Decide l’assemblea: non sono valide le decisioni assunte dagli associati al di fuori della struttura associativa

Nonostante la disposizione contenuta nell’art. 36 c.c. secondo cui le associazioni non riconosciute sono regolate dagli accordi degli associati, queste si modellano, in virtù di un principio generale e costante, secondo una struttura organizzativa che non può prescindere dall’esistenza, accanto agli organi esecutivo e rappresentativo, di un organo deliberante assemblea formato di tutti i membri o associati, con la conseguenza che a fare ritenere l’inesistenza in concreto di tale organo non è sufficiente l’eventuale silenzio al riguardo dell’atto costitutivo, dal momento che a tale silenzio sopperiscono le norme che disciplinano le persone giuridiche in genere e le associazioni non riconosciute in particolare artt. 20 e 21 c.c. , a meno che la mancanza dell’organo assembleare dipenda da una precisa volontà di sopprimerlo in sede di modifiche apportate allo statuto originario dell’associazione non riconosciuta.

In tal caso, però, qualora si accerti che la trasformazione sia stata deliberata da organi dell’associazione non riconosciuta, dei quali venga fondatamente contestata la legittimità rappresentativa e risulti che la delibera di trasformazione non è mai stata approvata dall’assemblea, deve ritenersi la giuridica inesistenza della nuova associazione, il cui ordinamento, per difetto di presupposti essenziali richiesti dalla legge, si ponga in aperto contrasto con questa. Questo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione con la pronuncia n. 25210 dell’8 novembre 2013, a definizione di una articolata vicenda in tema di associazione ed avente ad oggetto, in particolare, la sorte del patrimonio residuo ed i poteri degli associati di disporne. Il caso. La vicenda in esame prende le mosse dalla risalente costituzione di un’associazione nel cui statuto è prevista la devoluzione del patrimonio, in assenza della pluralità di associati, ad un associazione con finalità caritatevoli, in assenza di altra decisione degli associati. Avviata la procedura di liquidazione, detta procedura non giunge a termine e con la delibera della sola associata superstite, si stabilisce la devoluzione dei beni ad un’altra associazione. Tale delibera è impugnata dagli eredi di un associato, sul rilievo che, comunque, la procedura di liquidazione era stata avviata, con destinazione dei beni agli associati ed agli eredi. In primo grado il tribunale accoglie tale impugnazione, stabilendo, quindi, la destinazione dei beni secondo il piano di attribuzione stabilito nella fase di liquidazione. Detta decisione è riformata in appello, pur con la precisazione che l’accordo raggiunto per la fase di liquidazione non fosse stato deciso dall’assemblea ma al di fuori di essa e, quindi, fosse inopponibile all’associazione stessa. Da ciò il ricorso per Cassazione, per verificare l’effettiva valenza di detto accordo e se lo stesso possa essere considerato come interno all’associazione. L ’associazione non riconosciuta scopi e finalità. La creazione di un’associazione presuppone un contratto normalmente plurilaterale, caratterizzato dal fatto che le prestazioni sono dirette al perseguimento di uno scopo collettivo, da realizzarsi attraverso lo svolgimento, in comune, di un’attività, ogni contraente trovando il corrispettivo della propria prestazione nella partecipazione al risultato a cui tende l’intera associazione la formazione dell’atto costitutivo può essere non solo simultanea, ma anche continuata o successiva, secondo un procedimento nel quale il vincolo associativo si forma, progressivamente, attraverso le adesioni al programma, essendo escluso che la semplice possibilità di adesioni successive renda configurabile un’associazione. Quale regolamento interno per l’associazione? L’art. 36 c.c. stabilisce che l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che ben possono attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati. Associazione non riconosciuta e responsabilità di colui che agisce . L’associazione non riconosciuta è responsabile del fatto illecito commesso da persona del cui operato debba rispondere, ai sensi dell’art. 38 c.c., senza che al terzo danneggiato possano essere opposti eventuali accordi statutari che limitino tale responsabilità ne consegue che, se il danno è stato causato da persona appartenente ad una struttura associativa complessa, costituita