L’acronimo è marchio debole non essendo linguaggio per neofiti

Ogni acronimo, ovvero ogni sigla, è tale da determinare nel consumatore di quel tipo di prodotto, e non in una platea indistinta di possibili consumatori, l’interesse a conoscerne il significato.

L’apprezzamento che il giudice di merito effettua sulla confondibilità dei segni deve essere condotto in via globale e sintetica, avendo riguardo a tutti gli elementi presenti, mediante una valutazione di impressione generale la quale deve avere come parametro la normale avvedutezza del consumatore di quel genere di prodotti. Lo ha precisato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21601/12, depositata il 3 dicembre. Il caso la violazione di un acronimo. Una società produttrice di prodotti fitoterapici ricorreva in via cautelare avanti al Tribunale di Venezia affinché una società concorrente fosse inibita dal produrre, commercializzare e utilizzare prodotti recanti la sigla GSE, in quanto costituente violazione di un marchio registrato dalla ricorrente. Il Tribunale veneziano accoglieva il ricorso. Tuttavia, la società inibita in sede cautelare, instaurava un nuovo giudizio chiedendo fosse dichiarata la nullità del marchio della ricorrente in quanto descrittivo e, in subordine, che fosse accertata la debolezza dello stesso e l’inesistenza di ogni contraffazione. La società convenuta, costituendosi in giudizio, deduceva che l’acronimo GSE dovesse essere considerato un segno forte, in forza dei precetti contenuti negli artt. 7 e 13 del CPI e, quindi, si dovesse per forza ritenere sussistente la contraffazione del marchio GSE e la concorrenza sleale da parte dell’attrice. Il Tribunale di prime cure non riteneva vi fosse stata da parte dell’attrice alcuna attività di contraffazione trattandosi, nel caso di specie, di un marchio debole perché descrittivo. Inoltre, osservava il Tribunale, l’attrice aveva introdotto nelle confezioni dei propri prodotti segni tali da impedire confusione tra i consumatori. Proposto gravame da parte della convenuta, la Corte di merito confermava la natura debole del marchio in questione, negando che i due segni contrapposti potessero dar luogo a confusione, posto che l’acronimo GSE, se per quest’ultima costituiva il fulcro del suo marchio, per l’appellata rappresentava soltanto una parte del proprio marchio, che era composto da due parole ben distinte e visibili. Il marchio è stato declassato ? Nei confronti della sentenza d’appello ricorreva per Cassazione la società titolare del marchio GSE deducendo, per quanto qui interessa a la violazione degli artt. 7 e 13 del CPI in tema di originalità del marchio registrato sostenendo che la Corte di merito avesse errato nel ritenere il marchio GSE segno descrittivo declassandolo a marchio debole b la violazione degli artt. 20 e 21 del CPI in tema di uso esclusivo del marchio registrato e di limiti nella sua utilizzazione da parte di terzi, sostenendo che la Corte di Venezia avesse trascurato che nel marchio di proprietà della società appellata il nucleo ideologico fosse la parola GSE e non il logo della stessa società. L’intensità della tutela. La Suprema Corte tratta unitamente i due motivi sopra enucleati soffermandosi innanzitutto sulla questione relativa alla distinzione tra marchio debole e marchio forte. Per consolidato orientamento della Corte di legittimità Cass. nn. 4405/06 e 11017/92 , l’intensità della tutela riconosciuta dalla legge varia a seconda del grado di originalità riconosciuto al marchio. Nell’ipotesi di segno debole, al marchio viene assicurata la protezione che impedisce l’imitazione da parte del concorrente dei suoi elementi caratteristici che si aggiungono o arricchiscono la parte del segno ritenuta descrittiva. Tale distinzione richiede un accertamento di fatto, caso per caso, per stabilire il confine tra segno debole e segno forte. Il significato dell’acronimo GSE. Nel caso di specie, la parola GSE significava estratto di succo di pompelmo e, quindi, l’acronimo in questione descriveva semplicemente il contenuto e le caratteristiche tipiche del prodotto. Si trattava, dunque, di un segno descrittivo privo di elementi di creatività che ne impediva la tutela come marchio forte garantendo, tuttavia, quella di marchio debole secondo quanto previsto dall’art. 13 del CPI che, pur escludendo la validità solo per i segni costituiti esclusivamente da denominazioni generiche, consente una tutela - seppur più limitata - per i marchi tipicamente descrittivi. In particolare, secondo la Corte, nel caso di utilizzo di un acronimo, tale valutazione deve essere fatta tenendo conto che l’acronimo è tale da determinare nel consumatore di quel tipo di prodotto - e