Jobs Act di nuovo nel mirino: indennizzo inadeguato se il licenziamento è illegittimo

E’ inadeguata, perché non in linea con i principi internazionali e costituzionali, la tutela prevista in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo per quei lavoratori che vengono assunti in aziende di piccole dimensioni, intendendosi per tali quelle che non impiegano lavoratori nella misura stabilita dall'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, dopo la riforma messa in atto dal Jobs Act, che prevede un'indennità compresa fra le 3 e le 6 mensilità.

Lo sostiene il Tribunale di Roma nell’ordinanza del 24 febbraio 2021. Licenziata! Una maestra di lingua inglese veniva assunta con contratto a tempo indeterminato in una scuola d'infanzia e primaria privata. Per ragioni di riorganizzazione aziendale l'insegnante veniva licenziata, per giustificato motivo oggettivo, come previsto dall'art. 3, l. n. 604/1966. La donna, quindi, impugnava il licenziamento e si dichiarava disponibile a riprendere il servizio. La società datrice revocava il licenziamento, offrendo alla maestra la possibilità di riprendere il lavoro alle stesse condizioni contrattuali applicate prima del licenziamento. La dipendente, tuttavia, eccepiva la tardività e l'inefficacia della revoca, continuando ad impugnare il licenziamento intimatole. Motivi del licenziamento inconsistenti Secondo la maestra, i motivi che hanno portato la scuola a porre fine al rapporto di lavoro sono assolutamente insussistenti e inconsistenti in primo luogo, la riorganizzazione aziendale addotta a giustificazione del licenziamento è stata messa in atto senza verificare concretamente la possibilità di ricollocarla all'interno dell'azienda. Ma non è tutto l’insegnante fa notare come il suo posto di lavoro non sia stato soppresso e che la riorganizzazione non ha avuto come conseguenza un ridimensionamento aziendale. Così come nessun cambiamento è stato apportato al personale e le classi in cui la maestra era impiegata nel tempo sono addirittura aumentate, impiegando in ciascuna di esse nuovo personale. Da ultimo, la maestra sottolinea come - nella scelta dei lavoratori da licenziare - l'azienda non abbia applicato i criteri contemplati dall'art 5, l. n. 223/1991 carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecnico-produttive e organizzative. e insussistenti. La maestra fa presente altresì che il giustificato motivo a cui ha fatto ricorso la scuola per giustificare il suo licenziamento è insussistente essendo il rapporto di lavoro sorto dopo il 7 marzo del 2015, al contratto risultavano applicabili le tutele crescenti previste in particolare dagli artt. 3 e 9 del Jobs Act d.lgs. n. 23/2015 . D conseguenza, l'azienda datrice, priva dei requisiti contemplati dall'art. 18, commi 8 e 9, l. n. 300/1970, se la domanda fosse stata accolta, avrebbe corrisposto un indennizzo non superiore alle 6 mensilità dell'ultima retribuzione percepita dalla stessa. Per la maestra è, quindi, necessario accertare l'insussistenza del giustificato motivo addotto e/o la violazione del requisito della motivazione e la risoluzione del rapporto di lavoro. Il tutto con condanna della datrice di lavoro al pagamento delle indennità previste dall'art. 9, comma 1, d.lgs. n. 23/2015 e con la richiesta al Giudice di sollevare questione di costituzionalità della degli artt. 3 e 9 del Jobs Act. Piccole imprese risarcimento per i dipendenti. Il Tribunale dà ragione alla docente, essendo stato dimostrato pienamente il rapporto di lavoro e l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Stabilisce, inoltre, la rilevanza della questione di costituzionalità relativa agli artt. 3 e 9, d.lgs. n. 23/2015. L'art. 9, comma 1, d.lgs. n. 23/2015, dedicato alle piccole imprese e organizzazioni di tendenza, prevede tutele specifiche per i dipendenti dei datori di lavoro che non presentano i requisiti contemplati dall'art. 18, co. 8 e 9, l. n. 300/1970. Si tratta di datori di lavoro, imprenditori e non, alle cui dipendenze si trovano più di 15 lavoratori, o più di 5 se si tratta d'imprenditori agricoli, e quelli che, imprenditori e non, impiegano più di 60 dipendenti. Nel dettaglio, l'art. 9, al comma 1, dispone che ai lavoratori delle piccole imprese