Poteri del liquidatore: dalla nomina discende la sua legittimazione attiva e passiva quale organo della società

Le esigenze di certezza giuridica espresse nel generale principio di conservazione degli effetti degli atti legalmente compiuti nelle procedure concorsuali, ricavabile dagli artt. 21 l. fall. e 10 e 33, d.lgs. 270/1999, nonché dall'art. 4, d.l. 347/2003, applicabili anche alla liquidazione coatta amministrativa, comportano che, in relazione alla costituzione dei rapporti processuali attinenti ai soggetti sottoposti a tale procedura, l'apertura della stessa - con la nomina dei suoi organi sulla base di un provvedimento formalmente idoneo e la loro immissione nel possesso e nella gestione del patrimonio - costituisce un fatto giuridico di per sé idoneo a radicare la legittimazione processuale, attiva e passiva, del commissario liquidatore in relazione ai rapporti giuridici che ne formano oggetto, a prescindere dalla validità intrinseca del predetto provvedimento e finché esso non venga rimosso dalla stessa amministrazione ovvero annullato, dichiarato nullo o giuridicamente inesistente con pronuncia giurisdizionale passata in giudicato che renda non più proseguibile la procedura e che avrà, dunque, effetti ex nunc.

Con la pronuncia del 22 gennaio 2014, n. 1280, la Corte di Cassazione, a definizione di un'articolata vicenda processuale relativa ai poteri del liquidatore di una società di assicurazione posta in liquidazione coatta amministrativa, rinvia alla corte di appello di Roma, in diversa composizione, affinchè venga accertata l'effettiva sussistenza o meno dei poteri in capo al liquidatore, che può essere esclusa solo per effetto dell'accertamento in via principale dell'avvenuta emissione, in carenza di potere, dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa e di messa in liquidazione coatta amministrativa della società. Il caso. La vicenda decisa dalla Cassazione prende le mosse da una complessa vicenda, che ha avuto anche una certa diffusione sulla stampa, relativa all'azione risarcitoria promossa da una compagnia assicurativa nei confronti del liquidatore, nei confronti del quale veniva mossi alcuni addebiti. La domanda viene rigettata nei gradi di merito, sul rilievo della revoca del provvedimento con il quale il liquidatore era stato, in effetti, nominato. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, rimettendo alla Corte di appello, sul rilievo che, comunque, necessita di una verifica l'accertamento della sussistenza dei poteri, in capo al liquidatore, nelle more della revoca. Liquidazione coatta amministrativa quali poteri per il liquidatore? Il procedimento di liquidazione coatta amministrativa si apre con un provvedimento dell'autorità amministrativa e viene svolto da uno o più commissari liquidatori nominati dal potere esecutivo sotto la vigilanza e la direzione dell'autorità amministrativa. E' il commissario che procede alla formazione dello stato passivo includendo in esso, persino di sua iniziativa, i crediti che gli risultano esistenti. Al commissario sono concessi tutti i poteri necessari per la liquidazione dell'attivo. L'intervento dell'Autorità Giudiziaria è previsto per alcune fasi della procedura, a tutela di diritti soggettivi si può proporre opposizione allo stato passivo, si può impugnare il rendiconto e lo stato del riparto finale innanzi al tribunale e si può proporre un concordato sul quale deciderà il tribunale. La legittimazione attiva in quali termini va intesa? La legittimazione attiva, il cui difetto è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, deve essere intesa come il diritto potestativo di ottenere, non già una sentenza favorevole, bensì una decisione di merito, e va quindi riscontrata mediante la comparazione tra l'allegazione di un rapporto ed il paradigma giuridico, nel profilo soggettivo, al quale detto rapporto è riconducibile. Le questioni attinenti alla legitimatio ad causam restano pertanto distinte da quelle relative all'appartenenza all'attore o al convenuto del diritto controverso, che ineriscono, invece, alla effettiva titolarità del rapporto sostanziale dedotto in giudizio. Sulla base del principio stabilito nella sentenza de qua, la S.C. ha quindi cassato la sentenza impugnata, che aveva dichiarato d'ufficio - sul rilievo della spettanza alla sola società del diritto alla conservazione del patrimonio sociale - il difetto di legittimazione dei soci di una società per azioni a chiedere in giudizio il risarcimento del danno conseguente al provvedimento ministeriale - in assunto illegittimo per totale carenza di potere - di revoca delle autorizzazioni all'esercizio dell'attività assicurativa rilasciate alla società di appartenenza e di messa in liquidazione coatta amministrativa della stessa. La rinuncia all'attività di assicurazione come e perché. Gli artt. 65 e ss. del d.lgs. 1995/175 emanato in attuazione della direttiva CEE 92/49 del Consiglio del 18 giugno 1992, configurano la rinuncia all'autorizzazione all'esercizio delle assicurazioni come un diritto soggettivo perfetto dell'impresa assicuratrice, il cui esercizio comporta automaticamente la dichiarazione di decadenza da parte dell'I.S.V.A.P., non godendo quest'ultimo di alcun margine di discrezionalità. Ne consegue che, qualora l'I.S.V.A.P., nonostante la rinuncia, abbia disposto la revoca dell'autorizzazione e l'assoggettamento dell'impresa a liquidazione coatta amministrativa, ai sensi degli artt. 67 e ss. del suddetto decreto, tale provvedimento dev'essere considerato inesistente, in quanto adottato in carenza di potere, e può essere disapplicato dal giudice ordinario, ai fini della dichiarazione del difetto di legittimazione processuale degli organi della liquidazione coatta amministrativa che abbiano spiegato intervento in un giudizio promosso dall'impresa in bonis non si tratta, infatti, di un provvedimento modificativo di uno status personale avente carattere ammissivo, i cui effetti non sono modificabili fino a quando l'inesistenza del provvedimento non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato, ma di un atto autoritativo di natura sanzionatoria, incidente sulla libertà d'iniziativa economica dell'impresa, rispetto al quale prevale dunque l'esigenza di verificare la sussistenza dei presupposti e degli elementi che rendono esercitabile il relativo potere. Liquidazione e diritto al contraddittorio. Nel procedimento per la dichiarazione dello stato di insolvenza di una società, su richiesta, ai sensi dell'art. 202 l. fall., del commissario liquidatore della liquidazione coatta amministrativa, il contraddittorio, per l'esercizio del diritto di difesa, deve essere instaurato, ex artt. 195 e 15 l. fall., nei confronti dell'organo che aveva la rappresentanza legale dell'ente stesso alla data cui si fa risalire detta insolvenza, nella specie dichiarata avendo riguardo al momento della messa in liquidazione della società ne consegue che, in caso di previo commissariamento governativo, legittimato al contraddittorio è solo il commissario governativo alla predetta epoca investito della carica, la quale comprende, di regola, tra i poteri di gestione ordinaria, le medesime prerogative degli amministratori, ivi inclusa la piena rappresentanza processuale. In particolare, affermando detto principio, la S.C. ha escluso la necessità di convocazione altresì dell'ultimo legale rappresentante della società prima del suo commissariamento, nonchè del commissario governativo che aveva preceduto, nella carica, quello in essere all'epoca della riferita insolvenza. Poteri dei liquidatore non alla prorogatio. Nella procedura di liquidazione coatta amministrativa non è configurabile alcuna prorogatio dei poteri del commissario liquidatore, trovando tali poteri il loro unico ed esclusivo fondamento nel provvedimento che ha disposto la liquidazione, con la conseguenza che, una volta venuta meno l'efficacia di questo, cessano automaticamente i poteri del commissario con il ripristino degli organi statutari ordinari.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 3 ottobre 2013 - 22 gennaio 2014, n. 1280 Presidente Salmè – Relatore Mercolino Svolgimento del processo 1. — L'Edera - Compagnia Italiana di Assicurazioni S.p.a. convenne in giudizio il dott. D.F. , chiedendone la condanna al risarcimento dei danni causati dall'attività svolta in qualità di commissario liquidatore nell'ambito della procedura di liquidazione coatta amministrativa cui la società era stata sottoposta. A fondamento della domanda, espose che con sentenza del 27 gennaio 1999, n. 4 le Sezioni Unite di questa Corte, nel regolare la giurisdizione in ordine alla domanda di risarcimento dei danni da essa proposta nei confronti del Ministero dell'Industria e dell'Istituto Superiore di Vigilanza sulle Assicurazioni Private, avevano riconosciuto l'inesistenza giuridica del d.m. 29 luglio 1997, con cui il Ministro aveva revocato l'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa e posto la società in liquidazione coatta, avendo ritenuto che tale provvedimento fosse stato adottato in carenza di potere, in quanto preceduto da una delibera del 18 luglio 1997, con cui l'assemblea della società aveva rinunciato alla predetta autorizzazione, in tal modo avvalendosi di un diritto soggettivo rispetto al quale la dichiarazione di decadenza si configurava come un provvedimento vincolato dell'Autorità di vigilanza. Aggiunse la società attrice che il D. , nella sua apparente qualità di commissario liquidatore, aveva posto in essere varie condotte dannose, omettendo in particolare di trasferire il personale dipendente alle compagnie assicuratici tra le quali era stato distribuito il portafoglio dell'impresa e trattenendolo per sedici mesi, con conseguente aggravamento delle passività della gestione. Nel giudizio, spiegò intervento volontario L'Edera S.p.a. in liquidazione coatta amministrativa. 1.1. — Con sentenza del 26 giugno 2002, il Tribunale di Roma rigettò la domanda principale e quella riconvenzionale di risarcimento dei danni proposta dal convenuto ai sensi dell'art. 96 cod. proc. civ 2. — L'impugnazione proposta dall'Edera è stata rigettata dalla Corte d'Appello di Roma, che con sentenza del 20 luglio 2006 ha rigettato anche il gravame incidentale proposto dal D. . A fondamento della decisione, la Corte ha confermato il difetto di legittimazione processuale degli organi della società in bonis , escludendo che in ordine alla validità ed all'efficacia della rinuncia all'autorizzazione ed alla consequenziale inesistenza del potere di revoca si fosse formato il giudicato per effetto dell'indicata sentenza delle Sezioni Unite. Ha infatti osservato che il D. era rimasto estraneo al relativo giudizio, avente peraltro ad oggetto una domanda diversa da quella proposta nei suoi confronti, rispetto alla quale il provvedimento di messa in liquidazione coatta della società costituiva non già la causa, ma la mera occasione per il compimento degl'illeciti lamentati dall'attrice. Ha aggiunto che nessuna delle altre pronunce di merito riguardanti giudizi in cui era stata proposta domanda di accertamento dell'inesistenza dei provvedimenti amministrativi era passata in giudicato, precisando che la mancata formazione del giudicato era stata riconosciuta anche dal Giudice di legittimità con sentenza del 27 luglio 2005, n. 15721. La Corte ha ritenuto poi inconferente la questione relativa alla rilevabilità d'ufficio del difetto di legittimazione dell'organo amministrativo della società in liquidazione coatta, rilevando che la domanda risarcitoria, proposta nei confronti della persona del commissario liquidatore, non era riconducibile ai rapporti patrimoniali cui si riferiscono gli artt. 43 e 200 della legge fall., ma era fondata sull'inadempimento di obblighi inerenti alle funzioni svolte, configurandosi pertanto come azione di responsabilità nei confronti del commissario, inammissibile fino a che non ne fosse stata disposta la sostituzione o non fosse stato depositato il rendiconto. Ha osservato al riguardo che la sottoposizione della società a liquidazione coatta determina la cessazione delle funzioni degli organi ordinari e lo svolgimento delle relative operazioni sotto la direzione del commissario liquidatore, con la conseguente riduzione dei diritti dei soci alla sola partecipazione alla liquidazione finale, e con il rinvio delle contestazioni riguardanti la gestione contabile ed amministrativa della fase liquidatoria all'impugnazione del bilancio finale, non solo nel caso in cui il danno sia lamentato da uno dei creditori ammessi al passivo, ma anche quando, come nella specie, sia fatto valere dalla società posta in liquidazione. Quest'ultima, d'altronde, può risultare direttamente danneggiata dagl'illeciti ascritti al commissario soltanto nel caso in cui, a causa degli stessi, la liquidazione si sia chiusa con un attivo inferiore o con residue passività che non si sarebbero registrate ove il commissario avesse operato correttamente. La Corte ha ritenuto pertanto assorbite le censure riflettenti l'omessa pronuncia in ordine alla domanda di risarcimento dei danni derivanti da comportamenti illeciti del D. indipendenti dall'illegittimità del decreto di apertura della procedura concorsuale, osservando che le norme che regolano la responsabilità del commissario si pongono come specificazione dei principi generali di cui all'art. 28 Cost. ed all'art. 2043 cod. civ., fissando quale unico limite all'esercizio dell'azione la subordinazione della stessa alla revoca del commissario ed individuando quale unico soggetto legittimato il commissario nominato in sostituzione dello stesso. Ha aggiunto che l'affermazione della responsabilità extracontrattuale della Pubblica Amministrazione postula l'accertamento non solo della contrarietà della sua condotta a norme di azione, ma anche del nesso causale con l'evento dannoso e del dolo o della colpa, precisando che dall'indagine in ordine a quest'ultimo elemento, riferibile peraltro non già allo stato soggettivo del funzionario responsabile, ma alla condotta antidoverosa dell'Amministrazione come apparato, può prescindersi soltanto in presenza di un provvedimento annullato dal Giudice amministrativo. La Corte ha conseguentemente ritenuto assorbite anche le censure riguardanti la mancata ammissione dei mezzi di prova, e segnatamente dell'ordine di esibizione dei documenti afferenti all'ammontare dei compensi erogati ai dipendenti della società nel corso della procedura, osservando comunque che tali documenti non erano detenuti dal D. come persona fisica, ma come organo della liquidazione coatta. Ha infine confermato la legittimazione della società in liquidazione coatta ad intervenire nel giudizio, non essendo stata provata l'inesistenza giuridica del provvedimento con cui era stata disposta l'apertura della procedura concorsuale, e non potendosi comunque escludere, anche in tale ipotesi, l'efficacia degli atti compiuti dal commissario liquidatore, il quale si poneva pertanto in rapporto di alterità rispetto alla persona giuridica che ricopre la funzione. 