Il curatore può agire contro amministratori e sindaci per tutelare la società e i creditori

L’azione di responsabilità svolta dal curatore ai sensi dell’art. 146 l.f. cumula in sé le azioni di responsabilità a tutela della società e dei creditori sociali previste agli articoli 2393 e 2394 c.c Ne consegue che il curatore può chiedere il risarcimento del danno sia per responsabilità contrattuale nei confronti della società, ex art. 2392, sia a titolo extracontrattuale per responsabilità verso i creditori.

L’eccezione di prescrizione delle azioni. L’impugnazione proposta dai sindaci della società mira a censurare la decisione della Corte territoriale nella parte in cui questa decideva di respingere l’eccezione di prescrizione formulata dai ricorrenti. La Corte d’Appello di Napoli basa il proprio convincimento sulla scorta del fatto che i fatti integravano il reato di bancarotta fraudolenta e che, pertanto, visto il disposto dell’art. 2497 c.c., il termine di prescrizione dell’azione avviata dalla curatela, decorrente dalla data di dichiarazione di fallimento era di quindici anni. Le tesi dei ricorrenti. I sindaci ricorrenti contestano come la Corte di merito avesse erroneamente ritenuto superflua l’indagine volta ad accertare se il curatore del fallimento avesse inteso esercitare l’azione contrattuale spettante alla società ex art. 2393 c.c. ovvero quella extracontrattuale spettante ai creditori sociali ex art. 2394, terzo comma, c.c I sindaci rilevano infatti che il curatore ha svolto nei loro confronti unicamente l’azione sociale a tutela dei diritti della società, concludendo che il termine di prescrizione di detta azione era oramai ampiamente decorso. i ricorrenti affermano, inoltre, che per diffusa opinione dottrinaria e giurisprudenziale anche l’azione per responsabilità spettante ai creditori sociali, ex art. 2394, c.c., ha natura contrattuale e che, pertanto, dovrebbe soggiacere al termine prescrizionale quinquennale. La soluzione costante della Cassazione . La corte di legittimità, senza discostarsi dall’orientamento costante e consolidato formatosi, afferma che l’azione di responsabilità attribuita al curatore fallimentare per le ipotesi di mala gestio ha carattere cumulativo riunendo, in sé, quelle previste sia a favore della società sia a favore dei creditori sociali cfr. Cass. n. 11018/05 .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 4 luglio – 20 settembre 2012, numero 15955 Presidente Carnevale – Relatore Cristiano Svolgimento del processo Il Fallimento della Corner s.r.l., dichiarato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il 5.10.89, con citazioni notificate il 19, 20 e 21.3.2002 convenne in giudizio, ai sensi dell'art. 146 l. fall., i sindaci della società, E M. e V N. , nonché T C. , erede del defunto terzo sindaco, C.V. , per sentirli condannare in via fra loro solidale al risarcimento dei danni subiti in dipendenza delle condotte omissive da essi tenute in violazione degli obblighi loro imposti dalla legge. I convenuti si costituirono in giudizio ed eccepirono in via pregiudiziale la prescrizione dell'azione dedussero, poi, l'infondatezza dell'avversa pretesa e conclusero per la sua reiezione. Il Tribunale adito, con sentenza del 12.5.2006, respinta l'eccezione di prescrizione e ritenuti provati i fatti allegati dal Fallimento, accolse la domanda e condannò i convenuti in solido al pagamento, a titolo risarcitorio, della somma di Euro 1.136.205,17, oltre accessori e spese del giudizio. L'impugnazione proposta dai M. , N. e C. contro la decisione è stata accolta solo parzialmente dalla Corte d'Appello di Napoli, che, con sentenza del 5.6.2008, ha ridotto ad Euro 930.671,86 la somma dovuta dagli appellanti al Fallimento. La Corte territoriale ha, in primo luogo, ritenuto infondata l'eccezione di prescrizione riproposta dagli appellanti, rilevando che i fatti loro addebitati integravano il reato di bancarotta fraudolenta, commesso in concorso con l'amministratore della società, Gi Ta. , per non aver impedito che questi distraesse beni e proventi della COMER, e che pertanto, ai sensi dell'art. 2947 c.c., il termine di prescrizione dell'azione, decorrente