Decade l’onere del socio partecipante all’assemblea di depositare preventivamente nella sede sociale il proprio titolo azionario

Ove non vi sia una diversa previsione statutaria, il diritto del socio di intervenire e di votare nell’assemblea di una società per azioni quotata in borsa i cui titoli azionari siano stati immessi nel sistema del deposito accentrato non presuppone il deposito presso la sede sociale, nei cinque giorni precedenti l’assemblea, della certificazione rilasciata dall’intermediario depositario in conformità alle proprie scritture contabili con l’indicazione del diritto sociale da esercitare, essendo sufficiente che tale certificazione sia esibita dall’interessato all’atto dell’adunanza dei soci.

Il caso. Un socio di una S.p.A. quotata in borsa, citava in giudizio detta società dinanzi al Tribunale di Milano per far dichiarare nulla o giuridicamente inesistente, ovvero per far annullare, una deliberazione assembleare assunta nel novembre del 2000. Con tale deliberazione l’assemblea dei soci, previa revoca di una precedente deliberazione avente il medesimo oggetto, aveva adottato un nuovo piano di stock option e, di conseguenza, aveva disposto un aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione spettante ai soci. A dire dell’attore l’invalidità della deliberazione derivava dal fatto che alcuni tra i partecipanti all’assemblea non avevano depositato le loro azioni presso la sede sociale nei cinque giorni precedenti l’assemblea. Quindi, non solo l’assemblea non si era ritualmente costituita, ma non tutti i partecipanti erano legittimati ad esprimere il voto. A suo giudizio l’onere sopra descritto previsto dagli artt. 2370 c.c. e 4, comma 2, l. n. 1745/1962. Inoltre, sosteneva che uno dei soci, titolare di una partecipazione superiore al 2% del capitale, aveva esercitato il diritto di voto senza aver adempiuto l’obbligo di comunicazione alla Consob prescritto dall’art 120, comma 2, TUF. Tale circostanza, secondo l’attore, risultava dall’elenco dei nominativi dei partecipanti all’assemblea allegato al verbale redatto dal notaio all’atto dell’assemblea stessa. I giudizi di merito e il loro esito infausto. Il Tribunale, prima, e la Corte d’appello, poi, rigettano integralmente le domande del socio dissenziente. Nel dettaglio, i giudici di secondo grado sottolineano, quanto alla prima motivazione, che la disciplina della c.d. dematerializzazione delle azioni di società quotate abbia fatto venir meno l’onere, per il socio partecipante all’assemblea, di depositare preventivamente nella sede sociale il proprio titolo azionario. Quanto alla seconda motivazione, invece, evidenziano come la documentazione prodotta in causa dimostrava che il socio titolare della partecipazione superiore al 2% del capitale non aveva preso parte all’assemblea in veste di socio, bensì quale depositario delle azioni di cui era titolare altro soggetto. Non soddisfatto dell’esito dei primi due gradi di giudizio il socio proponeva ricorso in cassazione. La normativa ratione temporis applicabile al caso di specie Il ricorrente denunciava la violazione degli artt. 2370 c.c. e 85, comma 4, d.lgs. n. 58/1998 noto per gli addetti ai lavori come TUF . Prima di entrare nel merito della questione, la Suprema Corte chiarisce che la deliberazione assembleare impugnata risale all’anno 2000, quindi la normativa a cui occorre far riferimento - codice civile e legislazione speciale - non è l’attuale, ma quella vigente all’epoca dei fatti. e la sua interpretazione. Chiarito ciò gli Ermellini, dopo aver ripercorso le modifiche legislative intervenute nel corso degli anni e la corretta interpretazione delle disposizioni vigenti in materia, approdano ad affermare che, ove non vi sia una diversa disposizione statutaria, il diritto del socio di intervenire e di votare nell’assemblea di una società per azioni quotata in borsa i cui titoli azionari siano stati immessi nel sistema del deposito accentrato, non presuppone il deposito presso la sede sociale, nei cinque giorni precedenti l’assemblea, della certificazione rilasciata dall’intermediario depositario in conformità alle proprie scritture contabili con l’indicazione del diritto sociale