Via libera alla commercializzazione di riproduzioni creative di beni culturali

La creatività, nell’ambito delle opere dell’ingegno, non è costituita dall’idea in sé, ma dalla forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, di modo che la stessa idea può essere alla base di diverse opere che sono o possono essere diverse per la creatività soggettiva che ciascuno degli autori spende e che in quanto tale rileva per l’ottenimento della protezione.

Riproduzione e diritto d’autore. Pur con una dichiarazione di inammissibilità del ricorso, la ordinanza della Corte di Cassazione n. 9757 depositata il 23 aprile 2013 si rivela particolarmente significativa, affrontando per la prima volta la questione relativa a ciò che può essere inteso come riproduzione ai sensi dell’art. 107 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. In particolare, la norma in questione pur vietando espressamente ed ordinariamente la riproduzione di beni culturali a mezzo calchi – salvo eccezioni disciplinate con l’apposito D.M. per i beni e le attività culturali del 20 aprile 2005 – non fornisce una chiara definizione di cosa sia una riproduzione, aprendo questioni interpretative interessanti sull’art. 107 d.lgs. n. 42/2004. Commercializzazione della riproduzione. Nel caso di specie, il MiBAC aveva citato in giudizio una società che aveva messo in vendita riproduzioni di beni del demanio archeologico dello Stato costituito dal giacimento paleoantropologico della Grotta di lama lunga di Altamura. Non essendo stata rilasciata nessuna concessione per la riproduzione di beni culturali, l’Amministrazione chiedeva la condanna della società convenuta alla cessazione della commercializzazione della riproduzione ed al risarcimento dei danni. D’altro canto, la società sosteneva la legittimità del proprio operato in quanto il suo legale rappresentante aveva tratto il prodotto commercializzato dalle rilevazioni tecniche e grafiche, frutto di una perizia eseguita per conto dei proprietari del terreno sul quale insisteva il sito archeologico. In buona sostanza la tesi difensiva si fonda sulla considerazione che il prodotto realizzato non era una riproduzione fedele o un calco dall’originale in quanto il cranio da cui era stato tratto il modello era saldamente inserito nel calcare della grotta. Il giudice di merito, apprezzando le risultanze difensive della convenuta, respinge la domanda del Ministero, compensando le spese di lite. Elementi distintivi. Proposto l’appello contro la sentenza del Tribunale, l’Amministrazione insiste lamentando l’erronea interpretazione degli articoli 107 e 108 del d.lgs. n. 42/2004 in quanto, dovendosi intendere la riproduzione come forma d’uso di cui non è predeterminata la modalità, si deve ritenere vietata anche la modalità che ricalchi fedelmente la parte visibile, pur integrata con una parte mancante o occulta, come nel caso di specie. Il ragionamento non convince neppure i giudici della Corte di Appello territoriale che rigettano l’appello presentato. La questione fatta emergere dai giudici di merito si basa sulla mancata individuazione della nozione di riproduzione all’interno del Codice dei beni culturali. Da ciò la necessità di riferirsi al contiguo diritto d’autore , vista anche la clausola di salvezza a suo vantaggio contenuta nel primo comma del già richiamato art. 107 d.lgs. n. 42/2004. Al riguardo, l’art. 13 della legge sul diritto d’autore definisce i contorni del diritto di riproduzione stabilendo che il suo oggetto è costituito dalla moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o permanente, in tutto o parte dell’opera, in qualunque modo o forma, come la copiatura a mano, la stampa, la litografia, l’incisione, la fotografia, la fonografia, la cinematografia ed ogni altro procedimento di riproduzione. Si potrebbe interpretare la norma applicandola nel caso di specie ritenendo che la riproduzione sia pure non esatta e perfetta di un reperto paleontologico costituito da un teschio potrebbe costituire riproduzione ai sensi dell’art. 13 della l.d.a così come dall’art. 107 d.lgs. n. 42/2004. Cranio riprodotto creativamente. Tuttavia, il dato rilevante, secondo