi i ricorsi si impone dunque, con la conseguente compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.