Se il contratto a termine si interrompe per l’intervenuta carcerazione, il lavoratore non può poi tornare in servizio

Sconfitta definitiva per un operaio forestale. Inutile la sua domanda, mirata ad ottenere la riassunzione da parte dell’azienda regionale. Decisivo il fatto che egli sia finito in carcere e non abbia mai informato il datore di lavoro.

Niente reinserimento per l’operaio forestale – con contratto a termine – costretto in carcere per reati non riconducibili all’attività lavorativa Cassazione, ordinanza n. 11554/21, sez. Lavoro, depositata il 3 maggio . Decisivo è il passaggio in Appello. Lì i Giudici ribaltano la decisione presa dal Tribunale e respingono le domande presentate da un operaio idraulico nei confronti di un’azienda forestale regionale, domande con cui egli ha chiesto l’accertamento del diritto ad essere assunto dall’azienda a tempo indeterminato o in subordine con contratto a termine, a far tempo dal febbraio 2002, ed ha conseguentemente domandato la condanna dell’azienda alla riassunzione o reintegrazione ed al pagamento delle retribuzioni non corrisposte dal febbraio 2002 . In sostanza, l’uomo ha prestato attività lavorativa di operaio idraulico forestale dal 1974 al 1980 ed è stato impossibilitato a mantenere il rapporto di lavoro in quanto detenuto per reati non riconducibili all’attività lavorativa . Poi, tornato in libertà nel 2002 , ha chiesto la riassunzione, non concessa sebbene l’azienda non l’avesse mai formalmente licenziato . Consequenziale, a quel punto, la sua decisione di citare in giudizio l’azienda, chiedendo, come detto, di poter tornare in servizio. Per i Giudici di secondo grado, però, la carcerazione del lavoratore, pur non costituendo inadempimento di obblighi contrattuali, integra un fatto oggettivo che determina sopravvenuta impossibilità temporanea della prestazione , che va valutata dal datore di lavoro, potendo integrare un giustificato motivo di licenziamento nei casi in cui l’assenza non sia compatibile con le esigenze aziendali , e, comunque, in caso di contratto a tempo determinato il rapporto è destinato a cessare alla scadenza del termine . Per maggiore chiarezza, poi, i Giudici aggiungono che l’azienda non è stata informata sino al luglio 2007 della privazione della libertà subita dal lavoratore, e, comunque, anche a voler ammettere una interruzione dovuta alla carcerazione, potevano essere ravvisati, da un lato, la volontà del dipendente di abbandonare liberamente e consapevolmente l’attività lavorativa e, dall’altro, la mancanza di interesse dell’azienda a mantenere in vita il rapporto a termine, perché la prestazione residua poteva essere resa solo a distanza di anni, una volta riacquistata la libertà personale . Infine, viene respinta anche l’ipotesi di una assunzione a tempo indeterminato a partire dall’anno 2004 poiché, sottolineano i giudici, all’impiego pubblico si accede solo a seguito di concorso e sarebbe affetto da nullità un accordo sindacale prevedente l’obbligo a carico dell’amministrazione di stabilizzare i lavoratori precari . Inutili sono le obiezioni proposte in Cassazione dal lavoratore. Impossibile anche solo ipotizzare un suo diritto a rientrare in servizio. Per i Giudici, difatti, è corretta la visione tracciata in Appello. In particolare, viene ribadito che sul rapporto a termine che legava l’operaio all’amministrazione, al momento della carcerazione, non può essere fondata alcuna pretesa di riassunzione perché a il rapporto era destinato a spirare alla scadenza b il lavoratore non aveva mai informato il datore della privazione della libertà personale sino alla missiva del 2007, e, pertanto, si poteva ritenere che egli avesse liberamente e consapevolmente abbandonato l’attività lavorativa c non vi era interesse alcuno del datore di mantenere in vita, sospendendolo nel periodo di carcerazione, il rapporto a tempo determinato, in ragione della impossibilità di ricevere la prestazione che poteva essere resa da altri lavoratori .