L’aumento di capitale è possibile anche in presenza di azioni non interamente liberate

La delibera assembleare è legittima, ma la sua esecuzione necessita della liberazione delle azioni emesse in precedenza.

La mera deliberazione assembleare avente ad oggetto un aumento di capitale sociale non è subordinata alla liberazione delle azioni emesse in seguito ad un precedente aumento, lo è invece la sua esecuzione. Questo è il principio affermato nella sentenza n. 25731/11 pronunciata dalla Prima sezione Civile della Corte di Cassazione depositata lo scorso 1° dicembre. Il caso. Primi anni ’90. Il titolare di una s.r.l. sottoscrive delle azioni di una s.p.a. emesse dopo la decisione di un aumento del capitale, ma non versa il relativo importo. Passano gli anni, il titolare viene sostituito e la s.p.a. fallisce. Il curatore fallimentare pro-tempore decide di citare la s.r.l. per ottenere il pagamento della somma residua dovuta. La s.r.l. si oppone sostenendo la nullità della delibera con la quale era stato disposto l’aumento, visto che non erano state ancora integralmente liberate le azioni emesse in occasione di un aumento deciso in data anteriore. Il caso finisce in Cassazione dopo che la Corte d’appello, riformando la sentenza resa dal Tribunale in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, ha rigettato la domanda volta ad ottenere la condanna della s.r.l. È possibile deliberare un aumento di capitale anche quando non sono state interamente liberate azioni emesse in precedenza. Il tutto ruota attorno alla corretta interpretazione della norma. Al caso si applicano le disposizioni del codice antecedenti la riforma del diritto societario del 2003. La precedente formulazione vietava l’emissione di nuove azioni fino a quando non fossero interamente liberate quelle già emesse. Ciò ha dato adito a valutazioni diverse sia da parte della giurisprudenza di merito, sia da parte della dottrina. Tuttavia, la Corte di Cassazione precisa come debba essere privilegiata l’interpretazione secondo la quale è la sola esecuzione della deliberazione di aumento del capitale a dover essere subordinata alla liberazione delle azioni emesse in seguito ad un precedente aumento e non già la mera deliberazione assembleare avente ad oggetto quello ulteriore. Questo in considerazione di due fattori il primo è l’interpretazione del termine ‘emissione’ contenuto nella norma che si attaglia maggiormente alla fase della sottoscrizione e della attribuzione dei titoli piuttosto che alla deliberazione dell’aumento il secondo è l’individuazione della ratio della disposizione che è quella di evitare il ricorso ad ulteriori forme di finanziamento quando può essere utilizzato il capitale già giuridicamente disponibile. Vecchia e nuova disciplina sono all’insegna della continuità. La correttezza di questa argomentazione è confermata dalla nuova formulazione del codice che chiarisce come sia la sola esecuzione della delibera di aumento di capitale a non esser consentita. Del resto la Corte ricorda che la nuova norma non può non essere vista che in un’angolazione di continuità con la precedente disciplina, e quindi in funzione sostanzialmente interpretativa, non essendovi alcun elemento sistematico che induca a ritenere che il legislatore abbia optato per un mutamento di regime ed anzi dovendosi presumere, in difetto di precise diverse indicazioni ermeneutiche, che il medesimo, allorquando interviene modificando testi preesistenti con formulazioni non dissonanti, si muova per successivi affinamenti ed integrazioni piuttosto che in un’ottica di discontinuità . Sussiste comunque una responsabilità degli amministratori . La delibera di aumento di capitale non è dunque illecita. La violazione del divieto di emissione di nuove azioni in difetto di liberazione di quelle già emesse da parte degli amministratori della s.p.a. comporta esclusivamente una responsabilità degli stessi per danni arrecati ai soci e ai terzi, mentre restano salvi gli obblighi assunti con la sottoscrizione delle azioni. Il curatore fallimentare ha dunque il diritto di pretendere l’adempimento da parte della s.r.l

