Protezione umanitaria possibile per lo straniero che aiuta dall’Italia i familiari rimasti in patria

Riprende vigore la richiesta presentata da un cittadino nigeriano. Fondamentale il riferimento alla condizione di indigenza subita in patria.

L’estrema povertà vissuta nel Paese natio può legittimare la protezione umanitaria in favore dello straniero approdato in Italia proprio per trovare una fonte di reddito e poter così inviare un aiuto economico ai familiari rimasti in patria Cassazione, ordinanza n. 15961/21, sez. Lavoro, depositata l’8 giugno 2021 Protagonista della vicenda è un cittadino della Nigeria. Una volta approdato in Italia, chiede protezione allo Stato, ma la sua domanda viene ritenuta priva di fondamento sia dai membri della Commissione territoriale che dai giudici del Tribunale. Lo straniero ha spiegato di avere lasciato il Paese di origine nel 2017 e di essere arrivato in Italia, dopo avere attraversato il Niger e la Libia, a causa della povertà della sua famiglia e per trovare un lavoro migliore e aiutare la sorella malata . A questo proposito, egli racconta di avere lavorato come facchino al mercato ma i soldi guadagnati non erano sufficienti per il mantenimento della famiglia in patria, spiega, e di lavorare come addetto alla raccolta rifiuti , ora, e di essere ospite in un Centro di accoglienza . Per i giudici del Tribunale, però, va negata anche la protezione umanitaria , poiché lo straniero ha allegato una situazione di profonda povertà della propria famiglia ma ciò non può essere addotto quale causa per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari né può valere, quale condizione di vulnerabilità , la malattia della sorella . Allo stesso tempo, i giudici escludono anche altri possibili elementi di vulnerabilità soggettiva dello straniero, attese la giovane età e la assenza di problemi di salute . A ridare una speranza al cittadino nigeriano è la Cassazione, sancendo la necessità di un nuovo giudizio in Tribunale per valutare la condizione di povertà subita dai familiari dello straniero e destinata a ripercuotersi anche su di lui in caso di allontanamento dall’Italia e conseguente ritorno in patria. Dinanzi ai Giudici di terzo grado lo straniero pone in evidenza ancora una volta la particolare situazione di deprivazione materiale subita nel Paese di origine da lui e dai suoi familiari che, però, ora anche grazie al denaro dallo straniero inviato loro, possono condurre, stante la loro estrema condizione di povertà, una esistenza più vicina al concetto di dignità umana . Prima di esaminare la vicenda, i Magistrati del ‘Palazzaccio’ ribadiscono che in tema di protezione umanitaria e ai fini dell’accertamento della condizione di vulnerabilità dello straniero, la condizione di povertà del Paese di provenienza può assumere rilievo ove considerata unitamente alla condizione di insuperabile indigenza alla quale, per ragioni individuali, la persona sarebbe esposta ove rimpatriata, nel caso in cui la combinazione di tali elementi crei il pericolo di esporla a condizioni incompatibili con il rispetto dei diritti umani fondamentali . I Giudici aggiungono poi che il concetto di povertà estrema costituisce la più dura condizione di povertà, nella quale non si dispone, o si dispone con grande difficoltà o intermittenza, delle primarie risorse per il sostentamento umano come l’acqua, il cibo, il vestiario e l’abitazione , e ricordano che nel 2018 la Banca Mondiale ha considerato tale la condizione di povertà di chi vive con meno di 1,90 dollari al giorno . Di conseguenza, va messa in discussione la decisione del Tribunale, che ha dichiarato che la profonda povertà non giustifica il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari , ma, annotano i Giudici della Cassazione, ha omesso di approfondire le reali condizioni del cittadino nigeriano e della sua famiglia, sia da un punto di vista soggettivo sia nel particolare contesto sociale in cui essi sono inseriti . Necessario, quindi, un nuovo processo in Tribunale per prendere in esame lo stato di povertà subito in patria dai familiari dello straniero e per stabilire, di conseguenza, se l’eventuale rimpatrio del cittadino nigeriano possa comportare, o meno, il pericolo per lui di lesione dei diritti fondamentali alla vita, alla libertà e alla autodeterminazione dell’individuo .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 4 marzo – 8 giugno 2021, n. 15961 Presidente Tria – Relatore Cinque Rilevato che 1. Con decreto del 30 novembre 2019 n. 5892 il Tribunale di Bologna ha respinto il ricorso di S.E. , cittadino della Nigeria, avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento della protezione internazionale, sussidiaria ed umanitaria, all’esito del rigetto della relativa domanda da parte della locale Commissione territoriale. 2. Il richiedente, in sintesi, aveva dichiarato di avere lasciato il suo paese di origine nel 2017 e di essere arrivato in Italia dopo avere attraversato il Niger e la Libia di essere cristiano cattolico e appartenente al gruppo etnico [] di essere partito dalla Nigeria a causa della povertà della sua famiglia, per trovare un lavoro migliore e aiutare la sorella malata di avere lavorato come facchino al mercato ma i soldi che guadagnava non erano sufficienti per il mantenimento della famiglia di lavorare come addetto alla raccolta rifiuti e di essere ospite in un centro di accoglienza di temere di rientrare in Nigeria sia per la crisi che coinvolge il paese sia per il timore di esser ucciso dai componenti del gruppo di Boko Haram. 