Se gli operatori sanitari rifiutano il vaccino anti-COVID, l’azienda può metterli in ferie

Per il Giudice è chiaro come così il datore di lavoro abbia tutelato l’integrità fisica di tutti i suoi dipendenti. Rilevante poi anche la constatazione, sempre secondo il giudice, della efficacia del vaccino.

Legittima la decisione con cui il datore di lavoro mette in ferie i dipendenti che hanno rifiutato la vaccinazione anti-COVID Tribunale di Belluno, ordinanza del 19 marzo 2021 . All’origine della vicenda c’è la clamorosa scelta di 10 operatori sanitari a febbraio di quest’anno scelgono di non sottoporsi alla vaccinazione anti COVID . Pronta la reazione dei vertici della struttura sanitaria i lavoratori sono liberi di rifiutare il vaccino, ma debbono andare in ferie . Ciò serve, secondo l’azienda, per tutelare i colleghi e i pazienti. Inevitabile l’opposizione dei 10 operatori sanitari, che considerano un vero e proprio abuso il diktat dell’azienda. Per il Tribunale di Belluno, però, le rimostranze dei lavoratori non hanno ragione d’esistere. In prima battuta viene ricordato che, codice civile alla mano, l’ imprenditore è tenuto ad adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro art. 2087 c.c. . In questo quadro si colloca anche la strettissima attualità, poiché, osserva il giudice, è ormai notoria l’efficacia del vaccino nell’impedire l’evoluzione negativa della patologia causata dal COVID, essendo acclarato il drastico calo di decessi causati da tale virus fra le categorie che hanno potuto usufruire del suddetto vaccino, quali il personale sanitario e gli ospiti di residenze sanitarie assistenziali, nonché, più in generale, nei Paesi, quali Israele e gli Stati Uniti, in cui il vaccino è stato somministrato a milioni di individui . Ciò che conta in questa vicenda, aggiunge il Giudice, è il fatto che i lavoratori – che hanno rifiutato il vaccino – sono impiegati in mansioni a contatto con persone che accedono al loro luogo di lavoro . Di conseguenza, è evidente il rischio per i lavoratori non vaccinati di essere contagiati, essendo fra l’altro notorio che non è scientificamente provato che il vaccino prevenga, oltre alla malattia, anche l’infezione . In sostanza, la permanenza nel luogo di lavoro dei dipendenti non vaccinati comporterebbe per il datore di lavoro la violazione dell’obbligo che gli impone di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei suoi dipendenti , osserva il Giudice, anche tenendo presente che è ormai notorio che il vaccino – offerto, allo stato, soltanto al personale sanitario e non anche al personale di altre imprese, stante la attuale scarsità per tutta la popolazione – costituisce una misura idonea a tutelare l’integrità fisica degli individui a cui è somministrato, prevenendo l’evoluzione della malattia . Legittima , quindi, la scelta del datore di lavoro di mettere in ferie i dieci dipendenti non vaccinati. Il codice civile dispone che il prestatore di lavoro ha anche diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro art. 2109 c.c. , ma in questo caso, chiarisce il Giudice, a fronte dell’ eventuale interesse del prestatore di lavoro ad usufruire di un diverso periodo di ferie , prevale l’ esigenza del datore di lavoro di adottare le misure necessarie per tutelare i suoi dipendenti , inclusa quella di allontanare momentaneamente i lavoratori non vaccinati. Per il Giudice, poi, va esclusa, almeno per ora, l’ipotesi, fatta balenare dai dipendenti obbligati ad andare in ferie, della sospensione dal lavoro senza retribuzione e del licenziamento . Su questo fronte, difatti, non c’è alcun elemento da cui poter desumere l’intenzione del datore di lavoro di procedere alla sospensione dei dipendenti e al loro licenziamento , conclude il giudice.

Tribunale di Belluno, ordinanza 16 – 19 marzo 2021 Giudice Travia Ritenuto che risulta difettare il fumus boni iuris, disponendo l’art. 2087 c.c. che L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” ritenuto che è ormai notoria l’efficacia del vaccino per cui è causa nell’impedire l’evoluzione negativa della patologia causata dal virus SARS -CoV-2, essendo notorio il drastico calo di decessi causati da detto virus, fra le categorie che hanno potuto usufruire del suddetto vaccino, quali il personale sanitario e gli ospiti di RSA, nonché, più in generale, nei Paesi, quali Israele e gli Stati Uniti, in cui il vaccino proposto ai ricorrenti è stato somministrato a milioni di individui rilevato che è incontestato che i ricorrenti sono impiegati in mansioni a contatto con persone che accedono al loro luogo di lavoro ritenuto che è, pertanto, evidente il rischio per i ricorrenti di essere contagiati, essendo fra l’altro notorio che non è scientificamente provato che il vaccino per cui è causa prevenga, oltre alla malattia, anche l’infezione ritenuto che la permanenza dei ricorrenti nel luogo di lavoro comporterebbe per il datore di lavoro la violazione dell’obbligo di cui all’art. 2087 c.c. il quale impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei suoi dipendenti che è ormai notorio che il vaccino per cui è causa - notoriamente offerto, allo stato, soltanto al personale sanitario e non anche al personale di altre imprese, stante la attuale notoria scarsità per tutta la popolazione - costituisce una misura idonea a tutelare l’integrità fisica degli individui a cui è somministrato, prevenendo l’evoluzione della malattia ritenuto, quanto al periculum in mora, che l’art. 2109 c.c. dispone che il prestatore di lavoro Ha anche diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro che nel caso di specie prevale sull’eventuale interesse del prestatore di lavoro ad usufruire di un diverso periodo di ferie, l’esigenza del datore di lavoro di osservare il disposto di cui all’art. 2087 c.c. ritenuta l’insussistenza del periculum in mora quanto alla sospensione dal lavoro senza retribuzione ed al licenziamento, paventati da parte ricorrente, non essendo stato allegato da parte ricorrente alcun elemento da cui poter desumere l’intenzione del datore di lavoro di procedere alla sospensione dal lavoro senza retribuzione e al licenziamento ritenuto che, attesa l’assenza di specifici precedenti giurisprudenziali, sussistono le condizioni di cui all’art. 92 co. II c.p.c. per compensare le spese processuali. P.Q.M. visto l’art. 700 c.p.c. 1. rigetta il ricorso 2. compensa le spese processuali.