3. — Avverso la predetta sentenza L'Edera propone ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, illustrati anche con memoria. Resistono con controricorsi, anch'essi illustrati con memoria, L'Edera in liquidazione coatta amministrativa ed il D. . Motivi della decisione 1. — Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 28 Cost., dell'art. 199 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, degli artt. 65 e 66 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 175, dell'art. 14 della direttiva 92/49/CE del Consiglio, del 18 giugno 1992, degli artt. 75, 99, 100, 112, 324 e 345 cod. proc. civ. e degli artt. 2043, 2697 e 2909 cod. civ., nonché l'omessa o insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l'intervenuta formazione del giudicato in ordine all'inesistenza del provvedimento di messa in liquidazione coatta della società. In proposito, richiama le sentenze della Corte d'Appello di Roma del 10 novembre 2004, n. 4815, e del 12 febbraio 2004, n. 743, rese nei confronti del D. e confermate da questa Corte con sentenze del 19 ottobre 2006, nn. 22492 e 22493, che hanno dichiarato il difetto di legittimazione del commissario liquidatore ad agire in nome e per conto dell'Edera, riconoscendo che, per effetto dell'inesistenza del predetto provvedimento, la rappresentanza sostanziale e processuale della società spetta esclusivamente all'amministratore delegato. Sostiene la ricorrente che il giudicato, formatosi anche in ordine alla validità della rinuncia all'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa ed alla conseguente insussistenza del potere di revocare l'autorizzazione e di porre la società in liquidazione coatta, sarebbe stato opponibile al D. anche se reso nei confronti di soggetti diversi, trattandosi di sentenze che, in quanto dichiarative dell'inesistenza di un atto unitario ed indivisibile per un vizio inscindibile, sono destinate a spiegare effetti anche nei confronti dei soggetti rimasti estranei ai relativi giudizi. Nessun rilievo, a tal fine, può assumere la diversità delle situazioni di fatto dedotte in causa, in quanto l'accertamento dell'inesistenza giuridica del provvedimento di messa in liquidazione coatta travolge l'intera attività svolta nella procedura, relegandola al rango di attività illecita, senza che possano invocarsi, al riguardo, le norme che disciplinano la liquidazione coatta amministrativa e la discrezionalità amministrativa. In ogni caso, ad avviso della ricorrente, la portata della sentenza n. 4 del 1999 è stata chiarita dalla sentenza del 6 febbraio 2003, n. 1810, con cui le Sezioni Unite hanno confermato che la rinuncia all'autorizzazione determina automaticamente la decadenza dalla stessa, imponendo all'ISVAP di emettere la relativa declaratoria, con la conseguente insussistenza del potere di disporre la revoca della autorizzazione e la messa in liquidazione coatta della società con sentenza del 27 luglio 2005, n. 15721, è stata poi riconosciuta la legittimazione dei soci ad agire per l'accertamento dell'inesistenza del relativo decreto ed il risarcimento dei danni, affermandosi la liceità della rinuncia e l'irrilevanza di eventuali vizi della causa o dei motivi della delibera assembleare, con il conseguente superamento delle considerazioni svolte dalla Corte di merito in ordine all'improcedibilità della domanda ed alla responsabilità della Pubblica Amministrazione. 2. — Con il terzo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 75, 99, 100, 112, 324 e 345 cod. proc. civ. e degli artt. 2028, 2041, 2042, 2043, 2126, 2384, 2697 e 2909 cod. civ., nonché l'omessa o insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, assumendo che il giudicato esterno comporta anche il difetto di legittimazione della società in liquidazione coatta a spiegare intervento nel giudizio, la cui ammissibilità avrebbe dovuto essere peraltro esclusa, non essendo configurabile un interesse all'accertamento della correttezza dell'operato del D. . Aggiunge che l'efficacia degli atti posti in essere dal commissario liquidatore è esclusa dall'inapplicabilità dei principi relativi al c.d. funzionario di fatto, in conseguenza della mancanza di una valida investitura e di un vero rapporto organico, configurabili invece nei confronti degli amministratori della società in bonis , nonché dell'insussistenza dei presupposti di essenzialità ed indifferibilità degli atti, compiuti in assenza di evenienze eccezionali e rispondenti alla finalità, propria della procedura, di impedire lo svolgimento delle medesime funzioni da parte degli amministratori. 3. — Le predette censure devono essere esaminate congiuntamente, riflettendo la comune problematica inerente alla legittimazione sostanziale e processuale delle parti. Va premesso al riguardo che la questione relativa all'esistenza ed alla validità del decreto ministeriale con cui è stata disposta la revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa e la messa in liquidazione coatta amministrativa dell'Edera è stata oggetto di numerose sentenze di questa Corte, in parte anteriori in parte successive alla pronuncia impugnata. Con sentenza del 27 gennaio 1999, n. 4, le Sezioni Unite, chiamate a pronunciarsi sul regolamento di giurisdizione promosso dai soci dell'Edera in ordine alla domanda di risarcimento dei danni derivanti dai predetti provvedimenti, rilevarono che la revoca era stata preceduta da una delibera adottata il 18 luglio 1997 e comunicata al Ministero dell'industria il 24 luglio 1997, con cui l'assemblea dei soci aveva rinunciato espressamente ed incondizionatamente all'autorizzazione, osservando che, ai sensi dell'art. 65 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 175, tale rinuncia aveva comportato la decadenza ope legis della Compagnia dall'autorizzazione ministeriale, la cui pronuncia si configurava come un atto meramente dichiarativo, non disponendo l'Amministrazione di alcun potere discrezionale al riguardo affermarono pertanto che il successivo provvedimento di revoca doveva ritenersi emesso in carenza di potere e quindi lesivo di un diritto soggettivo della società, non suscettibile di degradazione ad interesse legittimo per effetto della contestazione della regolarità della gestione da parte dell'ISVAP, con la conseguente spettanza all'Autorità giudiziaria ordinaria della giurisdizione in ordine alle domande volte ad ottenere l'accertamento dell'avvenuto esercizio del predetto diritto, della mancata dichiarazione di decadenza e dell'inesistenza dei provvedimenti di revoca e messa in liquidazione coatta, nonché la condanna dell'Amministrazione al risarcimento dei danni dagli stessi arrecati. Tale orientamento è stato successivamente ribadito con ordinanza del 6 febbraio 2003, n. 1810, pronunciata sul regolamento di giurisdizione promosso in ordine ad un'analoga domanda proposta nei confronti del Ministero e dell'ISVAP dal presidente e dall'amministratore delegato della società per ottenere il risarcimento dei danni da essi sofferti in proprio per effetto della revoca dell'autorizzazione e dell'apertura della procedura concorsuale. La portata delle predette pronunce è stata chiarita, nel successivo svolgimento del giudizio risarcitorio promosso dai soci dell'Edera, dalla sentenza del 27 luglio 2005, n. 15721, con cui questa Corte, nell'esaminare l'impugnazione proposta dagli attori avverso il rigetto della domanda, escluse innanzitutto che la questione riguardante l'inesistenza dei provvedimenti di revoca e di messa in liquidazione coatta amministrativa potesse ritenersi preclusa per effetto del passaggio in giudicato della sentenza con cui il Giudice amministrativo aveva rigettato l'impugnazione proposta dalla società avverso i medesimi provvedimenti si osservò infatti che il giudicato amministrativo, oltre ad essersi formato nei confronti di un soggetto diverso dagli attori, copriva i soli vizi di legittimità dedotti o deducibili dinanzi al Giudice amministrativo, e non anche l'inesistenza dei provvedimenti conseguente alla carenza di potere dell'autorità emanante, la quale, risultando estranea alla competenza giurisdizionale del predetto Giudice, poteva ben essere prospettata dinanzi al Giudice ordinario, tenuto ad accertarla ai fini della decisione in ordine alla domanda di risarcimento dei danni. Con la medesima sentenza, fu precisato che la decisione emessa in sede di regolamento preventivo di giurisdizione era vincolante per il giudice di merito, dinanzi al quale il giudizio era stato riassunto, non solo con riguardo all'individuazione del giudice avente giurisdizione in ordine al rapporto controverso, ma anche con riguardo alle qualificazioni giuridiche ed agli accertamenti di fatto compiuti ai fini della risoluzione della questione di giurisdizione, e quindi, nella specie, alla sussistenza materiale della delibera con cui l'assemblea dei soci aveva deciso di rinunciare all'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa, nonché all'anteriorità di tale delibera rispetto alla revoca disposta dal Ministero. Fu invece escluso che la sentenza n. 4 del 1999 rivestisse autorità di giudicato relativamente alla sussistenza delle condizioni di validità della rinuncia, che non aveva costituito oggetto di esame da parte delle Sezioni Unite, e la sentenza impugnata fu cassata con rinvio, osservandosi che la Corte di merito, dopo avere correttamente circoscritto la nullità delle delibere societarie alle ipotesi di impossibilità o illiceità dell'oggetto, aveva erroneamente dichiarato, in applicazione dei principi generali in materia d'invalidità dei negozi giuridici, la nullità di quella impugnata per illiceità dei motivi. 3.1. — Le ricadute della predetta vicenda sulla legittimazione processuale e sostanziale delle parti sono state prese in esame per la prima volta dalla sentenza del 29 aprile 2004, n. 8204, emessa in un giudizio avente ad oggetto la dichiarazione di nullità del bilancio dell'Edera promosso, anteriormente alla messa in liquidazione coatta amministrativa, nei confronti del commissario straordinario nominato dall'ISVAP a seguito dello scioglimento degli organi amministrativi e sindacali della società. Essendo intervenuto nel corso del giudizio il decreto di apertura della procedura concorsuale ed essendosi costituito in appello il commissario liquidatore, del quale era stata contestata la legittimazione a resistere in rappresentanza dell'Edera, questa Corte affermò che l'eventuale accertamento dell'avvenuta emissione in carenza di potere dell'atto amministrativo di preposizione alla gestione della società non sarebbe risultato di per sé sufficiente ad escludere la riferibilità a tale organo della costituzione in giudizio e dell'esercizio del potere d'impugnazione rilevato infatti che il D. aveva assunto ed esercitato stabilmente di fatto la gestione della società, operando anche verso i terzi come rappresentante della stessa, in virtù di un provvedimento di nomina reso pubblico mediante inserzione nella Gazzetta Ufficiale, osservò che l'esclusione del potere rappresentativo si sarebbe posta in contrasto con i principi generali in tema di gestione di affari altrui e con quelli in materia di responsabilità degli amministratori di fatto delle società di capitali, nonché con quelli elaborati dai cultori del diritto amministrativo con riguardo alla validità degli atti compiuti dal funzionario di fatto, posti a tutela dei terzi che in buona fede abbiano intrattenuto rapporti con la società o l'ente pubblico. Con sentenza del 14 maggio 2005, n. 10130, fu poi riconosciuta la legittimazione del commissario liquidatore a partecipare al giudizio promosso dall'Edera in bonis nei confronti del Ministero per ottenere il rilascio dei beni della società, asseritamente detenuti sine titulo a seguito della sentenza n. 4 del 1999, osservandosi che, in qualità di consegnatario ed amministratore dei beni inclusi nella procedura, nonché di parte nei giudizi che li riguardano, tale organo assumeva la posizione di litisconsorte necessario rispetto alla domanda proposta dalla società, la cui natura recuperatoria, postulando l'accertamento in via principale dell'inesistenza del provvedimento di apertura della procedura concorsuale, avrebbe reso inutiliter data una pronuncia emessa in sua assenza, e quindi a lui inopponibile. La questione riguardante la legittimazione del commissario liquidatore era stata precedentemente sollevata anche in alcuni giudizi di merito da lui promossi nei confronti di terzi, aventi ad oggetto lo sfratto per morosità ed il pagamento di canoni di locazione d'immobili di proprietà dell'Edera, ed aveva condotto alla sospensione di tali giudizi, in attesa della definizione di quello promosso dai soci per il risarcimento dei danni, nel quale era stata già accertata l'inesistenza dei provvedimenti di rinuncia all'autorizzazione e di messa in liquidazione coatta amministrativa della società le relative ordinanze erano state impugnate con regolamento di competenza, in taluni casi rigettato da questa Corte, in considerazione dell'intervento spiegato nel giudizio dagli organi ordinari della società e dell'identità della questione trattata, alla quale il conduttore risultava sostanzialmente estraneo cfr. Cass., Sez. 3, 14 marzo 2003, n. 6844 nel medesimo senso, successivamente, Cass., Sez. 3, 10 agosto 2004, nn. 15478 e 15479 Cass., Sez. 1, 22 febbraio 2005, n. 3571 , in altri casi accolto, in base al rilievo dell'assenza di un vero rapporto di pregiudizialità, conseguente alla parziale diversità soggettiva dei giudizi, nonché dell'impossibilità di configurare una sospensione facoltativa cfr. Cass., Sez. 3, 29 marzo 2004, n. 6263 nel medesimo senso, successivamente, Cass., Sez. 3, 23 aprile 2004, n. 7844 22 marzo 2005, n. 6158 21 novembre 2006, n. 24742 Cass., Sez. 1, 15 giugno 2010, n. 14457 v. anche Cass., Sez. 3, 27 novembre 2006. n. 25122, relativa alla sospensione di un giudizio promosso dall'Edera in bonis nei confronti dell'Edera in liquidazione coatta amministrativa e del conduttore per il rilascio d'immobili illegittimamente detenuti a seguito della dichiarazione d'inesistenza . A sostegno di quest'ultimo orientamento si era osservato anche che, in quanto avente ad oggetto uno status , e precisamente quello connesso all'operatività della società nella sua forma ordinaria, la sentenza di accertamento dell'inesistenza del provvedimento di revoca e di messa in stato di liquidazione coatta era destinata ad acquistare efficacia nei confronti dei terzi soltanto per effetto del passaggio in giudicato, determinandosi altrimenti una paralisi nell'attività del commissario liquidatore, impossibilitato ad esercitare la sua funzione gestoria e rappresentativa in pendenza del giudizio si era aggiunto che l'eventuale declaratoria d'inesistenza, pur comportando l'obbligo dell'Amministrazione di ottemperarvi, non avrebbe potuto determinare l'automatico venir meno degli effetti prodotti dai predetti provvedimenti e dagli atti di gestione compiuti dal commissa-rio liquidatore, né l'attribuzione retroattiva della legittimazione agli organi ordinari della società, il cui intervento in giudizio sarebbe pertanto risultato in ogni caso inammissibile si era infine affermato che, in quanto assimilabile alla revoca della dichiarazione di fallimento, la dichiarazione d'inesistenza del provvedimento di messa in liquidazione coatta amministrativa avrebbe giustificato l'applicazione dell'art. 21 della legge fall., che fa salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura, con la conseguente legittimità dell'iniziativa assunta dal commissario liquidatore nell'ambito del giudizio promosso nei confronti del terzo, che a seguito della predetta dichiarazione avrebbe potuto essere proseguito dagli organi rappresentativi ordinari della società cfr. Cass., Sez. 3, 3 ottobre 2005, nn. 19293 e 19294 25 luglio 2006, nn. 16934 e 16935 8 febbraio 2007, n. 2743 . La qualificazione della sentenza dichiarativa dell'inesistenza come provvedimento modificativo di status fu messa in discussione dalle successive sentenze del 19 ottobre 2006, nn. 22492 e 22493 riguardanti rispettivamente un giudizio di risarcimento dei danni promosso dall'Edera in bonis nei confronti di una società conduttrice di un immobile di sua proprietà, e nel quale era intervenuto il commissario liquidatore, e l'opposizione proposta da un debitore avverso il precetto intimatogli dal commissario liquidatore per il rimborso di un mutuo concesso dalla società in bonis , le quali ravvisarono nel provvedimento di revoca dell'autorizzazione e di messa in liquidazione coatta un atto autoritativo di natura sanzionatoria, riconducibile ai poteri di vigilanza, controllo e repressione spettanti al Ministero dell'industria ed all'ISVAP nei confronti delle imprese assicuratrici, e la cui incidenza sulla libertà d'iniziativa economica privata postula una verifica dei presupposti necessari per l'esercizio di tale potere. Nel riconoscere che tale verifica poteva aver luogo anche in via incidentale, ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, le predette sentenze affermarono che essa non escludeva la materiale sussistenza del provvedimento, fino a quando non fosse stato ritirato dall'autorità che lo aveva posto in essere, né contrastava con l'art. 21 della legge fall., in quanto la liquidazione coatta amministrativa comporta la sostituzione nella gestione solo di una parte dei rapporti patrimoniali dell'impresa in bonis , e segnatamente di quelli indicati dall'art. 207 della legge fall., inerenti alla liquidazione del passivo, in riferimento ai quali la realtà fenomenica determinata dalla sottoposizione alla procedura concorsuale e dalla consegna dei beni al commissario liquidatore impone il riconoscimento della sua legittimazione processuale passiva, quale effetto eccezionale del provvedimento inesistente restava invece riservata all'impresa in bonis la legittimazione attiva, non ricorrendo, nei confronti del commissario liquidatore, i presupposti di essenzialità ed indifferibilità dell'esercizio della funzione e l'esigenza di tutela dell'affidamento dei terzi che rendono applicabili i principi di diritto amministrativo relativi alla figura del funzionario di fatto. 