Mobbing e pregiudizio psico-fisico non bastano a rendere invalide le dimissioni del lavoratore

Confermato il risarcimento in favore dell’oramai ex dipendente della società proprietaria di un supermercato. Negata, però, la personalizzazione del danno. Respinta, invece, l’ipotesi della invalidità delle dimissioni.

Il mobbing subito in azienda e il conseguente pregiudizio psico-fisico sono meritevoli di risarcimento ma non bastano a ipotizzare una condizione di incapacità naturale tale da invalidare le dimissioni con cui si è chiuso il rapporto di lavoro Corte di Cassazione, sezione Lavoro, ordinanza n. 16153/21, depositata il 9 giugno . Decisivo il passaggio in Corte d’Appello accolte solo in parte le pretese avanzate da un oramai ex dipendente di una società proprietaria di un supermercato . In particolare, viene riconosciuto il risarcimento – 17mila euro – dei danni conseguenti al pregiudizio psicofisico sofferto dal lavoratore, trovatosi in un presunto stato di incapacità naturale . Respinta, invece, l’ipotesi della invalidità delle dimissioni rassegnate , e, di conseguenza, negato il ripristino del rapporto di lavoro . Per i giudici di secondo grado sono valide le rassegnate dimissioni , non essendo ravvisabile, alla stregua della relazione del consulente, la denunciata incapacità naturale . Allo stesso tempo, però, è sussistente, sulla base della stessa relazione, la lamentata invalidità lavorativa , con connesso pregiudizio psico-fisico subito dal lavoratore e ricollegabile al mobbing imputato alla società datrice di lavoro e con conseguente corposo risarcimento. Col ricorso in Cassazione il lavoratore lamenta la mancata considerazione del criterio della personalizzazione del danno non patrimoniale e la carenza di motivazione in ordine ai criteri di liquidazione del danno stesso . I Giudici di terzo grado ribattono però che è legittimo il mancato ricorso al criterio della personalizzazione del danno non patrimoniale . Dalla Cassazione ribadiscono che il procedimento della personalizzazione è diretto a valorizzare, insieme alle conseguenze ordinarie già previste e compensate dalla liquidazione forfetizzata assicurata dalle previsioni tabellari – che includono le voci del danno biologico, morale ed esistenziale –, specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso, che da quelle si distinguano, siccome legate all’irripetibile singolarità dell’esperienza di vita individuale considerata caratterizzata da aspetti legati alle dinamiche emotive della vita interiore, o all’uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali e meritevoli, in quanto tali, di una differente, più ricca e, dunque, individualizzata, considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità . In sostanza, il criterio della personalizzazione ben può consistere, risultando congruo ai fini della considerazione delle voci di danno morale ed esistenziale, in un aumento equitativo delle quantificazione del danno biologico attraverso i meccanismi di oscillazione tabellare quando, come in questa vicenda, nulla a riguardo avendo il lavoratore specificato in termini che vadano oltre la descrizione della sintomatologia della sindrome da cui è affetto, non rilevino specificità tali da consigliare o imporre lo scostamento da tali valori standard di personalizzazione del danno forfettariamente individuato, ovvero quando la specifica vicenda non rientri nell’ambito dell’ordinario e pur differenziato atteggiarsi delle varie possibili situazioni in astratto idonee ad orientare la liquidazione stessa tra il minimo ed il massimo del parametro tabellare, ma se ne discosti per la presenza di circostanze di cui il parametro stesso, evidentemente costruito in base alla considerazione dell’oscillazione ipotizzabile nell’ambito delle diverse situazioni ordinarie configurabili secondo l’id quod plerumque accidit, non possa aver tenuto conto .