da un’entità nazionale articolata in varie diramazioni locali, ai fini della responsabilità aquiliana la legittimazione passiva rispetto alla domanda di risarcimento è unica e spetta all’entità nazionale. Associazione e tutela giurisdizionale degli associati. Le deliberazioni assunte dall’organo di amministrazione di un’associazione non riconosciuta non sono impugnabili per violazione di legge o dello statuto da parte dell’associato, che non sia componente del medesimo organo amministrativo, salvo che ne risulti direttamente leso un suo diritto, in quanto la regola dettata in materia di società per azioni dall’art. 2388 c.c. costituisce un principio generale dell’ordinamento. In particolare, trova altresì applicazione la disciplina di cui all’art. 2377, ultimo comma, c.c., per cui l’annullamento non può essere pronunciato se vi è stata sostituzione della delibera impugnata con altra presa in conformità alla legge e all’atto costitutivo ciò non comporta tuttavia alcuna cessazione automatica della materia del contendere, in quanto, da un lato, la sopravvenuta carenza di interesse che ne è alla base si avvera solo quando tutti i contendenti si diano reciprocamente atto della mutata situazione e sottopongano al giudice conclusioni conformi e, dall’altro, il giudice stesso è tenuto a verificare la avvenuta rimozione della precedente causa di invalidità, dovendo egli accertare ai limitati fini della ratifica-rinnovazione, se la deliberazione ratificante sia immune da vizi, anche se contro di essa non sia stata proposta autonoma impugnativa. Associazioni non riconosciute e scioglimento . Alle associazioni non riconosciute non si applicano analogicamente le norme dettate per lo scioglimento delle associazioni riconosciute e, pertanto, le prime possono procedere alle attività di liquidazione tramite i rappresentanti in carica alla data di scioglimento, in regime di prorogatio l’eventuale nomina dei liquidatori da parte dell’autorità giudiziaria, non indispensabile ma comunque non vietata, comporta peraltro che questi ultimi sono legittimati a rappresentare l’ente in vece e luogo degli amministratori prorogati. Atto esterno e ratifica dell’associazione . Nel caso di specie, come visto, la Cassazione afferma che l’atto – nei fatti, assunto il 14 luglio 1978 – a modifica della decisione di procedere alla liquidazione, è stato adottato al di fuori della struttura associativa e non dall’assemblea, ma semplicemente dagli associati, in forma libera, al di fuori dell’associazione. Non essendo intervenuta alcuna ratifica di tale decisione, la stessa deve considerarsi esterna e, quindi, non opponibile all’associazione.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 20 marzo 8 novembre 2013, n. 25210 Presidente Vitrone – Relatore Campanile Svolgimento del processo 1 Con atto pubblico in data 15 novembre 1949 ai rogiti del notaio Guzzardi di Catania i fratelli S.A. , S.A. , R. , M. e C. costituivano la S.r.l. Villaggio San Francesco a Ragalna Istituzione di Beneficenza per l'Educazione Rurale Integrale , cui, all'esito di giudizio civile conclusosi con sentenza n. 552 del 7 novembre 1961 di questa Corte Suprema, veniva riconosciuta, in assenza dello scopo lucrativo, natura di associazione non riconosciuta, alla quale gli immobili già conferiti sarebbero stati attribuiti a fondo perduto . Nell'art. 10 dello Statuto era stabilita la durata della società in 99 anni, e il subentro della Compagnia di Gesù o di altro ente religioso nell'ipotesi di sopravvenuta mancanza di pluralità dei soci recte, degli associati , che, secondo la interpretazione resa nella richiamata decisione n. 552 del 1961, era inquadrabile nella previsione dell'art. 31 cod. civ 1.1 Con una convenzione del 14 giugno 1978 cui partecipava anche F S. , quale erede dell'originario associato S.A. , gli associati riconoscevano i diritti vantati da costui sul patrimonio sociale e stabilivano che le restanti parti fossero da dividersi fra loro, sia per assegnazione, sia per sorteggio, sottoponendo dette statuizioni alla condizione che l'assemblea dei partecipanti deliberasse lo scioglimento dell'associazione. 1.2 Era successivamente intervenuta, in data 24 luglio 1978, una delibera dell'assemblea straordinaria dell'associazione, con la quale veniva ratificata una transazione intervenuta in Roma il 13 giugno 1978 veniva altresì deciso lo scioglimento dell'associazione per impossibilità di raggiungere i fini sociali, con nomina di liquidatore nella persona del Dott. Marcello V. . 