dalla data della dichiarazione di fallimento, era quello di quindici anni previsto dal c.p. per il predetto reato, ove aggravato, come nella specie, dalla notevole entità del danno ha quindi rilevato che la genericità delle contestazioni mosse dagli appellanti in ordine alla valenza probatoria degli elementi istruttori sui quali il Tribunale aveva fondato la decisione andava valutata ai sensi dell'art. 116 c.p.c., e che, in ogni caso, il primo giudice aveva correttamente tenuto conto della ctu disposta nel procedimento penale svoltosi a carico di Ta. e del fatto che questi avesse patteggiato la pena, non limitandosi, peraltro, a desumere la responsabilità dei sindaci da quella dell'amministratore, ma accertando che i primi, violando i doveri di controllo e di vigilanza posti a loro carico, avevano concorso alla commissione del reato sotto il profilo del dolo eventuale. La Corte territoriale ha infine ritenuto che i sindaci non potessero rispondere dei danni derivati dall'operazione di aumento di capitale della Corner, operata attraverso il conferimento del complesso aziendale della Carlo Vistarini, che secondo il ctu aveva generato lo stato di insolvenza, inducendo l'amministratore a reperire risorse finanziarie presso istituti di credito con notevole aggravio di costi per la gestione sociale, in quanto deliberata in data antecedente alla loro nomina, né di quelli eventualmente derivati da un'operazione finanziaria transazione per L. 65.000.000 eseguita nell'imminenza del fallimento. V N. ed E M. hanno impugnato la sentenza con ricorso per cassazione affidato a 19 motivi C.T. ha proposto separato ricorso, anch'esso affidato a 19 motivi. Il Fallimento ha replicato con distinti controricorsi ed ha proposto ricorso incidentale. Motivi della decisione 1 Il ricorso principale e quelli incidentali così qualificato anche quello di T C. , notificato in data successiva al ricorso proposto da M. e N. vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c 2 In via preliminare, va rilevato che, con atto vistato dal curatore del Fallimento della Corner s.r.l., M M. , nella sua qualità di unico erede del defunto E M. , ha rinunciato al ricorso. Il giudizio sul predetto ricorso va pertanto dichiarato estinto e le spese fra le parti di tale giudizio vanno integralmente compensate. 3 I ricorsi proposti da V N. e da C.T. contengono identiche censure, che verranno pertanto congiuntamente esaminate. 4 Con i primi nove motivi, i ricorrenti, denunciando plurime violazioni degli artt. 146 l. fall., 2947, 2949, 2392, 2393, 2394 c.c. gli ultimi tre nel testo, applicabile ratione temporis al caso di specie, anteriore alle modifiche apportate dal d. lgs. numero 6/03 , nonché vizi di motivazione della sentenza impugnata, si dolgono, sotto vari profili, del mancato accoglimento dell'eccezione di prescrizione dell'azione. 4.1 Osservano, in primo luogo, che la Corte di merito ha erroneamente ritenuto superflua l'indagine volta ad accertare se il curatore del Fallimento della Corner, nell'ambito del giudizio promosso ai sensi dell'art. 146 l. fall., avesse inteso esercitare l'azione contrattuale, spettante alla società ai sensi dell'art. 2393 c.c., o quella extracontrattuale, spettante ai creditori sociali ai sensi dell'art. 2394 c.c., posto che solo quest'ultima, qualora il fatto illecito sia considerato dalla legge come reato, soggiace al più lungo termine di prescrizione di cui all'art. 2947, terzo comma, c.c. ciò premesso, rilevano in fatto che il curatore ha svolto nei loro confronti unicamente l'azione sociale di cui all'art. 2393 c.c. ed affermano, pertanto, che il termine di prescrizione di tale azione, decorrente dalla data di dichiarazione del fallimento, era ampiamente decorso alla data di notifica della citazione motivi 1, 2, 3, 5 . 4.2 Deducono, inoltre, che, secondo una diffusa opinione dottrinaria e giurisprudenziale, anche l'azione che spetta ai creditori sociali ha natura contrattuale, sicché, ove tale opinione dovesse ritenersi fondata, l'azione risulterebbe in ogni caso prescritta motivo 4 . 