Può essere soggetto a revocatoria fallimentare il pagamento effettuato dal terzo. Anche in presenza di un accollo liberatorio

L’accollo liberatorio c.d. non allo scoperto, che ricorre qualora l’accollante è obbligato verso il debitore e il suo pagamento in favore del terzo creditore vale perciò ad estinguere sia la propria obbligazione verso il debitore sia quello di quest’ultimo verso il proprio creditore, rientra tra i modi di pagamento del terzo oggettivamente revocabili.

Così, ribaltando le decisioni adottate dai giudici di merito, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6795, depositata il 4 maggio scorso, in merito ad una peculiare fattispecie di revocatoria fallimentare. I fatti di causa. La fattispecie oggetto della decisione in commento si presenta alquanto lineare, trattandosi di un’azione revocatoria, promossa dai liquidatori di una società in amministrazione straordinaria ai sensi dell’art. 67 legge fallimentare, relativa a due rimesse affluite sul conto corrente della società prima della dichiarazione di insolvenza. La domanda viene rigettata sia in primo che in secondo grado, non ritenendo sussistenti i presupposti di legge, in ragione del particolare intervento del terzo, attuato sulla base di un contratto di accollo, in occasione del pagamento delle somme poi affluite sul conto corrente. Sul punto, la Corte di Cassazione, interviene con una interessante pronuncia che, come andremo ad osservare, riforma le decisioni dei giudici di merito assunte nei precedenti gradi di giudizio. La revocatoria fallimentare prima della riforma I fatti alla base della decisione assunta dalla Cassazione con la sentenza in commento si collocano, pur senza che vi sia indicazione della data esatta, prima della riforma della revocatoria fallimentare, operata con il d.l. 35/2005, poi convertito nella l. 80/2005. Secondo, quindi, la normativa vigente all’epoca dei fatti – in particolare, l’art. 67, lett. a della legge fallimentare – erano revocabili, salvo che l'altra parte non avesse provato di non essere a conoscenza dello stato di insolvenza del debitore, gli atti a titolo oneroso compiuti nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano notevolmente ciò che a lui è stato dato o promesso. Secondo una consolidata interpretazione giurisprudenziale, le rimesse affluite sul conto corrente dell’imprenditore successivamente fallito sono legittimamente revocabili, ai sensi dell’art. 67 l.fall., quando il conto stesso, all’atto della rimessa, risulti ‘scoperto’ pertanto al fine di accertare se una rimessa del correntista sia destinata al pagamento di un proprio debito verso la banca ed abbia quindi funzione solutoria, ovvero valga solo a ripristinare la provvista sul conto corrente, occorre fare riferimento al criterio del ‘saldo disponibile’ del conto, da determinarsi in ragione delle epoche di effettiva esecuzione di incassi ed erogazioni da parte della banca non è, invece, idoneo né il criterio del ‘saldo contabile’, che riflette la registrazione delle operazioni in ordine puramente cronologico, né quello del saldo per valuta”, che è effetto del posizionamento delle partite unicamente in base alla data di maturazione degli interessi. Quanto all’ulteriore elemento della necessaria conoscenza dello stato di insolvenza, si è affermato che è equiparabile a tale stato anche la conoscibilità delle sue condizioni economiche, secondo un giudizio ex ante desumibile da elementi indiziari da cui legittimamente desumere la scientia decoctionis , quale concreta situazione psicologica della parte nel momento dell’atto impugnato, senza che però, così raggiunta la prova del requisito soggettivo dell’azione, se ne possano far retroagire gli effetti all’inizio del periodo sospetto escludendo, quindi, la rilevanza, ai fini dell’elemento, della non conoscenza di una solo protesto E dopo la riforma. Successivamente alla novella della revocatoria fallimentare, per quanto di rilievo in questa sede, è stato previsto, con una radicale