Esclusa la matrice mafiosa dell'omicidio: niente indennità per i parenti della vittima

Respinta la richiesta presentata da una vedova. Per lei niente indennità a seguito della morte del marito. Confermata la tesi seguita dal Ministero dell’Interno impossibile considerare l’uomo vittima di mafia.

Il venire uccisi con una lupara in Calabria, l’avere respinto una richiesta estorsiva e la vicinanza alle forze dell’ordine sono elementi non sufficienti per riconoscere ai familiari l’indennità prevista per le vittime della mafia Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 9659/21, depositata il 13 aprile . A citare in giudizio il Ministero dell’Interno è una donna, moglie di un uomo ucciso a colpi di lupara, a metà degli anni ’80, in Calabria. A suo dire è evidente che il marito sia stato ammazzato dalla mafia, con conseguente riconoscimento dell’indennità prevista per le vittime della criminalità organizzata. Per i Giudici di merito, però, la richiesta presentata dalla donna non ha fondamento. Ciò perché è irrilevante l’uso della lupara per desumere la matrice mafiosa dell’omicidio , mentre sono state valorizzate causali alternative estranee all’ambiente mafioso . In sostanza, l’omicidio preso in esame non è riconducibile, secondo i Giudici di merito, ad atti di criminalità organizzata . In Cassazione la vedova prova a contestare la decisione d’Appello, ponendo in evidenza gli elementi indiziari desumibili dagli atti di indagine in merito all’omicidio e, soprattutto, una testimonianza riguardante la vicinanza del marito alle forze dell’ordine e il rifiuto da lui opposto a una richiesta estorsiva . Questi elementi vanno ritenuti non sufficienti, anche secondo i Giudici della Cassazione, per riconoscere alla vedova l’indennità prevista per i superstiti delle vittime della criminalità organizzata. In particolare, viene chiarito che i Giudici territoriali, lungi dall’attribuire valore decisivo al mancato accertamento della responsabilità penale dei colpevoli dell’omicidio , hanno considerato tutti gli elementi probatori disponibili, valutandoli come insufficienti per la riconducibilità della morte ad atti di criminalità organizzata . E in questo quadro è di modesta valenza probatoria anche la vicinanza della vittima alle forze dell’ordine.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 novembre 2020 – 13 aprile 2021, n. 9659 Presidente D’Antonio – Relatore Buffa Fatti di causa 1. Con sentenza del 26 marzo 14, la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza del 22.11.07 del Tribunale di Palmi,che aveva rigettato la domanda di R.C. volta alla corresponsione dell’indennità L. n. 302 del 1990, ex artt. 1 e 4, quale coniuge superstite di C.G. , ucciso il omissis . 2. In particolare, ritenuto irrilevante l’uso della lupara per desumere la matrice mafiosa dell’omicidio e valorizzate causali alternative estranee all’ambiente mafioso, la Corte territoriale ha ritenuto insussistenti le condizioni di legge previste per fruire dell’indennità e relative alla riconducibilità dell’evento criminoso ad atti di criminalità organizzata. 3. Avverso tale sentenza ricorre la signora R. per due motivi, cui resiste con controricorso il Ministero dell’Interno. Le parti hanno presentato memorie. Motivi della decisione 4. Con il primo motivo, si deduce - ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – violazione della L. n. 302 del 1992, artt. 1, 4 e 7, L. n. 407 del 1997, art. 2 e art. 97 Cost., per avere la sentenza impugnata attribuito rilevanza decisiva al mancato accertamento della responsabilità penale dei colpevoli dell’omicidio, omettendo di considerare da un lato elementi indiziari comunque desumibili dagli atti di indagine e dall’altro lato la testimonianza in ordine alla vicinanza della vittima alle forze dell’ordine e al rifiuto della stessa a richiesta estorsiva ricevuta. 5. Con il secondo motivo si deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di motivazione della sentenza impugnata per omesso esame della vicinanza della vittima alle forze dell’ordine. 6. Il primo motivo è infondato. 7. Non sussistono infatti le violazioni di legge denunciate, essendo stato del tutto rispettato il portato delle relative norme, ed essendo stato solo escluso dalla sentenza impugnata la ricorrenza in concreto delle condizioni previste proprio dalle dette disposizioni L. n. 302 del 1992, artt. 1, 4 e 7, L. n. 407 del 1997, art. 2 per beneficiare delle prestazioni assistenziali previste per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata. Invero, la corte territoriale - lungi dall’attribuire valore decisivo al mancato accertamento della responsabilità penale dei colpevoli dell’omicidio, come affermato dalla ricorrente - ha considerato tutti gli elementi probatori disponibili, valutandoli come insufficienti per la riconducibilità dell’evento concreto alle fattispecie di legge. In realtà, al di là del vizio formalmente richiamato, la parte mira essenzialmente ad un nuovo esame nel merito inammissibile in sede di legittimità della ricorrenza delle condizioni di legge previste per fruire dell’indennità e del giudizio tipicamente di merito relativo alla riconducibilità della morte del C. ad atti di criminalità organizzata. Il secondo motivo è infondato, in quanto il fatto - asseritamente non valutato - è stato invece considerato dalla Corte territoriale e ritenuto di modesta valenza probatoria. Spese secondo soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3500 per competenze professionali ed Euro 200 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.