non è applicabile l'art. 3, comma 2, d.lgs. n. 23/2015. In altri termini, la tutela prevista dall'art. 9, comma 1, d.lgs. n. 23/2015 si applica ai lavoratori che dipendono da datori di lavoro che vengono individuati solo in base al numero dei dipendenti occupati e contempla la soluzione indennitaria minima delle 3 fino alle 6 mensilità. La tutela prevista per i lavoratori che si trovano alle dipendenze di datori sotto-soglia è irragionevole perché prevede il limite massimo delle 6 mensilità, senza contemplare la soluzione alternativa della riassunzione per dirla diversamente, il Giudice ritiene l’indennizzo troppo esiguo e non dissuasivo nei confronti dei comportamenti illegittimi dei datori di lavoro. Necessario un contemperamento degli interessi del datore e del lavoratore. In sostanza, secondo il Tribunale è necessario assicurare un ristoro adeguato per il pregiudizio subito dal lavoratore ma occorre anche correggere il disequilibrio che - di fatto - esiste nel contratto di lavoro, scoraggiando il datore di lavoro a licenziare in modo ingiustificato. In tale senso si esprime anche l'art. 24 della Carta Sociale e la giurisprudenza del Comitato Europeo dei diritti sociali. La disposizione di cui all'art. 9 d.lgs. n. 23/2015 risulta, quindi, incostituzionale nella parte in cui stabilisce un limite massimo di importo indennizzabile, del tutto inadeguato e non dissuasivo, se il licenziamento ingiustificato viene irrogato da un datore di lavoro privo dei requisiti dimensionali previsti dall'art. 18, commi 8 e 9, l. n. 300/1970 considerati gli attuali modelli organizzativi ed economici, il criterio del numero dei dipendenti non è più utilizzabile, in relazione alle esigenze di tutela espresse dalla disciplina dei licenziamenti, rispetto ad altri criteri come quello della dimensione economica dell’attività di impresa. Rilevante e non manifestamente infondata, dunque, è la questione di legittimità costituzionale. Per questo il giudizio è sospeso e si ordina l'invio degli atti alla Corte Costituzionale.

Tribunale di Roma, sez. II Lavoro, ordinanza 24 febbraio 2021 Presidente Cambria Premesso -che con ricorso ritualmente depositato conveniva in giudizio la soc. omissis s.r.l.s. esponendo, in sintesi 1 di aver lavorato alle dipendenze della convenuta dall'1 settembre 2016 al 18 luglio 2018 con contratto di lavoro a tempo indeterminato, con inquadramento nel 5. livello del c.c.n.l. Scuole Private ANINSEI e mansioni di maestra d'inglese, inizialmente presso la scuola dell'infanzia e, dal 2016, presso la scuola primaria gestite dalla resistente 2 di aver osservato, da ultimo e dopo alcune modifiche, un orario di 6 ore settimanali, con ultima retribuzione lorda di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto pari ad Euro 278,49 3 di essere stata licenziata con lettera del 17 luglio 2018 con effetti a partire dal 18 luglio 2018 ai sensi dell'art. 3 della L. n. 604/1966 per giustificato motivo oggettivo di riorganizzazione aziendale 4 di aver tempestivamente impugnato il predetto licenziamento con lettera raccomandata a.r. 4-6 settembre 2018, rimanendo a disposizione per la ripresa del servizio 5 che, con lettera raccomandata a.r. datata 18 settembre 2018, indirizzata alla CGIL Centro Ovest Litoranea di Via omissis , spedita il 26.09.2018 e recapitata il 28 successivo, la resistente comunicava la revoca del predetto licenziamento invitandola a riprendere servizio per la data dell'1 ottobre 2018 alle medesime condizioni contrattuali in precedenza applicate 5 di aver comunicato, con telegramma 29 settembre 2019, nonché con lettera raccomandata 28 settembre-2 ottobre 2019, alla resistente la tardività della revoca anzidetta ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. 