1.3 Successivamente, non essendo stata portata a termine la liquidazione dell'associazione, la Sig.ra M S. , quale unica associata superstite, con una delibera del 20 settembre 1988, preso atto dell'estinzione dell'associazione, individuava l'ente al quale dovevano devolversi i beni relitti, ai sensi dell'art. 10 dello Statuto, nell'Opera Diocesana di Assistenza di Catania, che accettava in data 15 novembre 1988. 1.4 Gli eredi di R S. , sostenendo che tali atti erano lesivi dei loro diritti patrimoniali già acquisiti sul patrimonio associativo, adivano il Tribunale di Catania, che, con sentenza n. 640 del 16 febbraio 2002, dichiarava l'inefficacia della delibera adottata dalla signora M S. e, conseguentemente, dell'atto pubblico di accettazione da parte dell'Opera Diocesana di Assistenza affermava, quindi, che il patrimonio dell'associazione era devoluto, sulla base del progetto di divisione redatto dall'arch. B.C. in attuazione della decisione del 14 giugno 1978, ratificata con il verbale dell'assemblea del 24 luglio 1978 con il quale era intervenuta una legittima revoca della clausola statutaria contenuta nell'art. 10 dello Statuto , per due quarti a S.M. , per un quarto a F S. e per un quarto agli eredi di S.R. . 1.5 Con sentenza depositata in data 24 ottobre 2005 la Corte di appello di Catania, pronunciando sull'appello proposto dall'Opera Diocesana di Assistenza, affermava che l'assemblea del 24 luglio 1978, pur avendo deliberato lo scioglimento dell'associazione, non avesse ratificato la decisione del 14 giugno 1978, bensì un diverso accordo transattivo del 13 giugno 1978. Pertanto, considerata la piena vigenza e validità della clausola contenente il vincolo di destinazione alla data della delibera adottata dall'associata superstite M S. il 20 settembre 1988, veniva precisato che la scrittura privata del 14 giugno 1978, adottata fuori dell'associazione e non dall'organo competente, non fosse opponibile all'associazione stessa e non potesse comportare una modifica dello statuto. Rigettava, quindi, le domande proposte dagli eredi degli altri originari associati nei confronti di M S. e dell'Opera Diocesana di Assistenza. 1.6 Per la cassazione di tale decisione hanno proposto distinti ricorsi F S. , il quale deduce due motivi, e S.M.G. , C. , C. e R. , la cui impugnazione è parimenti sorretta da due motivi. Resiste con controricorso, illustrato da memoria, l'Opera Diocesana di Assistenza, che propone ricorso incidentale condizionato, con tre motivi, cui resistono con controricorso gli eredi S. . Motivi della decisione 2 Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima decisione. 3 Con il primo motivo del ricorso principale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 36, 37, 20, 21, 31 e 32 cod. civ., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione, rispettivamente, all'art. 360.primo comma, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ Si sostiene che l'atto in dato 14 giugno 1978 erroneamente sarebbe stato qualificato dalla corte territoriale come scrittura privata stipulata tra i soci , dovendo nello stesso ravvisarsi una vera e propria delibera dell'associazione, non ostandovi né l'assenza di una formale convocazione, attesa la totalitaria partecipazione degli associati, ne la redazione di un vero e proprio verbale, essendo tale attività finalizzata alla documentazione della delibera, nella specie risultante dalla scrittura in esame. Richiamato il principio della libertà di forme in materia di associazioni non riconosciute desumibile dall'art. 36 cod. civ., si ribadisce la tesi secondo cui con la delibera in esame sarebbero stati rimossi i vincoli di destinazione del fondo patrimoniale, osservandosi che la stessa Corte territoriale, come già il Tribunale, aveva espressamente riconosciuto che V una delibera assembleare ben avrebbe potuto revocare una norma statutaria. 3.1 Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 36, 37, 20, 21 e 32 cod. civ., deducendosi altresì omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia la corte territoriale, affermando che con la delibera assembleare del 24 luglio 1978 era stata ratificata una precedente scrittura del 13 giugno 1978, si sarebbe limitata a verificare il contenuto formale del primo atto, laddove, come per altro già ritenuto dal tribunale, con lo stesso l'assemblea avrebbe proceduto a una ratifica sostanziale ed implicita della convenzione del 14 giugno 1978. 