i giudici d’appello, è che il cranio risulta visibile ed osservabile solo per una parte limitata del lato frontale, restando il resto celato dalla roccia in cui è incastonato. Per questo motivo, la Corte d’Appello territoriale ritiene che il prodotto realizzato dalla società sia in realtà una ipotetica ricostruzione, basata su una serie di rilevamenti scientifici e di ipotesi ricostruttive, di quella che potrebbe essere l’intera struttura cranica. Ciò pone il prodotto nell’alveo delle opere dell’ingegno, non essendo richiesto un particolare livello di creatività per la configurazione di tali opere, ma un atto creativo seppur minimo, suscettibile di manifestazione esteriore. In buona sostanza, la Corte d’Appello ricorda che la creatività, nell’ambito delle opere dell’ingegno, non è costituita dall’idea in sé, ma dalla forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, di modo che la stessa idea può essere alla base di diverse opere che sono o possono essere diverse per la creatività soggettiva che ciascuno degli autori spende e che in quanto tale rileva per l’ottenimento della protezione. In conclusione, secondo la Corte d’Appello, in presenza di una parziale visibilità della parte frontale del cranio, la ricostruzione operata dalla società costituisce autonoma attività creatrice di carattere intellettuale, in parte basata su valutazioni scientifiche di carattere antropometrico ed in parte basata su una ricostruzione ipotetica dell’intera struttura cranica. La creatività è costituita dalla forma della sua espressione. In questo quadro, rientrando la fattispecie nella clausola di salvezza prevista per il diritto d’autore dall’articolo 107 d.lgs. n. 42/2004, nessuna violazione della norma può essere ascritta alla società. Da qui la dichiarazione di inammissibilità del ricorso da parte della Suprema Corte, in quanto la valutazione di merito logicamente argomentata compiuta dalla Corte d’Appello non appare suscettibile di sindacato in sede di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 13 dicembre 2012 – 23 aprile 2013, n. 9757 Presidente Plenteda – Relatore Ragonesi Fatto e diritto La Corte rilevato che sul ricorso n. 13142/11 proposto dal Ministero Beni e Attività Culturali nei confronti della Stoneage srl il consigliere relatore ha depositato la relazione che segue. il relatore Cons. Ragonesi, letti gli atti depositati, osserva in fatto ed in diritto. Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali convenne in giudizio davanti al Tribunale di Trieste la società Stoneage esponendo che essa aveva messo in vendita riproduzioni di beni del demanio archeologico dello Stato costituito dal giacimento paleoantropologico della omissis . Poiché l'art. 115 del Testo Unico dei beni Culturali ed Ambientali prevede che la riproduzione sia soggetta a concessione onerosa, nella specie mancante, la convenuta andava condannata a cessare la commercializzazione e a risarcire i danni. Si costituì la Stoneage, sostenendo la liceità del proprio comportamento, poiché il suo legale rappresentante, esperto di fama internazionale, aveva tratto il prodotto in oggetto dalle rilevazioni tecniche e grafiche, frutto di una perizia eseguita per conto dei proprietari del terreno sul quale insisteva il sito archeologico per cui lo stesso non era una riproduzione fedele o un calco dell'originale per il motivo che il cranio da cui era stato tratto il modello era saldamente inserito nel calcare della grotta. Istruita la causa con sole produzioni documentali, il Tribunale di Trieste respinse la domanda attorea, con compensazione delle spese di lite. Interpose appello il Ministero, lamentando l'erronea interpretazione, da parte del giudice, degli artt. 107, 108 del D.Lgs. n. 42 del 2004, poiché la riproduzione è una forma d'uso di cui non è predeterminata la modalità , per cui dovrebbe intendersi vietata anche quella che ricalchi fedelmente la parte visibile, integrandola con una parte mancante o occulta, come nel caso in esame. Non sarebbero quindi soggetti a concessione solamente il calco o la riproduzione meccanica del bene, anche perché il calco è normalmente vietato, ma anche ogni diversa forma