Licenziato per l’incidente col mezzo aziendale, inutile il bluff del dipendente

Sconfitta definitiva per il dirigente medico di un’Azienda sanitaria. Fatale non solo l’avere utilizzato in modo illecito la vettura messagli a disposizione, ma anche l’avere mentito sull’incidente, dichiarando all’azienda che il fatto era avvenuto durante il regolare utilizzo per ragioni di lavoro.

A casa, definitivamente, il dirigente medico che non solo ha usato in modo illecito il mezzo di lavoro – messogli a disposizione dall’Azienda sanitaria – ma ha anche bluffato sull’incidente che lo ha visto coinvolto e che, se raccontato in maniera onesta, avrebbe fatto emergere l’abuso da lui compiuto Cassazione, sentenza n. 11644/21, depositata il 4 maggio . Decisivo il passaggio in Appello. Lì i giudici accolgono il reclamo proposto dall’Azienda sanitaria e restituiscono legittimità al licenziamento disciplinare adottato nei confronti di un dirigente medico, colpevole, in sostanza, di avere dissimulato un sinistro avvenuto alla guida di un’auto aziendale , bluff mirato ad occultare l’uso improprio del mezzo . Secondo quanto appurato, il lavoratore ha dichiarato nella denuncia aziendale che l’incidente era avvenuto in circostanze differenti , ossia la mattina seguente, quando egli aveva effettivamente necessità del veicolo per ragioni di servizio , e ha così cercato anche di occultare ulteriori violazioni alle norme interne sull’utilizzazione dei mezzi , cioè esclusività rispetto ai compiti di ufficio divieto di detenere il mezzo presso l’abitazione privata obbligo di compilare il libretto di marcia . Per i Giudici d’Appello, quindi, acclarato l’incidente e appurate le condotte tenute subito dopo dal dirigente medico, è evidente la gravità del comportamento , atta a giustificare il recesso in tronco , gravità da ravvisare, viene chiarito, non tanto nell’utilizzazione con modalità irregolari del mezzo aziendale, quanto nell’avere tenuto il datore di lavoro all’oscuro delle modalità di verificazione dell’incidente e nell’avere cercato di mascherare la realtà, denunciando un falso sinistro . Inutile il ricorso proposto dal lavoratore in Cassazione. A inchiodarlo è, innanzitutto, l’osservazione, compiuta in Appello, secondo cui è poco probabile che il lavoratore abbia fatto due incidenti con lo stesso mezzo a distanza ravvicinata di tempo . Respinta quindi la tesi difensiva, mirata a sostenere la veridicità della denuncia effettuata dal dirigente, denuncia falsa, invece, secondo i Giudici, e mirata a dare giustificazione ai danni provocati all’autovettura da lui irregolarmente prelevata il giorno precedente rispetto alla necessità di servizio . In sostanza, vi è stato solo un incidente, e si è verificato nel giorno precedente a quello indicato dal lavoratore nella segnalazione presentata all’azienda. Bisogna però sottolineare, spiegano i Giudici, che una cosa è il mero occultamento di un danno al mezzo aziendale, altra cosa è l’avere cercato di mascherare la realtà, denunciando un falso sinistro . Proprio per questo, è evidente la gravità del bluff compiuto dal lavoratore, e ciò rende legittimo il licenziamento, poiché il comportamento in esame è idoneo a ledere il nesso fiduciario con l’Azienda sanitaria.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 dicembre 2020 – 4 maggio 2021, n. 11644 Presidente Tria – Relatore Bellè Fatti di causa 1. La Corte d’Appello di Bologna, accogliendo il reclamo proposto avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia, ha respinto l’impugnativa del licenziamento disciplinare intimato dalla Azienda Unità Sanitaria Locale di Reggio Emilia di seguito AUSL nei confronti di C.L. , dirigente medico della stessa. 1.1 I fatti riguardavano l’avere il lavoratore dissimulato un sinistro avvenuto la sera del omissis , alla guida di un’auto aziendale, allo scopo di occultare l’uso improprio del suddetto mezzo, dichiarando nella denuncia aziendale che esso era avvenuto, in circostanze differenti, la mattina seguente, quando egli aveva effettivamente necessità del veicolo per ragioni di servizio, con ulteriori violazioni alle norme interne sull’utilizzazione dei mezzi esclusività rispetto ai compiti di ufficio divieto di detenere il medesimo presso l’abitazione privata obbligo di compilare il libretto di marcia etc. . La Corte riteneva fosse indubbio che l’unico incidente che aveva coinvolto il C. fosse quello della sera dell’[], essendo inverosimile che potessero essersi verificati due sinistri sullo stesso mezzo a dodici ore di distanza, oltre al fatto che tale assunto era stato smentito dall’istruttoria. Riteneva quindi che la gravità del comportamento, atta a giustificare il recesso in tronco, fosse da ravvisare non tanto nell’utilizzazione con modalità irregolari del mezzo aziendale, quanto nell’avere tenuto il datore di lavoro all’oscuro delle modalità di verificazione dell’incidente e nell’avere cercato di mascherare la realtà, denunciando un falso sinistro. 