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, ordinanza 18 novembre 2020 – 9 giugno2021, n. 16153 Presidente Berrino – Relatore De Marinis Rilevato che, con sentenza del 7 ottobre 2016, la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale di Frosinone che, sulla domanda proposta da V.E. nei confronti di G.S. S.p.A. ora S.S.C. Società Sviluppo Commerciale S.r.l. , DIA Distribuzioni S.p.A. e Allianz S.p.A. di risarcimento dei danni conseguenti al pregiudizio psicofisico sofferto in relazione al quale era venuto a trovarsi in uno stato di incapacità naturale implicante l’invalidità delle dimissioni rassegnate ed il ripristino del rapporto con la G.S. S.p.A, si era pronunziato per il rigetto di quest’ultimo capo, limitandosi alla condanna di G.S. S.p.A., DIA Distribuzioni S.p.A. e Riunione Adriatica di Sicurtà S.p.A. in solido al pagamento in favore del V. di un importo complessivo di Euro 17.334,74 a titolo di invalidità temporanea e parziale e danno biologico nella misura del 7,5% oltre interessi legali, ribadiva a carico di S.S.C. S.r.l. e di DIA distribuzioni S.p.A. la condanna in solido per un importo pari a 92.940,74 ma, in accoglimento dell’appello incidentale dell’Allianz S.p.A. rigettava la domanda di garanzia proposta dalla S.S.C. S.r.l. nei confronti della predetta Società di assicurazioni condannando il V. alla restituzione delle somme ricevute dalla stessa Società che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto infondata l’eccezione di inammissibilità ex art. 434 c.p.c., comma 1, sollevata dalla S.S.C. S.r.l. e, quanto al merito, valide le rassegnate dimissioni per non essere ravvisabile, alla stregua dell’espletata CTU, la denunciata incapacità naturale, ma sussistente, sulla base della stessa CTU, la lamentata invalidità lavorativa, dovuto per essere il pregiudizio psicofisico ricollegabile al mobbing imputato alla S.S.C. S.r.l. il risarcimento del danno quantificato in coerenza con l’esito della CTU medesima e fondata l’eccezione sollevata dall’Allianz S.p.A. di decadenza dell’operatività della garanzia assicurativa per decorso del termine di un anno entro il quale la stessa andava attivata - che per la cassazione di tale decisione ricorre il V. , affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, la sola S.S.C. S.r.l. essendo, tanto la DIA Distribuzioni quanto l’Allianz S.p.A., rimaste intimate - che la Società controricorrente ha poi depositato memoria. Considerato - che, con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 32 Cost., artt. 2059 e 1226 c.c. in una con il vizio di motivazione, lamenta a carico della Corte territoriale l’erroneità con specifico riguardo alla mancata considerazione del criterio della personalizzazione del danno non patrimoniale e comunque la carenza di motivazione in ordine ai criteri di liquidazione del danno stesso - che, con il secondo motivo, denunciando il vizio di motivazione, il ricorrente imputa alla Corte territoriale di non essersi pronunziata sul motivo d’appello relativo alla non conformità alla tariffa professionale vigente della quantificazione delle spese di lite da parte del primo giudice che il primo motivo deve ritenersi infondato atteso che le censure ivi mosse non attengono all’aver la Corte territoriale disatteso il riferimento alle tabelle del Tribunale di Milano cui questa Corte ha riconosciuto la valenza di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c. cfr., da ultimo, Cass. n. 20895/2015, n. 9950/2017 e n. 11754/2018 ma si risolvono nel desumere dal tenore della motivazione il mancato ricorso al criterio della personalizzazione del danno non patrimoniale. Tale criterio è nella specie da escludersi. Si deve considerare che tale procedimento è diretto a valorizzare, insieme alle conseguenze ordinarie già previste e compensate dalla liquidazione forfetizzata assicurata dalle previsioni tabellari nelle quali, alla luce dell’orientamento accolto da questa Corte a sezioni unite con la nota sentenza n. 26972/2008, risultano incluse le voci del danno biologico, morale ed esistenziale, sicché in questo quadro la loro autonoma considerazione si risolve in una inammissibile duplicazione risarcitoria specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, che da quelle si distinguano, siccome legate all’irripetibile singolarità dell’esperienza di vita individuale nella specie considerata caratterizzata da aspetti legati alle dinamiche emotive della vita interiore, o all’uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali e meritevoli in quanto tali di una differente, più ricca e, dunque, individualizzata, considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità cfr. Cass. n. 21939/2017 . In effetti, il criterio ben può consistere, risultando congruo ai fini della considerazione delle voci di danno morale ed esistenziale, in un aumento equitativo delle quantificazione del danno biologico attraverso i meccanismi di oscillazione tabellare quando, come si deve ritenere nella specie, nulla a riguardo avendo il ricorrente specificato in termini che vadano oltre la descrizione della sintomatologia della sindrome da cui è affetto, non rilevino specificità tali da consigliare o imporre lo scostamento da tali valori standard di personalizzazione del danno forfettariamente individuato, ovvero quando la specifica vicenda non rientri nell’ambito dell’ordinario e pur differenziato atteggiarsi delle varie possibili situazioni in astratto idonee ad orientare la liquidazione stessa tra il minimo ed il massimo del parametro tabellare, ma se ne discosti per la presenza di circostanze di cui il parametro stesso, evidentemente costruito in base alla considerazione dell’oscillazione ipotizzabile nell’ambito delle diverse situazioni ordinarie configurabili secondo Vid quod plerumque accidit, non possa aver tenuto conto cfr. Cass. n. 3505/2016, ma altresì le successive n. 21939/2017, n. 2788/2019, n. 25690/2019 - che, di contro, il secondo motivo si rivela inammissibile, al di là della genericità della formulata censura, non dando conto in questa sede il ricorrente dei motivi su cui aveva fondato l’impugnazione proposta in grado di appello e della loro rilevanza, in considerazione del rigetto da parte del primo giudice di un capo non secondario della domanda e dell’esiguità dell’importo dal medesimo liquidato a titolo di risarcimento del danno 17.000 Euro circa . - che il ricorso va dunque rigettato - che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 7.500,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i ricorsi, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.