3.2. — Le disarmonie in tal modo manifestatesi nella giurisprudenza di legittimità sono state ricomposte dalle Sezioni Unite con sentenza del 24 dicembre 2009, n. 27346 relativa al giudizio di risarcimento dei danni promosso dall'Edera in bonis nei confronti della società incaricata della certificazione del bilancio, e nel quale erano intervenuti uno dei soci ed il commissario liquidatore , la quale ha innanzitutto escluso che sulla questione riguardante l'inesistenza dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione e messa in stato di liquidazione della società si fosse formato un giudicato ha infatti confermato che la vincolatività della sentenza n. 4 del 1999 era limitata agli accertamenti di fatto strumentali ed indispensabili per la qualificazione del rapporto ai fini della pronuncia sulla giurisdizione, rilevando inoltre che le sentenze nn. 22492 e 22493 del 2006, pronunciate nei confronti di soggetti parzialmente diversi ed in ordine a domande caratterizzate da differenti petita e causae petendi , avevano dichiarato il difetto di legittimazione del commissario liquidatore all'esito di un accertamento meramente incidentale. Premesso infine che la sentenza n. 15721 del 2005, pur essendo stata pronunciata tra le parti direttamente interessate alla dichiarazione dell'inesistenza, si era limitata a cassare con rinvio la sentenza di merito che aveva accertato l'invalidità della rinuncia all'autorizzazione, ha precisato che soltanto il giudicato che si sarebbe formato in tale giudizio sarebbe risultato idoneo a statuire sull'esistenza o l'inesistenza dei predetti provvedimenti, con tutti gli effetti consequenziali. Tanto premesso, le Sezioni Unite hanno affermato che l'apertura della liquidazione coatta amministrativa costituisce un fatto giuridico di per sé idoneo a radicare la legittimazione processuale, attiva e passiva, del commissario liquidatore in relazione ai rapporti giuridici che ne formano oggetto, a prescindere dai vizi che inficiano tale provvedimento, finché alla procedura non venga posto termine a seguito di un provvedimento giurisdizionale a ciò idoneo a sostegno di tale affermazione, hanno richiamato il principio di conservazione degli atti legalmente compiuti nell'ambito della procedura concorsuale, desumibile dall'art. 21 della legge fall, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, ed ora riprodotto nel vigente art. 18 , osservando che le esigenze di certezza ad esso sottese, comuni anche alle altre procedure concorsuali cfr. per l'amministrazione straordinaria gli artt. 10, comma secondo, e 33 del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 e l'art. 4 del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, conv. nella legge 18 febbraio 2004, n. 39 , ne giustificano l'applicazione, in quanto compatibile, anche alla liquidazione coatta amministrativa, con la conseguente necessità di riconoscere efficacia ex mine alla cessazione della capacità e della legittimazione processuale del commissario liquidatore derivante dal passaggio in giudicato della sentenza che, accertando l'inesistenza giuridica del provvedimento di apertura della procedura, ne impedisce la prosecuzione. Tale principio ha trovato uniforme applicazione nella giurisprudenza successiva di questa Corte, la quale ha costantemente subordinato il venir meno della legittimazione del commissario liquidatore al sopraggiungere di una sentenza che, pronunciando tra le parti direttamente interessate, accertasse l'inesistenza giuridica dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione e di messa in stato di liquidazione della società. In quest'ottica, con sentenza del 21 novembre 2008, n. 27777 è stato escluso che l'eventuale dichiarazione d'illegittimità dell'intera procedura potesse determinare retroattivamente l'invalidità del bilancio predisposto dal commissario liquidatore. Con ordinanza del 2010, n. 22693, è stato rigettato il regolamento di competenza proposto avverso l'ordinanza con cui era stata disposta, in attesa della definizione del giudizio avente ad oggetto la dichiarazione d'inesistenza, la sospensione del giudizio di opposizione promosso dall'Edera in bonis e dai soci avverso la dichiarazione dello stato d'insolvenza. Con sentenza del 30 marzo 2012, n. 5166, è stato confermato il rigetto dell'opposizione proposta dai soci dell'Edera avverso il precetto con cui il commissario liquidatore aveva intimato il pagamento di somme dovute a titolo di spese processuali, osservandosi che il successivo venir meno del potere di rappresentanza della società in capo all'intimante non avrebbe potuto inficiare la validità del titolo esecutivo, essendo stato il precetto intimato da chi in quel momento esercitava la funzione di commissario liquidatore della società in favore della quale il titolo era stato emesso. Con sentenza del 26 luglio 2012, n. 13190, è stata cassata la sentenza di merito che aveva accolto l'opposizione proposta da alcuni debitori avverso l'esecuzione promossa dal commissario liquidatore per il recupero di un mutuo concesso dall'Edera in bonis , affermandosi che il pignoramento era stato validamente notificato da chi all'epoca, esercitando la funzione di commissario liquidatore della società creditrice, era investito dei relativi poteri rappresentativi, sostanziali e processuali, e quindi della correlata legittimazione processuale. Con sentenza del 17 maggio 2013, n. 12070, è stata riconosciuta la legittimazione del commissario liquidatore a proporre, in qualità di litisconsorte necessario pretermesso, opposizione di terzo avverso la sentenza che, ad istanza dell'Edera in bonis , aveva dichiarato l'inesistenza dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione e di messa in liquidazione coatta amministrativa della società. La sentenza del 2 agosto 2013, n. 18549, emessa a conclusione del giudizio in cui era stata pronunciata la sentenza n. 1810 del 2003, ha poi riconosciuto la legittimazione del commissario liquidatore ad intervenire nel giudizio promosso dal presidente e dall'amministratore delegato dell'Edera in bonis per il risarcimento dei danni sofferti in proprio a causa della revoca dell'autorizzazione e della messa in liquidazione coatta amministrativa della società, in considerazione della connessione esistente tra l'accertamento dell'inesistenza di tali provvedimenti e la validità della procedura e della nomina del commissario stesso. Con la medesima sentenza, è stato rigettato il ricorso per cassazione proposto dal presidente e dall'amministratore delegato dell'Edera in bonis avverso il rigetto della domanda di risarcimento dei danni da loro avanzata, motivato dal giudice di merito con la duplice affermazione che la rinuncia all'autorizzazione non aveva fatto venir meno le funzioni di vigilanza spettanti all'ISVAP, e quindi il potere di disporre la revoca e la messa in liquidazione coatta della società, e che gli amministratori non avevano interesse ad agire per la declaratoria d'inesistenza dell'atto con cui era stato loro comunicato il diniego della dichiarazione di decadenza dall'autorizzazione, essendo rimasto quest'ultimo assorbito dal successivo provvedimento di revoca nel riconoscere l'interesse degli attori a far valere l'inesistenza dei provvedimenti di revoca e messa in liquidazione coatta della società, a fondamento della pretesa da loro avanzata in proprio, questa Corte ha tuttavia precisato che, proprio in virtù dell'esclusivo collegamento con detta pretesa, rispetto alla quale rivestiva carattere pregiudiziale, l'accertamento di tale inesistenza doveva intendersi richiesto in via incidentale, non essendo il predetto interesse sufficiente a giustificare un accertamento in via principale. 3.3. — Nel frattempo, peraltro, è giunto a conclusione il giudizio risarcitorio originariamente promosso dai soci dell'Edera, nell'ambito del quale erano state pronunciate le citate sentenze n. 4 del 1999 e n. 15721 del 2005 con sentenza del 25 febbraio 2011, n. 4690, questa Corte ha infatti accolto il ricorso proposto dal Ministero per lo sviluppo economico già Ministero dell'industria e dal commissario liquidatore avverso la sentenza emessa il 16 maggio 2008, con cui la Corte d'Appello di Roma, pronunciando quale giudice di rinvio, aveva rigettato la domanda avanzata nei confronti dell'ISVAP ed accolto quella proposta nei confronti del Ministero, dichiarando inesistente il provvedimento di messa in liquidazione coatta amministrativa dell'Edera e condannando il Ministero al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio. In particolare, per quanto rileva in questa sede, sono state disattese le censure riflettenti l'erronea declaratoria d'inesistenza del predetto provvedimento, per invalidità o inefficacia della delibera di rinuncia all'autorizzazione ad esercitare l'attività assicurativa, mentre sono state accolte quelle riguardanti la configurabilità di un danno risarcibile è stata pertanto disposta la cassazione della sentenza impugnata, nella parte recante la condanna generica del Ministero, e la causa è stata decisa nel merito, con il rigetto della domanda di risarcimento avanzata dagli attori. Conformemente alle indicazioni risultanti dalla sentenza n. 27346 del 2009, la citata sentenza n. 13190 del 2012 ha ritenuto che per effetto della predetta decisione si sia formato il giudicato in ordine all'inesistenza giuridica dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa e di messa in liquidazione coatta amministrativa della società, e l'ha opportunamente presa in esame ai fini della decisione in ordine alla legittimazione ad agire del commissario liquidatore, escludendone tuttavia la rilevanza nel caso concreto si trattava, come si è detto, dell'opposizione all'esecuzione promossa dal commissario per il recupero di un mutuo , in ragione della ritenuta irretroattività della cessazione dei poteri rappresentativi di tale organo e della possibilità che l'azione esecutiva da esso intrapresa fosse proseguita dalla società, ormai tornata in bonis . La rilevanza del giudicato è stata esclusa anche dalla sentenza n. 12070 del 2013, che ai fini del riconoscimento della legittimazione a contraddire del commissario liquidatore ha peraltro fatto leva su un diverso argomento, ripreso dalla stessa sentenza n. 4690 del 2011, e precisamente sul rilievo che la negazione di detta legittimazione, costituendo un posterius rispetto all'accertamento dell'inesistenza della procedura, avrebbe comportato un'inversione dell'ordine logico-giuridico delle questioni trattate. L'efficacia del giudicato ha trovato invece riconoscimento nella sentenza emessa il 25 luglio 2013, n. 18081, con la quale è stata dichiarata inammissibile l'impugnazione della sentenza di rigetto dell'opposizione proposta dal conduttore di un immobile di proprietà dell'Edera avverso il precetto di rilascio intimatogli dal commissario liquidatore, in quanto la legittimazione sostanziale e processuale di quest'ultimo era venuta meno anteriormente alla notificazione del ricorso per cassazione. L'irretroattività della declaratoria d'inesistenza ha infine condotto ad escludere la rilevanza del giudicato nel caso preso in esame dalla sentenza dell'8 agosto 2013, n. 19017, riguardante l'opposizione proposta dal conduttore di un immobile di proprietà dell'Edera avverso un decreto ingiuntivo ottenuto dal commissario liquidatore per il pagamento di canoni insoluti, essendosi rilevato che la legittimazione del commissario era venuta meno soltanto nel corso del giudizio di legittimità, caratterizzato dall'impulso officioso ed immune da eventi interruttivi. 4. — Così delineato l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, nella fisionomia che è venuto assumendo soprattutto a seguito delle precisazioni compiute dalla sentenza n. 27346 del 2009, si osserva che la coerenza delle conclusioni cui questa Corte è pervenuta fa apparire non meritevole di accoglimento la richiesta, formulata dalla difesa del commissario liquidatore nella memoria depositata ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ., di rimessione della causa al Primo Presidente, perché ne disponga l'assegnazione alle Sezioni Unite, ai fini della risoluzione di un supposto contrasto di giurisprudenza. Come si evince dalla rassegna che precede, nella risoluzione delle questioni sottoposte al suo esame, questa Corte si è costantemente attenuta al principio, enunciato nella sentenza n. 27346 cit, secondo cui la legittimazione sostanziale e processuale del commissario liquidatore può essere esclusa soltanto per effetto dell'accertamento in via principale dell'avvenuta emissione in carenza di potere dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa e di messa in liquidazione coatta amministrativa della società tale accertamento deve risultare da una sentenza passata in giudicato, la quale, traducendosi nell'affermazione dell'inesistenza giuridica della procedura concorsuale, comporta la cessazione dei poteri rappresentativi e gestionali spettanti al commissario, senza peraltro che il venir meno della legittimazione di quest'ultimo implichi l'inesistenza degli atti legalmente compiuti nell'ambito della procedura e nei rapporti con i terzi, operando la predetta declaratoria con efficacia ex nunc . L'uniformità di tale indirizzo non è smentita dalla diversità degli esiti cui la Corte è di volta in volta pervenuta, trovando la stessa giustificazione nelle caratteristiche specifiche delle fattispecie esaminate, e nella conseguente necessità di contemperare il predetto principio con l'applicazione di altre norme di diritto sostanziale e processuale operanti in riferimento al singolo caso, principalmente con il principio secondo cui l'accertamento della legitimatio ad processum , ai fini della validità degli atti posti in essere dalle parti, dev'essere effettuato in riferimento alla data di compimento dell'atto, mentre quello della legitimatio ad causam , in quanto riguardante una delle condizioni dell'azione, deve aver luogo con riguardo alla data della decisione. Merita pertanto di essere ribadito quanto già affermato nel decreto del 7 febbraio 2013, trascritto nella memoria della controricorrente, con cui il Presidente Aggiunto ha rigettato un'analoga istanza di rimessione alle Sezioni Unite proposta con riferimento ad altri ricorsi riguardanti la stessa vicenda non riscontrandosi alcun contrasto tra le precedenti pronunce emesse in argomento, la rimessione alle Sezioni Unite troverebbe giustificazione unicamente nella pendenza di una molteplicità di giudizi tra le medesime parti, la quale non può essere tuttavia considerata di per sé sufficiente ai fini della qualificazione delle problematiche trattate come questioni di massima di particolare importanza ” la particolare vocazione nomofilattica delle Sezioni Unite presuppone infatti che le questioni ad esse sottoposte rendano necessaria una riflessione su problematiche giuridiche esorbitanti dal caso concreto, e la cui soluzione risulti pertanto idonea ad assumere una valenza di principio generale. 