Trasferire la sede legale all’estero non salva dal fallimento

Il termine annuale per la dichiarazione di fallimento dalla cessazione dell’attività economica prevista dall’art. 10 l.f., non opera laddove il trasferimento della sede sociale all’estero sia fittizio in tal caso, il trasferimento fittizio della sede legale della società non esclude né la giurisdizione del giudice italiano né la cancellazione della società dal registro delle imprese.

La presunzione sancita dall’art. 3 del regolamento CE/1346/2000, secondo cui il centro di interessi di una società coincide con la sede legale dell’ente è relativa ne deriva che questa è suscettibile di essere superata da una prova contraria. E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 9414 del 18 aprile 2013. Il caso. La Corte d’Appello di Roma rigettava il reclamo promosso da due soci di una società di capitali contro la dichiarazione di fallimento della loro società ritenendo, la Corte territoriale, che non fossero fondate né l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice italiano né l’ulteriore e connessa eccezione di impossibilità di dichiarare il fallimento di una società cancellata da oltre un anno dal registro delle imprese italiane. I soci, dunque, per la cassazione di tale sentenza proponevano ricorso articolato in tre motivi. Con il primo motivo i soci lamentavano che la decisione della corte territoriale non avrebbe in alcun modo chiarito in base a quali elementi il giudice si era convinto del carattere fittizio del trasferimento all’estero della sede della società. Con il secondo motivo, gli stessi denunciavano la violazione dell’art. 3 Reg. CE/1346/2000 secondo cui vigerebbe una presunzione di corrispondenza tra la sede legale della società e il centro principale degli interessi della stessa sicché, nel caso di specie, sarebbe stato onere di chi aveva preteso d’incardinare dinanzi al giudice italiano la procedura di fallimento dimostrare la fittizietà del trasferimento di sede. Infine, con l’ultimo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentavano la violazione dell’art. 10 l.f. ritenendo ormai decorso il termine annuale per la dichiarazione di fallimento dal momento della cancellazione della società dal registro delle imprese. La giurisdizione italiana . In prima battuta, la Corte Suprema chiarisce come nel caso di specie sussista, eccome, la giurisdizione italiana a decidere sulla fallibilità della società italiana trasferita all’estero. In particolare, gli Ermellini affermano che il trasferimento in uno stato estero della sede di una società, ancorchè anteriore al deposito dell’istanza di fallimento, non esclude la giurisdizione italiana ove tale trasferimento appaia fittizio non avendovi fatto seguito l’esercizio di alcuna attività economica nella nuova sede. Sul punto, la Corte si allinea al già esistente orientamento e ribadisce quindi quanto già sancito in una precedente decisione con cui la coincidenza tra centro d’interessi e sede legale di una società è presunzione relativa suscettibile di essere superata da prova contraria. Trasferimento all’estero e continuità aziendale. Gli Ermellini hanno, inoltre, avuto modo di chiarire, anzi di ribadire, quanto già di recente espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 5945 dell’11 marzo 2013. In specie, si è sancita l’inapplicabilità del precetto contenuto all’art. 10 l.f., - secondo cui gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo - laddove la cancellazione della società dal registro imprese italiano sia determinata anziché dal compimento del procedimento di liquidazione ovvero da altra situazione che implichi la cessazione dell’attività, dal trasferimento all’estero della sede della società. Il motivo alla base di tale orientamento va ricercato nel fatto che il trasferimento all’estero di una società non determina, a priori, il venir meno della continuità giuridica della società trasferita e non ne comporta, quindi, in alcun modo la cessazione dell’attività. Pertanto, qualora il trasferimento della sede sociale risulti fittizio, esso non comporta né il venir meno della giurisdizione italiana né, tantomeno, il decorso del termine annuale previsto dal succitato art. 10 l.f., in conseguenza della cancellazione della società dal registro delle imprese.