Per evitare la condanna al pagamento dello stipendio alla badante è sufficiente contestare la titolarità del rapporto di lavoro?

La titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all'attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione da parte del convenuto. Contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotto dall'attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l'eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori.

Lo sostiene la Corte di Cassazione nell’ordinanza 10640/2021, depositata il 22 aprile. La fattispecie. La Corte d’Appello di Napoli condannava un uomo al pagamento delle differenze retributive e della tredicesima mensilità alla sua collaboratrice domestica. Ciò in quanto i giudici di appello consideravano applicabile, quale parametro di retribuzione proporzionata e sufficiente, il contratto collettivo sul lavoro domestico. Gli stessi giudici ritenevano che la sussistenza del rapporto tra le parti in causa era stata accertata nella sentenza di primo grado e che al riguardo non risultava proposto appello incidentale il convenuto aveva eccepito la propria carenza di legittimazione passiva in quanto affermava di conoscere la ricorrente perché era stata la badante della madre. Il datore di lavoro ricorre in Cassazione. Eccepito il difetto di legittimazione passiva L’uomo sostiene di avere eccepito, sia in primo grado che nella memoria di costituzione in appello quest'ultima debitamente trascritta in calce al ricorso , il proprio difetto di legittimazione passiva e che sul punto nessuna statuizione era stata adottata nella sentenza di secondo grado sottolinea come il difetto di legittimazione passiva costituisca mera difesa, che la parte può sollevare in ogni stato e grado del giudizio, anche in ipotesi di costituzione tardiva in primo grado e senza necessità di proporre appello incidentale. Tuttavia, la Corte di Cassazione ritiene il ricorso infondato. ma qual è il vero oggetto del contendere? Nel caso oggetto di esame ciò che si contesta è la titolarità passiva del rapporto di lavoro in capo all’uomo la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all'attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione da parte del convenuto. Gli stessi giudici sottolineano che contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotto dall'attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l'eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori. Insufficiente la mera difesa relativa alla mancanza di titolarità passiva del rapporto . Nel caso di specie, non vi è dubbio che gravasse sulla lavoratrice, ricorrente in primo grado, l'onere di dimostrare la titolarità passiva del rapporto di lavoro in capo all’uomo quest'ultimo aveva ritualmente contestato la propria legittimazione passiva, sia pure nella memoria di costituzione tardiva in primo grado, senza tuttavia che da tale tardività potesse derivare alcuna preclusione dato il carattere di mera difesa della suddetta contestazione. Ecco, quindi, che il tribunale ha evidentemente ritenuto assolto l'onere facente capo alla lavoratrice ed ha accertato l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti. L'appello avverso la sentenza di primo grado è stato proposto unicamente dalla lavoratrice, al fine di censurare la mancata applicazione, quale parametro esterno, del contratto collettivo e rivendicare le relative differenze retributive. Posto che la sentenza del tribunale aveva statuito espressamente sull’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato di collaborazione domestica tra le parti, non era sufficiente, quindi, per l’uomo riproporre nella memoria di costituzione in appello la mera difesa relativa alla mancanza di titolarità passiva del rapporto, avendo la suddetta statuizione di primo grado idoneità ad acquisire autorità di cosa giudicata. Ne consegue che il ricorso deve intendersi respinto.