da esercitare. Tale certificazione - afferma la Corte - è sufficiente che sia esibita dall’interessato all’atto dell’adunanza dei soci. Elenco dei partecipanti all’assemblea redatto dal notaio Con riguardo alla seconda doglianza proposta dal ricorrente - quella cioè relativa all’esercizio del diritto di voto da parte di un socio, titolare di una partecipazione superiore al 2% del capitale, in assenza della preventiva comunicazione alla Consob - la Corte, rigettate le censure in fatto formulate dal ricorrente stesso, data la loro inammissibilità nel giudizio in cassazione, passa ad esaminare le critiche in diritto. Sotto quest’ultimo profilo il ricorrente sostiene che l’esercizio del diritto di voto del predetto socio, risultava dall’elenco dei nominativi dei partecipanti all’assemblea allegato al verbale redatto dal notaio all’atto dell’assemblea stessa. Pertanto, in difetto di proposizione tempestiva di una querela di falso, ciò che da esso risultava non avrebbe potuto essere messo in dubbio dal giudice. non fa prova fino a querela di falso dell’effettiva titolarità della partecipazione sociale in capo al partecipante indicato nell’elenco. Le indicazioni contenute in un elenco nominativo di partecipanti ad un’assemblea di società di capitali, allegato al verbale di assemblea redatto da notaio, non fa prova fino a querela di falso dell’effettiva titolarità della partecipazione sociale in capo al partecipante indicato nell’elenco e non preclude quindi la dimostrazione con altri mezzi di prova dall’essere il partecipante intervenuto in assemblea non già in proprio nome, bensì in nome e per conto di un altro soggetto. Per tale ragione non è possibile lamentare l’invalidità della deliberazione assunta con il voto di un socio, il quale asseritamente avrebbe dovuto astenersene non avendo inviato alla Consob la comunicazione prescritta dall’art. 120 TUF, ove risulti invece che colui che ha espresso quel voto non era il titolare diretto della partecipazione sociale e che non ricorrevano perciò i presupposti per eseguire detta comunicazione. Sulla base delle suesposte motivazioni la Suprema Corte ha rigettato il ricorso e condannato parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 21 novembre - 12 dicembre 2012, numero 22763 Presidente Carnevale – Relatore Rodorf Svolgimento del processo Con atto notificato l'8 gennaio 2001 il sig. C F. , socio della Artificial Intelligence Software s.p.a., quotata in borsa, citò detta società in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano per far dichiarare nulla o giuridicamente inesistente, ovvero per far annullare, la deliberazione assembleare assunta l'8 novembre 2000, con la quale, previa revoca di una precedente deliberazione sul medesimo oggetto, era stato adottato un nuovo piano di stock options e, di conseguenza, era stato disposto un aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione spettante ai soci. L'invalidità della deliberazione impugnata derivava, a parere dell'attore, sia dal fatto che alcuni tra i partecipanti all'assemblea non avevano correttamente provveduto a depositare preventivamente le loro azioni presso la sede sociale nei cinque giorni precedenti l'adunanza, sia dal fatto che uno dei soci, titolare di una partecipazione superiore al 2% del capitale, aveva esercitato il diritto di voto senza avere adempiuto il prescritto obbligo di comunicazione alla Consob. Essendo state le sue domande rigettate dal tribunale, l'attore propose gravame, che fu però anch'esso rigettato dalla Corte d'appello di Milano, con sentenza depositata in' cancelleria il 7 ottobre 2006. La corte d'appello, dopo avere preliminarmente disatteso un'eccezione d'inammissibilità dell'impugnazione per pretesa genericità dei motivi di gravame, ritenne che la disciplina della cosiddetta dematerializzazione delle azioni di società quotate abbia fatto venir meno l'onere, per il socio partecipante all'assemblea, di depositare preventivamente nella sede sociale il proprio titolo azionario. Sarebbe invece sufficiente l'esibizione, all'atto dell'intervento in assemblea, della certificazione, rilasciata dall'intermediario presso cui l'azione è stata depositata, in cui si