modifica dell’assetto sinora esistente, che non sono revocabili le rimesse effettuate bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca a fronte della novità testè illustrata, peraltro, in giurisprudenza si è affermata una linea interpretativa che, riducendo notevolmente la portata innovativa della riforma, ha sostenuto che la natura solutoria delle rimesse in conto corrente bancario rileva anche nell’ambito della nuova disciplina dettata dalla riforma della legge fallimentare artt. 67 e 70 ai fini della loro revocabilità, dovranno essere prese in considerazione soltanto quelle rimesse intervenute su conto scoperto. Da ciò deriva che il requisito della ‘consistenza’ della riduzione dell’esposizione debitoria è condizionato dall’entità massima dell’esposizione, dall’entità media dei versamenti in entrata e delle voci in uscita nonché dall’ammontare del debito nel momento in cui la rimessa è effettuata. L’accollo come e perché. Ai sensi dell’art. 1273 c.c., l’accollo è il contratto tra il debitore ed un terzo con il quale quest’ultimo accollante assume su di sé l’obbligo che il debitore accollato ha nei confronti del creditore accollatorio tale figura, in altri termini, costituisce la modalità con la quale un terzo assume l’obbligo di un debito altrui. Secondo la giurisprudenza, l’accollo può avere efficacia liberatoria per l’originario debitore solo quando il creditore esprima in tal senso una volontà espressa ed in equivoca, in mancanza della quale tale debitore - non potendo ritenersi liberato - conserva l’interesse ad agire nei confronti dell’accollante, per l’inadempimento delle obbligazioni da questi assunte, per effetto dell’accollo, nei confronti del terzo creditore. L’accollo, quindi, salva l’ipotesi particolare poc’anzi menzionata, è di regola cumulativo, nel senso che al debitore originario, che non viene liberato, si affianca l’accollante, quale obbligato in solido. L’accollante sarà il debitore principale, mentre l’obbligazione dell’accollato assumerà carattere sussidiario. L’accollo liberatorio non allo scoperto anche il pagamento del terzo è revocabile. La singolarità della vicenda sottoposta al vaglio della Cassazione attiene al rapporto tra accollo e revocatoria fallimentare secondo i giudici di Piazza Cavour, riformando le precedenti decisioni assunte dai giudici di merito, il caso di specie rientra nell’ambito del c.d. accollo liberatorio non allo scoperto , quando, cioè, l’accollante è obbligato verso il debitore e il suo pagamento vale ad estinguere, perciò, entrambi i debiti. Tale ipotesi rientra tra i possibili modi di pagamento del terzo soggetti a revocatoria fallimentare, in quanto l’operazione in questione conserva tutti i presupposti rilevanti ai fini della revocatoria, e cioè la soddisfazione di un creditore al di fuori del fallimento con risorse provenienti dal patrimonio del fallito, ancorchè per il tramite di un terzo, e la corrispondente lesione della par condicio creditorum , ossia il superamento del principio per il quale, in presenza di un fallimento, tutti i creditori, salve le legittime cause di prelazione, devono essere soddisfatti con percentuali analoghe del credito dagli stessi rivendicato.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 24 gennaio – 4 maggio 2012, n. 6795 Presidente Fioretti – Relatore De Chiara Svolgimento del processo Nel febbraio 2001 i commissari della C. P. s.p.a. d'ora in poi semplicemente C. in amministrazione straordinaria convennero davanti al Tribunale di Lecco la Banca Intesa s.p.a., la Intesa Gestione Crediti s.p.a. e la Cassa di Risparmio di Parma & amp Piacenza s.p.a. con domanda di revoca ai sensi dell'art. 67 legge fallirti., avente per oggetto rimesse per complessive L. 1.129.094.983 affluite sul conto corrente n. intrattenuto dalla società con la Cassa di Risparmio. Le convenute resistettero, tutte rappresentate da Intesa Gestione Crediti s.p.a., e il Tribunale respinse la domanda accogliendo l'eccezione di incompatibilità dell'azione