5. — Alla stregua delle precisazioni compiute dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 27346 del 2009, non può trovare peraltro accoglimento neppure la tesi sostenuta dalla difesa della ricorrente, secondo cui il carattere definitivo dell'accertamento relativo all'inesistenza giuridica dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione e di messa in liquidazione coatta, compiuto nell'ambito dei giudizi in cui sono state pronunciate le sentenze nn. 22492 e 22493 del 2006, comporterebbe la formazione del giudicato in ordine alla sussistenza della legittimazione attiva dell'Edera in bonis ed alla corrispondente esclusione di quella del commissario liquidatore, che non potrebbero dunque costituire oggetto di ulteriori contestazioni. Indipendentemente dal diverso ambito soggettivo del presente giudizio, il quale risulta promosso nei confronti del D. in proprio, laddove quelli che hanno condotto alla pronuncia delle predette sentenze si sono svolti con la partecipazione dello stesso in qualità di legale rappresentante della società posta in liquidazione coatta amministrativa, e quindi nei confronti di quest'ultima, appare decisivo il rilievo che l'accertamento dell'inesistenza dei predetti provvedimenti compiuto nei precedenti giudizi non può fare stato al di fuori degli stessi, avendo avuto luogo in via meramente incidentale, ed ai soli fini della verifica della legittimazione delle parti con riguardo alle domande specificamente proposte in quelle sedi. La diversità di tali domande rispetto a quella in esame risulta poi evidente se solo si considera che la sentenza n. 22492 aveva ad oggetto il risarcimento preteso dall'Edera in bonis nei confronti del conduttore di un immobile di sua proprietà per il danneggiamento conseguente ad incuria ed abbandono e la sentenza n. 22493 riguardava l'opposizione al precetto intimato dall'Edera in liquidazione coatta amministrativa per il recupero di una somma concessa in mutuo ad un terzo dalla società in bonis , mentre il presente giudizio ha ad oggetto la responsabilità del commissario liquidatore per i danni asseritamente cagionati alla società nella gestione della procedura. Quanto alle sentenze emesse nell'ambito del giudizio di risarcimento dei danni promosso dai soci dell'Edera nei confronti del Ministero dell'industria e dell'ISVAP, è appena il caso di ribadire quanto affermato nelle sentenze n. 15721 del 2005 e n. 27346 del 2009, e cioè che il vincolo derivante dalla sentenza n. 4 del 1999, con cui fu riconosciuta la giurisdizione del giudice ordinario, in quanto limitato alla verifica dei fatti strettamente indispensabili per la qualificazione del rapporto ai fini dell'individuazione del giudice avente giurisdizione sulla domanda, non si estende oltre l'accertamento della sussistenza materiale della delibera di rinuncia all'autorizzazione e l'anteriorità della stessa rispetto al provvedimento di revoca, restando pertanto impregiudicata ogni questione relativa alla validità ed all'efficacia della predetta delibera. La portata della sentenza n. 15721 cit. dev'essere a sua volta circoscritta al riconoscimento della legittimazione dei soci dell'Edera a far valere l'illiceità del comportamento della Pubblica Amministrazione, in quanto tale da incidere sul mantenimento in vita della società e sulla loro qualità di soci, ovvero da comportare un depauperamento del patrimonio sociale suscettibile di risolversi nella diminuzione dei loro diritti di partecipazione. A ciò va aggiunta l'enunciazione del principio di diritto secondo cui, nell'ambito dell'autonoma disciplina dettata per l'invalidità delle delibere dell'assemblea delle società per azioni, la nullità è limitata ai casi di impossibilità ed illiceità dell'oggetto, previsti dall'art. 2379 cod. civ. e ravvisabili ogni qualvolta il contenuto della deliberazione contrasti con norme dettate a tutela d'interessi generali, e non può quindi essere dichiarata per illiceità dei motivi, la quale va invece ricondotta alla categoria dell'annullabilità disciplinata dall'art. 2377 cod. civ., comprendente ogni altra inosservanza delle norme inderogabili attinenti al procedimento di formazione della volontà dell'assemblea all'esito di tale pronuncia, con la quale fu cassata la sentenza di appello che aveva dichiarato la nullità della delibera di rinuncia, escludendone l'idoneità a determinare la decadenza dall'autorizzazione, restava pertanto devoluta al giudice di rinvio, sia pure nei limiti indicati dal principio di diritto enunciato da questa Corte, la verifica della validità della rinuncia, dalla quale dipendeva l'accertamento dell'avvenuta emissione in carenza di potere dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione e di messa in stato di liquidazione coatta della società. Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa della controricorrente, tale accertamento non poteva ritenersi precluso dalla sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio n. 1435/08 divenuta definitiva a seguito dell'estinzione del giudizio di appello per rinuncia, dichiarata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 1879/03 , con cui era stato rigettato il ricorso proposto dall'Edera in bonis per l'annullamento dei predetti provvedimenti, dovendo richiamarsi, al riguardo, quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 15721 del 2005, secondo cui il giudicato amministrativo copre i soli vizi di legittimità dedotti o deducibili dinanzi al Giudice amministrativo, e non anche l'inesistenza dei provvedimenti conseguente alla carenza di potere dell'autorità emanante, il cui accertamento è devoluto alla giurisdizione del Giudice ordinario. Correttamente, pertanto, la sentenza impugnata aveva escluso la possibilità di riconoscere la legittimazione dell'Edera in bonis sulla base del giudicato asseritamente formatosi in ordine alla validità della rinuncia all'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa ed alla conseguente inesistenza dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione e di messa in liquidazione coatta della società, dando atto che nessuna pronuncia definitiva di merito, neppure tra soggetti diversi dalle parti del presente giudizio, era stata emessa sulla specifica questione. 6. — Nelle more del giudizio di legittimità, peraltro, con sentenza del 16 maggio 2008, la Corte d'Appello di Roma, pronunciando in sede di rinvio a seguito della sentenza n. 15721 del 2005 di questa Corte, ha escluso la nullità della delibera con cui l'assemblea della società aveva rinunciato all'autorizzazione, ed ha conseguentemente confermato la dichiarazione d'inesistenza dei provvedimenti adottati dal Ministero, accogliendo la domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti di quest'ultimo. Il ricorso per cassazione proposto dal Ministero avverso tale decisione, come si è detto, è stato accolto da questa Corte, con la sentenza n. 4690 del 2011, soltanto nella parte riguardante la configurabilità di un danno risarcibile, mentre sono state rigettate le censure sollevate dal ricorrente in ordine alla validità ed all'efficacia della delibera, la quale deve pertanto ritenersi ormai definitivamente accertata, con tutte le conseguenze che la Corte di merito ne ha tratte in ordine al potere del Ministero di disporre la revoca dell'autorizzazione e la messa in liquidazione coatta della società. È pur vero che, nell'escludere la potenzialità dannosa del comportamento ascritto all'Amministrazione, la sentenza n. 15721 cit. ha precisato che nella specie la carenza di potere era dipesa dal mancato rispetto della norma procedurale di cui all'art. 65, comma terzo del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 175, e non già dal venir meno in radice del potere di vigilanza del Ministero, al quale sarebbe stato consentito di promuovere autonomamente la liquidazione coatta amministrativa dell'impresa, indipendentemente dalla revoca dell'autorizzazione, in considerazione delle irregolarità gestionali contestate dall'ISVAP all'Edera in sede d'ispezione. A tale affermazione, volta unicamente a dimostrare l'ineluttabilità dell'assoggettamento alla procedura concorsuale, ai fini dell'esclusione del nesso causale tra il fatto illecito e le conseguenze dannose lamentate dagli attori, non può tuttavia attribuirsi l'effetto di negare l'accertamento compiuto dalla Corte di merito in ordine all'inesistenza del provvedimento di revoca dell'autorizzazione, la cui contestazione, sotto il profilo del contrasto tra l'art. 65 del d.lgs. n. 175 cit. e la direttiva n. 92/49/CE, è stata d'altronde ritenuta sostanzialmente assorbita da questa Corte, proprio in ragione dell'avvenuto rigetto della domanda risarcitoria. Non può condividersi, in proposito, l'affermazione della controricorrente, secondo cui il predetto accertamento non potrebbe spiegare efficacia di giudicato in questa sede, essendo stato effettuato in via meramente incidentale nei confronti di soggetti parzialmente differenti da quelli tra cui verte il presente giudizio ed in riferimento ad una domanda caratterizzata da un petitum e da una causa petendi diversi da quelli della domanda in esame. Nell'escludere l'idoneità al giudicato dell'accertamento risultante dalle sentenze fino ad allora pronunciate, la sentenza n. 27346 del 2009 ha distinto chiaramente tra l'accertamento dalle stesse compiuto, che, in quanto finalizzato esclusivamente alla verifica della legittimazione del commissario liquidatore nell'ambito di giudizi promossi da o nei confronti di soggetti diversi ed aventi ad oggetto domande caratterizzate da differenti petita e causae petendi , aveva carattere meramente incidentale, e quello da compiersi nell'ambito del giudizio vertente tra L'Edera in bonis ed il Ministero con l'intervento del commissario liquidatore. Quest'ultimo, in quanto effettuato in un giudizio a-vente come parti l'Amministrazione dalla quale provenivano i provvedimenti e la società destinataria degli stessi e come oggetto specifico l'adozione dei medesimi provvedimenti in carenza di potere, che costituiva la causa petendi della domanda di risarcimento avanzata dalla società in bonis , ha carattere principale, e proprio per tale motivo la sentenza n. 27346 cit. vi ha attribuito l'idoneità a statuire con autorità di giudicato sull'esistenza o inesistenza giuridica dei quei provvedimenti, con tutti gli effetti consequenziali correlativi. Tale distinzione risulta sostanzialmente conforme al quadro dei poteri riconosciuti al Giudice ordinario nelle controversie in cui è parte la Pubblica Amministrazione, alla luce dei criteri di riparto della giurisdizione sviluppatisi a partire dall'istituzione di un Giudice amministrativo competente a conoscere, con effetti costitutivi, della legittimità degli atti amministrativi lesivi d'interessi legittimi l'affermarsi del criterio che riserva al Giudice ordinario la giurisdizione in ordine alle controversie in cui si faccia questione di carenza di potere, contestandosi in radice l'esistenza del potere stesso o denunciandosene l'avvenuto esercizio al di fuori dei limiti o in assenza dei presupposti che ne legittimano l'impiego, limita l'ambito della cognizione incidentale di detto Giudice ai casi, previsti dall'art. 5 della legge n. 2248 del 1865, all. E, in cui si tratti di decidere, senza efficacia di giudicato, una questione estranea all'oggetto del giudizio, ma avente carattere pregiudiziale, escludendone invece la configurabilità nell'ipotesi, prevista dall'art. 4 della medesima legge, in cui l'oggetto del giudizio sia costituito proprio dalla lesione del diritto. Irrilevante, a tal fine, è la circostanza che anche in quest'ipotesi il Giudice ordinario debba limitarsi a conoscere degli effetti dell'atto amministrativo, essendogli sottratto, a garanzia dell'autonomia della funzione amministrativa da quella giudiziaria, il potere di revocarlo o modificarlo l'inesistenza giuridica dell'atto, rendendolo inidoneo a spiegare i suoi effetti tipici, esclude infatti che possa parlarsi di disapplicazione in senso proprio, configurabile soltanto in riferimento all'ipotesi prevista dall'art. 5 cit., in cui l'accantonamento dell'atto ai fini della decisione della controversia non ne impedisce l'operatività ad ogni altro effetto. Per lo stesso motivo, pur in mancanza di una pronuncia costitutiva che comporti la rimozione dell'atto, al giudicato formatosi in ordine alla sua inesistenza giuridica deve riconoscersi un'efficacia che trascende l'ambito soggettivo del giudizio nel quale ha avuto luogo il relativo accertamento, risultando pertanto superfluo, a tal fine, il richiamo della difesa della ricorrente alla categoria dell'indivisibilità degli effetti, che, in quanto riferibile ad atti rivolti ad una pluralità di soggetti, mal si attaglia a provvedimenti come quelli in esame, aventi come unica destinataria la società privata dell'autorizzazione e posta in liquidazione coatta amministrativa. Quanto poi alla rilevanza del predetto accertamento nel giudizio in esame, è sufficiente richiamare l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'esistenza del giudicato esterno è rilevabile d'ufficio in sede di legittimità, al pari di quella del giudicato interno, non solo quando emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell'ipotesi in cui, come nella specie, esso si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. Si tratta infatti di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem , corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità, collegata all'attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, i quali escludono la legittimità di soluzioni interpretative volte a conferire rilievo a formalismi non giustificati da effettive e concrete garanzie difensive, non trova ostacolo nel divieto posto dall'art. 372 cod. proc. civ., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato questi ultimi, d'altronde, comprovando la sopravvenuta formazione di una regula juris alla quale il giudice ha il dovere di conformarsi in relazione al caso concreto, attengono ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l'ammissibilità del ricorso. La produzione di tali documenti può quindi aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l'impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all'udienza di discussione prima dell'inizio della relazione cfr. ex plurimis, Cass., sez. Un., 16 giugno 2006, n. 13916 Cass., Sez. I, 23 dicembre 2010, n. 26041 Cass., Sez. 3, 5 marzo 2009, n. 5360 . 