4.3 Sostengono, per altro aspetto ed in via generale, che, pur nel caso in cui, configurandosi il fatto illecito come reato, sia applicabile l'art. 2947, terzo comma c.c., il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria, usualmente quinquennale, non potrebbe mai superare quello ordinario decennale di cui all'art. 2946 c.c. motivo 6 . 4.4 Rilevano, infine, che il termine di prescrizione del reato di bancarotta fraudolenta è di 11 anni ed otto mesi e che la Corte di merito lo ha aumentato sino a quindici anni tenendo conto delle sole circostanze aggravanti contestate al Ta. , e non anche delle attenuanti, senza neppure chiarire se abbia ritenuto, in base ad un errato convincimento in diritto, di non poter considerare le seconde ai fini del calcolo ovvero, in base ad un altrettanto errato convincimento in fatto, di non poterle, in concreto, riconoscere motivi 7-9 . I motivi riassunti sub. 4.1 vanno dichiarati inammissibili. Secondo la giurisprudenza costante e consolidata di questa Corte, l'azione di responsabilità svolta dal curatore ai sensi dell'art. 146 L.F. cumula in sé le diverse azioni di responsabilità previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c., a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali. Il curatore può conseguentemente formulare istanze risarcitorie verso gli amministratori tanto con riferimento ai presupposti della loro responsabilità contrattuale verso la società art. 2392 c.c. , quanto a quelli della responsabilità extracontrattuale verso i creditori cfr., fra molte, Cass. nnumero 11018/05, 10438/98, 3755/81 . Vero è che il curatore, una volta effettuata la scelta nell'ambito di ogni singola questione, soggiace anche agli aspetti eventualmente sfavorevoli dell'azione individuata, e che non sempre è superfluo stabilire se i fatti generatori della responsabilità siano stati dedotti sotto l'uno o l'altro profilo di danno, in quanto fra le due azioni sussistono notevoli divergenze non solo per quanto riguarda la decorrenza del termine di prescrizione, ma anche in relazione al diverso atteggiarsi dell'onere della prova e ad all'ammontare dei danni risarcibili nell'azione sociale i convenuti sono infatti gravati dell'onere di provare l'inimputabilità a sé del fatto dannoso e possono essere chiamati a rispondere non solo del danno emergente, ovvero delle perdite, ma anche di quello da lucro cessante . Stabilire se le domande proposte dal curatore ex art. 146 l. fall., possano essere apprezzate sotto entrambi i profili, od esclusivamente sotto uno di essi per essersi, ad. es., prescritta l'azione contrattuale costituisce, tuttavia, tipico accertamento di fatto, che la Corte territoriale non ha mancato di compiere, laddove, richiamando per completezza espositiva i principi appena sopra enunciati, ha sostanzialmente affermato che non ricorreva alcuna ragione per ritenere che il curatore del Fallimento della Corner non avesse allegato la responsabilità dei sindaci anche ai sensi dell'art. 2394 c.c E tale accertamento di fatto non è stato in alcun modo contestato dal N. e dalla C. , i quali si sono limitati a dedurre, in via meramente assertiva, che non v'è dubbio che, nei caso di specie, sia nell'atto di citazione, sia nelle memorie ex art. 183, comma 5 c.p.c., sia stato chiesto il risarcimento dei danni provocati alla società , senza neppure riportare con esattezza le conclusioni precisate dalla curatela e senza considerare che il giudice del merito, nell'indagine diretta all'individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, ma deve, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, sì come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante Cass. nnumero 3012/2010, 19331/07, 23819/07 . Ne consegue l'irrilevanza della questione relativa all'applicabilità, o meno, del maggior termine di prescrizione di cui all'art. 2947, comma 3 c.c. anche all'azione contrattuale. Parimenti inammissibile è il motivo riportato sub. 4.2 , con il quale, anziché investire con specifiche censure la sentenza impugnata, i ricorrenti richiamano sommariamente l'indirizzo interpretativo che attribuisce all'azione dei creditori natura surrogatoria di quella sociale, deducendone l'applicabilità in termini ipotetici e probabilistici, e che si rivela pertanto