Il socio che partecipa alla cooperativa con fini speculativi può essere radiato

Nelle cooperative edilizie cui è applicabile la disciplina di cui al R.D. n. 1165/1938, il socio che tiene una condotta speculativa viene dichiarato decaduto con provvedimento del ministero dei lavori pubblici art. 105 T.U. .

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 23793 del 21 ottobre 2013. Il caso. Una società cooperativa, beneficiaria di contributo statale, aveva come fine sociale quello di costruire abitazioni da assegnare ai soci. Terminato l'edificio, uno dei soci non occupava l'immobile nel termine di legge, dunque, con delibera del C.D.A., veniva dichiarato decaduto. Il socio, impugnava la delibera di esclusione detta delibera veniva confermata sia dal Tribunale che dalla Corte d'Appello. L'assegnatario escluso proponeva ricorso per cassazione. La questione si presenta intricata, atteso che la difesa di parte attrice ha introdotto azioni - dal contenuto assai simile - sia dinanzi al giudice civile che dinanzi al giudice amministrativo. Inoltre, occorre chiarire che la delibera del C.D.A. dichiarava decaduto il socio assegnatario e decretava la sua espulsione dalla cooperativa sociale. Assegnazione dell'immobile e decadenza del diritto del socio. È fatto obbligo al socio di occupare l'alloggio assegnatogli entro trenta giorni dalla data del verbale di consegna, sotto pena di decadenza dall'assegnazione, salvo suo ricorso entro detto termine alla Commissione di vigilanza art. 98, R.D. n. 1165/1938 . Il socio decaduto, effettivamente, aveva impugnato la delibera del C.D.A. innanzi alla Commissione Regionale di Vigilanza o commissione di vigilanza che, però, non aveva disposto ne la revoca ne la sospensione della delibera che, per conseguenza diretta, ha osservato la S.C., non poteva che ritenersi valida ed efficacie. Il socio speculatore può essere escluso. Parte della lite, da quanto è dato capire, risultava incentrata sulla condotta speculativa del socio che avrebbe partecipato alla cooperativa non per soddisfare l'esigenza abitativa costituzionalmente garantita ma per meri fini speculativi. Detta circostanza è sanzionata con l'esclusione del socio che deve essere pronunciata con provvedimento del Ministero dei Lavori Pubblici . Nel caso di specie, il socio escluso ha impugnato la delibera del C.D.A. innanzi al TAR che ha deciso la questione riconoscendo la competenza del ministero e, quindi, ha posto nel nulla la delibera. Avverso tale decisione la cooperativa ha proposto ricorso al Consiglio di Stato che, ad oggi, non si è ancora pronunciato. In definitiva, osserva la cassazione, su tale punto, mancando una pronuncia definitiva del giudice amministrativo, la questione deve ritenersi sospesa o per meglio dire in attesa di decisione. Radiazione del socio. Parte ricorrente, nel giudizio di legittimità, ha sostenuto che il provvedimento di radiazione del socio dalla compagine sociale è atto di competenza del Ministero e non del Consiglio di Amministrazione. Sul punto la S.C. si è limitata a rilevare che detta questione è stata affrontata dal giudice territoriale che, ex R.D. 1165/1938 e art. 2527 c.c., ha chiarito che si tratta di atto attribuito alla competenza dell'assemblea dei soci o del C.D.A., pertanto, sollevare nuovamente la questione indicando un nuovo organo teoricamente competente corrisponde a proporre una nuova domanda nel giudizio di legittimità che, ovviamente, non è ammissibile. Per tutte queste ragioni la S.C. ha rigettato il ricorso e condannato il socio escluso al pagamento delle spese.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 26 giugno - 21 ottobre 2013, n. 23793 Presidente Salmè – Relatore Salvago Svolgimento del processo La Corte di appello di Roma,con sentenza dell'8 luglio 2005,ha confermato la decisione 15508/2003 del Tribunale di Roma che aveva condannato L D.S. al rilascio di un appartamento ubicato nella via omissis ,realizzato a contributo statale dalla Cooperativa Riscossa Postelegrafonica a.r.l. di cui era assegnatario, per essere stato dichiarato decaduto dall'assegnazione con delibera del Consiglio di amministrazione della stessa,in quanto non aveva occupato l'immobile nel termine assegnato dall'articolo 98 r.d. 1165 del 1938. Ha osservato a che la delibera di esclusione, non sospesa né annullata dalla Commissione di Vigilanza,e neppure dal giudice amministrativo era esecutiva ex lege b che nel caso non poteva trovare applicazione l'articolo 103 r.d. 1165 del 1938,ma la disposizione generale dell'articolo 2527 cod.civ. che attribuisce all'assemblea dei soci il potere di disporre le esclusioni non aventi luogo di diritto c che era irrilevante il successivo rapporto intrattenuto dall'ex socio con il Presidente della Cooperativa che si era limitato a riscuotere i canoni dovuti dall'occupante abusivo. Per la cassazione della sentenza il D.S. ha proposto ricorso per 4 motivi cui hanno resistito con controricorso sia la Cooperativa, sia M M. , attuale assegnataria dell'alloggio. Motivi della decisione Con il primo motivo del ricorso, il D.S. , deducendo violazione dell'articolo 2527 cod. civ. torna a sostenere la mancanza di esecutività della delibera 16 luglio 1990, adottata dal C. di Amm. della Cooperativa che aveva decretato la sua esclusione dalla società, poiché il relativo potere era esercitabile da detto Consiglio o dall'Assemblea dei Soci soltanto nell'ipotesi qui non ricorrente in cui fosse previsto dallo Statuto della Cooperativa. Con il secondo,deducendo violazione degli articolo 98 e 103 r.d. 1165 del 1938, si duole che la sentenza