7. — Il riconoscimento dell'efficacia del giudicato formatosi in ordine all'avvenuta emissione in carenza di potere dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa e di messa in stato di liquidazione coatta amministrativa dell'Edera, traducendosi nell'accertamento definitivo dell'inesistenza giuridica della procedura concorsuale, impone nella specie l'accoglimento delle censure proposte dalla ricorrente avverso la dichiarazione del difetto di legittimazione degli organi della società in bonis . Il venir meno dei poteri amministrativi e gestionali del commissario liquidatore comporta infatti la reviviscenza delle funzioni spettanti agli organi ordinari della società, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la circostanza, evidenziata dalla Corte di merito, che la domanda proposta dall'attrice abbia ad oggetto l'accertamento della responsabilità dello stesso commissario per l'inadempimento degli obblighi inerenti alle funzioni svolte, la cui subordinazione alla chiusura della procedura concorsuale o alla revoca del commissario non ne esclude la proponibilità nel caso in cui, come nella specie, quest'ultimo non possa continuare a svolgere le proprie funzioni, a causa dell'improseguibilità della procedura. Tanto meno può considerarsi ostativa alla proposizione della domanda la mancata presentazione del rendiconto, la cui discussione, non necessariamente limitata alla verifica di eventuali omissioni, errori materiali o improprietà dei criteri di conteggio adottati, pur rappresentando la sede naturale per far valere la responsabilità del commissario, non costituisce tuttavia la sede esclusiva di tale azione, avuto riguardo alla scindibilità del controllo più propriamente contabile da quello gestionale cfr. Cass., Sez. 1, 8 settembre 2011, n. 18438 . 8. — L'efficacia irretroattiva dell'accertamento relativo all'inesistenza giuridica dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione e di messa in liquidazione coatta della società, comportando il venir meno della legittimazione processuale del commissario liquidatore con decorrenza dal passaggio in giudicato della relativa sentenza, esclude poi l'inammissibilità dell'intervento dallo stesso spiegato in rappresentanza della liquidazione coatta. Tale evento, ove si fosse verificato nel corso delle precedenti fasi di merito, avrebbe potuto infatti giustificare la dichiarazione d'interruzione del giudizio, ai sensi dell'art. 300 cod. proc. civ., mentre nessun rilievo può assumere nella presente fase, che, in quanto caratterizzata dall'impulso ufficioso, resta insensibile agli eventi incidenti sulla capacità e la legittimazione delle parti. L'ammissibilità dell'intervento deve peraltro essere ribadita anche sotto il profilo dell'interesse ad agire, la cui sussistenza va ricollegata all'oggetto dell'accertamento incidentale sollecitato dall'attrice, che, in quanto riguardante l'esistenza giuridica dei provvedimenti posti a fondamento della liquidazione coatta e la conseguente legittimità delle funzioni svolte dal commissario liquidatore, era inevitabilmente destinato a ripercuotersi sull'ulteriore svolgimento della procedura. 9. — Il primo motivo di ricorso va pertanto accolto ed il terzo va rigettato, restando invece assorbiti il secondo ed il quarto motivo, con cui la ricorrente ha dedotto l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, nonché la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., lamentando l'immotivato rigetto dell'istanza di esibizione della documentazione relativa ai compensi erogati ai dipendenti, da essa proposta ai fini della prova del danno risarcibile, e l'ingiustificata condanna al pagamento della totalità delle spese processuali. 10. — La sentenza impugnata va dunque cassata, nei limiti segnati dal motivo accolto, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d'Appello di Roma, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, dichiara assorbiti il terzo ed il quarto, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di Appello di Roma, anche per la liquidazione delle spese processuali. Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 3 ottobre 2013 - 22 gennaio 2014, n. 1280 Presidente Salmè – Relatore Mercolino Svolgimento del processo 1. — L'Edera - Compagnia Italiana di Assicurazioni S.p.a. convenne in giudizio il dott. D.F. , chiedendone la condanna al risarcimento dei danni causati dall'attività svolta in qualità di commissario liquidatore nell'ambito della procedura di liquidazione coatta amministrativa cui la società era stata sottoposta. A fondamento della domanda, espose che con sentenza del 27 gennaio 1999, n. 4 le Sezioni Unite di questa Corte, nel regolare la giurisdizione in ordine alla domanda di risarcimento dei danni da essa proposta nei confronti del Ministero dell'Industria e dell'Istituto Superiore di Vigilanza sulle Assicurazioni Private, avevano riconosciuto l'inesistenza giuridica del d.m. 29 luglio 1997, con cui il Ministro aveva revocato l'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa e posto la società in liquidazione coatta, avendo ritenuto che tale provvedimento fosse stato adottato in carenza di potere, in quanto preceduto da una delibera del 18 luglio 1997, con cui l'assemblea della società aveva rinunciato alla predetta autorizzazione, in tal modo avvalendosi di un diritto soggettivo rispetto al quale la dichiarazione di decadenza si configurava come un provvedimento vincolato dell'Autorità di vigilanza. Aggiunse la società attrice che il D. , nella sua apparente qualità di commissario liquidatore, aveva posto in essere varie condotte dannose, omettendo in particolare di trasferire il personale dipendente alle compagnie assicuratici tra le quali era stato distribuito il portafoglio dell'impresa e trattenendolo per sedici mesi, con conseguente aggravamento delle passività della gestione. Nel giudizio, spiegò intervento volontario L'Edera S.p.a. in liquidazione coatta amministrativa. 1.1. — Con sentenza del 26 giugno 2002, il Tribunale di Roma rigettò la domanda principale e quella riconvenzionale di risarcimento dei danni proposta dal convenuto ai sensi dell'art. 96 cod. proc. civ 2. — L'impugnazione proposta dall'Edera è stata rigettata dalla Corte d'Appello di Roma, che con sentenza del 20 luglio 2006 ha rigettato anche il gravame incidentale proposto dal D. . A fondamento della decisione, la Corte ha confermato il difetto di legittimazione processuale degli organi della società in bonis , escludendo che in ordine alla validità ed all'efficacia della rinuncia all'autorizzazione ed alla consequenziale inesistenza del potere di revoca si fosse formato il giudicato per effetto dell'indicata sentenza delle Sezioni Unite. Ha infatti osservato che il D. era rimasto estraneo al relativo giudizio, avente peraltro ad oggetto una domanda diversa da quella proposta nei suoi confronti, rispetto alla quale il provvedimento di messa in liquidazione coatta della società costituiva non già la causa, ma la mera occasione per il compimento degl'illeciti lamentati dall'attrice. Ha aggiunto che nessuna delle altre pronunce di merito riguardanti giudizi in cui era stata proposta domanda di accertamento dell'inesistenza dei provvedimenti amministrativi era passata in giudicato, precisando che la mancata formazione del giudicato era stata riconosciuta anche dal Giudice di legittimità con sentenza del 27 luglio 2005, n. 15721. La Corte ha ritenuto poi inconferente la questione relativa alla rilevabilità d'ufficio del difetto di legittimazione dell'organo amministrativo della società in liquidazione coatta, rilevando che la domanda risarcitoria, proposta nei confronti della persona del commissario liquidatore, non era riconducibile ai rapporti patrimoniali cui si riferiscono gli artt. 43 e 200 della legge fall., ma era fondata sull'inadempimento di obblighi inerenti alle funzioni svolte, configurandosi pertanto come azione di responsabilità nei confronti del commissario, inammissibile fino a che non ne fosse stata disposta la sostituzione o non fosse stato depositato il rendiconto. Ha osservato al riguardo che la sottoposizione della società a liquidazione coatta determina la cessazione delle funzioni degli organi ordinari e lo svolgimento delle relative operazioni sotto la direzione del commissario liquidatore, con la conseguente riduzione dei diritti dei soci alla sola partecipazione alla liquidazione finale, e con il rinvio delle contestazioni riguardanti la gestione contabile ed amministrativa della fase liquidatoria all'impugnazione del bilancio finale, non solo nel caso in cui il danno sia lamentato da uno dei creditori ammessi al passivo, ma anche quando, come nella specie, sia fatto valere dalla società posta in liquidazione. Quest'ultima, d'altronde, può risultare direttamente danneggiata dagl'illeciti ascritti al commissario soltanto nel caso in cui, a causa degli stessi, la liquidazione si sia chiusa con un attivo inferiore o con residue passività che non si sarebbero registrate ove il commissario avesse operato correttamente. La Corte ha ritenuto pertanto assorbite le censure riflettenti l'omessa pronuncia in ordine alla domanda di risarcimento dei danni derivanti da comportamenti illeciti del D. indipendenti dall'illegittimità del decreto di apertura della procedura concorsuale, osservando che le norme che regolano la responsabilità del commissario si pongono come specificazione dei principi generali di cui all'art. 28 Cost. ed all'art. 2043 cod. civ., fissando quale unico limite all'esercizio dell'azione la subordinazione della stessa alla revoca del commissario ed individuando quale unico soggetto legittimato il commissario nominato in sostituzione dello stesso. Ha aggiunto che l'affermazione della responsabilità extracontrattuale della Pubblica Amministrazione postula l'accertamento non solo della contrarietà della sua condotta a norme di azione, ma anche del nesso causale con l'evento dannoso e del dolo o della colpa, precisando che dall'indagine in ordine a quest'ultimo elemento, riferibile peraltro non già allo stato soggettivo del funzionario responsabile, ma alla condotta antidoverosa dell'Amministrazione come apparato, può prescindersi soltanto in presenza di un provvedimento annullato dal Giudice amministrativo. La Corte ha conseguentemente ritenuto assorbite anche le censure riguardanti la mancata ammissione dei mezzi di prova, e segnatamente dell'ordine di esibizione dei documenti afferenti all'ammontare dei compensi erogati ai dipendenti della società nel corso della procedura, osservando comunque che tali documenti non erano detenuti dal D. come persona fisica, ma come organo della liquidazione coatta. Ha infine confermato la legittimazione della società in liquidazione coatta ad intervenire nel giudizio, non essendo stata provata l'inesistenza giuridica del provvedimento con cui era stata disposta l'apertura della procedura concorsuale, e non potendosi comunque escludere, anche in tale ipotesi, l'efficacia degli atti compiuti dal commissario liquidatore, il quale si poneva pertanto in rapporto di alterità rispetto alla persona giuridica che ricopre la funzione. 3. — Avverso la predetta sentenza L'Edera propone ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, illustrati anche con memoria. Resistono con controricorsi, anch'essi illustrati con memoria, L'Edera in liquidazione coatta amministrativa ed il D. . Motivi della decisione 1. — Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 28 Cost., dell'art. 199 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, degli artt. 65 e 66 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 175, dell'art. 14 della direttiva 92/49/CE del Consiglio, del 18 giugno 1992, degli artt. 75, 99, 100, 112, 324 e 345 cod. proc. civ. e degli artt. 2043, 2697 e 2909 cod. civ., nonché l'omessa o insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l'intervenuta formazione del giudicato in ordine all'inesistenza del provvedimento di messa in liquidazione coatta della società. In proposito, richiama le sentenze della Corte d'Appello di Roma del 10 novembre 2004, n. 4815, e del 12 febbraio 2004, n. 743, rese nei confronti del D. e confermate da questa Corte con sentenze del 19 ottobre 2006, nn. 22492 e 22493, che hanno dichiarato il difetto di legittimazione del commissario liquidatore ad agire in nome e per conto dell'Edera, riconoscendo che, per effetto dell'inesistenza del predetto provvedimento, la rappresentanza sostanziale e processuale della società spetta esclusivamente all'amministratore delegato. Sostiene la ricorrente che il giudicato, formatosi anche in ordine alla validità della rinuncia all'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa ed alla conseguente insussistenza del potere di revocare l'autorizzazione e di porre la società in liquidazione coatta, sarebbe stato opponibile al D. anche se reso nei confronti di soggetti diversi, trattandosi di sentenze che, in quanto dichiarative dell'inesistenza di un atto unitario ed indivisibile per un vizio inscindibile, sono destinate a spiegare effetti anche nei confronti dei soggetti rimasti estranei ai relativi giudizi. Nessun rilievo, a tal fine, può assumere la diversità delle situazioni di fatto dedotte in causa, in quanto l'accertamento dell'inesistenza giuridica del provvedimento di messa in liquidazione coatta travolge l'intera attività svolta nella procedura, relegandola al rango di attività illecita, senza che possano invocarsi, al riguardo, le norme che disciplinano la liquidazione coatta amministrativa e la discrezionalità amministrativa. In ogni caso, ad avviso della ricorrente, la portata della sentenza n. 4 del 1999 è stata chiarita dalla sentenza del 6 febbraio 2003, n. 1810, con cui le Sezioni Unite hanno confermato che la rinuncia all'autorizzazione determina automaticamente la decadenza dalla stessa, imponendo all'ISVAP di emettere la relativa declaratoria, con la conseguente insussistenza del potere di disporre la revoca della autorizzazione e la messa in liquidazione coatta della società con sentenza del 27 luglio 2005, n. 15721, è stata poi riconosciuta la legittimazione dei soci ad agire per l'accertamento dell'inesistenza del relativo decreto ed il risarcimento dei danni, affermandosi la liceità della rinuncia e l'irrilevanza di eventuali vizi della causa o dei motivi della delibera assembleare, con il conseguente superamento delle considerazioni svolte dalla Corte di merito in ordine all'improcedibilità della domanda ed alla responsabilità della Pubblica Amministrazione. 2. — Con il terzo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 75, 99, 100, 112, 324 e 345 cod. proc. civ. e degli artt. 2028, 2041, 2042, 2043, 2126, 2384, 2697 e 2909 cod. civ., nonché l'omessa o insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, assumendo che il giudicato esterno comporta anche il difetto di legittimazione della società in liquidazione coatta a spiegare intervento nel giudizio, la cui ammissibilità avrebbe dovuto essere peraltro esclusa, non essendo configurabile un interesse all'accertamento della correttezza dell'operato del D. . Aggiunge che l'efficacia degli atti posti in essere dal commissario liquidatore è esclusa dall'inapplicabilità dei principi relativi al c.d. funzionario di fatto, in conseguenza della mancanza di una valida investitura e di un vero rapporto organico, configurabili invece nei confronti degli amministratori della società in bonis , nonché dell'insussistenza dei presupposti di essenzialità ed indifferibilità degli atti, compiuti in assenza di evenienze eccezionali e rispondenti alla finalità, propria della procedura, di impedire lo svolgimento delle medesime funzioni da parte degli amministratori. 