di riproduzione. Si costituì l'appellato, chiedendo il rigetto dell'impugnazione. La Corte d'appello di Trieste, con sentenza 112/10 rigettò l'appello. Avverso detta decisione ricorre per cassazione il Ministero sulla base di due motivi cui resiste con controricorso la Stoneage srl. Con i predetti due motivi di ricorso il Ministero contesta,rispettivamente sotto il profilo della violazione dell'art. 115 d.lgs. n. 490 del 1999 come sostituito dagli art. 107 e 108 del d.lgs. n. 42/04 e del vizio motivazionale, la sentenza impugnata laddove ha ritenuto che l'opus confezionato dalla società resistente non costituisse riproduzione del cranio immerso nel calcare della omissis in quanto costituente una struttura del tutto a sé stante rispetto all'originale. I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto tra loro connessi. La Corte d'appello ha rilevato che il cranio di cui si discute è saldamente inserito nella roccia calcarea e lo stesso non è pertanto estrapolabile da tale contesto. Tale affermazione lascia implicitamente intendere che solo una parte del cranio risulta visibile. Tale circostanza è del resto incontroversa in causa e,secondo quanto dedotto nel controricorso, di detto cranio risulta visibile la parte frontale, anch'essa peraltro in alcuni punti ricoperti da calcare, mentre non è in alcun modo visibile la calotta cranica. In tale contesto la Corte d'appello ha osservato che,non esistendo l'opus confezionato dalla ricorrente in natura, lo stesso non costituiva riproduzione del cranio di e non necessitava quindi della preventiva autorizzazione ministeriale. Tale motivazione è sostanzialmente corretta anche se necessita di alcune integrazioni e precisazioni ai sensi dell'art. 384 cpc. Va anzitutto ricordato che l'art. 107 del d.lgs. n. 42 del 2004 testualmente recita 1. Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono consentire la riproduzione nonché l'uso strumentale e precario dei beni culturali che abbiano in consegna, fatte salve le disposizioni di cui al comma 2 e quelle in materia di diritto d'autore. 2. È di regola vietata la riproduzione di beni culturali che consista nel trarre calchi dagli originali di sculture e di opere a rilievo in genere, di qualunque materiale tali beni siano fatti. Sono ordinariamente consentiti, previa autorizzazione del soprintendente, i calchi da copie degli originali già esistenti. Le modalità per la realizzazione dei calchi sono disciplinate con decreto ministeriale . La norma in questione non fornisce alcuna indicazione su cosa debba intendersi per riproduzione, indicando solamente,al secondo comma, che non è possibile in ogni caso la riproduzione a mezzo calchi. Precisa in ogni caso che sono fatte salve le disposizioni in materia di diritto d'autore. Tale ultimo richiamo alla normativa citata risulta particolarmente rilevante nel caso di specie. In base ad esso è infatti possibile fare riferimento alla norma in materia di diritto d'autore che fornisce il concetto di riproduzione. L'articolo 13 del r.d. n. 641 del 1941 recita a tale proposito testualmente Il diritto esclusivo di riprodurre ha per oggetto la moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o permanente, in tutto o in parte dell'opera, in qualunque modo o forma, come la copiatura a mano, al stampa, la litografia, l'incisione, la fotografia, la fonografia, la cinematografia ed ogni altro procedimento di riproduzione . Nel caso di specie, dunque,in linea astratta la riproduzione sia pure non esatta e perfetta di un reperto paleontologico costituito da un teschio potrebbe certamente costituire riproduzione ai sensi del predetto articolo 13 legge sul diritto d'autore così come dell'art. 107 del d.lgs. 42 del 2004. Ciò che entra in gioco nel caso di specie è però la circostanza che del cranio per cui è causa è visibile ed osservabile solo una parte limitata del lato frontale restando il resto celato dalla roccia in cui è incastonato. Ciò comporta che l'opera creata dalla persona incaricata dalla società resistente è in realtà una ipotetica ricostruzione, basata su una serie di rilevamenti scientifici e di ipotesi ricostruttive, di quella che potrebbe essere