non rispetto a un numero indefinito di consumatori - l’interesse a conoscerne il significato. Occorre quindi considerare che la sigla è per lo più rivolta a una platea di consumatori avveduti o specializzati che conoscono il significato di quell’acronimo. L’apprezzamento deve essere globale e sintetico. In tema di confondibilità dei segni, la Suprema Corte chiarisce che l’apprezzamento che il giudice di merito è chiamato a compiere deve essere condotto in via globale e sintetica, tenendo conto di tutti gli elementi grafici presenti nel marchio attraverso una valutazione di impressione generale. Nel caso di specie, accadeva che la società inibita in sede cautelare si fosse dotata di alcuni elementi di originalità che accompagnavano l’acronimo GSE, trattandosi di segno complesso consistente nella composizione oltre che del predetto acronimo anche di altra parola, determinando una vistosa differenza grafica tra i due segni in contrapposizione. Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 13 novembre – 3 dicembre 2012, numero 21601 Presidente Fioretti – Relatore Berruti Svolgimento del processo Con atto del 13 giugno 2006, la S.r.l. Prodeco Pharma proponeva ricorso ex articolo 129 del dlgs numero 30 del 2005 davanti al tribunale di Venezia, sezione specializzata nella materia della proprietà industriale. Chiedeva fossero inibiti ad Erbavita s.a. con sede nella omissis , la produzione, il commercio e l'uso di prodotti recanti la sigla GSE, in quanto costituente violazione del marchio registrato da essa istante, relativo a prodotti contenenti estratto di semi di pompelmo grapfruit seed extract, realizzato nell'acronimo GSE . Il tribunale accoglieva il ricorso. Erbavita conveniva Prodeco davanti allo stesso tribunale con atto del 22-25 settembre 2006 chiedendo dichiararsi la nullità del marchio della convenuta in quanto descrittivo, ovvero, in subordine, che fosse accertata la debolezza del marchio stesso e la inesistenza di ogni contraffazione. Il tutto con pubblicazione della sentenza richiesta e condanna al risarcimento dei danni per concorrenza sleale. Resisteva Prodeco deducendo essa la contraffazione del proprio marchio, da considerarsi segno forte, nonché la concorrenza sleale da parte dell'attrice delle cui domande chiedeva il rigetto con conferma delle statuizioni emesse in sede cautelare, e risarcimento del danno. Il tribunale, con sentenza del febbraio 2008, riteneva il marchio in questione, valido in quanto debole. Escludeva peraltro, attesa detta natura del segno, la contraffazione affermata in considerazione delle differenze introdotte nelle confezioni dei prodotti Erbavita, tali da impedire confusione da parte dei consumatori e dunque la conseguente concorrenza sleale. Rigettava tutte le domande di Prodeco nonché quella di concorrenza sleale proposta da Erba vita. Prodeco proponeva appello articolato in nove motivi. Si costituiva Erbavita, chiedeva il rigetto dell'appello e proponeva appello incidentale insistendo nella propria domanda di risarcimento del danno per la concorrenza sleale posta in essere da Prodeco. La Corte di merito, rigettata l'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza del tribunale, decideva la causa rigettando entrambi gli appelli. Per quel che rileva nella presente fase la corte di Venezia confermava la sentenza del Tribunale sul punto della natura giuridica del marchio in questione, confermandone la identificazione in marchio debole. Negava che nella specie sussistesse confondibilità tra i segni in contrasto rilevando che la sigla GSE che costituiva cuore del marchio Prodeco era riportata nell'insieme del marchio di Erbavita ma accanto alla denominazione Fitoseptic, questa evidenziata agli occhi del consumatore perché più lunga, e con maggiori spazi fra una lettera e l'altra, e peraltro scritta in caratteri di maggiori dimensioni. Rilevava altresì che la foglia stilizzata, presente in entrambi i marchi, appariva difficile da notare tanto nell'uno quanto l'altro segno e non era tale da costituire elemento di confusione, appunto per tale secondarietà. Conseguentemente rigettava tutte le domande concorrenza sleale connesse alla negata confondibilità. Contro questa sentenza ricorre per cassazione Prodeco Pharma S.r.l. con atto articolato su cinque motivi. Resiste con controricorso Erbavita S.p.A. già Erbavita s.a., e deposita memoria. Motivi della decisione 1.Con il primo motivo di ricorso Prodeco lamenta la violazione e la falsa applicazione degli articoli 7 e 13 del dlgs numero 30 del 2005, in relazione all'articolo 360 numero 3 cpc. Sostiene che la Corte veneta ha emesso il proprio giudizio di descrittività del marchio GES, deducendone quindi la minor protezione di marchio debole rispetto a quella di marchio forte, utilizzando come termine di paragone non già il consumatore medio avveduto, bensì l’utilizzatore informato, ovverosia il farmacista, l'erborista, ed il medico. In tal modo la Corte di merito avrebbe ristretto la platea dei consumatori alla quale il giudice deve guardare per identificare la corretta percezione di mercato, a quelle degli specialisti del campo, e pertanto negando una confondibilità che invece ove si fosse avuto riguardo al consumatore tipico del prodotto in questione, si sarebbe dovuta affermare. 