4 Con il primo motivo del ricorso incidentale il signor S.F. denuncia violazione degli artt. 20, 21, 31, 32, 36 e 37 cod. civ., nonché vizio motivazionale, in relazione alla scrittura in data 14 giugno 1979, da intendersi a tutti gli effetti come delibera dell'assemblea dell'associazione, pienamente valida ed efficace, in quanto totalitaria, con argomenti non dissimili a quelli, sopra richiamati, contenuti nella prima censura del ricorso principale. 4.2 Con il secondo mezzo di detto ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. degli artt. 20, 21, 32, 36, 37 e 1353 cod. civ., nonché omessa ed illogica motivazione su un punto decisivo della controversia. Si premette che con la scrittura in data 14 giugno recte 24 luglio 1978 i partecipanti all'associazione disposero di attribuirsi il patrimonio immobiliare del Villaggio San Francesco , così revocando la disposizione statutaria relativa alla destinazione dello stesso, alla condizione che venisse deliberato lo scioglimento dell'associazione medesima. Tale evento si sarebbe verificato con la deliberazione adottata nell'assemblea straordinaria del 14 luglio 1978, ragion per cui gli associati, deliberando lo scioglimento, avrebbero implicitamente ratificato la scrittura privata, consentendo che quanto con essa stabilito avesse efficacia giuridica. 5 L'intima connessione esiste fra le questioni sottese ai motivi sopra indicati ne impone la trattazione congiunta. 6 La decisione impugnata, con disarmante laconicità, afferma che il Tribunale era pervenuto alla conclusione che la deliberazione assembleare avesse implicitamente revocato la norma statutaria relativa alla destinazione del patrimonio, sull'erroneo presupposto che la deliberazione assembleare avesse ratificato la scrittura di transazione del 14 giugno 1978 . Tale assunto si fonda su un dato di natura letterale della deliberazione, che in realtà ratifica formalmente una scrittura non solo sottoscritta in data diversa, ma avente ad oggetto, come afferma la stessa corte territoriale, senza che sul punto siano stati avanzati rilievi, aspetti del tutto estranei alla destinazione del patrimonio sociale. 6.1 Passando all'esame dell'impugnazione proposta in via incidentale dagli eredi S. , la corte di appello, dopo aver premesso che costoro avevano chiesto che in sede di gravame si dichiarasse che la delibera di scioglimento dell'associazione del 24 luglio 1978 non costituiva ratifica della scrittura del 14 giugno 1978, ma condizione cui era subordinata l'efficacia di tale scrittura , afferma che l'eventuale destinazione dei beni dell'associazione in modo difforme da quanto previsto dallo statuto può essere deliberata soltanto dagli organi competenti dell'associazione medesima, previa modifica implicita o esplicita dello statuto non può invece essere deliberata in una sede estranea all'associazione, tramite una scrittura privata stipulata tra i soci . Sulla base di tali scarne argomentazioni è dato di ritenere come per altro si sostiene nel controricorso che la tesi del resto sostenuta in questa sede in maniera pregevole, con ampi riferimenti al principio della libertà di forma che ispira la gestione dell'associazione non riconosciuta , secondo cui nella scrittura del 14 giugno 1978 dovrebbe ravvisarsi una delibera contenente revoca implicita della norma statutaria, venga sostenuta per la prima volta nel presente giudizio di legittimità. Tale questione, che comporta a ben vedere, un indissolubile intreccio fra aspetti di natura meramente fattuale e valutazioni sul piano giuridico, è ben diversa, infatti, da quella che appare proposta nei giudizi di merito, come desumibile dalla decisione impugnata pag. 8 , incentrata sulla deduzione secondo cui la deliberazione assembleare del 24.7.1978 possa valere come condizione di efficacia della scrittura del 14.6.1978 anche nei confronti dell'associazione . 