23/2015, revoca da ritenersi pertanto inefficace, insistendo nella impugnativa di licenziamento e nelle rivendicazioni ivi formulate 6 che i motivi addotti a fondamento del licenziamento erano insussistenti ed infondati, precisando che I il licenziamento era privo di una reale motivazione giacché faceva generico riferimento ad una non meglio specificata riorganizzazione aziendale” senza alcuna verifica di ricollocazione della ricorrente nell'ambito dell'organizzazione aziendale, apparendo, tale motivazione, una mera petizione di principio priva di valore descrittivo in ordine alla ragione del licenziamento II non vi era stata alcuna soppressione del suo posto di lavoro poiché la lavoratrice avrebbe potuto essere ricollocata nell'ambito dell'organizzazione aziendale della resistente, anche in mansioni inferiori III la resistente non aveva avuto alcun ridimensionamento aziendale tant'è che, dalla visura camerale della convenuta, il personale dipendente risultava invariato dal 2016, consistente in 7 unità IV le classi della scuola primaria, ove lavorava la ricorrente, erano aumentate nel tempo, e in ciascuna classe era impiegata un'insegnante di inglese indicando, in particolare, le assunzioni di nuovo personale fra cui insegnanti di inglese risultanti dal sito internet della resistente omissis V la società resistente, nella scelta dei dipendenti da licenziare, non aveva operato alcun raffronto delle posizioni lavorative fungibili con quella della ricorrente sulla base dei criteri posti dall'art. 5 L.223/1991, mentre quest'ultima aveva indicato le dipendenti comparabili con minore anzianità di servizio e carico familiare, specificando altresì di avere un figlio minore a carico omissis -che, ciò posto, ella deduceva in sintesi A che la revoca del licenziamento era palesemente tardiva e inefficace perché comunicata a un soggetto terzo e non alla ricorrente ai sensi dell'art. 5 del D.Lgs. citato B che la disciplina applicabile, essendo il rapporto di lavoro sorto successivamente al 7 marzo 2015, era quella di cui al D.Lgs. 23 del 2015 e, in particolare, gli artt. 3 e 9 del medesimo decreto con la precisazione che trattandosi, nella specie, di un'impresa priva dei requisiti di cui all'art. 18 co. 8 e 9 L.300/70, in caso di accoglimento della domanda, l'indennizzo sarebbe risultato dimezzato e non avrebbe potuto superare le sei mensilità dell'ultima retribuzione percepita C che il giustificato motivo oggettivo era del tutto insussistente sia sotto il profilo della presunta soppressione del posto di lavoro che in ordine al cd. repechage e comunque anche la scelta della ricorrente come unità in esubero da licenziare risultava in contrasto coi principi di correttezza e buona fede D che dal di del licenziamento era rimasta disoccupata e priva di reddito E che sulla misura dell'indennità risarcitoria sollevava dubbi in ordine alla conformità costituzionale del sistema sanzionatorio previsto dall'art. 9 del D.Lgs. 23/15 per le piccole imprese . - che, dopo aver esposto quanto fin qui riportato, chiedeva a accertarsi la non ricorrenza del giustificato motivo oggettivo e/o la violazione del requisito di motivazione e dichiarare risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento con condanna della resistente al pagamento in suo favore della indennità di cui all'art. 9, comma 1, del D.Lgs. 23/2015 chiedendo peraltro al Giudice di sollevare questione di costituzionalità della predetta norma alla stregua delle previsioni di cui agli artt. 3, comma 1, 4 e 35 comma 1, Cost. nonché dell'art. 117, comma 1, Cost. in relazione all'art. 24 della Carta sociale Europea, risultando la questione rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata. - che restava contumace la società resistente, sebbene ritualmente evocata in giudizio - che, istruita la causa per documenti, il Giudice rilevava che la questione di costituzionalità proposta era meritevole di approfondimenti e invitava il difensore a voler redigere brevi e concise note riepilogative con riferimento alla non manifesta infondatezza e rilevanza concreta della questione nel presente giudizio - che, alla luce di tali premesse, Osserva I SULLA RILEVANZA DELLA QUESTIONE I.1 Dagli atti di causa risulta pienamente dimostrata l'esistenza del rapporto di lavoro, le modalità essenziali del suo svolgimento mansioni, orario e retribuzione e la sua risoluzione ad iniziativa della resistente per giustificato motivo oggettivo. Si può quindi affermare che tra la ricorrente e la resistente è intercorso un rapporto di lavoro subordinato dal 1. settembre 2016 sino al 18 luglio 2018. I.2 Il licenziamento intimato alla ricorrente per motivo oggettivo è illegittimo per il mancato assolvimento, da parte della