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 26 novembre 2020 – 3 maggio 2021, n. 11554 Presidente Torrice – Relatore Di Paolantonio Rilevato che 1. la Corte d’Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza del Tribunale di Locri che aveva accolto il ricorso, ha respinto tutte le domande formulate nei confronti dell’AFOR Azienda forestale della Regione Calabria - da G.F. , il quale aveva chiesto l’accertamento del suo diritto ad essere assunto dall’Azienda a tempo indeterminato o in subordine con contratto a termine a far tempo dal febbraio 2002 ed aveva conseguentemente domandato la condanna dell’AFOR alla riassunzione o reintegrazione ed al pagamento delle retribuzioni non corrisposte dal febbraio 2002 2. il ricorrente aveva prestato attività lavorativa di operaio idraulico forestale dal 1974 al 1980 ed era stato impossibilitato a mantenere il rapporto di lavoro in quanto detenuto per reati non riconducibili all’attività lavorativa 3. tornato in libertà nell’anno 2002 aveva chiesto la riassunzione, non concessa sebbene l’azienda non l’avesse mai formalmente licenziato, e, pertanto, aveva agito in giudizio invocando l’applicazione del D.L. n. 233 del 1984, art. 1, comma 2 e della L. n. 193 del 2000, nonché la Delib. Giunta Regionale n. 16 del 2002, riguardante la riammissione in servizio degli operai in precedenza detenuti 4. la Corte territoriale ha accolto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva riproposta dall’AFOR in sede di appello ed ha rilevato che l’Azienda, istituita con la L.R. n. 20 del 1992, aveva iniziato concretamente ad operare nel 1994, sicché il ricorrente non poteva azionare alcun diritto nei suoi confronti non avendo neppure mai ventilato che si fosse di fronte ad una successione da parte di AFOR nei rapporti attivi e passivi compreso quello di lavoro 5. ha aggiunto che la carcerazione del lavoratore, pur non costituendo inadempimento di obblighi contrattuali, integra un fatto oggettivo che determina sopravvenuta impossibilità temporanea della prestazione, che va valutata dal datore di lavoro, potendo integrare un giustificato motivo di licenziamento nei casi in cui l’assenza non sia compatibile con le esigenze aziendali 6. il richiamato orientamento, peraltro, non può essere invocato nel caso in cui il rapporto sia a tempo determinato, perché in detta ipotesi il rapporto stesso è destinato a cessare alla scadenza del termine 7. il giudice d’appello ha aggiunto che l’AFOR non era stata informata sino al 19 luglio 2007 della privazione della libertà ed ha sottolineato la confusione che si rinviene della documentazione allegata in primo grado , evidentemente riferibile ad altro soggetto 8. ha altresì ritenuto che, anche a voler ammettere una interruzione dovuta alla carcerazione, potevano essere ravvisati, da un lato, una volontà del ricorrente di abbandonare liberamente e consapevolmente l’attività lavorativa e, dall’altro una mancanza di interesse dell’AFOR a mantenere in vita il rapporto a termine, perché la prestazione residua poteva essere resa solo a distanza di anni, una volta riacquistata la libertà personale 9. il giudice d’appello ha evidenziato, inoltre, che G.F. non poteva invocare della L. n. 442 del 1984, art. 1, in quanto norma di carattere eccezionale, non applicabile analogicamente, che prevedeva una possibilità e non un obbligo di assumere i lavoratori forestali impiegati nell’anno precedente 10. infine la Corte territoriale ha ritenuto infondata anche la domanda subordinata di assunzione a tempo indeterminato a partire dall’anno 2004 ed ha evidenziato che poiché all’impiego pubblico si accede solo a seguito di concorso, sarebbe affetto da nullità un accordo sindacale prevedente l’obbligo a carico dell’amministrazione di stabilizzare i lavoratori precari 11. per la cassazione della sentenza G.F. ha proposto ricorso sulla base di due motivi, ai quali non ha opposto difese l’AFOR rimasta intimata. Considerato che 1. con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. e L.R. Calabria 19 ottobre 1992, n. 20, artt. 9, 10 e 25 e sostiene che ha errato la Corte territoriale nell’escludere la legittimazione passiva dell’Azienda, atteso che a quest’ultima il legislatore regionale ha trasferito tutte le funzioni ed i compiti in precedenza affidati al Servizio Forestazione della Regione Calabria 1.1. aggiunge che gli interventi affidati all’AFOR, sempre per espressa previsione legislativa, dovevano essere eseguiti utilizzando gli operai assunti a tempo determinato o indeterminato ai sensi del D.L. n. 233 del 1984 e, pertanto, il giudice d’appello avrebbe dovuto ritenere che la gestione della posizione lavorativa del sig. G.F. a decorrere dal 1992 è passata nella titolarità dell’AFOR unica legittimata a contraddire alle domande proposte 2. la seconda censura, formulata sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, addebita alla sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., L. n. 56 del 1987, art. 16 e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, perché la regola dell’accesso all’impiego pubblico solo all’esito di concorso non può essere invocata in relazione alle assunzioni per le quali il reclutamento può avvenire nelle forme semplificate previste per le qualifiche che richiedono un titolo non superiore a quello della scuola dell’obbligo 3. il ricorso è inammissibile