6.2 Detta affermazione sembra implicare che la tesi sostenuta dagli eredi S. nel corso di entrambi i gradi di merito come per altro si ribadisce esplicitamente sostenuto nel controricorso fosse fondata sulla revoca, in maniera implicita, vale a dire nel realizzare la condizione scioglimento dell'associazione prevista, unitamente a un progetto divisionale, nella scrittura privata del 14 giugno 1978, dell'art. 10 dello statuto, contenuta nella stessa deliberazione assembleare straordinaria del 24 luglio 1978. Se così è e la totale carenza nei ricorsi in esame di qualsiasi richiamo testuale di segno contrario sia alla scrittura del 14 giugno 1978, sia al tenore effettivo e complessivo dei motivi posti a fondamento degli appelli proposti in via incidentale, in violazione del principio di autosufficienza costantemente ribadito da questa Corte, non consente di pervenire a diversa soluzione -, deve ritenersi che la questione dell'individuazione nella convenzione del 14 giugno 1970 di una delibera assembleare o di un atto ad essa equipollente sia stata proposta per la prima volta in questa sede. 6.3 Soccorre in proposito il costante orientamento di questa Corte, relativo anche alla disciplina processuale applicabile, ratione temporis , nella presente vicenda processuale, secondo cui non è consentito introdurre con il ricorso del cassazione temi o questioni esulanti dal thema decidendum dei prece a denti gradi del giudizio di merito, né rilevabili di ufficio, soprattutto quando, come nel caso implichino la valutazione di circostanze di fatto Cass., 9 luglio 2013. N. 17041 Cass., 30 novembre 2006, n. 25546 Cass., 19 marzo 2004, n. 5561 Cass., 3 aprile 2003, n. 5190 Cass., 23 maggio 2002, n. 7543 Cass., 22 dicembre 1994, n. 11062 Cass., 2 agosto 1990, n. 7714 Cass., 24 giugno 1983, n. 4346 Cass., 19 gennaio 1979, n. 402 Cass., 14 gennaio 1974, n. 101 Cass., 27 ottobre 1970, n. 2181, riferita all'ipotesi in cui la questione nuova era stata introdotta con la comparsa conclusionale in appello Cass., 3 marzo 1967, n. 490 Cass., 29 marzo 1963, n. 788 . 6.4 Alla luce delle superiori considerazioni appare evidente che il tribunale, nel ritenere che la scrittura privata del 14 luglio 1978 sarebbe stata ratificata dall'assemblea straordinaria del successivo luglio, abbia sostanzialmente attribuito a tale convenzione la natura di atto esterno all'associazione. Non risultando che gli atti di appello proposti in via incidentale abbiano attinto in maniera specifica tale circostanza, deve anche ritenersi che in merito alla stessa si sia formato il giudicato interno. 6.5 Vien fatto ancora di rilevare, per completezza di esposizione, che una mera transazione fra gli associati superstiti e un terzo, al quale vengano riconosciuti diritti su beni appartenenti all'associazione, ove si escluda che come pure si è sostenuto nel corso della discussione con detta convenzione sia stata implicitamente disposta l'ammissione come associato di S.F. in contrasto con la sua assenza all'assemblea straordinaria del luglio successivo , è difficilmente assimilabile a un atto interno di un organo dell'associazione, quale l'assemblea degli associati. Laddove poi si introduce, quanto alla redazione del verbale, la distinzione fra forma della deliberazione assembleare e prova della stessa, si dovrebbe pur considerare la necessità di un riferimento, ancorché minimo, a una deliberazione assembleare, anche al fine di consentire di discriminare fra una convenzione per così dire, parasociale contenente un accordo contrario a una norma statutaria e una delibera informale di revoca implicita della stessa norma statutaria. 6.6 D'altra parte questa Corte, dopo un'iniziale ed ormai risalente presa di posizione a favore di una deliberazione implicita contenuta in un atto dispositivo posto in essere dalla totalità degli associati Cass., 4 agosto 1960 , evidentemente coerente all'opinione, allora dominante, secondo cui la titolarità dei rapporti giuridici e patrimoniali delle associazioni non riconosciute, faceva capo, in regime di comproprietà, ai singoli associati Cass., 26 aprile 1960, n. 927 , ha valorizzato in maniera sempre più incisiva, probabilmente in sintonia con l'affermarsi della teoria fondata sulla soggettività di tali enti anche nei rapporti di natura patrimoniale Cass., 16 novembre 1976, n. 4252 Cass. 23 gennaio 2007, n. 1476 , ormai unanimemente condivisa, soprattutto dopo la modifica dell'art. 2659 cod. civ. ad opera dell'art. 1 della l. 27 febbraio 1985, n. 52 cfr. anche Corte cost., 12 luglio 1996, n. 245 , il ruolo dell'assemblea in ambito associativo. Si è pertanto affermato che nonostante la disposizione contenuta nell'art. 36 cod. civ. secondo cui le associazioni non riconosciute sono regolate dagli accordi degli associati, queste si modellano, in virtù di un principio generale e costante, secondo una struttura organizzativa che non sembra poter prescindere dalla esistenza, accanto agli organi esecutivo e rappresentativo, di un organo deliberante assemblea formato da tutti i membri od associati Cass., 10 luglio 1975, n. 2714 Cass., 3 novembre 1981, n. 5791 . 