l'intera struttura cranica. Tale attività coinvolge un autonoma attività creativa da parte del soggetto che ha confezionato l'opera, che,secondo l'implicita valutazione della Corte d'appello, ha portato alla creazione di un opera del tutto distinta e diversa rispetto al semplice aspetto del cranio rinvenuto nella grotta di , opera che,come tale non da luogo a riproduzione illecita, ma costituisce anzi opera nuova che, come tale, oggetto di protezione autonoma ai sensi del diritto d'autore. Tale decisione risulta conforme all'orientamento più volte espresso da questa Corte secondo cui il concetto giuridico di creatività, cui fa riferimento la norma ex art. 1 della legge n. 633 del 1941, non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta, riferendosi, per converso, alla personale e individuale espressione di un'oggettività appartenente alle categorie elencate, in via esemplificativa, nell'art. 1 della Legge citata, di modo che un'opera dell'ingegno riceve protezione a condizione che sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore, con la conseguenza che la creatività non può essere esclusa soltanto perché l'opera consiste in idee e nozioni semplici, ricomprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia. Cass. 5089/04 . Va osservato a tale proposito che la creatività, nell'ambito di tali opere dell'ingegno, non è costituita dall'idea in sé, ma dalla forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, di modo che la stessa idea può essere alla base di diverse opere che sono o possono essere diverse per la creatività soggettiva che ciascuno degli autori spende, e che in quanto tale rileva per l'ottenimento della protezione. In altri termini, a titolo di esempio, è ben possibile che opere pittoriche ritraggano lo stesso soggetto, ma le diverse modalità con cui questo viene ritratto rendono ciascuna opera frutto della creatività individuale di ciascun artista per cui ognuna è suscettibile di autonoma protezione. Analogamente, è possibile che un opera si ispiri alla trama od al contenuto di altra opera, ma la diversa espressione con cui questa viene rappresentata fa escludere la contraffazione della prima. Parimenti è possibile che un opera riprenda un particolare non significativo, secondario e minore di altra opera per trasformarlo ed inserirlo in un contesto del tutto diverso senza che in tal caso possa ritenersi sussistente alcuna contraffazione proprio perché la diversità con cui l'idea viene espressa attribuisce la titolarità della creazione ad un diverso soggetto. È esattamente quanto avvenuto nel caso di specie in cui in presenza di una parziale visibilità della parte frontale del cranio per cui è causa, il soggetto che ha virtualmente ricostruito l'intero cranio ha svolto una autonoma attività creatrice di carattere intellettuale,in parte basata su valutazioni scientifiche di carattere antropometrico ed in parte basata su una ricostruzione ipotetica dell'intera struttura cranica. Appare quindi corretta la decisione del giudice di seconde cure che ha escluso la sussistenza della violazione dell'art. 107 del d.lgs. n. 42 del 2004. Il ricorso può pertanto essere trattato in camera di consiglio ricorrendo i requisiti di cui all'art. 375 cpc. P.Q.M Rimette il processo al Presidente della sezione per la trattazione in Camera di Consiglio. Roma. 28.8.12. Il Cons. rel. Considerato che, a prescindere dalle osservazioni contenute nella relazione, l'elemento decisivo è costituito dal fatto che la Corte d'appello di Trieste ha effettuato una valutazione di merito in base alla quale ha accertato che il cranio ricostruito dalla resistente costituisce una struttura a sé stante rispetto a quello incorporato nella roccia calcarea di Altamura e che quindi non può considerarsi riproduzione di quest'ultimo, con esclusione quindi della violazione dell'art. 107 d.lgs. n. 42 del 2004 che tale valutazione di merito, logicamente argomentata, non appare suscettibile di sindacato in questa sede di legittimità onde il ricorso va dichiarato inammissibile che la peculiarità e novità della questione consente la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese di giudizio.