Corte di Cassazione, sez. Civile - L, ordinanza 24 febbraio 22 aprile 2021, n. 10640 Presidente Doronzo Relatore Ponterio Rilevato che 1. la Corte d’Appello di Napoli ha accolto parzialmente l’appello di G.S. e, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato P.R. al pagamento della somma di Euro 17.342,25, a titolo di differenze retributive e tredicesima mensilità, in relazione al rapporto di lavoro domestico svolto tra le parti 2. la Corte territoriale ha dato atto che il giudice di primo grado aveva accolto la domanda della lavoratrice limitatamente al TFR ed aveva respinto la richiesta di differenze retributive ritenendo non applicabile il contratto collettivo di settore 3. i giudici di appello hanno invece considerato applicabile, quale parametro di retribuzione proporzionata e sufficiente, il contratto collettivo sul lavoro domestico, e liquidato la somma sopra indicata, risultante dai conteggi allegati dalla lavoratrice e non specificamente contestati, nei limiti della prescrizione quinquennale 4. la sentenza impugnata, per quanto ancora rileva, dà atto che la sussistenza del rapporto tra le parti in causa risulta accertata nella sentenza di primo grado ed al riguardo non risulta proposto appello incidentale il ricorrente - rectius il convenuto - aveva eccepito la propria carenza di legittimazione passiva in quanto affermava di conoscere la ricorrente perché era stata la badante della madre, sig.ra A.M. 3. avverso tale sentenza P.R. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi G.S. non ha svolto difese 4. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza camerale non partecipata, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c Considerato che 5. col primo motivo di ricorso è dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti 6. il ricorrente ha allegato di avere eccepito, sia in primo grado che nella memoria di costituzione in appello quest’ultima debitamente trascritta in calce al ricorso , il proprio difetto di legittimazione passiva e che sul punto nessuna statuizione era stata adottata nella sentenza di secondo grado ha sottolineato come il difetto di legittimazione passiva costituisca mera difesa, che la parte può sollevare in ogni stato e grado del giudizio, anche in ipotesi di costituzione tardiva in primo grado e senza necessità di proporre appello incidentale ha censurato come apparente la motivazione della sentenza del tribunale, richiamata per relationem dalla sentenza d’appello, ed ha evidenziato che la ricorrente in primo grado e poi appellante non aveva allegato e dimostrato l’elemento costitutivo della domanda concernente la titolarità passiva del rapporto di lavoro in capo al convenuto/appellato 7. col secondo motivo di ricorso è denunciata nullità della sentenza e del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 8. si censura la sentenza d’appello per avere confermato la statuizione di primo grado, di rigetto delle istanze istruttorie avanzate dal convenuto in ragione delle preclusioni del rito del lavoro, in assenza di qualsiasi motivazione neppure poteva considerarsi sufficiente il riferimento, solo ipotizzabile perché non espresso, alle preclusioni derivanti dalla tardiva costituzione in giudizio del convenuto medesimo, atteso che il difetto di legittimazione passiva, la negazione di un debito per effetto di un conto di dare-avere nell’ambito dello stesso rapporto oppure la negazione dei presupposti per l’applicabilità di un contratto collettivo costituiscono mere difese 9. il primo motivo di ricorso, ove anche riqualificato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, è infondato 10. occorre anzitutto precisare la distinzione tra legittimazione ad agire e titolarità del diritto sostanziale dedotto in giudizio. La legittimazione ad agire attiene al diritto di azione, che spetta a chiunque faccia valere in giudizio un diritto assumendo di esserne titolare. La titolarità della posizione soggettiva vantata in giudizio attiene al merito della causa così Cass., S.U. n. 2951 del 2016 11. nel ricorso in esame ciò che si contesta è la titolarità passiva del rapporto di lavoro in capo al sig. P. 12. come affermato dalle Sezioni Unite sentenza 2951 del 2016 cit. , la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto 13. nella medesima pronuncia si è precisato che Le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotto dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti 14. nel caso di specie, non vi è dubbio che gravasse sulla lavoratrice, ricorrente in primo grado, l’onere di dimostrare la titolarità passiva del rapporto di lavoro in capo al P. quest’ultimo aveva ritualmente contestato la propria legittimazione passiva rectius, titolarità passiva , sia pure nella memoria di costituzione tardiva in primo grado, senza tuttavia che da tale tardività potesse derivare alcuna preclusione dato il carattere di mera difesa della suddetta contestazione 15. il tribunale ha evidentemente ritenuto assolto l’onere facente capo alla lavoratrice ed ha accertato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti la sentenza d’appello dà atto che il Tribunale ha in parte accolto la domanda della lavoratrice e condannato il P. al pagamento del trattamento di fine rapporto e che il primo giudice pur ritenendo confermata l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato di collaborazione domestica tra le parti, non ha ritenuto applicabile la normativa prevista dal contratto collettivo di categoria 16. in base a quanto riportato dai giudici di appello, la sentenza di primo grado conteneva un accertamento espresso sulla titolarità passiva del rapporto di lavoro subordinato in capo al sig. P. , con conseguente condanna del medesimo al pagamento del TFR 17. l’appello avverso la sentenza di primo grado è stato proposto unicamente dalla lavoratrice, al fine di censurare la mancata applicazione, quale parametro esterno, del contratto collettivo e rivendicare le relative differenze retributive 18. nel giudizio di appello, il P. si è costituito ed ha riproposto la mera difesa concernente il difetto di legittimazione passiva rectius, di titolarità passiva del rapporto 19. tuttavia, posto che la sentenza del tribunale aveva statuito espressamente sulla esistenza di un rapporto di lavoro subordinato di collaborazione domestica tra le parti , non era sufficiente per il P. riproporre nella memoria di costituzione in appello la mera difesa relativa alla mancanza di titolarità passiva del rapporto, avendo la suddetta statuizione di primo grado idoneità ad acquisire autorità di cosa giudicata 20. atteso che l’espressa statuizione, adottata dal Tribunale, sulla esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il P. e la lavoratrice non è stata oggetto di impugnazione incidentale , deve ritenersi formato il giudicato interno sul punto, risultando pertanto preclusa ogni ulteriore contestazione di parte o rilievo d’ufficio 21. nè la qualificazione del difetto di titolarità passiva del rapporto come mera difesa , proponibile in ogni fase del giudizio, può impedire il formarsi del giudicato interno, trattandosi comunque di una questione di merito ed avendo questa Corte pacificamente riconosciuto efficacia preclusiva anche al giudicato interno esplicito formatosi sulla quaestio iuris della legittimazione ad agire v. Cass., S.U. n. 1912 del 2012 n. 14243 del 2012 n. 31574 del 2018 n. 29505 del 2020 22. da quanto detto consegue il rigetto del primo motivo di ricorso 23. il secondo motivo di ricorso è assorbito in quanto attinente alla mancata ammissione delle prove dedotte dal convenuto in primo grado sul difetto di titolarità passiva del rapporto 24. infondata è la censura che investe la motivazione della sentenza d’appello, la sola suscettibile di esame da parte di questa Corte, risultando la stessa ampiamente conforme al canone del minimo costituzionale come delineato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 5083 del 2014 25. per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto 26. non vi è luogo a provvedere sulle spese atteso che la controparte non ha svolto difese 27. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, nei confronti di entrambe le parti. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.