2. Con il secondo motivo del suo ricorso, che in quanto connesso al primo va esaminato insieme ad esso, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 20 e 21 del dlgs numero 30 del 2005, in relazione all'articolo 360 numero 3 cpc. Sostiene che la Corte di Venezia ha negato la contraffazione sulla base della ritenuta natura di marchio debole del segno di essa ricorrente GSE , trascurando che nell'asserito marchio Fitoseptic, il cuore, ovvero il nucleo ideologico, é per l'appunto la parola GSE è non come ritenuto dalla sentenza, il predetto logo. 2.a. Osserva il collegio che riguardo alla questione concernente la distinzione tra marchio forte e marchio debole la Corte di Cassazione ha dato luogo da tempo ad una giurisprudenza stabile alla quale non vi sono ragioni per discostarsi Cass. nnumero 4405 del 2006, 11017 del 1992,14787 del 2006 . È ben noto che l'intensità della tutela riconosciuta dalla legge ad un segno muta a seconda del grado di originalità di cui il medesimo è dotato. Sotto questo profilo dunque il segno viene definito debole giacché la protezione che la legge gli assicura impedisce l'imitazione da parte del concorrente di quei suoi elementi caratteristici che operando sul suo contenuto o aggiungendosi ad esso arricchiscono la descrittività, e per l'appunto ne costituiscono una caratteristica e giustificano la identificazione di un tasso di originalità,meritevole di tutela. Ed è l'accertamento di fatto che, caso per caso, individua il confine tra segno forte e segno debole giacché, da un canto, marchi forti non sono soltanto quelli cosiddetti di fantasia ma anche quelli costituiti da parole del linguaggio comune, e dall'altro marchi deboli non sono da considerarsi semplicemente i marchi indicativi della natura o della funzione del prodotto, ma possono essere anche parole del linguaggio comune ovvero divenute comuni nel linguaggio commerciale. Nel caso di cui si tratta l'acronimo GSE, pacificamente indicatore del contenuto del prodotto, e dunque descrittivo, esclude in quanto insussistente il grado di creatività più alto, la possibilità di attribuire la tutela del marchio forte. GSE vuol dire, secondo la comune tecnica espressiva che appunto si definisce acronimo, estratto di succo di pompelmo. Indica dunque il contenuto merceologico di un prodotto legittimamente commerciabile, cosicché la ricerca della originalità distintiva si è esercitata intorno ad un dato ontologicamente ed ineliminabilmente descrittivo, nella logica dell'articolo 13 numero 1 del codice della proprietà industriale che, escludendo la validità solo per i segni costituiti esclusivamente da denominazioni generico descrittive, consente una sia pur più limitata tutela benché in presenza di un grediente di descrittività. 2.b. Nel caso che ne occupa in particolare la ricorrente afferma che la individuazione della parola GSE come acronimo è possibile solo da una particolare consumatore, ovvero dal. commerciante, dal farmacista, dal rappresentante, del prodotto medesimo e non dal normale consumatore, il quale invece percepirebbe esclusivamente il segno in questione, e dunque come dotato di autonomia sua propria. Osserva il collegio che siffatta conclusione spetta al giudice del merito. Tuttavia, in via di principio, pare opportuno precisare che ogni acronimo, ovvero ogni sigla, é tale da determinare nel consumatore di quel tipo di prodotto, e non in una platea indistinta di possibili consumatori, l'interesse a conoscerne il significato. Per sua natura l’acronimo,quando le lettre che lo compongono non abbiano un significato noto nel mercato, giustifica la supposizione che esso all'utilizzatore possibile di un certo tipo di prodotto, come nel caso che ci riguarda il succo di frutta o altro un prodotto commestibile, indichi oggettivamente l'esistenza di un significato esplicito, commercialmente rilevante. Non può affermarsi che sempre, nel vivente meccanismo di comunicazione commerciale e di comunicazione tout court, l’acronimo sia linguaggio da iniziati, come sottintende il ricorrente quando fa riferimento ad un consumatore informato , diverso