resistente, dell'onere di provarne il fondamento. I.3 Le conseguenze sono quelle di cui all'art. 3, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2015 nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un 'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità” con la correzione prevista dall'art. 9, comma 1, del medesimo decreto Ove il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all'articolo 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970, l'ammontare delle indennità e dell'importo previsti dall'articolo 3, comma 1, . è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità” . I.4 Riguardo all'applicabilità dell'art. 9 cit, la stessa ricorrente ha confermato in ricorso l'assenza del requisito occupazionale/dimensionale. I.5 Nessun ostacolo all'applicazione delle previsioni anzidette può discendere dalla revoca del licenziamento sopra descritta per la sua palese tardività e, quindi, inefficacia come previsto dall'art. 5 del medesimo decreto nell'ipotesi di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente decreto” in quanto l'impugnativa è intervenuta il 4-6 settembre 2018 e la revoca il 28 settembre 2018. La revoca, inoltre, era stata comunicata a soggetto terzo e non alla lavoratrice. I.6 Sulla base di quanto premesso, il licenziamento impugnato dovrà essere dichiarato illegittimo e sanzionato secondo l'art. 3, comma 1 e 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, con conseguente applicazione degli articoli 3 e 9 del decreto legislativo n. 23/2015, trovando quindi conferma la rilevanza della questione di costituzionalità. II. SULLA NON MANIFESTA INFONDATEZZA IL QUADRO NORMATIVO. II.1 La tipologia di tutela prevista dall'art. 9, comma 1, D.Lgs. 23/2015 riguarda i dipendenti dei datori di lavoro che non raggiungano i requisiti di cui all'articolo 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970 ottavo comma .datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti” . Inoltre per costoro non trova attuazione l'articolo 3, comma 2, del D.Lgs. 23/2015 art. 9, comma 1, cit. e quindi, a fronte di un licenziamento ingiustificato, trova applicazione unicamente la sanzione costituita da un'indennità risarcitoria. II.2 La sentenza n. 194/2018 della Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l'articolo 3, comma 1, del D.Lgs. n. 23/2015 con riferimento alla determinazione dell'indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato ancorata unicamente al criterio dell'anzianità di servizio. Inevitabilmente, l'incostituzionalità si è estesa all'art. 9, comma 1, del medesimo decreto in quanto la previsione, applicabile nella specie in ragione delle dimensioni occupazionali della convenuta, recita testualmente l'ammontare delle indennità e dell'importo previsti dall'articolo 3, comma 1, . è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità”. Nel caso di specie, pertanto, l'indennità dovrà essere individuata vds. anche infra sub II.5 nello stretto varco risultante fra il minimo di tre e il massimo di sei mensilità, determinata utilizzando i parametri indicati nella sentenza della Corte costituzionale n. 194 del 2018 e confermati nella sentenza n. 150 del 2020 anzianità di servizio del lavoratore, numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell'attività economica, comportamento e condizioni delle parti . Nella fattispecie in esame, pertanto, in considerazione della retribuzione lorda di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto pari a Euro 278,49, la misura dell'indennizzo potrà variare fra Euro 835,47 ed Euro 1.670,94. II.3 L'originaria tutela cd. obbligatoria contenuta nell'art. 8 della L. n. 604/1966, applicabile ai lavoratori assunti da datori di lavoro antecedentemente al 7 marzo 2015, salvo il caso previsto dall'art. 1, comma 3, del D.Lgs. 23/2015, è riservata ai dipendenti da datori di lavoro che abbiano un numero di lavoratori come sopra indicato e alle cd. organizzazioni di tendenza art. 4, comma 2, L. n. 108/1990 alle quali, però, per i dipendenti assunti dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015, trova invece integrale applicazione quest'ultima normativa . II.4 L'originaria tutela cd. obbligatoria contenuta nell'art. 8 della L. n. 604/1966 prevede, ancora