Trasferimento fittizio della sede sociale all’estero: la giurisdizione è del giudice nazionale

Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione affrontano il tema della giurisdizione e della competenza in caso di procedura d’insolvenza relativamente ad una società la cui sede sociale è stata trasferita all’estero.

Quando un imprenditore sposta la sede sociale in un altro Paese prima dell'apertura di un fallimento, sorge il sospetto che tale scelta sia preordinata al solo fine di evitare i giudici nazionali, altrimenti competenti a conoscere dell'insolvenza. Peraltro, nella fattispecie in esame, l’avvenuta iscrizione del trasferimento della sede dell’impresa all’estero nel registro delle imprese - nella specie in Olanda - era avvenuta dopo la presentazione dell’istanza di fallimento, pertanto, la sede sociale era da considerarsi in Italia e, conseguentemente, la giurisdizione sul fallimento della stessa non poteva spettare che al giudice italiano, trattandosi di un trasferimento fittizio e non effettivo. Inoltre, quanto alla competenza territoriale del giudice adito, rileva il luogo in cui vive il cuore pulsante dell’impresa , corrispondente, nel caso de quo , alla sede legale della società stessa. I Supremi giudici precisano infine, quanto al diritto di difesa del fallendo, che è del tutto irrilevante che la difesa sia svolta davanti al giudice delegato, anziché davanti al Collegio. Il fatto. Il caso che qui ci occupa origina dall'impugnazione per cassazione, articolata in due motivi, cui resisteva il fallimento con controricorso, presentata da una società in accomandita semplice nonché dalla socia accomandataria stessa, avverso la sentenza della Corte di appello di Roma che, confermando la pronuncia del giudice di primo grado, aveva dichiarato il fallimento della predetta società ed inoltre della socia accomandataria in proprio. Le Sezioni Unite tuttavia respingono in toto il ricorso confermando la correttezza della motivazione della Corte territoriale che aveva constatato che il trasferimento all’estero della sede sociale era stato deliberato ed eseguito quando già si era manifestata l’insolvenza e non era stato dettato da effettive ragioni imprenditoriali bensì era stato sollecitato dal solo scopo di sottrarsi all’apertura di una procedura d’insolvenza. Quanto all’aspetto relativo alla pretesa incompetenza territoriale del Tribunale di Roma in favore di quello di Milano la Corte d’appello aveva correttamente puntualizzato - sottolineano gli Ermellini - che, ai fini della individuazione del giudice competente, è determinante il luogo in cui si trova il centro direttivo ed amministrativo degli affari dell’impresa. I Supremi giudici richiamano, in conclusione, anche il principio per il quale il diritto di difesa del fallendo va esercitato nei limiti compatibili con le regole del procedimento che ha carattere sommario e cautelare, e ciò comporta che egli debba essere informato sia dell’iniziativa assunta nei suoi confronti, che degli elementi posti a base dell’instaurato procedimento, e possa così svolgere la propria difesa, anche eventualmente avvalendosi dell’assistenza di difensori. Collegamento tra giurisdizione e sede principale dell’impresa. L'art. 9 l. fall., che regola la competenza e, per il rinvio fattone dall'art. 3 della legge sul diritto internazionale privato, anche la giurisdizione del giudice italiano, prevede che quest'ultimo sia competente a conoscere dell'insolvenza di imprese aventi la sede principale in Italia. Il criterio di collegamento per individuare la giurisdizione, quindi, non si fonda sul dato formale della sede statutaria, ma su quello sostanziale, sia pur ambiguo, della sede principale . Ciononostante, molte sentenze presumono che la sede principale coincida con quella statutaria, pur ammettendo la prova contraria. Centro degli interessi principali e sede statutaria. La riforma del diritto fallimentare, D.lgs. n. 5/2006, ha introdotto un secondo comma all'art. 9 destinato a evitare casi di forum shopping in base alla nuova norma se l'imprenditore trasferisce la propria sede nell'anno precedente all'iniziativa per la dichiarazione del fallimento tale trasferimento non muta il giudice competente, che resta quello della sede precedente. L'ultimo comma dello stesso art. 9 sancisce l'irrilevanza, ai fini della giurisdizione, del trasferimento di sede compiuto dopo l'iniziativa della dichiarazione di fallimento. Al diritto nazionale, però, si sovrappone il criterio di giurisdizione del Regolamento CE sull'insolvenza transfrontaliera. L'art. 3 del Regolamento prevede che sia competente il giudice