3. — Le predette censure devono essere esaminate congiuntamente, riflettendo la comune problematica inerente alla legittimazione sostanziale e processuale delle parti. Va premesso al riguardo che la questione relativa all'esistenza ed alla validità del decreto ministeriale con cui è stata disposta la revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa e la messa in liquidazione coatta amministrativa dell'Edera è stata oggetto di numerose sentenze di questa Corte, in parte anteriori in parte successive alla pronuncia impugnata. Con sentenza del 27 gennaio 1999, n. 4, le Sezioni Unite, chiamate a pronunciarsi sul regolamento di giurisdizione promosso dai soci dell'Edera in ordine alla domanda di risarcimento dei danni derivanti dai predetti provvedimenti, rilevarono che la revoca era stata preceduta da una delibera adottata il 18 luglio 1997 e comunicata al Ministero dell'industria il 24 luglio 1997, con cui l'assemblea dei soci aveva rinunciato espressamente ed incondizionatamente all'autorizzazione, osservando che, ai sensi dell'art. 65 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 175, tale rinuncia aveva comportato la decadenza ope legis della Compagnia dall'autorizzazione ministeriale, la cui pronuncia si configurava come un atto meramente dichiarativo, non disponendo l'Amministrazione di alcun potere discrezionale al riguardo affermarono pertanto che il successivo provvedimento di revoca doveva ritenersi emesso in carenza di potere e quindi lesivo di un diritto soggettivo della società, non suscettibile di degradazione ad interesse legittimo per effetto della contestazione della regolarità della gestione da parte dell'ISVAP, con la conseguente spettanza all'Autorità giudiziaria ordinaria della giurisdizione in ordine alle domande volte ad ottenere l'accertamento dell'avvenuto esercizio del predetto diritto, della mancata dichiarazione di decadenza e dell'inesistenza dei provvedimenti di revoca e messa in liquidazione coatta, nonché la condanna dell'Amministrazione al risarcimento dei danni dagli stessi arrecati. Tale orientamento è stato successivamente ribadito con ordinanza del 6 febbraio 2003, n. 1810, pronunciata sul regolamento di giurisdizione promosso in ordine ad un'analoga domanda proposta nei confronti del Ministero e dell'ISVAP dal presidente e dall'amministratore delegato della società per ottenere il risarcimento dei danni da essi sofferti in proprio per effetto della revoca dell'autorizzazione e dell'apertura della procedura concorsuale. La portata delle predette pronunce è stata chiarita, nel successivo svolgimento del giudizio risarcitorio promosso dai soci dell'Edera, dalla sentenza del 27 luglio 2005, n. 15721, con cui questa Corte, nell'esaminare l'impugnazione proposta dagli attori avverso il rigetto della domanda, escluse innanzitutto che la questione riguardante l'inesistenza dei provvedimenti di revoca e di messa in liquidazione coatta amministrativa potesse ritenersi preclusa per effetto del passaggio in giudicato della sentenza con cui il Giudice amministrativo aveva rigettato l'impugnazione proposta dalla società avverso i medesimi provvedimenti si osservò infatti che il giudicato amministrativo, oltre ad essersi formato nei confronti di un soggetto diverso dagli attori, copriva i soli vizi di legittimità dedotti o deducibili dinanzi al Giudice amministrativo, e non anche l'inesistenza dei provvedimenti conseguente alla carenza di potere dell'autorità emanante, la quale, risultando estranea alla competenza giurisdizionale del predetto Giudice, poteva ben essere prospettata dinanzi al Giudice ordinario, tenuto ad accertarla ai fini della decisione in ordine alla domanda di risarcimento dei danni. Con la medesima sentenza, fu precisato che la decisione emessa in sede di regolamento preventivo di giurisdizione era vincolante per il giudice di merito, dinanzi al quale il giudizio era stato riassunto, non solo con riguardo all'individuazione del giudice avente giurisdizione in ordine al rapporto controverso, ma anche con riguardo alle qualificazioni giuridiche ed agli accertamenti di fatto compiuti ai fini della risoluzione della questione di giurisdizione, e quindi, nella specie, alla sussistenza materiale della delibera con cui l'assemblea dei soci aveva deciso di rinunciare all'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa, nonché all'anteriorità di tale delibera rispetto alla revoca disposta dal Ministero. Fu invece escluso che la sentenza n. 4 del 1999 rivestisse autorità di giudicato relativamente alla sussistenza delle condizioni di validità della rinuncia, che non aveva costituito oggetto di esame da parte delle Sezioni Unite, e la sentenza impugnata fu cassata con rinvio, osservandosi che la Corte di merito, dopo avere correttamente circoscritto la nullità delle delibere societarie alle ipotesi di impossibilità o illiceità dell'oggetto, aveva erroneamente dichiarato, in applicazione dei principi generali in materia d'invalidità dei negozi giuridici, la nullità di quella impugnata per illiceità dei motivi. 3.1. — Le ricadute della predetta vicenda sulla legittimazione processuale e sostanziale delle parti sono state prese in esame per la prima volta dalla sentenza del 29 aprile 2004, n. 8204, emessa in un giudizio avente ad oggetto la dichiarazione di nullità del bilancio dell'Edera promosso, anteriormente alla messa in liquidazione coatta amministrativa, nei confronti del commissario straordinario nominato dall'ISVAP a seguito dello scioglimento degli organi amministrativi e sindacali della società. Essendo intervenuto nel corso del giudizio il decreto di apertura della procedura concorsuale ed essendosi costituito in appello il commissario liquidatore, del quale era stata contestata la legittimazione a resistere in rappresentanza dell'Edera, questa Corte affermò che l'eventuale accertamento dell'avvenuta emissione in carenza di potere dell'atto amministrativo di preposizione alla gestione della società non sarebbe risultato di per sé sufficiente ad escludere la riferibilità a tale organo della costituzione in giudizio e dell'esercizio del potere d'impugnazione rilevato infatti che il D. aveva assunto ed esercitato stabilmente di fatto la gestione della società, operando anche verso i terzi come rappresentante della stessa, in virtù di un provvedimento di nomina reso pubblico mediante inserzione nella Gazzetta Ufficiale, osservò che l'esclusione del potere rappresentativo si sarebbe posta in contrasto con i principi generali in tema di gestione di affari altrui e con quelli in materia di responsabilità degli amministratori di fatto delle società di capitali, nonché con quelli elaborati dai cultori del diritto amministrativo con riguardo alla validità degli atti compiuti dal funzionario di fatto, posti a tutela dei terzi che in buona fede abbiano intrattenuto rapporti con la società o l'ente pubblico. Con sentenza del 14 maggio 2005, n. 10130, fu poi riconosciuta la legittimazione del commissario liquidatore a partecipare al giudizio promosso dall'Edera in bonis nei confronti del Ministero per ottenere il rilascio dei beni della società, asseritamente detenuti sine titulo a seguito della sentenza n. 4 del 1999, osservandosi che, in qualità di consegnatario ed amministratore dei beni inclusi nella procedura, nonché di parte nei giudizi che li riguardano, tale organo assumeva la posizione di litisconsorte necessario rispetto alla domanda proposta dalla società, la cui natura recuperatoria, postulando l'accertamento in via principale dell'inesistenza del provvedimento di apertura della procedura concorsuale, avrebbe reso inutiliter data una pronuncia emessa in sua assenza, e quindi a lui inopponibile. La questione riguardante la legittimazione del commissario liquidatore era stata precedentemente sollevata anche in alcuni giudizi di merito da lui promossi nei confronti di terzi, aventi ad oggetto lo sfratto per morosità ed il pagamento di canoni di locazione d'immobili di proprietà dell'Edera, ed aveva condotto alla sospensione di tali giudizi, in attesa della definizione di quello promosso dai soci per il risarcimento dei danni, nel quale era stata già accertata l'inesistenza dei provvedimenti di rinuncia all'autorizzazione e di messa in liquidazione coatta amministrativa della società le relative ordinanze erano state impugnate con regolamento di competenza, in taluni casi rigettato da questa Corte, in considerazione dell'intervento spiegato nel giudizio dagli organi ordinari della società e dell'identità della questione trattata, alla quale il conduttore risultava sostanzialmente estraneo cfr. Cass., Sez. 3, 14 marzo 2003, n. 6844 nel medesimo senso, successivamente, Cass., Sez. 3, 10 agosto 2004, nn. 15478 e 15479 Cass., Sez. 1, 22 febbraio 2005, n. 3571 , in altri casi accolto, in base al rilievo dell'assenza di un vero rapporto di pregiudizialità, conseguente alla parziale diversità soggettiva dei giudizi, nonché dell'impossibilità di configurare una sospensione facoltativa cfr. Cass., Sez. 3, 29 marzo 2004, n. 6263 nel medesimo senso, successivamente, Cass., Sez. 3, 23 aprile 2004, n. 7844 22 marzo 2005, n. 6158 21 novembre 2006, n. 24742 Cass., Sez. 1, 15 giugno 2010, n. 14457 v. anche Cass., Sez. 3, 27 novembre 2006. n. 25122, relativa alla sospensione di un giudizio promosso dall'Edera in bonis nei confronti dell'Edera in liquidazione coatta amministrativa e del conduttore per il rilascio d'immobili illegittimamente detenuti a seguito della dichiarazione d'inesistenza . A sostegno di quest'ultimo orientamento si era osservato anche che, in quanto avente ad oggetto uno status , e precisamente quello connesso all'operatività della società nella sua forma ordinaria, la sentenza di accertamento dell'inesistenza del provvedimento di revoca e di messa in stato di liquidazione coatta era destinata ad acquistare efficacia nei confronti dei terzi soltanto per effetto del passaggio in giudicato, determinandosi altrimenti una paralisi nell'attività del commissario liquidatore, impossibilitato ad esercitare la sua funzione gestoria e rappresentativa in pendenza del giudizio si era aggiunto che l'eventuale declaratoria d'inesistenza, pur comportando l'obbligo dell'Amministrazione di ottemperarvi, non avrebbe potuto determinare l'automatico venir meno degli effetti prodotti dai predetti provvedimenti e dagli atti di gestione compiuti dal commissa-rio liquidatore, né l'attribuzione retroattiva della legittimazione agli organi ordinari della società, il cui intervento in giudizio sarebbe pertanto risultato in ogni caso inammissibile si era infine affermato che, in quanto assimilabile alla revoca della dichiarazione di fallimento, la dichiarazione d'inesistenza del provvedimento di messa in liquidazione coatta amministrativa avrebbe giustificato l'applicazione dell'art. 21 della legge fall., che fa salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura, con la conseguente legittimità dell'iniziativa assunta dal commissario liquidatore nell'ambito del giudizio promosso nei confronti del terzo, che a seguito della predetta dichiarazione avrebbe potuto essere proseguito dagli organi rappresentativi ordinari della società cfr. Cass., Sez. 3, 3 ottobre 2005, nn. 19293 e 19294 25 luglio 2006, nn. 16934 e 16935 8 febbraio 2007, n. 2743 . La qualificazione della sentenza dichiarativa dell'inesistenza come provvedimento modificativo di status fu messa in discussione dalle successive sentenze del 19 ottobre 2006, nn. 22492 e 22493 riguardanti rispettivamente un giudizio di risarcimento dei danni promosso dall'Edera in bonis nei confronti di una società conduttrice di un immobile di sua proprietà, e nel quale era intervenuto il commissario liquidatore, e l'opposizione proposta da un debitore avverso il precetto intimatogli dal commissario liquidatore per il rimborso di un mutuo concesso dalla società in bonis , le quali ravvisarono nel provvedimento di revoca dell'autorizzazione e di messa in liquidazione coatta un atto autoritativo di natura sanzionatoria, riconducibile ai poteri di vigilanza, controllo e repressione spettanti al Ministero dell'industria ed all'ISVAP nei confronti delle imprese assicuratrici, e la cui incidenza sulla libertà d'iniziativa economica privata postula una verifica dei presupposti necessari per l'esercizio di tale potere. Nel riconoscere che tale verifica poteva aver luogo anche in via incidentale, ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, le predette sentenze affermarono che essa non escludeva la materiale sussistenza del provvedimento, fino a quando non fosse stato ritirato dall'autorità che lo aveva posto in essere, né contrastava con l'art. 21 della legge fall., in quanto la liquidazione coatta amministrativa comporta la sostituzione nella gestione solo di una parte dei rapporti patrimoniali dell'impresa in bonis , e segnatamente di quelli indicati dall'art. 207 della legge fall., inerenti alla liquidazione del passivo, in riferimento ai quali la realtà fenomenica determinata dalla sottoposizione alla procedura concorsuale e dalla consegna dei beni al commissario liquidatore impone il riconoscimento della sua legittimazione processuale passiva, quale effetto eccezionale del provvedimento inesistente restava invece riservata all'impresa in bonis la legittimazione attiva, non ricorrendo, nei confronti del commissario liquidatore, i presupposti di essenzialità ed indifferibilità dell'esercizio della funzione e l'esigenza di tutela dell'affidamento dei terzi che rendono applicabili i principi di diritto amministrativo relativi alla figura del funzionario di fatto. 