dall'utilizzatore avveduto, in quanto addirittura specializzato. L'apprezzamento che il giudice di merito effettua sulla confondibilità dei segni, soprattutto nel caso di affinità dei prodotti, deve essere compiuto non già in via analitica, attraverso l’esame anche particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento. Deve essere condotto invece in via globale e sintetica, ovvero con riguardo all'insieme degli elementi grafici mediante una valutazione di impressione, la quale deve avere come parametro di riferimento la normale diligenza ed avvedutezza del consumatore di quel genere di prodotti. Cosicché alla fine il raffronto risulta essere tra il marchio che il consumatore, di quel tipo di prodotti, guarda, ed il ricordo mnemonico del segno in concorrenza. 2.C. È singolare, a parere del collegio che il ricorrente sostenga che l'acronimo GSE, unica parola contenuta nel suo segno, pacificamente abbreviativa di una indicazione specificamente descrittiva, debba essere ritenuto cuore ideologico del marchio in concorrenza antagonista, benché questo contenga anche altra espressione grafica, e dunque dimenticando per l'appunto che la natura descrittiva del segno GSE necessita, perché il segno che l'acronimo include sia protetto, di una aggiunta di originalità. Aggiunta che, dal punto di vista grafico il segno di Erbavita, come apprezzato dal giudice del merito, sicuramente mostra. Orbene, il marchio Erbavita accusato di contraffazione, è segno complesso consistente nella composizione oltre che del predetto acronimo anche della parola fitoseptic. Dunque fra i due segni così come essi sono analiticamente descritti dalla sentenza impugnata, esiste una vistosa differenza grafica. Il giudice di merito ha considerato anzitutto tale differenza, quindi ha ritenuto che l'acronimo GSE contenuto nel marchio di Erbavita sia tutt'altro che preponderante rispetto alla parola Fitoseptic, più grande e con caratteri grafici che la evidenziano meglio, cosicché più che mai in tale segno di Erbavita, nella ricostruzione fatta dal giudice di merito, esso conserva una funzione descrittiva e non individualizzante, che,nella vicenda, esclude l'effetto contraffattorio. 2.d. I due motivi sono entrambi infondati giacché il giudice di merito ha fatto buon governo delle norme applicate, ha tenuto conto della giurisprudenza, ed ha esaminato, contrariamente a quanto ritiene il ricorrente, in modo sintetico i segni in conflitto motivando sulle questioni relative. 3. Con il terzo motivo del suo atto il ricorrente lamenta la motivazione omessa ed insufficiente, ovvero ancora illogica ai sensi dell'articolo 360 numero 5 cpc, su un punto decisivo della causa. Osserva che la Corte di Venezia non si è accorta della doglianza avverso il punto della decisione di primo grado relativo alla circostanza, non esaminata dal primo giudice, per la quale il marchio GSE é posto anche su prodotti non contenenti estratti dei semi di pompelmo. 3. a. Osserva il collegio che sul punto la Corte di merito si è pronunciata, vedi foglio 21 della sentenza impugnata , ed ha considerato marginale ed irrilevante la circostanza stessa attesa la proporzione tra prodotti a contenuto di succo di pompelmo,e prodotti nei quali tale succo era assente. Il ricorrente non va oltre una doglianza generica. Il motivo è pertanto inammissibile. 4. Con il quarto motivo del suo atto il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 2598 codice civile in relazione all'articolo 360 numero 3 cpc. Sostiene che la Corte di merito ha rigettato la domanda concorrenza sleale ritenendola erroneamente fondata sugli stessi motivi addotti a sostegno dell'accusa di contraffazione. 4.a. Il motivo è infondato. Nemmeno oggi il ricorrente indica quali circostanze, non dipendenti dalla affermata contraffazione, giustificherebbero l’ulteriore, ovvero autonoma, accusa di concorrenza sleale. 5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la motivazione omessa o insufficiente in relazione al punto specifico oggetto del sesto di specifica censura nell'atto di appello. 5.a. Il motivo è inammissibile. Il ricorrente indica il sesto motivo di appello come non esaminato ovvero non esaminata adeguatamente dalla corte di merito, tuttavia non indica in alcun modo la circostanza che, ancora una volta, costituirebbe atto di concorrenza sleale ex articolo 2598 del codice civile, ulteriore a quella conseguente alla affermata contraffazione, questione oggetto del predetto motivo di appello. 6. Il ricorso deve essere respinto. Il ricorrente deve essere condannato pagamento delle spese del giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7200,00 di cui Euro 200,00 per spese oltre ad oneri di legge.