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 9 - 18 aprile 2013, n. 9414 Presidente Preden – Relatore Rordorf Esposizione del fatto I sigg.ri G.G. e C. proposero reclamo contro la dichiarazione di fallimento della società Centralconsulting s.r.l., pronunciata il 6 luglio 2011 dal Tribunale di Roma. La Corte d'appello di Roma, con sentenza resa pubblica il 30 gennaio 2012, rigettò il reclamo perché ritenne, per quanto ancora in questa sede interessa, che non fossero fondate né l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice italiano, sollevata dai reclamanti, né l'ulteriore e connessa eccezione con cui si era sostenuta l'impossibilità di dichiarare il fallimento di una società cancellata da oltre un anno dal registro delle imprese italiano. Non erano state adeguatamente censurate infatti - a giudizio della corte d'appello - le ragioni in forza delle quali il tribunale aveva considerato meramente fittizio il trasferimento in omissis della sede della società, con conseguente cancellazione della stessa dal registro delle imprese nazionale. Per la cassazione di tale sentenza i sigg.ri G. hanno proposto ricorso, articolato in tre motivi. Nessuno degli intimati ha svolto difese in questa sede. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo del ricorso è volto a denunciare il vizio della motivazione dell'impugnata sentenza, che non avrebbe in alcun modo chiarito in base a quali elementi il giudice si è persuaso del carattere meramente fittizio del trasferimento all'estero della sede della Centralconsulting, non essendo vero che l'affermazione in tal senso già formulata dal tribunale non fosse stata contestata dai reclamanti. Il secondo motivo, nel denunciare la violazione dell'art. 3 del regolamento CE/1346/2000, sottolinea come viga la presunzione di corrispondenza della sede legale di una società con il centro principale degli interessi della società medesima, onde, una volta chiarito che la sede legale della Centralconsulting era stata già da alcuni anni trasferita in OMISSIS , sarebbe stato onere di chi aveva tuttavia preteso d'incardinare dinanzi al giudice italiano la procedura di fallimento dimostrare la fittizietà di quel trasferimento di sede e la riconoscibilità per i terzi dell'esistenza in Italia della sede effettiva dell'ente. Da ultimo, i ricorrenti si dolgono della violazione dell'art. 2191 c.c. e dell'art. 10 l. fall., assumendo che, se davvero il trasferimento all'estero della sede della società fosse risultato fittizio, e quindi inidoneo a far decorrere il termine annuale entro il quale il secondo dei citati articoli consente la dichiarazione di fallimento, si sarebbe dovuto far luogo alla cancellazione d'ufficio della precedente annotazione di cancellazione il che però non era mai avvenuto, onde ne risultava confermata l'effettività del surriferito trasferimento di sede. 2. Il ricorso, che può essere esaminato unitariamente, presenta profili d'inammissibilità ed è, per il resto, infondato. 2.1. Il trasferimento in uno stato estero della sede di una società, benché anteriore al deposito dell'istanza di fallimento, non esclude la giurisdizione italiana, se tale trasferimento appaia fittizio in quanto non vi abbia fatto seguito l'esercizio di attività economiche nella nuova sede, giacché la presunzione che il centro degli interessi coincida con la sede legale dell'ente è concepita dall'art. 3 del regolamento CE/1346/2000 in termini relativi ed è, pertanto, suscettibile di essere superata da una prova contraria vedi, ex multis, Cass., sez. un., 18 maggio 2009, n. 11398 . A questo principio l'impugnata sentenza si è puntualmente attenuta, affermando poi, in punto di fatto, che, nel caso di specie, sussistevano elementi idonei a persuadere della fittizietà del trasferimento all'estero della sede della Centralconsulting e, perciò, a vincere l'anzidetta presunzione. Né ad una simile affermazione è di ostacolo, dal punto di vista giuridico, la circostanza che il fittizio trasferimento della sede all'estero abbia frattanto determinato la cancellazione della società dal registro delle imprese italiano senza che poi sia mai intervenuto un provvedimento di segno contrario, a norma dell'art. 2191 c.c Nulla consente di affermare che, per poter fornire la prova contraria alle risultanze della pubblicità legale riguardanti la sede dell'impresa e l'eventuale conseguente cancellazione da un registro nazionale , occorra preventivamente ottenere dal giudice del registro un provvedimento che ripristini, anche sotto il profilo formale, la corrispondenza tra la realtà effettiva e quella risultante dal registro. Ancor di recente, d'altronde, questa corte ha avuto modo di chiarire che, laddove la cancellazione di una società dal registro delle imprese italiano sia avvenuta non a compimento del procedimento di