revocatoria esercitata con l'ordinamento comunitario. Sul gravame dell'amministrazione straordinaria, cui ha resistito Banca Intesa s.p.a. poi divenuta Intesa Sanpaolo s.p.a. , incorporante di Intesa Gestione Crediti s.p.a. e procuratrice della Cassa di Risparmio di Parma & amp Piacenza s.p.a., la Corte d'appello di Milano, respinta con sentenza non definitiva l'eccezione di incompatibilità comunitaria, ha confermato, con la sentenza definitiva, il rigetto della domanda osservando, per quanto ancora rileva, che la rimessa costituita da bonifico di L. 870.000.000 proveniente dalla società Sofim non era revocabile perché effettuata da un terzo con denaro proprio e senza rivalersi nei confronti della C., in esecuzione di un accordo di ristrutturazione del debito stipulato tra la Sofim, la C. e varie banche, fra cui la Cassa di Risparmio di Parma & amp Piacenza, che prevedeva l'impegno della Sofim ad estinguere per circa 78,5 miliardi il suo debito verso la controllante C., accollandosi in via liberatoria debiti bancari , e che la sottoscrizione del presente atto costituisce adesione all'anzidetto accollo da parte delle banche interessate, con espressa dichiarazione da parte di queste ultime di liberazione del debitore originario C. - l'altra rimessa, di L. 259.000.000, non era revocabile in quanto priva di carattere solutorio, trattandosi di giroconto da un altro conto corrente n. fra le medesime parti recante un saldo pari a zero e, dopo l'operazione, un saldo negativo dello stesso importo dunque si trattava di una mera operazione contabile, di cui rimanevano oscure le ragioni, che non aveva inciso sull'esposizione della società, rimasta comunque debitrice verso la banca della medesima somma di L. 259.000.000, sia pure annotata in un diverso conto, mentre era mancato l'effetto tipico del pagamento, né vi era stata alcuna alterazione della par condicio creditorum. I commissari straordinari hanno quindi proposto ricorso per cassazione, con due motivi di censura, illustrato anche da memoria. Intesa Sanpaolo s.p.a. ha resistito, anche in rappresentanza della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza s.p.a., con controricorso. Motivi della decisione 1. - Il primo motivo di ricorso, con cui si denuncia violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, riguarda il rigetto della domanda di revoca della rimessa di L. 870.000.000 eseguita dalla Sofim. I ricorrenti criticano la sentenza perché richiama giurisprudenza di legittimità - in particolare Cass. Sez. I 13479/2002 e Sez. Un. 16874/2005 - riferita all'ipotesi di pagamento del fideiussore, mentre nella specie l'accollo non era stato assunto dalla Sofim a titolo di garanzia, bensì per l'estinzione di una sua pregressa obbligazione nei confronti della C. si trattava, insomma, di un accollo non allo scoperto, che secondo la giurisprudenza di legittimità è revocabile perché l'accollante, effettuando il pagamento in favore del creditore del proprio creditore, estingue automaticamente sia il proprio debito sia quello del proprio creditore. 1.1. - Il motivo è fondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte cfr. Cass. 16973/2006, nonché, in motivaz., Cass. 1611/2000 e 6474/1998 l'accollo c.d. non allo scoperto, che ricorre allorché l'accollante è obbligato verso il debitore e il suo pagamento in favore del creditore vale perciò ad estinguere sia la propria obbligazione verso il debitore sia quella di quest'ultimo verso il creditore, rientra, appunto per tale caratteristica, fra i possibili modi di pagamento del terzo oggettivamente revocabili. La rivalsa del terzo accollante si realizza in tal caso mediante l'estinzione del suo debito nei confronti del debitore accollato. Correttamente i ricorrenti qualificano l'accollo dalla Sofim come accollo non allo scoperto, dato che esso era stato espressamente previsto quale mezzo di estinzione del debito della società accollante verso l'accollata C La particolarità del caso in esame, evidenziata dalla