7 La questione sottoposta in via subordinata, inerente a una revoca del vincolo di destinazione del patrimonio dell'associazione mediante l'approvazione della delibera straordinaria del 14 luglio 1978, con la quale, stabilendo lo scioglimento dell'associazione, si sarebbe disposta la realizzazione della condizione alla quale gli associati così facendo coincidere una condicio iuris con una condicio facti Cass., 9 febbraio 2006, n. 2863 avevano subordinato l'efficacia della convenzione del 14 giugno 1978, attiene, a ben vedere, a una questione di merito, implicante l'individuazione della volontà negoziale, riservata al giudice del merito, ed insindacabile nel giudizio di legittimità, ove si prescinda dal vaglio della motivazione. A ben vedere, più che prospettare l'inosservanza dei canoni ermeneutici legali ed il vizio di illogicità, le deduzioni in esame mirano ad una difforme valutazione degli elementi di fatto esaminati in sentenza. È orientamento consolidato di questa Corte tra le altre, segnatamente, Cass., 22 febbraio 2007, n. 4178 quello per cui l'interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un'attività riservata al giudice di merito, ed è censura-bile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è peraltro sufficiente l'astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonché, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorché la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire. La denuncia del vizio di motivazione dev'essere invece effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un'assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l'unica in-terpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l'interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un'altra . 7.1 La Corte d'appello di Catania, nel valorizzare il dato letterale, che comunque nell'interpretazione dei contratti e degli atti giuridici resta centrale ed imprescindibile, ha posto in evidenza che la deliberazione assembleare del 24 luglio 1978 ha disposto soltanto lo scioglimento dell'associazione e la sua liquidazione e solo con riferimento a tale oggetto essa è valida ed efficace . La carenza di qualsiasi accenno, nella richiamata deliberazione, a una distribuzione dei beni fra gli associati è stata evidentemente interpretata, ai sensi art. 1362, cpv., cod. civ., come totale assenza di una volontà assembleare di procedere alla revoca, sia pure in maniera implicita, della norma statutaria contenuta nell'art. 10. D'altra parte, la tesi secondo cui l'approvazione di un evento posto in condizione lo scioglimento dell'associazione implichi necessariamente l'adesione alle conseguenze in altra sede condizionate da tale evento non sembra rinviare, sul piano logico, a un nesso imprescindibile, soprattutto in assenza di qualsiasi argomento che non sia fondato sulla mera identità dei soggetti, laddove il valore attribuito dalla corte territoriale al silenzio circa un'eventuale revoca della clausola statutaria, non necessariamente dipendente dallo scioglimento dell'associazione, appare esente da censure sul piano logico giuridico. In conclusione, l'interpretazione complessiva della deliberazione enunciata in sentenza appare conforme ai parametri legali e si sottrae al sindacato di merito in questa sede. 8 Va rilevata, infine, l'inammissibilità dell'impugnazione proposta dall'Opera Diocesana. Infatti il ricorso incidentale, anche se qualificato come condizionato, deve essere giustificato dalla soccombenza non ricorrendo altrimenti l'interesse processuale a proporre ricorso per cassazione , cosicché è inammissibile il ricorso incidentale con il quale la parte, che sia rimasta completamente vittoriosa nel giudizio di appello, risollevi questioni non decise dal giudice di merito, perché non esaminate o ritenute assorbite, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza cfr. per tutte, Cass., 20 dicembre 2012, n. 23548 . 9 Le spese processuali relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale e l'incidentale proposto da S.F. . Dichiara inammissibile il ricorso incidentale dell'opera Diocesana di Assistenza. Condanna i ricorrenti principali e S.F. al pagamento in solido delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre accessori di legge.