3. Il Tribunale, rilevato che le ragioni addotte a motivo della fuga dal paese di origine non consentivano il riconoscimento dello status di rifugiato nè la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b , ha escluso, dalle fonti consultate e richiamate, che nella regione di provenienza del ricorrente sussistesse una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno tale da porre in pericolo la popolazione civile per il solo fatto di essere presente nel territorio quanto alla protezione umanitaria, sebbene il richiedente avesse allegato una situazione di profonda povertà della propria famiglia, ha ritenuto che ciò non poteva essere addotte quale causa per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari nè poteva valere, quale condizione di vulnerabilità, la malattia della sorella inoltre, ha escluso altri elementi di vulnerabilità soggettiva, attesa la giovane età del ricorrente e la assenza di problemi di salute. 4. S.E. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico articolato motivo. 5. Il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione. CONSIDERATO che 1. Con l’unico articolato motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2, 3, 4 e 8 CEDU dell’art. 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, art. 5 commi 4 e 6, art. 19 comma 1 e 1.1 del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 19, comma 2 in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 Deduce che, pur prestando acquiescenza al diniego dello status di rifugiato, nonché al diniego della protezione sussidiaria limitatamente alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e c , nel caso in esame il Tribunale, in ordine alle altre richieste di protezione, non aveva ben valutato la particolare situazione di deprivazione materiale di esso ricorrente e della sua famiglia che, anche grazie al denaro loro inviato, potevano condurre, stante la loro estrema condizione di povertà, una esistenza più vicina e rispettosa del concetto di dignità umana. 2. Il ricorso è fondato e va accolto per quanto di ragione. 3. Il dato processuale da prendere in considerazione è l’affermazione del Tribunale con riguardo alla allegazione, da parte del ricorrente, di una situazione di profonda povertà della propria famiglia, sebbene, poi, non abbia ritenuto tale circostanza idonea a giustificare il rilascio del permesso di soggiorno e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b . 4. Con un recente orientamento di legittimità Cass. n. 5022/2021 , cui questo Collegio intende dare seguito, si è, però, precisato che, ai fini del riconoscimento, o del diniego, della protezione umanitaria prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, commi 1 e 1.1, il concetto di nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale , costituisce il limite minimo essenziale al di sotto del quale non è rispettato il diritto individuale alla vita e all’esistenza dignitosa. Detto limite va apprezzato dal giudice di merito non solo con specifico riferimento all’esistenza di una situazione di conflitto armato, ma anche con riguardo a qualsiasi contesto che sia, in concreto, idoneo ad esporre i diritti fondamentali alla vita, alla libertà e all’autodeterminazione dell’individuo al rischio di azzeramento o riduzione al di sotto della predetta soglia minima. 5. Inoltre, è stato precisato Cass. n. 18443 del 2020 che, sempre in tema di protezione umanitaria, nel regime vigente ratione temporis, ai fini dell’accertamento della condizione di vulnerabilità del richiedente, all’esito della valutazione comparativa tra le condizioni di vita alle quali lo straniero sarebbe esposto ove rimpatriato ed il raggiunto grado di integrazione sociale nel nostro paese, la condizione di povertà del paese di provenienza può assumere rilievo ove considerata unitamente alla condizione di insuperabile indigenza alla quale, per ragioni individuali, il ricorrente sarebbe esposto ove rimpatriato, nel caso in cui la combinazione di tali elementi crei il pericolo di esporlo a condizioni incompatibili con il rispetto dei diritti umani fondamentali. 6. Il concetto di povertà estrema costituisce, infatti, la più dura condizione di povertà, nella quale non si dispone, o si dispone con grande difficoltà o intermittenza, delle primarie risorse per il sostentamento umano come l’acqua, il cibo, il vestiario e l’abitazione. 7. Nel 2018 la Banca Mondiale ha considerato tale la condizione di povertà di chi vive con meno di 1,90 dollari al giorno. 8. Nella fattispecie in esame, pertanto, il Tribunale, per escludere che la profonda povertà del ricorrente non giustificasse il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, avrebbe dovuto valutare tale profilo, ricorrendo anche alla cooperazione istruttoria officiosa, e approfondire le reali condizioni del ricorrente e della sua famiglia sia da un punto di vista soggettivo sia nel particolare contesto sociale in cui essi sono inseriti. 9. Mancando tale verifica, invero, non è possibile stabilire se l’eventuale rimpatrio possa comportare, o meno, il pericolo di lesione dei diritti fondamentali alla vita, alla libertà e alla autodeterminazione dell’individuo. 10. Alla stregua di quanto esposto, la sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione alle censure accolte e il giudice del rinvio dovrà procedere ad un nuovo esame, mediante la verifica sopra precisata, oltre a provvedere sulle spese anche del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione cassa il provvedimento impugnato in relazione alle censure accolte e rinvia al Tribunale di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.