dello stato ove è situato il centro degli interessi principali dell'impresa. Lo stesso articolo presume, fino a prova contraria, che per le persone giuridiche tale centro degli interessi principali coincida con la sede statutaria. La Corte di Giustizia delle Comunità europee ha sottolineato il carattere autonomo della nozione di centro d'interessi adoperata dal Regolamento, in funzione della necessità di fornire al riguardo interpretazioni uniformi, non influenzate dalle diverse normative nazionali, ed ha anche aggiunto che la presunzione di corrispondenza del centro d'interessi dell'impresa con la sua sede legale può essere superata soltanto se elementi obiettivi e verificabili da parte di terzi consentono di determinare l'esistenza di una situazione reale diversa da quella che appare corrispondente alla collocazione di detta sede statutaria, come ad esempio nell'ipotesi in cui una società non svolga alcuna attività sul territorio dello Stato membro in cui è ubicata formalmente la sede Corte di Giustizia 2 maggio 2006, C-341/04 . Luogo in cui vive il cuore pulsante dell’impresa. Ai fini dell’individuazione del giudice territorialmente competente in materia fallimentare occorre tener conto del luogo in cui vengono stabilite e decise le scelte strategiche cui dare seguito, ossia il luogo in cui vive il cuore pulsante dell’impresa , così precisano le Sezioni Unite nell’odierno decisum . Può accadere, tuttavia, che più tribunali siano competenti per la dichiarazione di fallimento e tale eventualità può verificarsi quando non vi sia appunto una sede principale dell'impresa, perché l'imprenditore ha svolto la sua attività in più luoghi, attraverso organizzazioni indipendenti in tal modo non è possibile stabilire quale sia la sede principale, e, d'altro canto, possono esserci in corso più fallimenti innanzi a più tribunali ugualmente competenti. In tal caso l'art. 9 ter l. fall. si rifà al criterio della prevenzione in altre parole sarà competente, e si occuperà anche degli altri fallimenti, il tribunale che si è pronunciato per primo sulla richiesta di fallimento. A questo punto il secondo tribunale può scegliere due strade trasmettere gli atti al primo tribunale, oppure, chiedere il regolamento d'ufficio di competenza ex art. 45 c.p.c. Il diritto di difesa del fallendo. L’art. 15, comma 2, l.fall. stabilisce l’obbligatorietà in capo al tribunale di convocare e sentire il fallendo in camera di consiglio. In tal modo si ritiene tutelato il diritto di difesa del fallendo, garantendo allo stesso sia il diritto di poter essere ascoltato dal tribunale o dal giudice relatore all’uopo delegato che il diritto di far valere in altro modo le proprie difese e riservando, alla sua esclusiva discrezionalità, la scelta di comparire e di esercitare in concreto il diritto di difesa. La procedura prefallimentare è strutturata pertanto in modo tale da assicurare all’imprenditore il diritto di difesa costituzionalmente garantito. In questa sede dunque l’imprenditore ha la possibilità di difendersi e di evitare la sentenza dichiarativa del proprio fallimento e l’obbligatorietà in capo al giudice competente di convocare il fallendo e le altre parti interessate risponde ad esigenze di certezza del diritto e di giustizia sociale. E’ tuttavia del tutto irrilevante che la difesa sia svolta davanti al giudice delegato, anziché davanti al Collegio, così concludono le Sezioni Unite.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 14 maggio - 25 giugno 2013, n. 15872 Presidente Luccioli – Relatore Piccininni Svolgimento del processo In data 9.11.2005 il Tribunale di Roma dichiarava il fallimento della ITAM International s.a.s. di N. F. & amp C, nonché di F.N. in proprio. A seguito della proposta opposizione il Tribunale di Roma emetteva una prima sentenza, con la quale rigettava le eccezioni preliminari degli opponenti concernenti il difetto di giurisdizione, il difetto di competenza territoriale e la violazione dell'art. 15 l.f. sotto il profilo dell'intervenuta audizione della debitrice davanti al giudice delegato, anziché davanti al Collegio , cui poi faceva seguito una successiva decisione di merito, confermativa della sussistenza dell'insolvenza e quindi della precedente dichiarazione di fallimento. Entrambe le decisioni venivano impugnate davanti alla Corte di Appello che, riuniti i procedimenti, confermava i provvedimenti del primo giudice. In particolare la Corte territoriale per la parte di interesse rilevava che correttamente era stata affermata la giurisdizione del giudice nazionale, essendo stato effettuato il trasferimento all'estero della