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 8 novembre – 1 dicembre 2011, n. 25731 Presidente Fioretti – Relatore Zanichelli Svolgimento del processo La curatela del fallimento della C.M.C. s.p.a. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Messina che, riformando la sentenza resa dal tribunale in sede di opposizione a decreto ingiuntivo richiesto dalla medesima, ha rigettato la sua domanda volta ad ottenere la condanna della S.I.R. s.r.l. al pagamento dell'importo di Euro 118.010,40 quale residuo dovuto per la sottoscrizione di azioni emesse in esecuzione della delibera del 25.5.1990 e non interamente liberate acquistate dalla medesima dal precedente titolare, avendo il giudice d'appello ritenuto nulla la delibera con la quale era stato disposto l'aumento per non essere state ancora integralmente liberate le azioni emesse in occasione di un precedente aumento deciso in data 16.10.1989. Il ricorso è affidato a tre motivi con i quali, in sintesi, si deduce violazione dell'art. 2438 c.c. nella formulazione vigente ratione temporis per avere ritenuto la Corte d'appello che la mancata liberazione di azioni sottoscritte in occasione di un precedente aumento di capitale comportasse la nullità della successiva delibera di aumento e non la mera ineseguibilità della stessa violazione della citata norma per difetto del presupposto della contestata applicazione, essendo state integralmente liberate le azioni emesse in occasione del precedente aumento di capitale carenza di motivazione in ordine al fatto controverso e contestato costituito dall'intervenuta liberazione. Resiste l'intimata con controricorso, illustrato con memoria, e propone ricorso incidentale contestando l'avvenuta compensazione delle spese cui non replica la ricorrente. Motivi della decisione I ricorsi principale e incidentale debbono essere riuniti in quanto proposti avverso la stessa sentenza. Con il primo motivo del ricorso principale si contesta il principio applicato dalla Corte d'appello secondo il quale la mancata liberazione delle azioni emesse in occasione di una precedente delibera di aumento di capitale comporterebbe la nullità di quella concernente un ulteriore aumento che secondo la ricorrente sarebbe invece pienamente valida, dovendosi subordinare la sola esecuzione della delibera stessa all'integrale liberazione delle azioni in precedenza emesse. La censura è fondata. La questione circa l'interpretazione dell'art. 2348 c.c. nella formulazione vigente ratione temporis secondo cui Non si possono emettere nuove azioni fino a che quelle emesse non siano interamente liberate è stata oggetto di valutazioni diverse sia nella giurisprudenza di merito che in dottrina ma ritiene il Collegio che debba essere privilegiata quella secondo cui è la sola esecuzione della deliberazione di aumento del capitale a dover essere subordinata alla liberazione della azioni emesse in seguito ad un precedente aumento e non già la mera deliberazione assembleare avente ad oggetto quello ulteriore. Tale opzione interpretativa, che trova una prima conferma già sul piano letterale della disposizione previgente in quanto il termine emissione si attaglia maggiormente alla fase della sottoscrizione e della attribuzione dei titoli che non a quella della deliberazione dell'aumento, nonché nella ratio , che è quella di evitare il ricorso ad ulteriori forme di finanziamento quando può essere utilizzato il capitale già giuridicamente disponibile, ne trova una ulteriore di decisivo spessore nella modifica dell'art. 2348 c.c. operata con il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. La nuova formulazione, che chiarisce inequivocabilmente che è la sola esecuzione della delibera di aumento di capitale che non è consentita fino a quando le azioni in precedenza emesse non sono integralmente liberate, non può non essere vista che in un'angolazione di continuità con la precedente disciplina, e quindi in funzione sostanzialmente interpretativa, non essendovi alcun elemento sistematico che induca a ritenere che il legislatore abbia optato per un mutamento di regime ed anzi dovendosi presumere, in difetto di precise diverse indicazioni ermeneutiche, che il medesimo, allorquando interviene modificando testi preesistenti con formulazioni non dissonanti, si muova per successivi affinamenti ed integrazioni piuttosto che in un'ottica di discontinuità. Esclusa dunque l'illiceità della delibera di aumento di capitale la successiva condotta degli amministratori della C.M.S. s.p.a., che in violazione del divieto di emissione di nuove azioni in difetto di liberazione di quelle già emesse hanno dato corso alla sottoscrizione dell'aumento, non rende viziata quest'ultima, come dimostra la precisazione contenuta nella vigente formulazione secondo cui dalla condotta non conforme al precetto in questione deriva unicamente la responsabilità degli amministratori per danni eventualmente arrecati ai soci e ai terzi mentre restano salvi gli obblighi assunti con la sottoscrizione delle azioni, circostanza questa che esclude la valenza pubblicistica del divieto. Ne consegue che l'obbligazione assunta dal dante causa della S.I.R. s.r.l. con la sottoscrizione dell'aumento è pienamente valida e si è trasferita a quest'ultima, acquirente della azioni non liberate, con conseguente diritto del curatore di pretenderne l'adempimento art. 150 l.fall. . La fondatezza del motivo comporta l'assorbimento di quelli ulteriori e anche del ricorso incidentale, dovendosi procedere a nuova statuizione sulle spese. Il ricorso principale deve dunque essere accolto e cassata la sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito e pertanto rigettata l'opposizione al decreto ingiuntivo. La novità della questione induce alla compensazione integrale tra le parti delle spese dell'intero giudizio. P.Q.M. la Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri e quello incidentale cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta l'opposizione al decreto ingiuntivo compensa le spese dell'intero giudizio.