Da intermediario finanziario abusivo a mercante d’arte. Anche l’imprenditore irregolare è soggetto a fallimento nel termine annuale

Al centro dell’attenzione il fallimento di un imprenditore individuale non iscritto nel registro delle imprese, che svolgeva illecitamente, in un primo momento, l’attività di intermediario finanziario ed in seguito l’attività di mercante d’arte.

Sul punto è intervenuta la Prima sezione Civile della Corte di Cassazione, che, con la sentenza n. 25217 dell’8 novembre 2013, conformandosi ad un precedente di legittimità cfr. Cass. 15428/2011 ha richiamato il principio che l'associazione non riconosciuta nella specie, Onlus , la quale, sebbene non iscritta nel registro delle imprese, abbia cessato da oltre un anno l'attività di impresa in precedenza esercitata, non è più soggetta alla dichiarazione di fallimento, in quanto, ai sensi del comma 2 dell'art. 10 l.fall., come modificato dal d.lgs. 12 settembre 2007 n. 169, anche per gli imprenditori mai iscritti nel registro sussiste la possibilità di dimostrare la data di conoscenza da parte dei terzi della effettiva cessazione dell'attività, restando pur sempre necessario, in difetto di forme di pubblicità legale, contemperare l'affidamento dei terzi e la necessità di dare stabilità ai rapporti giuridici e di evitare di lasciare sine die aperta la possibilità di dichiarazione di fallimento di una impresa in realtà cessata. Principio applicabile anche al caso de quo riguardante, appunto, un imprenditore irregolare, al quale deve essere riconosciuta la facoltà di dimostrare la data di conoscenza da parte dei terzi della effettiva cessazione dell’attività. Invero, proprio tale ultima prova è mancata nella concreta fattispecie dal momento che l’imprenditore predetto aveva continuato l’attività imprenditoriale stessa mutando semplicemente l’oggetto, passando da un’attività di intermediario finanziario abusivo ad un’intensa attività di mercante d’opere d’arte. Il fatto. Per comprendere l’importanza della decisione che si annota è opportuno ripercorrere, sia pure brevemente, la vicenda processuale. La Corte di appello di Messina rigettava il reclamo proposto da un imprenditore contro la sentenza che ne aveva dichiarato il fallimento in qualità di intermediario finanziario e di mercante d’arte e dichiarava altresì inammissibile perché tardivo l’intervento spiegato da Tizio, interessato in quanto indagato per concorso in bancarotta fraudolenta con il fallito. In particolare, la corte di merito aveva condiviso la sentenza del tribunale nella parte in cui aveva evidenziato l’irrilevanza della cessazione dell’attività commerciale da parte di un imprenditore individuale non iscritto nel registro delle imprese e, comunque, l’omessa esteriorizzazione della cessazione dell’attività di intermediazione, benché esercitata senza alcuna autorizzazione. Avverso quest’ultima decisione sia l’imprenditore che Tizio attivavano quindi la tutela in legittimità, articolando due distinti ricorsi con rispettivamente quattro e cinque motivi di censura. Gli Ermellini, invero, respingevano in toto entrambi i ricorsi. In particolare quanto alla parte della censura sollevata dal fallito concernente in vizio di motivazione, la stessa è infondata perché la prova richiesta – concernente la cessazione dell’attività di intermediario finanziario abusivo – verteva su fatto non decisivo, posto che i giudici del merito avevano accertato che dai rapporti del Nucleo di Polizia Tributaria di Roma era emerso che dopo il dissequestro da parte del p.m. , vi era stato da parte del predetto imprenditore, non una mera attività di rivendita dei beni per cui vi era stato il dissequestro, ma lo svolgimento di un’intensa attività di mercante d’opere d’arte, assunta con l’acquisto di numerose opere allo scopo di rivenderle. Intervento di qualunque interessato, ex art. 18, comma 9, l.fall. Quanto alla tardività dell’intervento da parte di Tizio, i Supremi giudici precisano che, decorso il termine stabilito per la costituzione delle parti resistenti, nessun intervento di soggetti diversi dalle parti originarie del procedimento può avere luogo, neppure ad adiuvandum , posto che l’art. 105, comma 2, c.p.c. richiede pur sempre un interesse dell’interventore e quello stesso interesse potrebbe legittimare la proposizione del reclamo. Sì che, consentire la costituzione tardiva dell’interveniente adesivo vorrebbe dire rimetterlo in termini per reclamare. La riprova è rintracciabile anche nella Relazione illustrativa del d.lgs. n. 169/2007 la quale spiega che i commi secondo, quinto, sesto, settimo, nono e decimo dell’art. 18 l.fall. disciplinano la fase introduttiva in conformità al procedimento di primo grado, sulla falsariga della disciplina