società poi dichiarata fallita, quando già era emersa la situazione di insolvenza, dato da cui doveva desumersi il carattere fittizio e strumentale del trasferimento che analogamente doveva dirsi con riferimento alla competenza territoriale del giudice adito, essendo in Roma sia la sede statutaria che il luogo di residenza della socia accomandataria, cui per legge spetta l'amministrazione della società che prive di pregio risultavano pure le censure riguardanti la violazione del diritto di difesa, essendosi la società debitrice costituita nella fase prefallimentare e non essendo necessaria l'audizione davanti al Collegio che la consistenza del passivo e l'inesistenza di beni della società avrebbero comprovato il ravvisato stato di insolvenza della società debitrice. Avverso la detta sentenza la ITAM proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resisteva con controricorso il fallimento. Entrambe le parti depositavano infine memoria. La controversia veniva quindi decisa all'esito dell'udienza pubblica del 14.5.2013. Motivi della decisione Con i motivi di impugnazione la ITAM ha rispettivamente denunciato 1 violazione dell'art. 15 l.f. nella formulazione previgente, poiché l'audizione del debitore era stata effettuata soltanto innanzi al giudice delegato , anziché innanzi alla Camera di Consiglio, cioè alla presenza di tutti i membri del Collegio che dovrà decidere sulla fallibilità o meno della società debitrice 2 violazione dell'art. 9 secondo il testo antecedente alla riforma del 2006, nonché vizio di motivazione, in relazione all'affermata giurisdizione del giudice italiano. La statuizione sarebbe infatti errata poiché la sede statutaria della società era in , ivi sarebbe stato individuabile il centro degli interessi principali della debitrice, la presunzione di competenza del giudice del luogo della sede statutaria avrebbe potuto essere superata soltanto con elementi obiettivi idonei a determinare l'esistenza di una situazione diversa, ipotesi non ravvisabile nella specie. Quanto poi alla competenza territoriale, questa sarebbe individuabile in favore del Tribunale di Milano, essendo in detta città il centro effettivo degli interessi, il centro effettivo o dominante dell'attività direttiva ed amministrativa . Il ricorso è infondato. Prendendo dapprima in esame il secondo motivo di impugnazione, che è pregiudiziale rispetto al primo, si osserva che la censura è articolata sotto un duplice profilo essendo stato denunciato, innanzitutto, il difetto di giurisdizione del giudice italiano e quindi, con argomentazione logicamente subordinata, il difetto di competenza territoriale di quello adito. Più precisamente sul primo punto la ITAM ha denunciato l'erroneità della statuizione, nella parte in cui la Corte territoriale aveva ritenuto sostanzialmente irrilevante l'avvenuto trasferimento della sede sociale in , sostenendo che sarebbe consolidato il principio secondo il quale vi sarebbe presunzione di coincidenza fra la sede legale di una società e quella effettiva, salva prova contraria che nella specie tuttavia non sarebbe stata fornita. Il rilievo, corretto nella sua astratta configurazione, non è tuttavia condivisibile perché inapplicabile nel caso di specie. Ed infatti la Corte di Appello non ha sostenuto nella sua motivazione una tesi di segno opposto, ma si è piuttosto limitata a constatare che il trasferimento all'estero della sede sociale era stato deliberato ed eseguito quando già si era manifestata l'insolvenza, non era stato dettato da effettive ragioni imprenditoriali , era stato infine sollecitato dal solo scopo di sottrarsi all'apertura di una procedura di insolvenza , circostanze queste che, considerate come elementi sintomatici di un trasferimento sostanzialmente fittizio ed interpretate alla luce della giurisprudenza di questa Corte comma 11/20144, comma 11/15880, comma 09/11398, comma 07/23032, comma 06/3368, comma 05/10606 , hanno correttamente indotto ad affermare la giurisdizione del giudice nazionale. Peraltro la correttezza sul punto della decisione impugnata emerge anche sotto due ulteriori profili, e segnatamente per l'inadeguato contenuto della censura che, essendo limitata all'affermazione del principio della coincidenza della sede legale con quella effettiva, ha del tutto trascurato gli argomenti valorizzati dalla Corte di appello ai fini del decidere per l'avvenuta iscrizione del trasferimento della sede dell'impresa all'estero nel registro delle imprese dopo la presentazione dell'istanza di fallimento secondo quanto si legge nella sentenza impugnata - pp. 8 e 9 - il trasferimento di sede sarebbe