attesta la partecipazione al sistema di gestione accentrata degli strumenti finanziari in conformità alla previsione dell'art. 85, 4 comma, del d. lgs. numero 58 del 1998 e degli artt. 33 e 34 del regolamento di attuazione emanato dalla Consob. Quanto poi all'assunto secondo il quale uno dei soci, il Morgan Garanty Trust di New York, avrebbe votato in assemblea senza precedentemente comunicare alla Consob la propria partecipazione, superiore al 2% del capitale della società quotata, la corte distrettuale condivise il giudizio del tribunale, secondo cui la documentazione prodotta in causa dimostrava come il predetto Morgan Garanty Trust non aveva preso parte all'assemblea in veste di socio, bensì quale depositario delle azioni di cui era titolare altro soggetto né in contrario avrebbe potuto darsi valore decisivo al fatto che il Morgan Garanty Trust figurava tra i soci menzionati nell'elenco facente parte integrante del verbale redatto da notaio, non estendendosi il valore fidefacente di tale verbale alla corrispondenza al vero dei fatti storici riferiti nell'elenco nominativo che il notaio aveva attestato essergli stato consegnato all'atto dell'assemblea. Per la cassazione di tale sentenza il sig. F. ha proposto ricorso, articolato in due motivi. La Artificial Intelligence Software - frattanto divenuta Exprivia - s.p.a. si è difesa con controricorso ed, a propria volta, ha formulato tre motivi di ricorso incidentale, sia pure in via condizionata, depositando poi anche memoria. Motivi della decisione 1. I ricorsi proposti avverso la medesima sentenza debbono preliminarmente esser riuniti, come dispone l'art. 335 c.p.c 2. Col primo motivo il ricorrente principale sostiene che la corte d'appello avrebbe violato gli artt. 2370 c.c. ed 85, 4 comma, del d.lgs. numero 58 del 1998 testo unico della finanza, in prosieguo indicato con l'ormai consueta denominazione tuf . Lamenta inoltre che la motivazione dell'impugnata sentenza sia insufficiente e contraddittoria relativamente ad un punto controverso e decisivo del giudizio. 2.1. Conviene sgomberare subito il campo da quest'ultimo rilievo - enunciato in premessa, ma poi in verità neppure compiutamente sviluppato nel corpo del motivo di ricorso - che si profila inammissibile per l'assoluta mancanza di quel momento di sintesi, idoneo a circoscrivere puntualmente i limiti della doglianza così da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità, che, a norma dell'art. 366 bis c.p.c. applicabile ratione temporis al ricorso in esame , deve sempre accompagnare le censure afferenti ai vizi di motivazione cfr., ex multis, Sez. unumero l ottobre 2007, numero 20603 . 2.2, Venendo alle questioni di diritto, occorre premettere che la deliberazione assembleare impugnata risale all'anno 2000. La normativa cui si farà d'ora in avanti riferimento, senza necessità di ulteriormente specificarlo, sarà quindi, sia quanto al codice civile sia quanto alla legislazione speciale primaria e secondaria , non già l'attuale bensì quella vigente all'epoca. È noto che l'esercizio del diritto d'intervento e di voto nell'assemblea di società per azioni era stato subordinato dal legislatore del 1942 a due alternative condizioni di legittimazione l'iscrizione da almeno cinque giorni nel libro dei soci oppure il deposito del titolo azionario, entro il medesimo termine, presso la sede sociale o presso uno degli istituti di credito a tal fine indicati nell'avviso di convocazione. Così disponeva, in particolare, l'art. 2370 c.c., alla cui originaria previsione si era poi però sovrapposta la norma dettata soprattutto a fini fiscali dall'art. 4, comma 2, della legge 29 dicembre 1962, numero 1745, a tenore della quale l'azionista, benché già iscritto nel libro dei soci, non poteva esigere utili né intervenire in assemblea se non avesse provveduto a depositare i propri titoli azionari, almeno cinque giorni prima, presso la sede sociale o presso le aziende di credito o società finanziarie indicate nell'avviso di convocazione. Se ne è desunto che la disposizione da ultimo citata ha implicitamente abrogato o modificato la diversa disciplina dettata dal citato art. 2370, quanto meno nella parte in cui