oggi quando applicabile, una tutela costituita dalla riassunzione in servizio o, in mancanza, dal pagamento di una indennità variabile fra 2,5 e, al ricorrere di alcune condizioni, un massimo di 14 mensilità Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro” . Risulta, quindi, che l'art. 9, comma 1, del D.Lgs. 23/2015 non riproduce, se non in piccola parte, le disposizioni di cui all'art. 8 della L. n. 604/1966 cfr. Corte Cost. n. 150/2020 punto 6.2 . II.5 L'intervento del decreto legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito dalla legge 9 agosto 2018, n. 96 che ha innalzato la soglia dell'indennità contemplata nell'art. 3, comma 1, del D.Lgs. 23/2015, ha avuto quale effetto quello di restringere l'intervallo entro cui deve essere determinata l'indennità prevista per i datori di lavoro sotto-soglia portandolo ad un range che va da tre a sei mensilità. II.6 Le sentenze n. 194 del 2018 e n. 150 del 2020 della Corte Costituzionale hanno chiarito che la determinazione dell'indennità non può essere ancorata al solo criterio dell'anzianità di servizio inidonea a esprimere le mutevoli ripercussioni che ogni licenziamento produce nella sfera personale e patrimoniale del lavoratore” sent. n. 150/2020 pp. 11.4 e 12 precisando che, in chiave correttiva” il giudice potrà ponderare anche altri criteri desumibili dal sistema, facendo espresso richiamo all'art. 18, sesto comma, L. n. 300/1970 e all'art. 8 della L. n. 604 del 1966 e quindi i la gravità delle violazioni, ii il numero degli occupati, iii le dimensioni dell'impresa, iv il comportamento e le condizioni delle parti. II.7 Volendo riassumere si può affermare che la tutela prevista dall'art. 9, comma 1, D.Lgs. 23/2015 riguarda i lavoratori dipendenti da datori di lavoro individuati esclusivamente sulla base del numero dei dipendenti occupati e prevede unicamente una soluzione indennitaria che può essere determinata nello strettissimo intervallo fra tre e sei mensilità. III INTERPRETAZIONE ADEGUATRICE III.1 La tesi secondo cui l'art. 9, comma 1, cit. non sarebbe idoneo a soddisfare il test di adeguatezza e, soprattutto, di dissuasività nella reazione dell'ordinamento di fronte ad un licenziamento ingiustificato non sembra poter esser risolta in via interpretativa, neppure per mezzo della ed. interpretazione adeguatrice”. Ciò perché l'art. 9 è assolutamente inequivoco, nel suo tenore letterale, nel parametrare l'indennità dimezzandola rispetto a quella indicata nell'art. 3, comma 1, cit, ma, comunque, nel limite delle sei mensilità. Non è esperibile, pertanto, a fronte dell'univoco tenore letterale della norma censurata, un'interpretazione adeguatrice non ravvisandosene alcuna Corte cost, Sent, 09-11-2020, n. 234, p. 13.1.1. . IV VIOLAZIONE DEI PRINCIPI DI EFFETTIVITA’ E RAGIONEVOLEZZA. IV.1 La distinzione fra le tutele in ragione delle dimensioni occupazionali datoriali è fondata su un elemento che risulta esterno al rapporto di lavoro. La ragione e lo scopo di tale differenza è costituito dal fatto che, nelle piccole realtà lavorative, potrebbe risultare problematico il riassorbimento del prestatore, mentre nelle realtà di grandi dimensioni, ove il rapporto è più spersonalizzato, il ripristino del rapporto risulterebbe certamente più agevole. IV.2 Tuttavia entrambe le tutele mirano ad affermare che il diritto al lavoro” art. 4, primo comma, Cost. , affiancato alla tutela” del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni” art. 35, primo comma, Cost , si sostanzia nel riconoscere, tra l'altro, che i limiti posti al potere di recesso del datore di lavoro correggano un disequilibrio di fatto esistente nel contratto di lavoro Corte Cost. 194/18 punto 9.1 . Sebbene il legislatore, in caso di licenziamento invalido, ben possa, nell'esercizio della sua discrezionalità, prevedere un meccanismo di tutela anche solo risarcitorio-monetario” ciò deve avvenire nel rispetto del principio di ragionevolezza” Corte Cost. 194/18 - punto 9.2 . Inoltre, la qualificazione come indennità” dell'obbligazione prevista dall'art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 23 del 2015 e dell'art. 9 in questione non ne esclude la natura di rimedio risarcitorio, a fronte di un licenziamento” Corte Cost. 