del lavoro. Pertanto, la tardività dell’intervento non è sanabile con l’accettazione del contraddittorio, attesa la rilevanza pubblica degli interessi in vista dei quali è posto il divieto di domande nuove e tale previsione, avendo carattere pubblicistico, è sottratta alla disponibilità dei privati cfr. Cass. 19834/2004 . Effettiva cessazione dell’attività economica momento da cui decorre il termine annuale per la dichiarazione di fallimento . Se da un lato vi è la necessità di tutelare i creditori a fronte del tentativo del debitore di evitare il fallimento cessando l’attività d’impresa, dall’altro vi è la necessità della certezza dei rapporti giuridici, che impone che il fallimento possa venire dichiarato solo entro certi limiti temporali ben definiti. Una sintesi tra questi due opposti interessi è data dall’art. 10 l.fall., secondo il quale gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo. Tuttavia la possibilità di dimostrare che l’effettiva cessazione dell’attività economica, momento da cui decorre il termine annuale per la dichiarazione di fallimento, non corrisponde alla data di avvenuta cancellazione dal registro delle imprese, viene concessa, tramite intervento del legislatore del correttivo d.lgs. n. 169/2007, a favore dei soli creditori e del pubblico ministero, restando quindi preclusa per il debitore. Imprenditore non iscritto nel registro delle imprese è soggetto a fallimento ma non sine die . Per le società ovvero per gli imprenditori individuali non iscritti nel registro delle imprese non viene dettata dal predetto correttivo alcuna specifica disposizione, sicché esse dovrebbero continuare ad essere assoggettate a fallimento senza alcun limite temporale, quale sanzione per la violazione delle norme che impongono l’iscrizione nel registro. Tuttavia tale soluzione appare poco convincente, in quanto dà luogo ad una discriminazione non giustificata. Se ciò che rileva è la cessazione intesa come disgregazione dell’organismo economico allora dovrebbe valere per tutte le imprese lo stesso criterio tant’è che secondo giurisprudenza di legittimità il termine annuale vale anche per le società non iscritte nel registro. In tal caso però, l’anno inizia a decorrere da quando la cessazione dell’attività è stata portata a conoscenza dei terzi con mezzi idonei o comunque sia stata dagli stessi conosciuta. Nel caso che qui ci occupa, invero, l’imprenditore individuale svolge dapprima l’esercizio abusivo di un’attività di intermediario finanziario per poi intraprendere un’attività di mercante d’arte. L’attività imprenditoriale, dunque, non era cessata ma, semmai, aveva mutato oggetto e pertanto non poteva andare esente da fallimento.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 2 ottobre - 8 novembre 2013, n. 25217 Presidente Carnevale – Relatore Didone Ritenuto in fatto e in diritto 1.- Con la sentenza impugnata depositata il 28 luglio 2011 la Corte di appello di Messina ha rigettato il reclamo proposto da S.F. contro la sentenza che ne aveva dichiarato il fallimento in qualità di intermediario finanziario e di mercante d'arte e ha dichiarato inammissibile - perché tardivo - l'intervento spiegato da G.R. interessato in quanto indagato per concorso in bancarotta fraudolenta con il fallito . La corte di merito ha condiviso la sentenza del tribunale nella parte in cui aveva evidenziato l'irrilevanza della cessazione dell'attività commerciale da parte di imprenditore individuale non iscritto nel registro delle imprese e, comunque, l'omessa esteriorizzazione della cessazione dell'attività di intermediazione finanziaria, benché esercitata senza alcuna autorizzazione. Invero, l'esercizio illecito in violazione delle prescritte forme abilitative e del citato d.lgs. N. 58 del 1998 dell'attività di intermediario finanziario svolta dal S. , in quanto concretante attività imprenditoriale, non impedisca la qualità di imprenditore con pienezza di effetti, rendendolo soggetto alle norme sulle procedure concorsuali, che assolvono alla funzione satisfattoria e paritetica, dei creditori. Infine, la corte di merito ha condiviso l'accertamento relativo all'esercizio di attività di commercio in opere d'arte. Dai rapporti del Nucleo di Polizia Tributaria di Roma era emerso che dopo il dissequestro da parte del P.M., vi era stato da parte del S. , non una mera attività di rivendita dei beni per cui vi era stato dissequestro, ma lo svolgimento di una intensa attività di mercante d'opere di arte, assunta con l'acquisto di numerose opere allo scopo di rivenderle. Contro la sentenza della Corte di appello sia il S. che formula quattro motivi che il G. che formula cinque motivi hanno proposto distinti ricorsi per cassazione. Ha resistito con distinti controricorsi la curatela fallimentare intimata. Nel termine di cui all'art. 378 c.p.c. la difesa del ricorrente ha depositato memorie. 