stato deliberato il 25.7.2005, l'istanza di fallimento sarebbe stata depositata il 29.7.2005, l'iscrizione della delibera nel registro delle imprese sarebbe stata eseguita il 3.8.2005 , circostanza questa che rende la relativa delibera inopponibile al creditore istante e ne determina l'insensibilità rispetto al corso della procedura, ai sensi dell'art. 5 c.p.c Quanto al secondo aspetto, relativo alla pretesa incompetenza territoriale del Tribunale di Roma in favore di quello di Milano, occorre innanzitutto precisare che non è ravvisabile la denunciata contraddizione fra la motivazione adottata per la questione di giurisdizione e quella viceversa svolta in tema di competenza, atteso che mentre per quest'ultima la Corte di appello ha richiamato il principio della presunzione di corrispondenza della sede effettiva con quella legale principio che a dire della ITAM non avrebbe seguito affrontando la questione di giurisdizione , nell'altra ha posto a base della propria decisione la motivazione del tutto diversa della fittizietà dell'avvenuto trasferimento. Nel merito la stessa Corte ha poi ritenuto, sulla base della richiamata presunzione di corrispondenza fra sede legale in XXXX ed effettiva salva prova contraria, che tale prova non sarebbe stata fornita. In particolare la Corte territoriale, dopo aver correttamente puntualizzato che, ai fini della individuazione del giudice competente, è determinante il luogo in cui si trova il centro direttivo ed amministrativo degli affari dell'impresa p. 10 , ha ritenuto poi irrilevanti ed inidonei ad indurre a conclusioni difformi gli elementi apprezzati in senso contrario dall'odierno ricorrente, consistenti nella conclusione in Milano di un accordo sindacale, nella prospettata esistenza nel medesimo centro di uffici amministrativi e produttivi, nello svolgimento di assemblee in detta città, nel carattere di mera casella postale della sede legale di XXXX . Il manifestato giudizio di irrilevanza delle sopra indicate considerazioni, ai fini della determinazione della competenza, non risulta viziato sul piano logico né in contrasto con il parametro correttamente stabilito per l'individuazione del giudice territorialmente competente. A tale scopo, come puntualmente chiarito, occorre infatti tener conto del luogo in cui vive il cuore pulsante dell'impresa, vale a dire quello in cui vengono individuate e decise le scelte strategiche cui dare seguito, caratteristica che non è direttamente desumibile dai fatti rappresentati dalla ricorrente ITAM, non essendo univocamente deponenti in tal senso il luogo di stipulazione di accordi sindacali o quello in cui è dislocata la presenza di uffici. Per di più la Corte territoriale ha anche rilevato che la socia accomandataria cui per legge spetta l'amministrazione della società era residente in XXXX p. 11 , interpretando così il relativo dato come ulteriore conferma del fatto che le decisioni imprenditoriali non fossero adottate in . Si tratta dunque di valutazione di merito sorretta da motivazione sufficiente e non viziata sul piano logico, e pertanto non suscettibile di sindacato in questa sede di legittimità. La ricorrente si è anche doluta in proposito della mancata ammissione degli articolati mezzi di prova, doglianza viziata sul piano dell'autosufficienza, attesa la mancata indicazione del contenuto e delle modalità delle relative richieste. Ad analoghe conclusioni di infondatezza deve poi pervenirsi per quanto concerne il primo motivo di impugnazione, avente ad oggetto la pretesa nullità della sentenza dichiarativa di fallimento in ragione dell'avvenuta audizione del debitore di fronte al giudice delegato, anziché davanti al Collegio. In proposito è infatti sufficiente richiamare la consolidata giurisprudenza di questa Corte, cui si rinvia, che ha costantemente affermato il condiviso principio per il quale il diritto di difesa del fallendo va esercitato nei limiti compatibili con le regole del procedimento, che ha carattere sommario e cautelare, e ciò comporta che egli debba essere informato sia dell'iniziativa assunta nei suoi confronti che degli elementi posti a base dell'instaurato procedimento, e possa così svolgere compiutamente la propria difesa, anche eventualmente avvalendosi dell'assistenza di difensori comma 2004/12029, comma 02/17698, comma 01/5054, comma 01/2095, comma 97/6911, comma 96/6505 . Sotto questo riflesso è dunque del tutto irrilevante che la difesa sia svolta davanti al giudice delegato, anziché davanti al Collegio. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200, di cui Euro 4.000 per compenso, oltre agli accessori di legge.