impugnata abbia omesso di considerare la nullità della menzionata delibera che, riguardando la sanzione della decadenza dei soci già assegnatari dell'alloggio, doveva essere emessa dal Ministero dei L. P. laddove al C. di Amm. è devoluto il provvedimento di radiazione dei soli soggetti che si trovino nella posizione di soci meramente iscritti alla Cooperativa ovvero semplicemente prenota tari dell'immobile. Le censure sono in parte inammissibili ed in parte infondate inammissibili laddove il D.S. ripropone pedissequamente la questione della non esecutività della delibera del 1990 senza tener conto delle contrarie argomentazioni della Corte di appello che aveva respinto analogo motivo di impugnazione dopo aver esaminato e disatteso le doglianze con esso formulate dal ricorrente. Quanto,poi alla validità di detta delibera che il D.S. ora attribuisce alla competenza dell'assemblea dei soci, ora a quella del Ministero, giova rilevare che la stessa conteneva una duplice statuizione, la prima riguardante la decadenza dell'assegnazione dell'alloggio per non averlo occupato in ottemperanza al disposto dell'articolo 98 del r.d. 1165 del 1938 e l'altra la sua espulsione dalla compagine sociale. Ora è vero,che il ricorrente ha impugnato detta delibera dapprima davanti alla Commissione di Vigilanza di cui all'articolo 131 del T.U. ora commissione regionale ai sensi dell'articolo 19 del D.P.R. n. 655 del 1964 , e successivamente davanti al giudice amministrativo. Sennonché il TAR adito, con sentenza del 2 maggio 2008 ha scisso l'addebito inerente al compimento di speculazione sull'alloggio sociale sul quale era in particolar modo incentrata la pronuncia di decadenza,da quello della mancata occupazione dell'alloggio ha quindi incentrato l'esame sul primo di detti addebiti ritenendo che la competenza a verificarne la fondatezza nonché a pronunciare il provvedimento di decadenza dalla prenotazione o assegnazione spettasse al Ministro ai sensi dell'articolo 105 del T.U. per cui lo ha annullato. E contro questa decisione la Cooperativa ha proposto ricorso al Consiglio di Stato, davanti al quale la controversia è tuttora pendente per cui nessun accertamento definitivo al riguardo proveniente dal giudice amministrativo può essere invocato dal ricorrente in merito al profilo suddetto della delibera in esame. Mentre per quanto riguarda quello attinente l'esclusione del socio dalla società,la sentenza impugnata ha rilevato senza che il relativo capo sia stato impugnato dal D.S. , che l'interessato aveva il dovere di proporre il rimedio previsto dall'articolo 2527, 2 comma cod. civ., invece non esperito e che la delibera in questione era stata confermata con successivo provvedimento della Regione Lazio in data 16 luglio 1990, neppur esso impugnato, e perciò tuttora valido ed operante, che ha reso comunque legittimo il rilascio dell'alloggio intimato dalla Cooperativa. Si deve aggiungere che la questione della competenza dell'assemblea dei soci a conoscere dell'esclusione prospettata con il secondo motivo è nuova,avendo con la corrispondente censura al giudice di appello, il D.S. lamentato, invece, che anche la radiazione dei soci dalla compagine sociale era devoluta al Ministro e non al C.A. della cooperativa. Per cui, avendo la Corte di appello risposto che la norma del T.U. che dispone detta competenza è recessiva rispetto a quella dell'articolo 2527 cod. civ. che prevede, invece la competenza dell'Assemblea dei soci o del C. di A. della società, il D.S. poteva riproporre detta questione, ma non mutarla ed invocare per la prima volta in sede di legittimità la competenza dell'Assemblea dei Soci piuttosto che di quella del C. di A., in mancanza di una contraria norma statutaria, ad emettere il provvedimento di espulsione. Infondato è di conseguenza anche il terzo motivo del ricorso, con cui il D.S. torna a dolersi che non sia stato tenuto in alcun conto il comportamento delle parti successivo alla delibera del 1980,che l'avrebbe posta nel nulla per la parte in cui è stato incentrato sul presupposto che la delibera sarebbe stata erroneamente assunta dall'assemblea dei soci e/o dal C. di amm. della Cooperativa. La restante parte della censura è invece inammissibile laddove il ricorrente tenta di attribuire al comportamento suddetto un significato ed un intendimento diversi da quelli motivatamente ritenuti dalla Corte territoriale noto essendo che i vizi di motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria nel caso dedotti dal ricorrente sussistono solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o l'insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalla parte o rilevabili d'ufficio, ovvero l'insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione. E non possono in alcun modo essere ravvisati in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello prospettato e preteso dalla parte. Non è infine sindacabile ai sensi dell'articolo 91 cod.proc.civ. la condanna dello stesso ricorrente, rimasto soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di appello anche nei confronti dell'intervenuta M. 4 motivo , perché inutilmente evocata in giudizio malgrado il Tribunale ne avesse dichiarato inammissibile l'intervento mentre anche le spese di questo grado del giudizio devono seguire il criterio legale della soccombenza e liquidarsi come da dispositivo. P.Q.M. La Corte,rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in favore della Cooperativa in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, e nella medesima misura in favore della M. oltre agli accessori come per legge.