1.1.- I ricorsi - proposti contro la medesima sentenza - sono stati riuniti. 2.1.- Con il primo motivo il fallito denuncia violazione dell'art. 10 l. fall, e vizio di motivazione. Deduce che erroneamente i giudici del merito hanno escluso che il termine annuale di cui all'art. 10 l. fall., si riferisse anche all'imprenditore individuale non iscritto nel registro delle imprese. Invoca in proposito la giurisprudenza di questa Corte 18618/2006 6199/2009 . Inoltre, del pari erroneamente è stato escluso che egli avesse esteriorizzato la cessazione dell'attività, posto che la conoscenza della cessazione era in re ipsa” in quanto gli investitori dal luglio 2007 non avevano potuto incassare più gli interessi mensili per il sequestro penale dei computers e dei conti correnti e per l'applicazione degli arresti domiciliari . La conoscenza risalirebbe, quanto meno, dalla restituzione del capitale richiama i documenti acquisiti in sede prefallimentare . Richiama atti del processo penale. 2.2.- Con il secondo motivo il fallito ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. e relativo vizio di motivazione in ordine alla mancata ammissione della prova per testimoni richiesta sia per dimostrare di non avere svolto attività di intermediario finanziario operava con amici e parenti sia per dimostrare di avere informato tutti gli investitori della cessazione dell'attività. Sul punto vi è omessa pronuncia. 2.3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2082, 2084, 1813, 1815 c.c., 106 d.lgs. n. 385/1993 e 112 c.p.c. nonché omessa motivazione. Deduce che egli non svolgeva attività di intermediazione mobiliare in forma organizzata né attività imprenditoriale. Egli stipulava mutui di scopo versamento di somma di denaro al S. , il quale si obbligava a pagare il 2% mensile di interessi e a restituire il capitale a semplice richiesta con amici e parenti, senza struttura pubblicitaria né offerta al pubblico alla quale non può essere assimilata la consegna del bigliettino da visita . Non c'era obbligo di rendiconto. Le somme versate divenivano di proprietà del S. . Non c'era mandato di gestione. I quattro computer sequestrati non possono integrare un complesso di beni organizzato per l'esercizio dell'impresa. 2.4.- Con il quarto motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2082, 2084 c.c. e 5 l. fall., nonché vizio di motivazione. Deduce che erroneamente è stato ritenuto che egli esercitava attività di mercante d'arte nel mentre era mero collezionista di opere d'arte. Tale circostanza - almeno fino all'inizio del processo penale - è stata riconosciuta dalla Corte di appello. Deduce che a la vendita di oggetti d'arte costituiva atto dovuto a seguito delle autorizzazioni del P.M. b vi erano tre autorizzazioni e non una, come ritenuto dalla corte di merito c si trattava di scambio di oggetti d'arte d si rivolgeva a privati e a qualche casa di aste per ottenere liquidità e pagare i debiti. L'attività relativa agli oggetti d'arte non ha dato luogo a debiti, imputabili soltanto all'”attività di intermediazione finanziaria” pag. 55 del ricorso . I debiti riguardavano la persona e non già l'impresa” 56 . 3.1.- Con il primo motivo di ricorso il G. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 18 l. fall., 153 c.p.c. e 111 Cost. nonché vizio di motivazione. Lamenta che erroneamente sia stato ritenuto inammissibile il suo intervento perché avvenuto tardivamente. Deduce che il termine di cui all'art. 18, comma 9, l. fall., non è perentorio e, comunque, in analogia con la fattispecie decisa da Cass. n. 12986/2009, la corte di merito avrebbe dovuto consentire l'esplicazione di mera attività difensiva. È erroneo il diniego di restituzione nel termine perché egli ha appreso della dichiarazione di fallimento soltanto il 9 maggio 2011, a seguito di esecuzione di sequestro presso il proprio domicilio. 3.2.- Con il secondo motivo di ricorso il G. denuncia violazione dell'art. 10 l. fall., e vizio di motivazione in ordine al decorso del termine annuale di cui all'art. 10. 3.3.- Con il terzo motivo di ricorso il G. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2082, 2084, e 106 d.lgs. n. 385/1993 nonché omessa motivazione. Lamenta che erroneamente il S. sia stato ritenuto imprenditore commerciale. Manca il requisito dell'organizzazione quattro computer e il salotto di casa e l'attività non è stata pubblicizzata. Erra la corte di merito nel fare riferimento a presunti collaboratori ai quali neppure accenna la sentenza penale, no pag. 55 ricorso la s. penale pag. 14 fa riferimento alle funzioni promozionali svolte da taluni soggetti a lui vicini” . 