Il creditore può presentare istanza di ammissione al passivo fallimentare

Il silenzio opposto dal commissario liquidatore avverso un'istanza di ammissione allo stato passivo, legittima l'opposizione allo stesso.

Nella procedura di liquidazione coatta amministrativa, ove il commissario liquidatore non si sia pronunciato sull'istanza di insinuazione al passivo o l'abbia esclusa in tutto o in parte, il creditore è legittimato a proporre impugnazione avverso lo stato passivo. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 25301 dell’11 novembre 2013. Il caso . Una S.p.a. era in liquidazione coatta amministrativa. Un creditore depositava istanza di ammissione al passivo fallimentare che, però, non veniva esaminata dal commissario liquidatore, quindi, veniva tacitamente esclusa dallo stato passivo. Il creditore si opponeva. Il tribunale dichiarava inammissibile detta opposizione. La corte d'appello, confermando fattivamente l'esclusione, statuiva che, nella procedura di liquidazione coatta amministrativa, lo stato passivo corrisponde ad un accertamento amministrativo delle passività eseguito sulla base delle scritture contabili. In tale fase, il creditore può formulare osservazioni e/o depositare istanze, mentre, il liquidatore non è tenuto a rispondere, sicché, a parere della corte territoriale, il silenzio del commissario liquidatore non implica automaticamente il rigetto dell'istanza di ammissione al passivo dunque non è possibile formulare opposizione avverso lo stesso stato passivo e il creditore escluso, può sempre formulare una istanza tardiva di ammissione al passivo. Il creditore escluso ha proposto ricorso per cassazione. La Cassazione ha accolto il ricorso osservando quanto appresso. Liquidazione coatta amministrativa e L. n. 241/1990. La S.C. ha chiarito che la legge fallimentare è speciale e prevale sulla L. n. 241/1990 che regolamenta il procedimento amministrativo. Per l'effetto, il provvedimento con cui si ammette o rigetta un'istanza di ammissione al passivo fallimentare art. 209 L.F. non deve essere obbligatoriamente motivato. Tuttavia, il provvedimento di ammissione o di esclusione è cosa diversa dal silenzio. Pertanto il silenzio opposto dal commissario liquidatore non è previsto dalla legge che, invece, disegna un percorso normativo che tende a preferire la espressa decisione del p.u. In tal senso, la S.C., ha rilevato le modifiche operate con il D.L. n. 179/2012 prevedono l'obbligo del creditore che deposita una istanza di indicare un recapito mail cui il liquidatore invierà le comunicazioni. Anche in questo caso non è previsto l'obbligo di inviare una risposta ma essa pare la naturale prosecuzione dell'istanza. Se non v'è risposta all'istanza di insinuazione quale tutela esiste per il creditore. Osservano i giudici di legittimità che è corretto l'orientamento secondo il quale la mancata inclusione del credito nello stato passivo non comporta la certa ed automatica esclusione dello stesso, essendo, invece, possibile una istanza tardiva di insinuazione. Tuttavia, tale regola non può essere applicata in modo generico ed esteso, infatti, occorre distinguere due ipotesi quella in cui non sia stata formulata istanza di insinuazione al passivo da quella in cui il commissario liquidatore abbia escluso o non si sia pronunciato sull'istanza. Nel primo caso, individuato in tutte quelle fattispecie in cui il creditore non ha svolto alcuna attività, il credito non è definitivamente escluso e può proporsi insinuazione tardiva. Nel secondo caso, se il commissario ha rigettato - totalmente o parzialmente - l'istanza, o non si è pronunciato per nulla, l'unico strumento di difesa del creditore è rappresentato dall'opposizione allo stato passivo. Quindi, anche nel caso in cui sia stato opposto il silenzio avverso l'istanza di insinuazione, il creditore è legittimato a proporre opposizione. La S.C. ha chiarito che il creditore è legittimato a formulare opposizione allo stato passivo ogni qual volta abbia partecipato alla formazione dello stesso, anche se il commissario liquidatore non si è pronunciato sull'istanza, mentre, nella diversa ipotesi in cui non ha partecipato non è legittimato ad impugnare lo stato passivo potendo far valere il suo credito mediante insinuazione tardiva Cass. n. 15102/2001 . Se così non fosse si finirebbe per violare il diritto alla difesa del creditore cui è stato opposto il silenzio. Con questi motivi la S.C. ha cassato la sentenza rinviandola ad altra corte territoriale.