194/18 - punto 10 . In particolare la Corte Costituzionale afferma che, sebbene la regola generale di integralità della riparazione e di equivalenza della stessa al pregiudizio cagionato al danneggiato non abbia copertura costituzionale, deve essere garantita l'adeguatezza del risarcimento” che, ancorché non necessariamente riparatorio dell'intero pregiudizio subito dal danneggiato, deve essere necessariamente equilibrato” punto 12.1 . IV.3 La mancata adeguatezza del ristoro nei termini precisati, ad avviso della Corte Costituzionale, viola l'art. 3, comma 1, ma anche l'art. 4 e l'art. 35 comma 1 Cost Corte Cost. 194/18 - punto 13 . Inoltre il mancato adeguato ristoro del pregiudizio patito dal lavoratore per l'ingiustificato licenziamento entra i tensione con il parametro interposto costituito dall'art. 24 della Carta sociale Europea secondo cui l'indennizzo è congruo se è tale da assicurare un adeguato ristoro per il concreto pregiudizio subito dal lavoratore licenziato senza un valido motivo” Corte Cost. 194/18 - punto 14 . IV.4 Un primo argomento a sostegno della irragionevolezza della tutela apprestata per i lavoratori dipendenti da datori di lavoro sotto-soglia è costituito dalla estrema esiguità della tutela che non può superare le sei mensilità e non prevede neanche l'alternativa della riassunzione. Quindi una misura che non garantisce un'equilibrata compensazione del risarcimento anche nella prospettiva della non necessaria integrale riparazione del pregiudizio. La misura dell'adeguatezza dell'indennizzo deve tener conto, come rilevato dalla Corte Costituzionale, dell' adeguato contemperamento degli interessi in conflitto” Corte Cost. 194/2018 - punto 12.1 ovvero la libertà di organizzazione dell'impresa da un lato e la tutela del lavoratore ingiustamente licenziato dall'altro” Corte Cost. 194/2018 - punto 12.3 . IV.5 Oltre a ciò, giova rilevare che, se dal contemperamento delle protezioni costituzionali fra piccole imprese e lavoratori risulti lampante come sia del tutto inadeguata la previsione di un indennizzo così esiguo da parte dell'art. 9 cit, deve anche valutarsi la portata dissuasiva della sanzione. Invero, la Corte Costituzionale ha correttamente accostato alla funzione risarcitoria del pregiudizio patito dal dipendente per l'adozione di un atto illecito da parte del datore di lavoro anche la funzione dissuasiva volta ad evitare che il datore assuma tali atti. Quindi, nel contemperamento degli interessi protetti, non solo occorre garantire un adeguato ristoro per il pregiudizio patito dal lavoratore ma anche correggere il disequilibrio di fatto esistente nel contratto di lavoro dissuadendo la parte più forte, ovvero il datore di lavoro, anche se impresa minore, dall'adottare un licenziamento ingiustificato che gli costerebbe un'esigua indennità. Giova riprendere il principio contenuto nell'art. 24 della Carta Sociale Europea ove si fa esplicito riferimento al diritto dei lavoratori licenziati senza un valido motivo, ad un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione” e la giurisprudenza del Comitato Europeo dei Diritti Sociali che ha espresso un chiaro principio secondo cui il risarcimento per il licenziamento illegittimo deve essere allo stesso tempo proporzionato rispetto alla perdita sofferta dalla vittima e sufficientemente dissuasivo per i datori di lavoro, con l'avvertimento che qualsiasi limite massimo al risarcimento che impedisce che i danni siano commisurati al pregiudizio subito e che non abbiano un carattere sufficientemente dissuasivo è proibito. IV.6 Fra le decisioni del Comitato Europeo dei Diritti Sociali, pur non assistite, nel sistema nazionale, dalla forza vincolante propria dello ius cogens ma certamente dotate di un peso orientativo soft sull'interpretazione del diritto interno, quella pubblicata l'11 febbraio 2020 sul Reclamo collettivo n. 158/2017 si occupa espressamente anche della disposizione di cui all'art. 9 del D.Lgs. n. 23 del 2015 e si esprime nel modo seguente Il Comitato ricorda che, ai sensi della Carta, i lavoratori licenziati senza un valido motivo devono ottenere un indennizzo o un altro risarcimento adeguato. I meccanismi indennitari sono ritenuti conformi alla Carta quando prevedono il