quest'ultima risulta incompatibile con quanto prescritto dalla norma speciale. Nel sistema così venutosi a delineare non la mera iscrizione nel libro dei soci, bensì il deposito del titolo azionario presso la sede sociale nei cinque giorni precedenti l'assemblea, era perciò necessario a legittimare l'intervento ed il voto del socio. Il descritto quadro normativo è stato però in seguito movimentato dall'affacciarsi del fenomeno della cosiddetta dematerializzazione dei titoli azionari e degli strumenti finanziari in genere , che ha condotto all'instaurazione di un sistema di deposito centralizzato, gestito dalla Monte Titoli s.p.a L'art. 3 della legge 19 giugno 1986, numero 289, fece dipendere in siffatti casi la legittimazione all'esercizio del diritto di voto - e dunque d'intervento - dall'esibizione di certificati attestanti la partecipazione al sistema. Certificati che dovevano essere rilasciati dai depositari, in conformità alle proprie scritture contabili, con espressa indicazione del diritto sociale esercitabile, e che non potevano formare oggetto di atti di disposizione, a pena di nullità dei medesimi. L'art. 13, comma 4, del regolamento di attuazione, approvato con delibera Consob 18 febbraio 1987, numero 2723, precisava inoltre che, nel caso di richiesta di certificazioni per l'esercizio di diritti inerenti o conseguenti a deliberazioni assembleari, il depositario avrebbe dovuto accertare l'esistenza, da almeno cinque giorni antecedenti la data dell'assemblea, di una posizione in titoli corrispondente a quella certificata. La successiva entrata in vigore del testo unico della finanza d. lgs. numero 58 del 1998 ha condotto all'abrogazione delle norme da ultimo riferite, che sono state però rimpiazzate da disposizioni di tenore sostanzialmente analogo l'art. 85 del tuf prevede infatti che gli strumenti finanziari quotati in borsa siano affidati in deposito regolare, rimanendo riservato ai rispettivi titolari l'esercizio dei diritti in essi incorporati comma 3 , compreso quindi il diritto di voto ed intervento in assemblea inerente ai titoli azionari e ribadisce, in termini perfettamente coincidenti con quelli già indicati dall'art. 3 della citata legge numero 289 del 1986, che la legittimazione all'esercizio di tali diritti è attribuita dall'esibizione di certificati attestanti la partecipazione al sistema, a condizione che questi rechino l'indicazione del diritto sociale esercitabile e con divieto assoluto di atti di disposizione che li riguardino. Nell'esercizio della delega conferitale dall'art. 81 del tuf che, accanto a più specifiche indicazioni, richiedeva appunto fossero emanate disposizioni dirette in vie generale ad assicurare la trasparenza del sistema e l'ordinata prestazione del servizio di gestione accentrata , la Consob ha dettato a propria volta, con delibera numero 11768 del 23 dicembre 1998, un regolamento di attuazione, destinato a prendere il posto del precedente e gli artt. 33 e 34 di tale nuovo regolamento prevedono chi sia il soggetto legittimato a richiedere l'emissione in proprio favore del certificato attestante la partecipazione al sistema con l'indicazione del diritto sociale esercitabile, quali le modalità con cui occorre che la richiesta sia formulata, il termine entro cui detto certificato deve esser rilasciato e le verifiche che l'intermediario è tenuto a svolgere prima di rilasciarlo ivi compreso, quando si tratta di diritti inerenti o conseguenti a deliberazioni assembleari, l'accertamento che da almeno cinque giorni antecedenti la data dell'assemblea esista una posizione in strumenti finanziari corrispondente a quella certificata art. 34, cit., comma 3, che riproduce il contenuto del citato art. 13, comma 4, del precedente regolamento Consob del 1987 . 