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 3 ottobre - 11 novembre 2013, n. 25301 Presidente Salmè – Relatore Di Amato Svolgimento del processo Con sentenza del 24 gennaio 2008 la Corte di appello di Bari, confermava la sentenza in data 4 marzo 2006, con la quale il Tribunale della stessa città aveva ritenuto inammissibile l'opposizione allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa della s.p.a. Breda Fucine Meridionali proposta da G G. per la mancata ammissione del suo credito di lire 391.991.727 sul quale il commissario liquidatore, malgrado la domanda formulata in data 30 ottobre 1996, aveva omesso di pronunziarsi nello stato passivo redatto ai sensi dell'art. 209 L. fall. In particolare, la Corte di appello, citando quale precedente la sentenza di questa Corte n. 15102 del 28 novembre 2001, osservava che 1 nella procedura di liquidazione coatta amministrativa lo stato passivo è il risultato di un accertamento amministrativo svolto dal commissario sulla base delle scritture contabili, pur non essendo esclusa la possibilità per il creditore di avanzare istanze ovvero di presentare osservazioni, se destinatario della comunicazione dell'ammontare del credito risultante dalle scritture contabili e dai documenti dell'impresa 2 da ciò consegue, in assenza di una specifica disposizione che attribuisca un significato al silenzio del commissario , che tale silenzio non può assumere valore legale di esclusione e non consente al creditore di proporre opposizione allo stato passivo, ma solo una insinuazione tardiva ai sensi dell'art. 101 l. fall., richiamato dall'art. 209 l. fall G G. propone ricorso per cassazione, deducendo due motivi. La Nuova Breda Fucine s.p.a., in liquidazione coatta amministrativa, succeduta alla liquidazione coatta amministrativa della s.p.a. Breda Fucine Meridionali a seguito di trasferimento del patrimonio, resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memoria. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 12 d.p.c.c., 98, 99, 101, 208 e 209 l. fall., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., nonché il vizio di motivazione, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., lamentando che erroneamente, in presenza di una richiesta di ammissione al passivo, disattesa implicitamente dal commissario liquidatore, la sentenza impugnata aveva ritenuto l'inammissibilità dell'opposizione allo stato passivo ed aveva conseguentemente rigettato l'appello. Contrariamente a quanto opinato dalla controricorrente liquidazione in sede di memoria ex art. 378 c.p.c., il motivo è ammissibile malgrado l'erroneo riferimento nella sua rubrica all'art. 360 n. 3 c.p.c. anziché al n. 4 dello stesso articolo. Invero, le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza 24 luglio 2013, n. 17931, risolvendo un contrasto insorto in seno alle sezioni semplici, hanno affermato il seguente principio il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall'art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l'esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l'omessa pronuncia, da parte dell'impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell'art. 360 cod. proc. civ., con riguardo all'art. 112 cod. proc. civ., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge”. Tale principio - trasferito al caso in esame, nel quale il motivo, pur rubricato come violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma primo, n. 3, deduce la violazione delle norme processuali relative alla individuazione del mezzo esperibile per la tutela dei diritti vantati - comporta la necessità di avere riguardo a quanto in effetti richiesto dal ricorrente. Sotto tale profilo risulta chiaramente dal tenore del motivo che il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per avere dichiarato l'inammissibilità della sua opposizione e per non avere pronunciato nel merito. Tanto premesso, il motivo è fondato. Si deve anzitutto premettere che sebbene la massima tratta dalla sentenza di questa Corte Cass. 28 novembre 2001, n. 15102 , citata nell'impugnata sentenza, affermi incondizionatamente che la mancata inclusione nel predetto elenco lo stato passivo, ndr non configura un provvedimento implicito di rigetto né comporta l'applicabilità dei rimedi previsti per il caso di omessa pronunzia da parte del giudice, ed il creditore non è tenuto a proporre opposizione a stato passivo, ex art. 98 legge fall., per ottenere l'ammissione al passivo della propria ragione creditoria, ma è legittimato a proporre domanda d'insinuazione tardiva ai sensi dell'art. 101 detta legge”, più articolato è il principio affermato nella predetta decisione. Nella sua motivazione si legge, infatti, che se il commissario ha rifiutato l'ammissione del credito in relazione al quale il creditore ha proposto domanda ovvero ha sollevato osservazioni, evidentemente, il titolare di quella ragione creditoria esclusa in tutto o in parte non potrà che insorgere con il rimedio dell'opposizione, operandosi altrimenti una sorta di preclusione nell'ambito della procedura ma, nei casi, più frequenti, in cui questi non abbia svolto funzione alcuna, neppure meramente partecipativa, nella formazione del passivo, rimanendo ad essa del tutto estraneo ed indifferente, non