rimborso delle perdite finanziarie subite tra la data del licenziamento e la decisione dell'organo del ricorso la possibilità di reintegro del lavoratore e/o indennità di un importo sufficientemente elevato da dissuadere il datore di lavoro e compensare il danno subito dalla vittima” punto 87 qualsiasi tetto massimo plafond , che svincola le indennità scelte dal danno subito e non presenti un carattere sufficientemente dissuasivo, è, in linea di principio, contrario alla Carta, come, in una certa misura, ha già espresso la Corte Costituzionale nella decisione n. 194/2018” punto 96 in caso di licenziamento illegittimo , la vittima ha la scelta tra due opzioni risarcitone per il danno materiale giudiziario o extra giudiziario limitato da un tetto massimo plafond che non copre le perdite finanziarie effettivamente sostenute dalla data del licenziamento. Il Comitato ritiene che le condizioni di ciascuna di queste due opzioni risarcitone sono tali da incoraggiare, o quanto meno da non dissuadere, il ricorso al licenziamento illegittimo” punto 101 . IV.7 Ne consegue che la disposizione di cui all'art. 9 del D.Lgs. n. 23 del 2015 risulta palesemente viziata per incostituzionalità nella parte in cui determina un limite massimo del tutto inadeguato e per nulla dissuasivo in caso di licenziamento ingiustificato comminato da un datore di lavoro che non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all'articolo 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970. V L'IRRAGIONEVOLEZZA DEL RIGIDO CRITERIO DEL NUMERO DEGLI OCCUPATI V.1 Nelle sentenze della Corte Costituzionale n. 194/2018 e 150/2020 viene evidenziato come il criterio per la determinazione dell'indennizzo costituito dalla sola anzianità di servizio sia rigido e, per questo, inadeguato e irragionevole C. Cost. 194/2018 punto 3 e C. Cost. 150/2020 punto 11.3 . V.2 Afferma la Corte che nell'appiattire la valutazione del giudice sulla verifica della sola anzianità di servizio, la disposizione in esame determina un'indebita omologazione di situazioni che, nell'esperienza concreta, sono profondamente diverse e così entra in conflitto con il principio di eguaglianza” mentre l'adeguatezza deve essere valutata alla luce della molteplicità di funzioni che contraddistinguono l'indennità disciplinata dalla legge. Alla funzione di ristoro del pregiudizio arrecato dal licenziamento illegittimo si affianca, infatti, anche quella sanzionatoria e dissuasiva” Corte Cost n. 150/2020 - pp. 12 e 13 . V.3 Il sistema di tutele disegnato dall'art 9, comma 1, D.Lgs. 23/2015 che prevede una misura indennitaria ricompresa in un divario fra tre e sei mensilità risulta talmente limitato da costituire una forma pressoché uniforme di tutela. Ciò si coglie in maniera molto evidente nei casi, come quello di specie, ove il divario fra il minimo e il massimo è strettissimo in quanto la misura dell'indennizzo potrà variare fra Euro 835,47 ed Euro 1.670,94. In questo modo, si riducono in modo apprezzabile sia la funzione compensativa sia l'efficacia deterrente della tutela indennitaria cfr. Corte Cost. 150/2020 n. 13.1 . V.4 L'argomento di fondo che permea le motivazioni delle sentenze n. 194/2018 e n. 150/2020 è costituito dal fatto che in un prudente bilanciamento tra gli interessi costituzionalmente rilevanti, l'esigenza di uniformità di trattamento e di prevedibilità dei costi di un atto, che l'ordinamento qualifica pur sempre come illecito, non può sacrificare in maniera sproporzionata l'apprezzamento delle particolarità del caso concreto” risultando necessario consentire al Giudice di utilizzare, in chiave correttiva”, anche altri criteri desumibili dal sistema, facendo espresso richiamo all'art. 18, sesto comma, L. n. 300/1970 e all'art. 8 della L. n. 604 del 1966 e quindi, oltre all'anzianità di servizio, la gravità delle violazioni, il numero degli occupati, le dimensioni dell'impresa, il comportamento e le condizioni delle parti. V.5 Al contrario, nel sistema di tutele disegnato dall'art. 9, comma 1, D.Lgs. 23/2015, il criterio del numero degli occupati costituisce l'unico effettivo criterio di determinazione dell'indennità. Esso è un criterio che non serve ad adeguare l'indennità bensì unicamente a limitarla. L'esiguità