2.3. Facendo riferimento alla normativa ora descritta, il ricorrente sostiene che l'assemblea le cui deliberazioni egli ha impugnato non era ritualmente costituita e che non tutti i partecipanti erano legittimati ad esprimere il voto, non avendo provveduto nei cinque giorni precedenti al deposito presso la sede sociale dei certificati attestanti la loro partecipazione al sistema di deposito accentrato. A suo giudizio, infatti, l'onere del deposito preventivo dei titoli azionari, previsto dagli artt. 2370 c.c. e 4, comma 2, della legge 29 dicembre 1962, numero 1745, non sarebbe venuto meno, neppure per le società quotate, in virtù della sopravvenuta normativa speciale sopra ricordata, ma avrebbe soltanto mutato d'oggetto nel senso che, nei cinque giorni precedenti l'assemblea, chi aspiri a parteciparvi sarebbe tenuto a depositare presso la sede della società non più titoli azionari di cui è titolare bensì la corrispondente certificazione attestante la partecipazione al sistema di deposito accentrato di cui s'è detto. Il che, nel caso in esame, non era invece accaduto, in quanto la certificazione relativa ai diritti di partecipazione di alcuni soci -partecipazione decisiva per il raggiungimento del quorum -era stata rilasciata dall'intermediario il giorno successivo alla data della prima convocazione dell'assemblea ed era stata esibita solo il giorno precedente l'adunanza tenutasi in seconda convocazione. 2.4. Questa tesi non è, però, condivisibile. Quando si tratta di azioni di società quotate in borsa, dematerializzate ed inserite nel sistema di deposito accentrato, le ricordate disposizioni dell'art. 2370 del codice e dell'art. 4 della legge numero 1745 del 1962 sono destinate a cedere il passo alle regole dettate dalla normativa speciale di settore, i cui tratti essenziali sono stati dianzi riassunti. Sotto certi aspetti è lo stesso fenomeno della dematerializzazione ad imporre tale conclusione, perché esso appare scarsamente compatibile con le prescrizioni dettate dalla normativa pregressa, laddove questa presuppone il materiale deposito presso la sede sociale di azioni intese alla stregua di titoli ben individuati nella loro confezione cartolare. La sopravenuta normativa speciale di settore, come già s'è visto, non postula d'altronde alcun onere di deposito preventivo presso la sede sociale della certificazione attestante la partecipazione al sistema di deposito accentrato. Essa si limita a stabilire che la legittimazione all'esercizio dei diritti sociali di cui si tratta è attribuita dall'esibizione di certificazioni attestanti la partecipazione al sistema, rilasciate in conformità alle proprie scritture contabili dai depositari e recanti l'indicazione del diritto sociale esercitabile . Pretendere di trasporre a tale certificazione l'onere del deposito preventivo nella sede sociale ed il termine dei cinque giorni antecedenti l'assemblea, che l'art. 2370 del codice e l'art. 4 della legge numero 1745 del 1962 riferiscono alle azioni nella loro cartolare materialità, è un'operazione interpretativa non corretta. Neppure d'altronde si riesce a ravvisare una ratio legis che varrebbe a giustificarla. Il fondamento logico sul quale quell'onere di preventivo deposito cartolare si basava, pur se variamente individuato in passato dalla dottrina, sembra rinvenibile soprattutto nell'esigenza di assicurare alla società un tempo sufficiente per la verifica dei titoli di partecipazione all'assemblea esigenza alla quale, secondo una parte della dottrina, si accompagnava l'intento di impedire ai soci manovre dell'ultim'ora, suggerite da fini meramente opportunistici . Ma quella medesima esigenza di verifica dei titoli di legittimazione, nel sistema caratterizzato dalla dematerializzazione, è sufficientemente assicurata dalla previsione che impone di compiere siffatta verifica all'intermediario presso cui i titoli sono depositati, il quale deve rilasciarne certificazione. Ed il carattere professionale di tale intermediario, accompagnato dal regime di vigilanza cui egli è istituzionalmente soggetto, appaiono, almeno in via di principio, del tutto sufficienti a garantire che la verifica sia svolta con non minore serietà ed attendibilità di quella che ci si potrebbe aspettare da parte degli organi della stessa società quotata. Già sotto il vigore della citata legge numero 289 del 1986, d'altronde, la più attenta dottrina aveva riconosciuto alla certificazione attestante la partecipazione al sistema Monte Titoli una funzione non solamente probatoria, ma costitutiva, del diritto all'intervento ed al voto del socio in assemblea. In questa logica si