per ciò solo, la mancata ammissione del suo credito deve essere interpretata come provvedimento di rigetto che lo legittima all'impugnazione anzidetta”. Ciò che, pertanto, condiziona la necessità o meno di una opposizione allo stato passivo è, secondo la citata sentenza, la partecipazione o meno del creditore alla formazione dello stato passivo. Ne consegue che il silenzio del commissario sul credito non assume significato di rigetto soltanto nel caso in cui la relativa pretesa non sia stata avanzata dal creditore con una richiesta di riconoscimento del credito, ai sensi dell'art. 208 l. fall., o con osservazioni o istanze, ai sensi dell'art. 207 l. fall. In questo senso, del resto si è espressa la successiva giurisprudenza di questa Corte, secondo cui al fine di stabilire in concreto quale sia il rimedio di cui dispone il creditore, il cui credito non venga ammesso per intero come nel caso di mancata ammissione degli interessi , occorre verificare se il creditore stesso abbia proposto domanda di ammissione o anche soltanto formulato le sue osservazioni ai sensi dell'art. 207 legge fall. in tal caso, egli non ha altro rimedio che l'opposizione ai sensi dell'art. 98 legge fall., perché il provvedimento di esclusione, assunto anche implicitamente dal commissario, ha valore di rigetto, contro cui, per evitare la preclusione endofallimentare, occorre reagire ai sensi della norma da ultima richiamata” Cass. 19 febbraio 2003, n. 2476 conff. Cass. 20 febbraio 2004, n. 3397 Cass. 14 ottobre 2010, n. 21241 . A tale orientamento deve darsi seguito poiché il silenzio del commissario liquidatore su una richiesta di ammissione al passivo assume il valore di un implicito rigetto, atteso che tale silenzio si colloca in un contesto normativo dal quale discende l'obbligo del commissario di pronunziarsi in questo senso depone, infatti, la funzione di domande, osservazioni e istanze, tese evidentemente ad integrare gli elementi documentali a disposizione della procedura e delle quali, pertanto, il commissario non può non tenere conto, tanto che l'elenco depositato deve comprendere, ai sensi dell'art. 209 l. fall., sia i crediti ammessi che quelli respinti. Nella stessa prospettiva, del resto, si pongono, benché non applicabili ratione temporis, le disposizioni modificative degli artt. 207 e 208 l. fall., dettate dal d.l. n. 179/2012, che prevedono a carico del creditore l'onere di indicare un indirizzo di posta elettronica certificata al quale il commissario deve effettuare le successive comunicazioni. Tali disposizioni, infatti, non innovano quanto all'obbligo di provvedere, ma incidono, presupponendo l'esistenza di tale obbligo, sulle modalità di comunicazione. Ad identiche conclusioni si perviene, infine, alla stregua dei principi generali affermati dalla legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo, la quale all'art. 2, comma primo, prevede che le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concludere il procedimento mediante l'adozione di un provvedimento espresso. In senso contrario non si può invocare il precedente di questa Corte Cass. 3 maggio 2005, n. 9163 secondo cui non si applicano alla liquidazione coatta amministrativa i principi stabiliti dalla legge n. 241/1990 in tema di motivazione, poiché prevale la norma speciale, rappresentata dall'art. 209 l. fall., che non prevede una motivazione a corredo dell'elenco dei crediti ammessi o respinti. L'art. 209 cit., infatti, non prevede in alcun modo il silenzio sulle domande presentate dai creditori né contiene norme incompatibili con la necessità di una decisione espressa ed anzi, come si è detto, si inserisce in un contesto normativo che la richiede. Resta assorbito il secondo subordinato motivo col quale il ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. 98, 99, 101, 209 l. fall., nonché il vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale erroneamente aveva affermato di non potere qualificare la domanda proposta come insinuazione tardiva. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata con rinvio alla Corte di appello di Bari che si atterrà al seguente principio di diritto nella procedura di liquidazione coatta amministrativa la presentazione, da parte del preteso creditore, di domande ai sensi dell'art. 208 l. fall, o di osservazioni o istanze, ai sensi dell'art. 207 l. fall., comporta l'obbligo del commissario liquidatore di provvedere su di esse ne consegue che, nel caso in cui il credito non sia contemplato, in tutto o in parte, nell'elenco dei crediti ammessi o respinti, il silenzio assume il valore di implicito rigetto, contro il quale, per evitare il formarsi di una preclusione, il creditore deve proporre opposizione allo stato passivo”. P.Q.M. accoglie il primo motivo e dichiara assorbito il secondo cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Bari in diversa composizione.