dell'intervallo concesso al Giudice nella determinazione dell'indennizzo non consente di valorizzare nessuno degli ulteriori criteri indicati dalla Corte Costituzionale sopra indicati. In particolare, trattandosi di licenziamento ingiustificato, nessun rilievo può essere dato alla gravità della violazione il che integra una inosservanza del principio di uguaglianza/ragionevolezza, che conduce a sanzionare in modo pressoché uguale violazioni non solo produttive di danni diseguali, ma di gravità che possono essere, a loro volta, totalmente differenti. V.6 In più deve rilevarsi come il numero dei dipendenti è un criterio trascurabile nell'ambito di quella che è l'attuale economia che, com'è notorio, ha permesso a un colosso come Instagram di sostenere nel 2015 un'impresa gigantesca con tredici dipendenti mentre, nello stesso periodo, la Kodak, che aveva un'attività di impresa analoga, ma analogica e non digitale, aveva 140 mila dipendenti. V.7 Più significativo è invece il criterio delle dimensioni dell'impresa, criterio correttivo per adeguare l'indennizzo al caso concreto, più elastico rispetto a quello del solo numero dei dipendenti in quanto riferibile anche ai dati economico/finanziari ricavabili dai bilanci. Questo criterio ben potrà essere utilizzato dal Giudice valorizzandone la portata anche alla luce dell'art. 44 Cost. ove è sancito un principio generale di favore per le piccole imprese. Con la precisazione che da esso, però, non può desumersi l'esclusione di un'adeguata tutela del posto di lavoro cfr. Corte Cost. 143/98 . V.8 Alla luce di ciò, può affermarsi che il criterio di determinazione dell'indennità risarcitoria previsto dall'art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 23/2015, non è affatto idoneo a soddisfare il test di adeguatezza alla stregua dei principi costituzionali art. 3, comma 1, 4, 35, comma 1, e 117, comma 1, Cost. e sovranazionali art. 24 della Carta sociale Europea . VI CONCLUSIONI In conclusione, il licenziamento ingiustificato intimato da un datore di lavoro privo dei requisiti di cui all'art. 18, commi 8 e 9, L. n. 300/1970 integra un illecito che deve dar luogo a un'indennità adeguata e personalizzata”, ancorché forfettizzata, secondo la stessa logica che regge le sentenze della Corte costituzionale n. 194/2018 e n. 150/2020. Appare quindi non manifestamente infondata, in rapporto agli articoli 3, comma 1, 4, 35 comma 1, e 44, comma 1, della Costituzione nonché dell'art. 117, comma 1, della Costituzione in relazione all'art. 24 della Carta sociale Europea, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, con riguardo alle parole ove il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all'articolo 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970, l'ammontare delle indennità e dell'importo previsti dall'articolo 3, comma 1, . è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità”. La questione di legittimità costituzionale è, oltre che ammissibile, anche rilevante, in quanto la norma positiva di cui si tratta impedisce l'accoglimento della domanda attorea, possibile soltanto attraverso l'eliminazione o l'integrazione della stessa mercé l'intervento della Corte delle leggi P.T.M. -visto l'art. 134 della Costituzione e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 -vista l'istanza formulata dalla difesa di parte ricorrente -dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, con riguardo alle parole ove il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all'articolo 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970, l'ammontare delle indennità e dell'importo previsti dall'articolo 3, comma 1, . è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità” in rapporto agli articoli 3, comma 1, 4, 35 comma 1 della Costituzione nonché dell'art. 117, comma 1, della Costituzione in relazione all'art. 24 della Carta sociale Europea -dispone la sospensione del giudizio -ordina alla Cancelleria di notificare la presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché di comunicarla ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica -ordina alla Cancelleria di trasmettere gli atti alla Corte Costituzionale, unitamente alla prova delle avvenute notificazioni e comunicazioni.