collocano le già ricordate disposizioni del regolamento emanato dalla Consob, le quali, prescrivendo all'intermediario l'obbligo di attestare che il titolare del diritto riportato nella certificazione risulti tale da almeno cinque giorni, palesemente appaiono ispirate alla medesima ratio che, per le società non quotate, è a fondamento dell'onere di deposito preventivo delle azioni presso la sede sociale entro il medesimo termine onere che, in presenza di società con azioni dematerializzate ed inserite nel sistema di deposito accentrato, risulta ora dunque sostituito dall'attestazione dell'intermediario sopra richiamata. Né possono condividersi, a tal proposito, i dubbi che il ricorrente solleva in ordine alla legittimità di siffatta normativa secondaria, che non avrebbe potuto pretendere di modificare o di abrogare norme di carattere primario, quali quelle dettate dai citati artt. 2370 del codice e 4 della legge numero 1745 del 1962. Si sono infatti già indicate le ragioni per le quali il deposito azionario contemplato in quegli articoli non è riferibile alle certificazioni rilasciate dagli intermediari nel sistema di deposito accentrato, ed è allora evidente come le regole dettate a quest'ultimo riguardo dalla Consob, lungi dal porsi in conflitto con la normativa primaria riguardante l'intervento ed il voto nelle assemblee di società con azioni non quotate e non dematerializzate, abbiano disciplinato un profilo non più coperto da quella normativa, in attuazione della delega attribuita dall'art. 81 del tuf all'autorità di vigilanza per una più minuta regolazione in tema di trasparenza del sistema e di ordinata prestazione del servizio di gestione accentrata. 2.5. Giova ancora aggiungere che quando, come nella specie è accaduto, l'assemblea si raduna in seconda convocazione, è sufficiente che la certificazione rilasciata dall'intermediario venga esibita all'atto di tale adunanza. Quello d'intervenire e di votare in assemblea, infatti, è un diritto corporativo che compete a tutti coloro che ne sono titolari nel momento in cui l'adunanza effettivamente si tiene, perché è allora che la volontà sociale espressa dall'assemblea si realizza ed è dunque a quel momento che occorre aver riguardo per individuare coloro che hanno titolo per concorrere a formarla. 2.6. Si deve perciò concludere - ed è questo il principio di diritto che la corte intende affermare - nel senso che, con riguardo alla disciplina vigente all'epoca dei fatti di causa ossia nell'anno 2000 ed ove non vi sia una diversa disposizione statutaria, il diritto del socio d'intervenire e di votare nell'assemblea di una società per azioni quotata in borsa i cui titoli azionari siano stati immessi nel sistema di deposito accentrato non presuppone il deposito presso la sede sociale, nei cinque giorni precedenti l'assemblea, della certificazione rilasciata dall'intermediario depositario in conformità alle proprie scritture contabili con l'indicazione del diritto sociale da esercitare, essendo invece sufficiente che tale certificazione sia esibita dall'interessato all'atto dell'adunanza dei soci, ancorché l'assemblea si tenga in seconda convocazione. 2.7. Naturalmente tutto quanto fin qui detto si riferisce al dettato normativo, in sé solo considerato. Non vi sarebbe però ragione per escludere che lo statuto sociale possa, pur quando si tratti di società quotata in borsa, i cui titoli azionari siano dematerializzati, prevedere a carico dei soci l'onere del deposito preventivo presso la sede sociale, entro un termine prefissato, delle certificazioni rilasciate dall'intermediario. Nella fattispecie in esame v'è in effetti un fugace cenno, nel ricorso, all'esistenza di una previsione statutaria al riguardo, ma le censure mosse all'impugnata sentenza non si fondano in alcun modo su detta previsione statutaria, il cui tenore non è neppure puntualmente riferito. Ad una clausola dello statuto accenna, in verità, anche la corte d'appello nell'impugnata sentenza, ma solo nell'esposizione delle argomentazioni di parte, senza specificarne il contenuto salvo una generica indicazione di conformità al dettato normativo dell'art. 2370 c.c. e, soprattutto, senza trarre da essa alcuna conclusione in ordine alla pronuncia da emettere. Neppure in questa sede se ne può dunque tener conto. 