inidoneo ad integrare il requisito di cui all'art. 366 numero 4 c.p.c., il quale richiede che all'affermazione di dissenso rispetto al principio di diritto sul quale si fonda la decisione gravata si accompagni la compiuta esposizione delle ragioni che sorreggono la diversa soluzione prospettata fra molte, da ultimo, Cass. nnumero 11756/011, 6091/011, 2018/011 . Il motivo riportato sub. 4.3 risulta invece smentito dal tenore testuale dell'art. 2947 comma 3 c.c., il quale, nel prevedere che, se il fatto è considerato dalla legge come reato, e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile, mira, all'evidenza, ad evitare che, in presenza di un illecito penalmente rilevante, il danneggiato possa vedere prescritto il suo diritto al risarcimento nonostante il reato sia ancora perseguibile. Infine, a confutazione dei motivi sintetizzati sub. 4.4 , va rilevato che, ai fini del computo della prescrizione nell'ipotesi contemplata dall'art. 2947, terzo comma c.c., occorre avere riguardo al reato contestato nel capo d'imputazione, posto che qualunque diminuzione della pena per effetto di determinazioni che potrebbero essere operate dal giudice nel corso del procedimento - come l'applicazione di circostanze attenuanti ovvero il mutamento del titolo del reato - non comporta l'estensione della più breve prescrizione del reato, come definitivamente ritenuto dal giudice penale, al diritto al risarcimento del danno Cass. nnumero 13272/06, 10967/04, 4431/97 . 5 Con i motivi successivi al nono, i ricorrenti, denunciando plurime violazioni dell'art. 2697 c.c. e vizi di motivazione, deducono che la Corte territoriale ha affermato la loro responsabilità in difetto assoluto di prova. Va data precedenza, in ordine logico, all'esame delle censure illustrate nel decimo, nell'undicesimo e nel diciottesimo motivo di entrambi i ricorsi. Con i primi due degli indicati motivi, i ricorrenti lamentano che il giudice del merito abbia fondato il proprio convincimento su una consulenza tecnica di parte, redatta dal consulente del P.M. in difetto di contraddittorio, che il Fallimento ha prodotto in giudizio senza allegare le scritture contabili esaminate dal consulente - rendendo così impossibile una specifica contestazione delle conclusioni da questi assunte e confermate in sede testimoniale - e che, oltretutto, essendo stata disposta nel procedimento penale promosso a carico del Ta. , non conteneva alcun accertamento in ordine ad una eventuale responsabilità omissiva dei sindaci, concorrente con quella dell'amministratore, in ordine agli illeciti a quest'ultimo contestati. Con il diciottesimo motivo, sia il N. sia la C. imputano, poi, alla Corte territoriale di non aver individuato alcun fatto dal quale potesse desumersi la violazione da parte dei sindaci dei doveri di controllo e di vigilanza cui erano tenuti, Le censure meritano accoglimento. La Corte d'Appello ha fondato, in via pressoché esclusiva, l'affermazione della responsabilità penale dei sindaci, per aver concorso con l'amministratore della società nel reato di bancarotta fraudolenta aggravata, sui risultati di una consulenza tecnica di cui si è avvalso il P.M. nel procedimento penale promosso a carico del Ta. , rilevando che gli odierni ricorrenti non li avevano specificamente contestati, né avevano prodotto documenti atti a smentirli. Ora, a parte il rilievo che il giudice a quo non si è dato cura di accertare se, ed in quale misura, ciascuna delle irregolarità contabili riscontrate dal ct costituisse fonte di un effettivo pregiudizio economico per la società, resta che la consulenza era stata disposta dal P.M. nel corso delle indagini preliminari e, per di più, nell'ambito di un procedimento penale cui i sindaci erano rimasti totalmente estranei. E, se è indubbio che il giudice del merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in altro giudizio fra le stesse od altre parti . e può quindi avvalersi anche di una consulenza tecnica o della perizia ammessa ed espletata in altro procedimento Cass. nnumero 12422/2000, 8585/99 , ciò non toglie che deve trattarsi di accertamenti consulenze tecniche d'ufficio o perizie disposti da altro giudice nel