3.4.- Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2082, 2084, 1345, 1418, 1813, 1815 c.c. e 106 d.lgs. n. 385/1993 nonché omessa motivazione. Erroneamente i giudici del merito hanno ritenuto che l'attività del S. fosse sussumibile nella c.d. illiceità debole per la mancanza soltanto dell'autorizzazione perché solo una società di capitali può esercitare attività di intermediazione mobiliare. Talché difettava anche la forma giuridica richiesta dalla legge per l'esercizio di tale attività. Il S. , quindi, ha svolto un'attività oggettivamente illecita dal momento che ha dato vita a contratti che dal punto di vista formale causale ed effettuale sono radicalmente incompatibili con il tipo contratto di intermediazione fissato in modo inderogabile dal legislatore. 3.5.- Con il quinto motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2082, 2084 c.c., 5 l. fall., e 101 c.p.c. nonché vizio di motivazione in ordine alla ritenuta esistenza di attività di impresa di mercante d'arte esercitata dal S. . Lamenta che la corte di merito abbia illegittimamente utilizzato documenti non prodotti in giudizio dalla curatela e non utilizzati dal tribunale rapporti della Polizia Tributaria , con violazione del principio del contraddittorio. Il S. non ha posto in essere attività di impresa, essendosi limitato a liquidare il patrimonio per soddisfare posizioni debitorie, non più esistenti essendo unico istante il Procuratore della Repubblica. Mancava l'elemento dell'organizzazione. 4.- Il comma 9 dell'art. 18 l. fall., prevede che nel procedimento di reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento l'intervento di qualunque interessato non può avere luogo oltre il termine stabilito per la costituzione delle parti resistenti con le modalità per queste previste”. La norma - non prevista nel testo introdotto con la riforma del 2006, che disciplinava l'appello contro la sentenza di fallimento - è stata definita dalla dottrina che assimila il reclamo ex art. 18 l. fall., all'appello, come una specialissima eccezione al principio sancito dall'art. 344 c.p.c., secondo il quale in appello può intervenire per la prima volta soltanto il terzo che potrebbe proporre opposizione a norma dell'art. 404 c.p.c. ed è correlata all'ampia legittimazione a reclamare prevista dall'art. 18, comma 1, a favore di qualunque interessato . Sennonché, a prescindere dalla predetta assimilazione all'appello contraddetta da questa Corte appare corretta l'interpretazione restrittiva accolta dalla corte di merito, dovendosi intendere la norma di cui al comma 9 dell'art. 18 nel senso che, decorso il termine stabilito per la costituzione delle parti resistenti, nessun intervento di soggetti diversi dalle parti originarie del procedimento può avere luogo, neppure ad adiuvandum, posto che l'art. 105, comma 2, c.p.c. richiede pur sempre un interesse dell'interventore e quello stesso interesse potrebbe legittimare la proposizione del reclamo. Si che, consentire la costituzione tardiva dell'interveniente adesivo vorrebbe dire rimetterlo in termini per reclamare. La riprova è rintracciabile anche nella Relazione illustrativa del d.lgs. n. 169/2007 la quale spiega che i commi secondo, quinto, sesto settimo, ottavo, nono e decimo disciplinano la fase introduttiva del procedimento in conformità al procedimento di primo grado, sulla falsariga della disciplina del rito del lavoro”. L'art. 419 c.p.c., infatti, dispone - con assonanza di termini con la disposizione in esame - che, salvo che sia effettuato per l'integrazione necessaria del contraddittorio, l'intervento del terzo ai sensi dell'articolo 105 non può aver luogo oltre il termine stabilito per la costituzione del convenuto”. E non si è mai dubitato che la tardività dell'intervento disciplinata da tale ultima norma non sia sanabile con l'accettazione del contraddittorio, attesa la rilevanza pubblica degli interessi in vista dei quali è posto il divieto di domande nuove e tale previsione, avendo carattere pubblicistico, è sottratta alla disponibilità dei privati cfr., per tutte, Sez. L, Sentenza n. 19834/2004 . Non giova, dunque, al ricorrente il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte che consente al resistente costituitosi tardivamente di svolgere attività difensiva, pur senza poter formulare eccezioni in senso stretto, posto che diverso è il caso di una parte originaria che si costituisce tardivamente rispetto a quello di un soggetto che si aggiunge alle parti originarie del procedimento. Né, infine, è fondata la censura relativa alla mancata restituzione nel termine perché - come ha incensurabilmente rilevato la corte di merito l'interesse del G. è sorto ben prima del sequestro disposto in sede penale e il termine perentorio di trenta giorni per proporre il reclamo decorre per il debitore dalla data della notificazione della sentenza di fallimento a norma dell'art. 17, comma 16, mentre per tutti gli altri interessati” decorre dalla data di iscrizione della stessa nel registro delle imprese, ai sensi del medesimo articolo. Il primo motivo del ricorso del G. , dunque, è infondato e il suo rigetto determina l'assorbimento di tutte le altre censure formulate, essendo stata correttamente dichiarata l'inammissibilità per tardività del suo intervento. 