3.2. — Le disarmonie in tal modo manifestatesi nella giurisprudenza di legittimità sono state ricomposte dalle Sezioni Unite con sentenza del 24 dicembre 2009, n. 27346 relativa al giudizio di risarcimento dei danni promosso dall'Edera in bonis nei confronti della società incaricata della certificazione del bilancio, e nel quale erano intervenuti uno dei soci ed il commissario liquidatore , la quale ha innanzitutto escluso che sulla questione riguardante l'inesistenza dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione e messa in stato di liquidazione della società si fosse formato un giudicato ha infatti confermato che la vincolatività della sentenza n. 4 del 1999 era limitata agli accertamenti di fatto strumentali ed indispensabili per la qualificazione del rapporto ai fini della pronuncia sulla giurisdizione, rilevando inoltre che le sentenze nn. 22492 e 22493 del 2006, pronunciate nei confronti di soggetti parzialmente diversi ed in ordine a domande caratterizzate da differenti petita e causae petendi , avevano dichiarato il difetto di legittimazione del commissario liquidatore all'esito di un accertamento meramente incidentale. Premesso infine che la sentenza n. 15721 del 2005, pur essendo stata pronunciata tra le parti direttamente interessate alla dichiarazione dell'inesistenza, si era limitata a cassare con rinvio la sentenza di merito che aveva accertato l'invalidità della rinuncia all'autorizzazione, ha precisato che soltanto il giudicato che si sarebbe formato in tale giudizio sarebbe risultato idoneo a statuire sull'esistenza o l'inesistenza dei predetti provvedimenti, con tutti gli effetti consequenziali. Tanto premesso, le Sezioni Unite hanno affermato che l'apertura della liquidazione coatta amministrativa costituisce un fatto giuridico di per sé idoneo a radicare la legittimazione processuale, attiva e passiva, del commissario liquidatore in relazione ai rapporti giuridici che ne formano oggetto, a prescindere dai vizi che inficiano tale provvedimento, finché alla procedura non venga posto termine a seguito di un provvedimento giurisdizionale a ciò idoneo a sostegno di tale affermazione, hanno richiamato il principio di conservazione degli atti legalmente compiuti nell'ambito della procedura concorsuale, desumibile dall'art. 21 della legge fall, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, ed ora riprodotto nel vigente art. 18 , osservando che le esigenze di certezza ad esso sottese, comuni anche alle altre procedure concorsuali cfr. per l'amministrazione straordinaria gli artt. 10, comma secondo, e 33 del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 e l'art. 4 del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, conv. nella legge 18 febbraio 2004, n. 39 , ne giustificano l'applicazione, in quanto compatibile, anche alla liquidazione coatta amministrativa, con la conseguente necessità di riconoscere efficacia ex mine alla cessazione della capacità e della legittimazione processuale del commissario liquidatore derivante dal passaggio in giudicato della sentenza che, accertando l'inesistenza giuridica del provvedimento di apertura della procedura, ne impedisce la prosecuzione. Tale principio ha trovato uniforme applicazione nella giurisprudenza successiva di questa Corte, la quale ha costantemente subordinato il venir meno della legittimazione del commissario liquidatore al sopraggiungere di una sentenza che, pronunciando tra le parti direttamente interessate, accertasse l'inesistenza giuridica dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione e di messa in stato di liquidazione della società. In quest'ottica, con sentenza del 21 novembre 2008, n. 27777 è stato escluso che l'eventuale dichiarazione d'illegittimità dell'intera procedura potesse determinare retroattivamente l'invalidità del bilancio predisposto dal commissario liquidatore. Con ordinanza del 2010, n. 22693, è stato rigettato il regolamento di competenza proposto avverso l'ordinanza con cui era stata disposta, in attesa della definizione del giudizio avente ad oggetto la dichiarazione d'inesistenza, la sospensione del giudizio di opposizione promosso dall'Edera in bonis e dai soci avverso la dichiarazione dello stato d'insolvenza. Con sentenza del 30 marzo 2012, n. 5166, è stato confermato il rigetto dell'opposizione proposta dai soci dell'Edera avverso il precetto con cui il commissario liquidatore aveva intimato il pagamento di somme dovute a titolo di spese processuali, osservandosi che il successivo venir meno del potere di rappresentanza della società in capo all'intimante non avrebbe potuto inficiare la validità del titolo esecutivo, essendo stato il precetto intimato da chi in quel momento esercitava la funzione di commissario liquidatore della società in favore della quale il titolo era stato emesso. Con sentenza del 26 luglio 2012, n. 13190, è stata cassata la sentenza di merito che aveva accolto l'opposizione proposta da alcuni debitori avverso l'esecuzione promossa dal commissario liquidatore per il recupero di un mutuo concesso dall'Edera in bonis , affermandosi che il pignoramento era stato validamente notificato da chi all'epoca, esercitando la funzione di commissario liquidatore della società creditrice, era investito dei relativi poteri rappresentativi, sostanziali e processuali, e quindi della correlata legittimazione processuale. Con sentenza del 17 maggio 2013, n. 12070, è stata riconosciuta la legittimazione del commissario liquidatore a proporre, in qualità di litisconsorte necessario pretermesso, opposizione di terzo avverso la sentenza che, ad istanza dell'Edera in bonis , aveva dichiarato l'inesistenza dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione e di messa in liquidazione coatta amministrativa della società. La sentenza del 2 agosto 2013, n. 18549, emessa a conclusione del giudizio in cui era stata pronunciata la sentenza n. 1810 del 2003, ha poi riconosciuto la legittimazione del commissario liquidatore ad intervenire nel giudizio promosso dal presidente e dall'amministratore delegato dell'Edera in bonis per il risarcimento dei danni sofferti in proprio a causa della revoca dell'autorizzazione e della messa in liquidazione coatta amministrativa della società, in considerazione della connessione esistente tra l'accertamento dell'inesistenza di tali provvedimenti e la validità della procedura e della nomina del commissario stesso. Con la medesima sentenza, è stato rigettato il ricorso per cassazione proposto dal presidente e dall'amministratore delegato dell'Edera in bonis avverso il rigetto della domanda di risarcimento dei danni da loro avanzata, motivato dal giudice di merito con la duplice affermazione che la rinuncia all'autorizzazione non aveva fatto venir meno le funzioni di vigilanza spettanti all'ISVAP, e quindi il potere di disporre la revoca e la messa in liquidazione coatta della società, e che gli amministratori non avevano interesse ad agire per la declaratoria d'inesistenza dell'atto con cui era stato loro comunicato il diniego della dichiarazione di decadenza dall'autorizzazione, essendo rimasto quest'ultimo assorbito dal successivo provvedimento di revoca nel riconoscere l'interesse degli attori a far valere l'inesistenza dei provvedimenti di revoca e messa in liquidazione coatta della società, a fondamento della pretesa da loro avanzata in proprio, questa Corte ha tuttavia precisato che, proprio in virtù dell'esclusivo collegamento con detta pretesa, rispetto alla quale rivestiva carattere pregiudiziale, l'accertamento di tale inesistenza doveva intendersi richiesto in via incidentale, non essendo il predetto interesse sufficiente a giustificare un accertamento in via principale. 3.3. — Nel frattempo, peraltro, è giunto a conclusione il giudizio risarcitorio originariamente promosso dai soci dell'Edera, nell'ambito del quale erano state pronunciate le citate sentenze n. 4 del 1999 e n. 15721 del 2005 con sentenza del 25 febbraio 2011, n. 4690, questa Corte ha infatti accolto il ricorso proposto dal Ministero per lo sviluppo economico già Ministero dell'industria e dal commissario liquidatore avverso la sentenza emessa il 16 maggio 2008, con cui la Corte d'Appello di Roma, pronunciando quale giudice di rinvio, aveva rigettato la domanda avanzata nei confronti dell'ISVAP ed accolto quella proposta nei confronti del Ministero, dichiarando inesistente il provvedimento di messa in liquidazione coatta amministrativa dell'Edera e condannando il Ministero al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio. In particolare, per quanto rileva in questa sede, sono state disattese le censure riflettenti l'erronea declaratoria d'inesistenza del predetto provvedimento, per invalidità o inefficacia della delibera di rinuncia all'autorizzazione ad esercitare l'attività assicurativa, mentre sono state accolte quelle riguardanti la configurabilità di un danno risarcibile è stata pertanto disposta la cassazione della sentenza impugnata, nella parte recante la condanna generica del Ministero, e la causa è stata decisa nel merito, con il rigetto della domanda di risarcimento avanzata dagli attori. Conformemente alle indicazioni risultanti dalla sentenza n. 27346 del 2009, la citata sentenza n. 13190 del 2012 ha ritenuto che per effetto della predetta decisione si sia formato il giudicato in ordine all'inesistenza giuridica dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa e di messa in liquidazione coatta amministrativa della società, e l'ha opportunamente presa in esame ai fini della decisione in ordine alla legittimazione ad agire del commissario liquidatore, escludendone tuttavia la rilevanza nel caso concreto si trattava, come si è detto, dell'opposizione all'esecuzione promossa dal commissario per il recupero di un mutuo , in ragione della ritenuta irretroattività della cessazione dei poteri rappresentativi di tale organo e della possibilità che l'azione esecutiva da esso intrapresa fosse proseguita dalla società, ormai tornata in bonis . La rilevanza del giudicato è stata esclusa anche dalla sentenza n. 12070 del 2013, che ai fini del riconoscimento della legittimazione a contraddire del commissario liquidatore ha peraltro fatto leva su un diverso argomento, ripreso dalla stessa sentenza n. 4690 del 2011, e precisamente sul rilievo che la negazione di detta legittimazione, costituendo un posterius rispetto all'accertamento dell'inesistenza della procedura, avrebbe comportato un'inversione dell'ordine logico-giuridico delle questioni trattate. L'efficacia del giudicato ha trovato invece riconoscimento nella sentenza emessa il 25 luglio 2013, n. 18081, con la quale è stata dichiarata inammissibile l'impugnazione della sentenza di rigetto dell'opposizione proposta dal conduttore di un immobile di proprietà dell'Edera avverso il precetto di rilascio intimatogli dal commissario liquidatore, in quanto la legittimazione sostanziale e processuale di quest'ultimo era venuta meno anteriormente alla notificazione del ricorso per cassazione. L'irretroattività della declaratoria d'inesistenza ha infine condotto ad escludere la rilevanza del giudicato nel caso preso in esame dalla sentenza dell'8 agosto 2013, n. 19017, riguardante l'opposizione proposta dal conduttore di un immobile di proprietà dell'Edera avverso un decreto ingiuntivo ottenuto dal commissario liquidatore per il pagamento di canoni insoluti, essendosi rilevato che la legittimazione del commissario era venuta meno soltanto nel corso del giudizio di legittimità, caratterizzato dall'impulso officioso ed immune da eventi interruttivi. 4. — Così delineato l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, nella fisionomia che è venuto assumendo soprattutto a seguito delle precisazioni compiute dalla sentenza n. 27346 del 2009, si osserva che la coerenza delle conclusioni cui questa Corte è pervenuta fa apparire non meritevole di accoglimento la richiesta, formulata dalla difesa del commissario liquidatore nella memoria depositata ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ., di rimessione della causa al Primo Presidente, perché ne disponga l'assegnazione alle Sezioni Unite, ai fini della risoluzione di un supposto contrasto di giurisprudenza. Come si evince dalla rassegna che precede, nella risoluzione delle questioni sottoposte al suo esame, questa Corte si è costantemente attenuta al principio, enunciato nella sentenza n. 27346 cit, secondo cui la legittimazione sostanziale e processuale del commissario liquidatore può essere esclusa soltanto per effetto dell'accertamento in via principale dell'avvenuta emissione in carenza di potere dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa e di messa in liquidazione coatta amministrativa della società tale accertamento deve risultare da una sentenza passata in giudicato, la quale, traducendosi nell'affermazione dell'inesistenza giuridica della procedura concorsuale, comporta la cessazione dei poteri rappresentativi e gestionali spettanti al commissario, senza peraltro che il venir meno della legittimazione di quest'ultimo implichi l'inesistenza degli atti legalmente compiuti nell'ambito della procedura e nei rapporti con i terzi, operando la predetta declaratoria con efficacia ex nunc . L'uniformità di tale indirizzo non è smentita dalla diversità degli esiti cui la Corte è di volta in volta pervenuta, trovando la stessa giustificazione nelle caratteristiche specifiche delle fattispecie esaminate, e nella conseguente necessità di contemperare il predetto principio con l'applicazione di altre norme di diritto sostanziale e processuale operanti in riferimento al singolo caso, principalmente con il principio secondo cui l'accertamento della legitimatio ad processum , ai fini della validità degli atti posti in essere dalle parti, dev'essere effettuato in riferimento alla data di compimento dell'atto, mentre quello della legitimatio ad causam , in quanto riguardante una delle condizioni dell'azione, deve aver luogo con riguardo alla data della decisione. Merita pertanto di essere ribadito quanto già affermato nel decreto del 7 febbraio 2013, trascritto nella memoria della controricorrente, con cui il Presidente Aggiunto ha rigettato un'analoga istanza di rimessione alle Sezioni Unite proposta con riferimento ad altri ricorsi riguardanti la stessa vicenda non riscontrandosi alcun contrasto tra le precedenti pronunce emesse in argomento, la rimessione alle Sezioni Unite troverebbe giustificazione unicamente nella pendenza di una molteplicità di giudizi tra le medesime parti, la quale non può essere tuttavia considerata di per sé sufficiente ai fini della qualificazione delle problematiche trattate come questioni di massima di particolare importanza ” la particolare vocazione nomofilattica delle Sezioni Unite presuppone infatti che le questioni ad esse sottoposte rendano necessaria una riflessione su problematiche giuridiche esorbitanti dal caso concreto, e la cui soluzione risulti pertanto idonea ad assumere una valenza di principio generale. 5. — Alla stregua delle precisazioni compiute dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 27346 del 2009, non può trovare peraltro accoglimento neppure la tesi sostenuta dalla difesa della ricorrente, secondo cui il carattere definitivo dell'accertamento relativo all'inesistenza giuridica dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione e di messa in liquidazione coatta, compiuto nell'ambito dei giudizi in cui sono state pronunciate le sentenze nn. 22492 e 22493 del 2006, comporterebbe la formazione del giudicato in ordine alla sussistenza della legittimazione attiva dell'Edera in bonis ed alla corrispondente esclusione di quella del commissario liquidatore, che non potrebbero dunque costituire oggetto di ulteriori contestazioni. Indipendentemente dal diverso ambito soggettivo del presente giudizio, il quale risulta promosso nei confronti del D. in proprio, laddove quelli che hanno condotto alla pronuncia delle predette sentenze si sono svolti con la partecipazione dello stesso in qualità di legale rappresentante della società posta in liquidazione coatta amministrativa, e quindi nei confronti di quest'ultima, appare decisivo il rilievo che l'accertamento dell'inesistenza dei predetti provvedimenti compiuto nei precedenti giudizi non può fare stato al di fuori degli stessi, avendo avuto luogo in via meramente incidentale, ed ai soli fini della verifica della legittimazione delle parti con riguardo alle domande specificamente proposte in quelle sedi. La diversità di tali domande rispetto a quella in esame risulta poi evidente se solo si considera che la sentenza n. 22492 aveva ad oggetto il risarcimento preteso dall'Edera in bonis nei confronti del conduttore di un immobile di sua proprietà per il danneggiamento conseguente ad incuria ed abbandono e la sentenza n. 22493 riguardava l'opposizione al precetto intimato dall'Edera in liquidazione coatta amministrativa per il recupero di una somma concessa in mutuo ad un terzo dalla società in bonis , mentre il presente giudizio ha ad oggetto la responsabilità del commissario liquidatore per i danni asseritamente cagionati alla società nella gestione della procedura. Quanto alle sentenze emesse nell'ambito del giudizio di risarcimento dei danni promosso dai soci dell'Edera nei confronti del Ministero dell'industria e dell'ISVAP, è appena il caso di ribadire quanto affermato nelle sentenze n. 15721 del 2005 e n. 27346 del 2009, e cioè che il vincolo derivante dalla sentenza n. 4 del 1999, con cui fu riconosciuta la giurisdizione del giudice ordinario, in quanto limitato alla verifica dei fatti strettamente indispensabili per la qualificazione del rapporto ai fini dell'individuazione del giudice avente giurisdizione sulla domanda, non si estende oltre l'accertamento della sussistenza materiale della delibera di rinuncia all'autorizzazione e l'anteriorità della stessa rispetto al provvedimento di revoca, restando pertanto impregiudicata ogni questione relativa alla validità ed all'efficacia della predetta delibera. La portata della sentenza n. 15721 cit. dev'essere a sua volta circoscritta al riconoscimento della legittimazione dei soci dell'Edera a far valere l'illiceità del comportamento della Pubblica Amministrazione, in quanto tale da incidere sul mantenimento in vita della società e sulla loro qualità di soci, ovvero da comportare un depauperamento del patrimonio sociale suscettibile di risolversi nella diminuzione dei loro diritti di partecipazione. A ciò va aggiunta l'enunciazione del principio di diritto secondo cui, nell'ambito dell'autonoma disciplina dettata per l'invalidità delle delibere dell'assemblea delle società per azioni, la nullità è limitata ai casi di impossibilità ed illiceità dell'oggetto, previsti dall'art. 2379 cod. civ. e ravvisabili ogni qualvolta il contenuto della deliberazione contrasti con norme dettate a tutela d'interessi generali, e non può quindi essere dichiarata per illiceità dei motivi, la quale va invece ricondotta alla categoria dell'annullabilità disciplinata dall'art. 2377 cod. civ., comprendente ogni altra inosservanza delle norme inderogabili attinenti al procedimento di formazione della volontà dell'assemblea all'esito di tale pronuncia, con la quale fu cassata la sentenza di appello che aveva dichiarato la nullità della delibera di rinuncia, escludendone l'idoneità a determinare la decadenza dall'autorizzazione, restava pertanto devoluta al giudice di rinvio, sia pure nei limiti indicati dal principio di diritto enunciato da questa Corte, la verifica della validità della rinuncia, dalla quale dipendeva l'accertamento dell'avvenuta emissione in carenza di potere dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione e di messa in stato di liquidazione coatta della società. Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa della controricorrente, tale accertamento non poteva ritenersi precluso dalla sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio n. 1435/08 divenuta definitiva a seguito dell'estinzione del giudizio di appello per rinuncia, dichiarata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 1879/03 , con cui era stato rigettato il ricorso proposto dall'Edera in bonis per l'annullamento dei predetti provvedimenti, dovendo richiamarsi, al riguardo, quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 15721 del 2005, secondo cui il giudicato amministrativo copre i soli vizi di legittimità dedotti o deducibili dinanzi al Giudice amministrativo, e non anche l'inesistenza dei provvedimenti conseguente alla carenza di potere dell'autorità emanante, il cui accertamento è devoluto alla giurisdizione del Giudice ordinario. Correttamente, pertanto, la sentenza impugnata aveva escluso la possibilità di riconoscere la legittimazione dell'Edera in bonis sulla base del giudicato asseritamente formatosi in ordine alla validità della rinuncia all'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa ed alla conseguente inesistenza dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione e di messa in liquidazione coatta della società, dando atto che nessuna pronuncia definitiva di merito, neppure tra soggetti diversi dalle parti del presente giudizio, era stata emessa sulla specifica questione. 6. — Nelle more del giudizio di legittimità, peraltro, con sentenza del 16 maggio 2008, la Corte d'Appello di Roma, pronunciando in sede di rinvio a seguito della sentenza n. 15721 del 2005 di questa Corte, ha escluso la nullità della delibera con cui l'assemblea della società aveva rinunciato all'autorizzazione, ed ha conseguentemente confermato la dichiarazione d'inesistenza dei provvedimenti adottati dal Ministero, accogliendo la domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti di quest'ultimo. Il ricorso per cassazione proposto dal Ministero avverso tale decisione, come si è detto, è stato accolto da questa Corte, con la sentenza n. 4690 del 2011, soltanto nella parte riguardante la configurabilità di un danno risarcibile, mentre sono state rigettate le censure sollevate dal ricorrente in ordine alla validità ed all'efficacia della delibera, la quale deve pertanto ritenersi ormai definitivamente accertata, con tutte le conseguenze che la Corte di merito ne ha tratte in ordine al potere del Ministero di disporre la revoca dell'autorizzazione e la messa in liquidazione coatta della società. È pur vero che, nell'escludere la potenzialità dannosa del comportamento ascritto all'Amministrazione, la sentenza n. 15721 cit. ha precisato che nella specie la carenza di potere era dipesa dal mancato rispetto della norma procedurale di cui all'art. 65, comma terzo del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 175, e non già dal venir meno in radice del potere di vigilanza del Ministero, al quale sarebbe stato consentito di promuovere autonomamente la liquidazione coatta amministrativa dell'impresa, indipendentemente dalla revoca dell'autorizzazione, in considerazione delle irregolarità gestionali contestate dall'ISVAP all'Edera in sede d'ispezione. A tale affermazione, volta unicamente a dimostrare l'ineluttabilità dell'assoggettamento alla procedura concorsuale, ai fini dell'esclusione del nesso causale tra il fatto illecito e le conseguenze dannose lamentate dagli attori, non può tuttavia attribuirsi l'effetto di negare l'accertamento compiuto dalla Corte di merito in ordine all'inesistenza del provvedimento di revoca dell'autorizzazione, la cui contestazione, sotto il profilo del contrasto tra l'art. 65 del d.lgs. n. 175 cit. e la direttiva n. 92/49/CE, è stata d'altronde ritenuta sostanzialmente assorbita da questa Corte, proprio in ragione dell'avvenuto rigetto della domanda risarcitoria. Non può condividersi, in proposito, l'affermazione della controricorrente, secondo cui il predetto accertamento non potrebbe spiegare efficacia di giudicato in questa sede, essendo stato effettuato in via meramente incidentale nei confronti di soggetti parzialmente differenti da quelli tra cui verte il presente giudizio ed in riferimento ad una domanda caratterizzata da un petitum e da una causa petendi diversi da quelli della domanda in esame. Nell'escludere l'idoneità al giudicato dell'accertamento risultante dalle sentenze fino ad allora pronunciate, la sentenza n. 27346 del 2009 ha distinto chiaramente tra l'accertamento dalle stesse compiuto, che, in quanto finalizzato esclusivamente alla verifica della legittimazione del commissario liquidatore nell'ambito di giudizi promossi da o nei confronti di soggetti diversi ed aventi ad oggetto domande caratterizzate da differenti petita e causae petendi , aveva carattere meramente incidentale, e quello da compiersi nell'ambito del giudizio vertente tra L'Edera in bonis ed il Ministero con l'intervento del commissario liquidatore. Quest'ultimo, in quanto effettuato in un giudizio a-vente come parti l'Amministrazione dalla quale provenivano i provvedimenti e la società destinataria degli stessi e come oggetto specifico l'adozione dei medesimi provvedimenti in carenza di potere, che costituiva la causa petendi della domanda di risarcimento avanzata dalla società in bonis , ha carattere principale, e proprio per tale motivo la sentenza n. 27346 cit. vi ha attribuito l'idoneità a statuire con autorità di giudicato sull'esistenza o inesistenza giuridica dei quei provvedimenti, con tutti gli effetti consequenziali correlativi. Tale distinzione risulta sostanzialmente conforme al quadro dei poteri riconosciuti al Giudice ordinario nelle controversie in cui è parte la Pubblica Amministrazione, alla luce dei criteri di riparto della giurisdizione sviluppatisi a partire dall'istituzione di un Giudice amministrativo competente a conoscere, con effetti costitutivi, della legittimità degli atti amministrativi lesivi d'interessi legittimi l'affermarsi del criterio che riserva al Giudice ordinario la giurisdizione in ordine alle controversie in cui si faccia questione di carenza di potere, contestandosi in radice l'esistenza del potere stesso o denunciandosene l'avvenuto esercizio al di fuori dei limiti o in assenza dei presupposti che ne legittimano l'impiego, limita l'ambito della cognizione incidentale di detto Giudice ai casi, previsti dall'art. 5 della legge n. 2248 del 1865, all. E, in cui si tratti di decidere, senza efficacia di giudicato, una questione estranea all'oggetto del giudizio, ma avente carattere pregiudiziale, escludendone invece la configurabilità nell'ipotesi, prevista dall'art. 4 della medesima legge, in cui l'oggetto del giudizio sia costituito proprio dalla lesione del diritto. Irrilevante, a tal fine, è la circostanza che anche in quest'ipotesi il Giudice ordinario debba limitarsi a conoscere degli effetti dell'atto amministrativo, essendogli sottratto, a garanzia dell'autonomia della funzione amministrativa da quella giudiziaria, il potere di revocarlo o modificarlo l'inesistenza giuridica dell'atto, rendendolo inidoneo a spiegare i suoi effetti tipici, esclude infatti che possa parlarsi di disapplicazione in senso proprio, configurabile soltanto in riferimento all'ipotesi prevista dall'art. 5 cit., in cui l'accantonamento dell'atto ai fini della decisione della controversia non ne impedisce l'operatività ad ogni altro effetto. Per lo stesso motivo, pur in mancanza di una pronuncia costitutiva che comporti la rimozione dell'atto, al giudicato formatosi in ordine alla sua inesistenza giuridica deve riconoscersi un'efficacia che trascende l'ambito soggettivo del giudizio nel quale ha avuto luogo il relativo accertamento, risultando pertanto superfluo, a tal fine, il richiamo della difesa della ricorrente alla categoria dell'indivisibilità degli effetti, che, in quanto riferibile ad atti rivolti ad una pluralità di soggetti, mal si attaglia a provvedimenti come quelli in esame, aventi come unica destinataria la società privata dell'autorizzazione e posta in liquidazione coatta amministrativa. Quanto poi alla rilevanza del predetto accertamento nel giudizio in esame, è sufficiente richiamare l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'esistenza del giudicato esterno è rilevabile d'ufficio in sede di legittimità, al pari di quella del giudicato interno, non solo quando emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell'ipotesi in cui, come nella specie, esso si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. Si tratta infatti di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem , corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità, collegata all'attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, i quali escludono la legittimità di soluzioni interpretative volte a conferire rilievo a formalismi non giustificati da effettive e concrete garanzie difensive, non trova ostacolo nel divieto posto dall'art. 372 cod. proc. civ., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato questi ultimi, d'altronde, comprovando la sopravvenuta formazione di una regula juris alla quale il giudice ha il dovere di conformarsi in relazione al caso concreto, attengono ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l'ammissibilità del ricorso. La produzione di tali documenti può quindi aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l'impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all'udienza di discussione prima dell'inizio della relazione cfr. ex plurimis, Cass., sez. Un., 16 giugno 2006, n. 13916 Cass., Sez. I, 23 dicembre 2010, n. 26041 Cass., Sez. 3, 5 marzo 2009, n. 5360 . 7. — Il riconoscimento dell'efficacia del giudicato formatosi in ordine all'avvenuta emissione in carenza di potere dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività assicurativa e di messa in stato di liquidazione coatta amministrativa dell'Edera, traducendosi nell'accertamento definitivo dell'inesistenza giuridica della procedura concorsuale, impone nella specie l'accoglimento delle censure proposte dalla ricorrente avverso la dichiarazione del difetto di legittimazione degli organi della società in bonis . Il venir meno dei poteri amministrativi e gestionali del commissario liquidatore comporta infatti la reviviscenza delle funzioni spettanti agli organi ordinari della società, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la circostanza, evidenziata dalla Corte di merito, che la domanda proposta dall'attrice abbia ad oggetto l'accertamento della responsabilità dello stesso commissario per l'inadempimento degli obblighi inerenti alle funzioni svolte, la cui subordinazione alla chiusura della procedura concorsuale o alla revoca del commissario non ne esclude la proponibilità nel caso in cui, come nella specie, quest'ultimo non possa continuare a svolgere le proprie funzioni, a causa dell'improseguibilità della procedura. Tanto meno può considerarsi ostativa alla proposizione della domanda la mancata presentazione del rendiconto, la cui discussione, non necessariamente limitata alla verifica di eventuali omissioni, errori materiali o improprietà dei criteri di conteggio adottati, pur rappresentando la sede naturale per far valere la responsabilità del commissario, non costituisce tuttavia la sede esclusiva di tale azione, avuto riguardo alla scindibilità del controllo più propriamente contabile da quello gestionale cfr. Cass., Sez. 1, 8 settembre 2011, n. 18438 . 8. — L'efficacia irretroattiva dell'accertamento relativo all'inesistenza giuridica dei provvedimenti di revoca dell'autorizzazione e di messa in liquidazione coatta della società, comportando il venir meno della legittimazione processuale del commissario liquidatore con decorrenza dal passaggio in giudicato della relativa sentenza, esclude poi l'inammissibilità dell'intervento dallo stesso spiegato in rappresentanza della liquidazione coatta. Tale evento, ove si fosse verificato nel corso delle precedenti fasi di merito, avrebbe potuto infatti giustificare la dichiarazione d'interruzione del giudizio, ai sensi dell'art. 300 cod. proc. civ., mentre nessun rilievo può assumere nella presente fase, che, in quanto caratterizzata dall'impulso ufficioso, resta insensibile agli eventi incidenti sulla capacità e la legittimazione delle parti. L'ammissibilità dell'intervento deve peraltro essere ribadita anche sotto il profilo dell'interesse ad agire, la cui sussistenza va ricollegata all'oggetto dell'accertamento incidentale sollecitato dall'attrice, che, in quanto riguardante l'esistenza giuridica dei provvedimenti posti a fondamento della liquidazione coatta e la conseguente legittimità delle funzioni svolte dal commissario liquidatore, era inevitabilmente destinato a ripercuotersi sull'ulteriore svolgimento della procedura. 9. — Il primo motivo di ricorso va pertanto accolto ed il terzo va rigettato, restando invece assorbiti il secondo ed il quarto motivo, con cui la ricorrente ha dedotto l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, nonché la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., lamentando l'immotivato rigetto dell'istanza di esibizione della documentazione relativa ai compensi erogati ai dipendenti, da essa proposta ai fini della prova del danno risarcibile, e l'ingiustificata condanna al pagamento della totalità delle spese processuali. 10. — La sentenza impugnata va dunque cassata, nei limiti segnati dal motivo accolto, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d'Appello di Roma, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, dichiara assorbiti il terzo ed il quarto, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di Appello di Roma, anche per la liquidazione delle spese processuali.