L’INPS non è tenuta a rimborsare all’assicurato gli importi rifusi al datore di lavoro per permessi per handicap grave non dovuti

L’indennità economica correlata ai permessi fruiti ex art. 33 l. n. 104/1992 costituisce prestazione di natura previdenziale e non già assistenziale. Ne deriva che in caso di errore commesso in sede di attribuzione l’INPS non è tenuta alla restituzione degli importi che l’assicurato ha a sua volta rifuso al datore di lavoro, che li aveva anticipati, posto che - essendo l’art. 52 l. n. 88/1989 norma eccezionale ed insuscettibile di interpretazione analogica – si applica al caso di specie la disciplina dell’art. 2033 c.c. in tema di indebito oggettivo.

Il caso. La Corte d’Appello di Firenze ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva condannato l’INPS a restituire ad un lavoratore l’importo dei permessi retribuiti in quanto portatore di handicap di cui aveva goduto per un biennio a seguito dell’autorizzazione dell’Istituto, poi revocata per accertato difetto delle condizioni di gravità, che l’assicurato aveva rifuso al proprio datore di lavoro, che li aveva anticipati. Tale decisione si fondava sul presupposto che la prestazione oggetto della richiesta di ripetizione e, cioè, i permessi di cui all’art. 33 l. n. 104/1992 avesse natura assistenziale e fosse, per tale ragione, sottratta alla regola generale dell’art. 2033 c.c. L’INPS ha impugnato la sentenza sotto il profilo della violazione e della falsa applicazione del predetto art. 2033 c.c. e dell’art. 33 l. n. 104/1992, con riferimento agli artt. 43 comma 1 e 79 d.lgs. n. 151/2001 per aver ritenuto la Corte di merito che la predetta prestazione fosse sottratta alla disciplina generale dell’indebito oggettivo, ancorché si tratti di prestazione previdenziale di natura non pensionistica. I permessi per handicap grave hanno natura previdenziale. La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’INPS, convenendo con l’Istituto sul fatto che l’indennità economica correlata ai permessi fruiti ex art. 33 l. n. 104/1992 costituisce prestazione di natura previdenziale e non già assistenziale . E ciò in considerazione dell’art. 79 d.lgs. n. 151/2001, il quale espressamente prevede il pagamento a carico dei datori di lavoro di uno speciale contributo per la copertura degli oneri derivanti dalle disposizioni di cui predetto decreto legislativo relativi alle lavoratrici e ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato privato, tra i quali figura appunto l’indennità pari all’intero ammontare della retribuzione relativa ai riposi e permessi previsti dal citato art. 33. Peraltro, è indiscutibile che tale prestazione previdenziale non abbia natura pensionistica, posto che la stessa è corrisposta in dipendenza di una speciale situazione di bisogno del portatore di handicap grave nello svolgimento dell’attività lavorativa. Si applica l’art. 2033 c.c. L’ unica deroga al normale regime della ripetibilità dell’ indebito riscontrabile nella materia previdenziale è costituita dal disposto dell’art. 52 l. n. 88/1989 secondo cui, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione di una prestazione previdenziale, la stessa può essere rettificata ma, nel caso in cui in conseguenza del provvedimento modificato siano state riscosse rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato. In conclusione, prosegue la Suprema Corte, poiché nella specie non si verte in materia di indebito pensionistico, anche con riferimento all’indennità per permessi per handicap grave, si applicano le regole dell’indebito oggettivo di cui all’art. 2033 c.c., proprio perché il summenzionato art. 52 è norma eccezionale ed insuscettibile di interpretazione analogica.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 16 febbraio – 19 aprile 2021, n. 10274 Presidente Manna – Relatore Cavallaro Fatti di causa Con sentenza depositata il 17.3.2015, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva condannato l’INPS a restituire a C.B. l’importo dei permessi retribuiti in quanto portatore di handicap di cui aveva goduto nel periodo agosto 2009-agosto 2011, a seguito di autorizzazione dell’Istituto poi revocata per accertato difetto della condizione di gravità, e il cui importo l’assicurato aveva rifuso al proprio datore di lavoro, che ne aveva fatto anticipazione. La Corte, in particolare, ha ritenuto che la prestazione oggetto della richiesta di ripetizione avesse natura assistenziale e fosse pertanto sottratta alla regola generale dell’art. 2033 c.c Avverso tali statuizioni ha proposto ricorso per cassazione l’INPS, deducendo due motivi di censura. C.B. ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. e L. n. 104 del 1992, art. 3, con riferimento al D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 43, comma 1 e art. 79, comma 1, per avere la Corte di merito ritenuto che la prestazione oggetto di ripetizione fosse sottratta alla disciplina generale dell’indebito oggettivo, ancorché si tratti di prestazione previdenziale di natura non pensionistica. Con il secondo motivo, spiegato in subordine rispetto al primo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 12 e 14 prel. c.c., in relazione alle disposizioni di legge che disciplinano le prestazioni assistenziali, giacché, anche a voler ritenere che la prestazione in questione abbia natura assistenziale, la Corte territoriale avrebbe erroneamente applicato alla fattispecie la disciplina dell’indebito propria delle prestazioni corrisposte agli invalidi civili. Ciò posto, il primo motivo è fondato. Deve anzitutto convenirsi con l’Istituto ricorrente nel rilievo secondo cui l’indennità economica correlata ai permessi fruiti L. n. 104 del 1992, ex art. 33, costituisce prestazione di natura previdenziale, non già - come ritenuto dalla sentenza impugnata - assistenziale ne fa fede D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 79, il quale espressamente prevede il pagamento a carico dei datori di lavoro di uno speciale contributo per la copertura degli oneri derivanti dalle disposizioni di cui al presente testo unico relativi alle lavoratrici e ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato privato , tra i quali, appunto, spicca l’indennità, a carico dell’ente assicuratore, pari all’intero ammontare della retribuzione relativa ai riposi e permessi medesimi D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 43, che ha riprodotto in parte quale L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 4 . È poi indiscutibile che la prestazione previdenziale in questione non abbia natura pensionistica essa infatti è corrisposta in dipendenza di una speciale situazione di bisogno che concerne il portatore di handicap grave nello svolgimento della sua attività lavorativa. Poste tali premesse, è agevole rilevare l’errore in cui è incorsa la sentenza impugnata l’unica deroga che al normale regime della ripetibilità dell’indebito è dato riscontrare nella materia previdenziale è costituita dal disposto del L. n. 88 del 1989, art. 52, secondo il quale, pur potendo le pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle gestioni obbligatorie sostitutive o, comunque, integrative della medesima essere rettificate dagli enti o fondi erogatori, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione della prestazione , tuttavia, nel caso in cui, in conseguenza del provvedimento modificato, siano state riscosse rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato . E poiché nella specie non si verte in materia di indebito pensionistico, non può che ribadirsi anche con riguardo all’indennità per cui è causa il consolidato principio secondo cui, essendo L. n. 88 del 1989, art. 52, norma eccezionale ed insuscettibile di interpretazione analogica, la disciplina dell’indebito previdenziale di natura non pensionistica va ricercata esclusivamente nell’art. 2033 c.c. così, sia pure con riferimento alla diversa prestazione previdenziale dell’indennità di mobilità, v. da ult. Cass. n. 31373 del 2019 non senza ricordare che la diversità tra le due situazioni è stata ritenuta da Corte Cost. n. 198 del 1991 tale da giustificare la differenziazione dei relativi trattamenti. Pertanto, assorbito il secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.