2. C.L. ha proposto quattro motivi di ricorso per cassazione, poi illustrati da memoria e resistiti da controricorso della AUSL. Ragioni della decisione 1. con il primo motivo si adduce nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., sostenendo che l’assunto della Corte territoriale secondo cui sarebbe inverosimile che si fossero verificati due incidenti sullo stesso mezzo a dodici ore di distanza sarebbe soltanto apparente e apodittico, risolvendosi nella mera affermazione - senza spiegazione - del convincimento raggiunto. Il secondo motivo afferma la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché art. 2697 c.c. art. 360 c.p.c., n. 3 in quanto l’accertamento della Corte territoriale in ordine alla simulazione del secondo incidente sarebbe fondata sul nulla ed avrebbe finito per porre illegittimamente a carico del lavoratore l’onere probatorio. Il terzo motivo contiene denuncia di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio art. 360 c.p.c., n. 5 , che individua nell’effettiva esistenza del secondo incidente, la cui verificazione era tale da inficiare le accuse di simulazione rivolta al C. . Il quarto motivo censura infine la sentenza per violazione degli artt. 7 e 8 del Codice Disciplinare nonché degli artt. 1175, 1362, 1371, 1375, 2140, 2016 e 2119 c.c., per errata applicazione dei canoni di ermeneutica contrattuale e difetto di proporzionalità, oltre ad omessa considerazione del servizio precedentemente prestato per quasi 18 anni senza altri procedimenti disciplinari a carico. 2. I motivi, stante la loro connessione, vanno esaminati congiuntamente. L’affermazione centrale della sentenza impugnata è quella per cui sarebbe inverosimile che possano essersi verificati due sinistri sullo stesso mezzo a 12 ore di distanza. Tale affermazione giustifica due ordini di lettura, nel senso che la Corte potrebbe avere detto che non fosse possibile il verificarsi dei due incidenti, oppure che non fosse probabile che ciò fosse accaduto. Poiché è palese che una tale impossibilità non è predicabile, non emergendo che il primo incidente avesse messo definitivamente fuori uso il veicolo, è evidente che la lettura della motivazione debba essere l’altra, ovverosia che la Corte ha ritenuto poco probabile che il C. avesse fatto due incidenti con lo stesso mezzo a distanza ravvicinata di tempo. L’affermazione è accompagnata da una effettivamente non meglio spiegata smentita istruttoria dell’assunto del ricorrente oltre al fatto che tale assunto è stato smentito dall’istruttoria , ma in sé essa ha l’effetto di una presunzione semplice art. 2729 c.c. costruita sull’identità del mezzo e sulla ravvicinatezza oraria dell’accaduto, cui la motivazione associa, subito di seguito, il rilievo in ordine all’esigenza del C. di dare giustificazione ai danni provocati all’autovettura da lui irregolarmente prelevata il giorno precedente rispetto alla necessità di servizio. La costruzione probabilistica, per quanto sintetica e contratta, non può dirsi illogica e quindi va da sé che non vi sia stata violazione delle regole sull’onere probatorio, avendo in sostanza la Corte ritenuto provato che l’incidente fosse stato solo uno e solo quello, pacificamente verificatosi, del giorno precedente. Ne deriva l’infondatezza del primo e del secondo motivo e l’inammissibilità del terzo, in quanto la Corte non ha omesso di valutare il fatto storico del secondo incidente, ma lo ha invece valutato, escludendo però che esso si fosse verificato. Quanto al quarto motivo, la Corte territoriale ha ritenuto esplicitamente che l’illecito non fosse da riportare alle ipotesi di cui all’art. 8, comma 8 del Codice Disciplinare, con riferimento, si può qui aggiungere, al caso lettera f di occultamento da parte del dirigente di fatti e circostanze relativi ad illecito uso, manomissione, distrazione o sottrazione di somme o beni di pertinenza dell’amministrazione o ad esso affidati , ma evidentemente all’art. 8, comma 11, che contempla, alla propria lettera f l’ipotesi generale di atti e comportamenti non ricompresi specificamente nelle lettere precedenti seppure estranei alla prestazione lavorativa, posti in essere anche nei confronti del terzo, di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 2119 c.c. . D’altra parte, è chiaro che una cosa è il mero occultamento di un danno al mezzo, altra e più grave cosa è l’avere cercato di mascherare la realtà, denunciando un falso sinistro così la Corte territoriale , che è derivata dalla ricostruzione fattuale posta al centro della decisione di appello e su cui la Corte territoriale ha esplicitamente incentrato la propria valutazione di gravità e quindi di proporzionalità dell’accaduto rispetto alla sanzione applicata ed in ragione dell’idoneità del comportamento a ledere il nesso fiduciario. Il giudizio riguardante la gravità e la irrimediabile compromissione dell’elemento fiduciario pertiene del resto al giudice del merito e come tale resta insuscettibile, in sede di legittimità, di essere rivisitata sulla base di considerazione v. l’incensuratezza disciplinare di elementi non necessariamente decisivi v. art. 360 c.p.c., n. 5 . 3. Al rigetto del ricorso segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.