controricorrente, consiste nel fatto che qui si tratta di accollo altresì liberatorio, in cui l'effetto estintivo dell'obbligazione del debitore accollato C. verso il creditore accollatario banca è anticipato rispetto all'esecuzione del pagamento da parte del terzo accollante Sofim , verificandosi già con l'adesione del creditore alla convenzione di accollo con la conseguenza che il successivo pagamento dell'accollante - sottolinea la controricorrente - non può estinguere nuovamente la medesima obbligazione già estinta dell'accollato. Va però osservato che l'anticipazione dell'effetto estintivo del debito dell'accollato verso l'accollatario rispetto alla soddisfazione di quest'ultimo che avverrà soltanto con il pagamento da parte dell'accollate non influisce sulla oggettiva revocabilità dell'operazione solutoria, la quale conserva tutti i presupposti a tal fine rilevanti, e cioè la soddisfazione di un creditore fuori del fallimento con risorse provenienti dal patrimonio del fallito - ancorché per il tramite di un terzo che si rivale nei confronti di quest'ultimo - e la corrispondente lesione della par condicio creditorum. Ciò che conta, invero, non è l'ordine in cui si succedono i singoli atti con i corrispondenti specifici effetti estintivi delle obbligazioni, bensì l'effetto finale della complessiva operazione, risultante dal collegamento dei singoli atti, e le sue caratteristiche appena dette. 2. - Con il secondo motivo, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, si censura l'esclusione del carattere solutorio della rimessa di L. 259.000.000. Secondo i ricorrenti l'operazione di cui trattasi non ebbe effetto meramente ripristinatorio di una provvista, bensì effetto estintivo del debito della C. relativo al conto corrente n. , che è il solo che interessa ai fini della presente domanda . 2.1. - Il motivo è infondato. Ai fini della revocatoria fallimentare di pagamenti - compresi quelli realizzati mediante rimesse su conti correnti bancari scoperti - occorre accertare se vi sia stata o meno estinzione di un credito con mezzi provenienti dal patrimonio del fallito il carattere ripristinatorio o meno di una provvista esula da quanto qui rileva . A tal fine il giudice deve tener conto come sempre di tutte le evidenze acquisite agli atti, non soltanto delle annotazioni del conto su cui è affluita la rimessa. L'ultima affermazione dei ricorrenti, sopra riportata testualmente, è dunque errata in quanto contraddice questa che è una regola generale dell'accertamento dei fatti da parte del giudice di merito. Nella specie, fra le evidenze acquisite vi era la mancanza di fondi sul conto n. di provenienza del giroconto, che perciò dopo l'operazione aveva assunto un saldo negativo di pari importo. Tanto basta per escludere che l'estinzione del saldo passivo del conto di arrivo n. possa dirsi avvenuta con mezzi del debitore anzi, che possa dirsi effettivamente verificata l'estinzione del credito della banca, scomparso, sì, da un conto, ma corrispondentemente riaffiorato in un altro, senza che la banca creditrice avesse ricevuto e la società debitrice versato alcunché. Né ha rilevanza il dubbio dei giudici di merito - su cui pure insistono i ricorrenti - circa le ragioni di tale operazione contabile. Il dubbio, invero, non può giovare a chi - come l'attore nella revocatoria fallimentare - è gravato invece dell'onere della prova. Ogni altra considerazione svolta dai ricorrenti a proposito della rimessa in questione resta assorbita da quanto sopra affermato. 3. - La sentenza impugnata va in conclusione cassata, in accoglimento del primo motivo di ricorso, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si, atterrà al seguente principio di diritto l'acollo liberatorio non allo scoperto rientra fra i possibili modi di pagamento del terzo soggetti a revocatoria fallimentare. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese processuali. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Milano in diversa composizione.