3. Anche il secondo motivo del ricorso principale è volto a denunciare sia violazioni di legge, riferite agli artt. 2699 e 2700 c.c., sia vizi di motivazione dell'impugnata sentenza. Con riguardo a questi ultimi non v'è però che da rinviare a quanto già osservato in ordine all'analoga doglianza contenuta nel primo motivo, perché anche qui fa difetto quel momento di sintesi che s'è visto essere necessario per l'ammissibilità della censura. 3.1. La denunciata violazione di legge muove dalla premessa che il diritto di voto in assemblea è stato esercitato da un soggetto, il Morgan Garanty Trust di New York, il quale, pur essendo titolare di una partecipazione superiore al 2% del capitale della società quotata in borsa, non aveva provveduto a darne comunicazione alla Consob, come prescritto dall'art. 120, comma 2, del tuf. L'omissione della prescritta comunicazione è sanzionata dal successivo comma 5 del medesimo art. 120 con la privazione del diritto di voto, ma la corte d'appello ha escluso che nel presente caso ne ricorressero gli estremi, perché ha ritenuto, sulla base della documentazione in atti, che il Morgan Garanty Trust di New York avesse in realtà partecipato all'assemblea e vi avesse espresso il voto non già in quanto esso stesso socio, bensì in qualità di depositario di altro soggetto per il quale, presumibilmente, l'esigenza di un'ulteriore autonoma comunicazione alla Consob non si poneva . È proprio di questo accertamento che il ricorrente si duole, perché, a suo parere, esso si porrebbe insanabilmente in contrasto con le risultanze dell'elenco nominativo dei soci partecipanti all'assemblea, elenco in cui il Morgan Garanty Trust di New York figurava come titolare diretto delle azioni per le quali ha espresso il voto. A quell'elenco avrebbe dovuto esser riconosciuto valore di prova privilegiata, trattandosi di un atto integrante il verbale d'assemblea redatto dal notaio, e perciò, in difetto di proposizione tempestiva di una querela di falso, ciò che da esso risultava non avrebbe potuto esser messo in dubbio dal giudice ed, anche a voler considerare detto elenco come una semplice scrittura privata, ugualmente il suo mancato disconoscimento avrebbe dovuto precludere ogni diversa conclusione, operando in tal senso il disposto dell'art. 215 c.p.c Assume poi sempre il ricorrente che, contrariamente a quanto indicato nell'impugnata sentenza, il rappresentante del Morgan Garanty Trust di New York esercitò il diritto di voto in assemblea in piena autonomia rispetto al proprio preteso mandante. 3.2. Giova liberare subito il campo dall'ultimo dei rilievi sopra riferiti, che investe una circostanza di fatto - il modo più o meno discrezionale in cui il Morgan Garanty Trust di New York avrebbe esercitato il voto nell'assemblea di cui si discute - estranea ai limiti del presente giudizio di legittimità, che, per le ragioni già chiarite, è circoscritto alla sola verifica di eventuali errori di diritto. 3.3. Neppure tali pretesi errori di diritto, però, sono riscontrabili nella sentenza impugnata. Il ricorrente richiama il principio, enunciato in passato da questa corte, secondo cui il verbale dell'assemblea di una società di capitali ha carattere analitico e deve necessariamente contenere l'elenco nominativo dei soci che hanno partecipato, in proprio o per delega, alla riunione assembleare così Cass. 20 giugno 2000, numero 8370, seguita poi anche da Cass. 17 luglio 2007, numero 15950, che si sono sul punto motivatamente discostate dal precedente diverso orientamento cui si erano attenute invece Cass. 20 giugno 1997, numero 5542, e Cass. 30 ottobre 1970, numero 2263 . Ma, a fondamento di quel principio, v'è il rilievo che l'elenco nominativo dei partecipanti rappresenta un elemento essenziale del verbale d'assemblea, in quanto contiene gli estremi necessari per l'individuazione di coloro che hanno preso parte ai lavori dell'adunanza e che, appunto per questo, costituisce fonte primaria di prova della composizione dell'assemblea e della formazione delle sue maggioranze. Solo identificando nominativamente i