liquidazione dell'ente, o per il verificarsi di altra situazione che implichi la cessazione dell'esercizio dell'impresa e da cui la legge faccia discendere l'effetto necessario della cancellazione, bensì come conseguenza del trasferimento all'estero della sede della società, e quindi sull'assunto che questa continui, invece, a svolgere attività imprenditoriale, benché in altro Stato, non trova applicazione l'art. 10 legge fall., atteso che un siffatto trasferimento, almeno nelle ipotesi in cui la legge applicabile nella nuova sede concordi sul punto con i principi desumibili dalla legge italiana, non determina il venir meno della continuità giuridica della società trasferita e non ne comporta, quindi, in alcun modo, la cessazione dell'attività, come peraltro agevolmente desumibile dal disposto degli articoli 2437, primo comma, lett. e , e 2473, primo comma, c.c. Cass., sez. un., 11 marzo 2013, n. 5945 . Qualora il trasferimento della sede sociale all'estero sia fittizio, dunque, né esso comporta il venir meno della giurisdizione del giudice italiano né determina, come conseguenza della cancellazione della società dal registro delle imprese italiano, il decorso del termine di cui al citato art. 10 l. fall 2.2. Ma, a ben vedere, i ricorrenti si dolgono non tanto o non soltanto di errori di diritto commessi dalla corte d'appello - errori che, per quanto appena osservato, non si rinvengono - quanto del fatto stesso che sia stato considerato fittizio il trasferimento all'estero della sede sociale della Centralconsulting, laddove essi sostengono che quel trasferimento fu invece effettivo o che, comunque, la sua pretesa fittizietà non sarebbe stata in alcun modo dimostrata. Questo, evidentemente, sposta la questione su un terreno di fatto, come tale estraneo al giudizio di legittimità, se non per l'accertamento di eventuali vizi di motivazione ravvisabili in proposito nell'impugnata sentenza. Senonché, nel caso in esame, la corte d'appello non si è data carico di motivare in modo autonomo e diretto l'affermazione avente ad oggetto la fittizietà del trasferimento di sede del quale si discute e non se ne è data carico perché ha reputato non adeguatamente censurato, nell'atto di reclamo, l'accertamento al riguardo operato dal giudice di primo grado con conseguente incontestabilità dei punti della sentenza ovviamente quella di primo grado in parte qua . Ora, va detto che i ricorrenti non sollevano a questo proposito rilievi di ordine giuridico - processuale, onde non è qui necessario approfondire il tema della portata dell'effetto devolutivo del reclamo proposto a norma dell'art. 18 l. fall., avverso una sentenza dichiarativa di fallimento e dei limiti entro cui è applicabile a tale forma di gravame la regola dell'inammissibilità dei motivi d'impugnazione non adeguatamente specifici che, per i procedimento ordinari, si trae dal disposto dell'art. 342 c.p.c I ricorrenti si dolgono unicamente dell'insufficiente motivazione con la quale la corte d'appello ha giustificato la propria affermazione, e sostengono che, viceversa, essi avevano sempre specificamente contestato la pretesa fittizietà del trasferimento della sede sociale, aggiungendo che, comunque, se anche non avessero mosso simili contestazioni, ciò non avrebbe costituito prova della fittizietà di quel trasferimento. Ma quest'ultima osservazione non coglie nel segno, in quanto la corte d'appello non ha affatto inteso trarre prova di fatti rilevanti dal silenzio eventualmente serbato dai reclamanti, ma ha più semplicemente affermato che l'accertamento di quei fatti, compiuto dal primo giudice, non era stato idoneamente censurato con l'atto di gravame e non poteva quindi esser messo più in discussione in sede di reclamo. Quanto, poi, all'asserita specificità delle contestazioni che gli odierni ricorrenti insistono di aver mosso nel reclamo a quell'accertamento, non può farsi a meno di rilevare come essi manchino tuttavia d'indicare in quale atto e con quale formula quelle contestazioni sarebbero state a suo tempo formulate. Ma, poiché proprio questo è il punto decisivo, ciò si traduce in un evidente vizio di ammissibilità del motivo di ricorso, carente di quella specifica indicazione degli atti processuali sui quali esso si fonda, richiesta inderogabilmente dall'art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c 3. Il ricorso, pertanto, deve esser rigettato, senza che occorra provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, non essendovi stata attività difensiva degli intimati. P.Q.M. La corte rigetta il ricorso.