5.- Quanto al ricorso del S. , va rilevato che effettivamente secondo la giurisprudenza di questa Corte l'associazione non riconosciuta nella specie, onlus , la quale, sebbene non iscritta nel registro delle imprese, abbia cessato da oltre un anno l'attività di impresa in precedenza esercitata, non è più soggetta alla dichiarazione di fallimento, in quanto, ai sensi del secondo comma dell'art. 10 legge fallimentare, come modificato dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, anche per gli imprenditori mai iscritti nel registro sussiste la possibilità di dimostrare la data di conoscenza da parte dei terzi della effettiva cessazione dell'attività, restando pur sempre necessario, in difetto di forme di pubblicità legale, contemperare l'affidamento dei terzi e la necessità di dare stabilità ai rapporti giuridici e di evitare di lasciare sine die aperta la possibilità di dichiarazione di fallimento di una impresa in realtà cessata” Sez. 6-1, Ordinanza n. 15428/2011 . Principio applicabile anche all'imprenditore individuale che non sia mai stato iscritto nel registro delle imprese, al quale, dunque, deve essere riconosciuta la facoltà di dimostrare la data di conoscenza da parte dei terzi della effettiva cessazione dell'attività. Sennonché, proprio tale ultima prova è mancata nella concreta fattispecie, secondo l'incensurabile perché fondata su apprezzamento in fatto adeguatamente motivato accertamento della corte di merito. Correttamente, invero, la corte di merito ha evidenziato che non erano a tal fine sufficiente la risonanza mediatica dell'avvenuto sequestro dei computer e dei conti correnti bancari o la conoscenza, in qualità di persone offese sentite dal P.M., dell'esistenza del procedimento penale per esercizio abusivo dell'attività a carico del S. . Ciò è tanto vero che quegli eventi non hanno impedito al ricorrente di intraprendere l'attività di mercante d'arte, come pure hanno accertato i giudici del merito. Talché il primo motivo è infondato. È inammissibile il secondo motivo nella parte in cui denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c. Invero, costituisce principio consolidato quello per il quale il mancato esame di un'istanza istruttoria non integra omessa pronuncia, cioè violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., perché tale norma non riguarda le istanze istruttorie bensì solo le domande attinenti al merito. La mancata pronuncia su un'istanza istruttoria può dar luogo, invece, ad omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., ove attenga a circostanze che, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, avrebbero potuto indurre ad una decisione diversa da quella adottata v. per tutte Sez. 3, n. 14242/1999 Sez. 2, n. 1985/1977 . Quanto alla parte della censura concernente in vizio di motivazione, la stessa è infondata perché la prova richiesta - concernente la cessazione dell'attività di intermediario finanziario abusivo - verteva su fatto non decisivo, posto che i giudici del merito hanno accertato che dai rapporti del Nucleo di Polizia Tributaria di Roma era emerso che dopo il dissequestro da parte del P.M., vi era stato da parte del S. , non una mera attività di rivendita dei beni per cui vi era stato dissequestro, ma lo svolgimento di una intensa attività di mercante d'opere di arte, assunta con l'acquisto di numerose opere allo scopo di rivenderle. L'attività imprenditoriale, dunque, non era cessata ma, semmai, aveva mutato oggetto. Né è possibile distinguere - nell'attività di imprenditore individuale - ai fini dell'art. 10 l. fall., l'una o l'altra delle attività esercitate dall'imprenditore. Sono infondati, dunque, sia il secondo che il quarto motivo. Le censure di cui al terzo motivo, infine, risultano assorbite dal rigetto della censura relativa all'attività commerciale di mercante d'arte. I ricorsi, dunque, devono essere rigettati. Le spese del giudizio di legittimità - nella misura determinata in dispositivo - vanno poste in solido a carico dei ricorrenti. P.Q.M. La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della curatela resistente spese determinate in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.