singoli votanti è infatti possibile rilevare se i voti, favorevoli o contrari, sono stati o meno validamente espressi ed è possibile individuare i soci legittimati ad impugnare la delibera adottata, in quanto assenti o dissenzienti. Nelle surrichiamate pronunce di questa corte non si è mancato però anche di avvertire che, se la partecipazione dei soci sia stata indiretta, l'elenco nominativo degli intervenuti all'adunanza che può essere contenuto anche in un allegato al verbale assembleare non esonera dalla necessità di procedere all'esame delle deleghe rilasciate per l'esercizio del diritto di voto. Ciò conferma come la funzione di detto elenco non sia certo quella di fornire indicazioni circa l'effettiva sussistenza della qualità di socio di ciascun intervenuto e circa i contenuti e le modalità di rilascio delle eventuali deleghe, ma solo d'identificare i partecipanti all'assemblea e d'individuare chi e come ha espresso il voto e tanto basta ad escludere che la sua allegazione al verbale redatto dal notaio valga ad attribuire valore fidefacente di atto pubblico a quanto eventualmente in esso indicato circa l'esistenza o l'inesistenza di eventuali deleghe rilasciate ad un partecipante e circa la veste, nella quale costui è intervenuto all'assemblea. Sotto quest'ultimo profilo, come correttamente la corte d'appello ha rilevato, può tutt'al più affermarsi che il Morgan Garanty Trust di New York, all'atto del suo intervento nell'assemblea di cui si discute, fu qualificato dai presenti e dal notaio come socio, e non come mero depositario di azioni altrui o come rappresentante del socio depositante. Ma ciò non significa affatto che una tale indicazione faccia fede fino a querela di falso dell'effettiva esistenza della qualità di socio dell'interveniente giacché lo status di socio è una situazione giuridica, in ordine alla quale può essere espressa una dichiarazione, ma non è di per sé un fatto storico che il pubblico ufficiale possa esser chiamato ad attestare come vero in un atto pubblico da lui redatto. Per le medesime ragioni non può sostenersi che l'elenco nominativo dei partecipanti all'assemblea allegato al verbale, una volta prodotto in giudizio, avrebbe dovuto essere oggetto di un formale atto di disconoscimento, a norma dell'art. 215 c.p.c È infatti evidente che non l'autenticità del documento né la conformità di una sua copia all'originale erano qui in questione, bensì la corrispondenza al vero della situazione giuridica in esso dichiarata, che del tutto legittimamente è stata esclusa dal giudice di merito alla stregua di altri documenti prodotti e motivatamente vagliati. 3.4. Non resta, allora, che da affermare il principio di diritto secondo il quale le indicazioni contenute in un elenco nominativo di partecipanti ad un'assemblea di società di capitali, allegato al verbale d'assemblea redatto da notaio, non fa prova fino a querela di falso dell'effettiva titolarità della partecipazione sociale in capo al partecipante indicato nell'elenco e non preclude quindi senza che a tal fine neppure occorra un formale atto di disconoscimento dell'anzidetto documento la dimostrazione con altri mezzi dell'essere il partecipante intervenuto all'assemblea non già in proprio nome bensì in nome e per conto di un altro soggetto. Ne consegue che non si può postulare l'invalidità della deliberazione assunta col voto di un socio, il quale asseritamente avrebbe dovuto astenersene non avendo preventivamente inviato alla Consob la comunicazione prescritta dal citato art. 120 del tuf, ove risulti invece che colui che ha espresso quel voto non era il diretto titolare della partecipazione sociale e che non ricorrevano perciò i presupposti per eseguire detta comunicazione. 4. L'infondatezza di entrambi i motivi del ricorso principale conduce necessariamente alla sua reiezione e rende superfluo l'esame del ricorso incidentale, proposto in via meramente subordinata. 5. Le spese del giudizio di legittimità sono da porre a carico del ricorrente principale, rimasto soccombente, e vengono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, con assorbimento dell'incidentale, e condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.