contraddittorio delle parti. La consulenza tecnica disposta dal P.M., invece, non ha valore di prova, costituendo semplice attività di parte Cass. penale, 8/2/91 tanto che, in tema di acquisizioni probatorie dibattimentali, quando nel corso dell'investigazione sia stata eseguita una consulenza disposta dal pubblico ministero senza l'intervento della difesa in condizione di ripetibilità il giudice del dibattimento è tenuto a disporre perizia se non si é verificata una imprevedibile irripetibilità sopravvenuta, posto che, in mancanza, le acquisizioni conseguite con l'atto investigativo non possono essere riservate nel dibattimento e valutate come prova. Cass. penale, 37490/011, 22268/08, 21/5/98 . Non diversamente, del resto, nel processo civile, le consulenze di parte costituiscono mere allegazioni difensive, delle quali il giudice non è obbligato a tenere conto Cass. numero 4437/97 . Ne consegue che la Corte di merito, in difetto della documentazione contabile esaminata dal consulente tecnico pacificamente non prodotta in giudizio dal Fallimento , e indispensabile per verificare la correttezza dalle conclusioni da questi raggiunte, ha palesemente errato nel ritenere che fosse onere dei convenuti/appellanti fornire elementi idonei a smentirla o sollevare specifiche contestazioni in ordine ad essa. Ciò che maggiormente rileva, tuttavia, è che la predetta indagine non conteneva alcun accertamento in ordine ad eventuali fatti omissivi, addebitabili ai sindaci, atti a configurare il loro concorso nei reati di bancarotta ascritti all'amministratore. Sul punto, che costituiva l'effettivo thema decidendum del giudizio, la Corte d'Appello si è limitata da un lato a rilevare, con affermazione palesemente tautologica, che la responsabilità penale dei sindaci era stata desunta dal Tribunale non già sulla base del mero accertamento della responsabilità dell'amministratore, ma tenuto conto della violazione dei precisi doveri di controllo e vigilanza sulle operazioni illecite di quest'ultimo ed accertando il loro dolo eventuale e, dall'altro, ad elencare quali sono, in via generale, le iniziative che i sindaci sono tenuti ad assumere per evitare di dover rispondere degli atti di mala gestio degli amministratori, per poi concludere che gli appellanti non ne avevano assunta alcuna. Sennonché, dalla lettura della sentenza impugnata nella quale non si fa neppure un accenno al libro dei verbali delle riunioni del collegio sindacale, né si addebita ai sindaci di non aver tenuto le riunioni non è dato ricavare da quali risultanze istruttorie emergesse la prova dell'omesso, doloso esercizio dei doveri incombenti sui sindaci e del nesso di causalità anch'esso necessario ai fini della configurabilità del concorso nel reato tra le supposte omissioni e ciascuna delle fattispecie delittuose delle quali il Ta. era stato chiamato a rispondere in sede penale. Difetta, in conclusione, qualsiasi apprezzamento dei fatti di causa idoneo a dar conto dell'individuazione delle concrete iniziative che i sindaci avrebbero, nel caso, dovuto adottare per evitare la commissione dei reati da parte dell'amministratore e che hanno invece, tralasciato di adottare, in tal modo consapevolmente favorendola. Ricorrendo i denunciati vizi di violazione dell'art. 2697 c.c. e di omessa motivazione, la sentenza impugnata deve essere cassata, con conseguente rinvio della causa alla Corte d'Appello di Napoli, in diversa composizione, che regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità. Restano assorbiti gli ulteriori motivi dei ricorsi del N. e della C. , nonché i ricorsi incidentali del Fallimento. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi dichiara estinto il giudizio sul ricorso proposto da E M. e compensa le spese fra le parti di tale giudizio rigetta i primi nove motivi dei ricorsi proposti da V N. e da T C. accoglie il decimo, l'undicesimo ed il diciottesimo motivo e dichiara assorbiti gli altri motivi nonché i ricorsi incidentali del Fallimento cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d'Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità, con eccezione di quelle per le quali la Corte si è già pronunciata.