sulla scorta dell’orientamento, da tempo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della decisione gravata cfr. fra le tante Cass. n. 17182/2020 Cass. n. 13880/2020 Cass. n. 10815/2019 Cass. n. 6985/2019 3.1. nello storico di lite si è evidenziato che la Corte territoriale ha posto a fondamento della pronuncia di rigetto della domanda una pluralità di rationes decidendi ed in particolare, pur avendo escluso che la pretesa potesse essere avanzata nei confronti dell’AFOR, ha comunque rilevato, in sintesi, che sul rapporto a termine che legava il G. all’amministrazione al momento della carcerazione non poteva essere fondata alcuna pretesa di riassunzione perché a il rapporto era destinato a spirare alla scadenza b il lavoratore non aveva mai informato il datore della privazione della libertà personale sino alla missiva del 2007, e, pertanto, si poteva ritenere che avesse liberamente e consapevolmente abbandonato l’attività lavorativa c non vi era interesse alcuno del datore di mantenere in vita, sospendendolo nel periodo di carcerazione, un rapporto a tempo determinato in ragione della impossibilità di ricevere la prestazione che poteva essere resa da altri 3.2. si tratta di argomenti che, a prescindere dalla loro correttezza, non sono stati in alcun modo censurati dal ricorrente, il quale non ha dedotto alcunché al riguardo essendosi limitato a sostenere, con il primo motivo, che l’AFOR, subentrata nei compiti del Servizio Forestazione della Regione Calabria, a decorrere dal 1992 era tenuta a gestire la posizione lavorativa del G. 4. quanto, poi, alla domanda subordinata di assunzione, che la Corte territoriale ha respinto sul rilievo che l’ente pubblico non economico è tenuto al rispetto della regola concorsuale e, pertanto, non può assumere alcun impegno in sede sindacale di stabilizzazione dei lavoratori, il ricorso è parimenti inammissibile perché si limita a sostenere che per le qualifiche meno elevate è comunque possibile l’avviamento al lavoro ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 16, avviamento che, secondo quanto si legge nella sentenza impugnata, non era quello che veniva in rilievo, avendo l’originario ricorrente fondato la sua pretesa su un accordo sindacale del quale si ignora quale fosse il contenuto 4.1. è consolidato il principio secondo cui nel giudizio di cassazione l’interesse all’impugnazione, che va valutato in relazione ad ogni singolo motivo, deve essere apprezzato con riferimento all’utilità concreta che la parte può ricavare dall’eventuale accoglimento del gravame, e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, sicché va escluso ogniqualvolta la dedotta violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, non abbia spiegato effetti in relazione alla soluzione adottata e sia, quindi, diretta all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico cfr. Cass. n. 20689/2016, Cass. n. 15253/2010, Cass. n. 13373/2008 Cass. n. 11844/2006 . 4.2. dal richiamato principio discende che, nel rispetto degli oneri di completezza e di specificità imposti dall’art. 366 c.p.c., il ricorrente è tenuto ad indicare nel ricorso gli elementi che consentano alla Corte di apprezzare l’utilità che potrebbe derivare dall’accoglimento del motivo e dalla cassazione della sentenza impugnata 4.3. l’esposizione dei fatti di causa richiesta del richiamato art. 366 c.p.c., n. 3, è, infatti, finalizzata anche a porre il giudice di legittimità nella condizione di esercitare correttamente i poteri/doveri di cui all’art. 384 c.p.c., commi 2 e 4, che, letto alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, impone alla Corte di cassazione di definire dinanzi a sé il giudizio e di astenersi dal rinvio ogniqualvolta la prosecuzione si risolverebbe in un inutile dispendio di attività processuale 4.4. nel caso di specie il ricorso è assolutamente carente nell’esposizione dei fatti a pag. 2 si limita ad affermare che il ricorrente, assunto con ripetuti contratti a termine quale operaio forestale sino al 1980, era rimasto in stato di detenzione sino al 2002 e riacquistata la libertà aveva invano chiesto di essere riassunto non avendo mai l’AFOR intimato il licenziamento sicché non è dato comprendere quale incidenza potrebbe spiegare nella fattispecie il principio invocato, ossia quello dell’astratta possibilità dell’Amministrazione di assumere i dipendenti delle qualifiche meno elevate nelle forme prescritte dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, lett. b 5. non occorre provvedere sulle spese del giudizio di cassazione perché l’AFOR non si è costituita in giudizio, rimanendo intimata 6. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.