Ergonomia della postazione e aria condizionata non bastano per catalogare i problemi di salute come malattia professionale

Respinta la richiesta avanzata da una dipendente di un istituto di credito, inquadrata come addetta allo sportello. Gli elementi messi sul tavolo dalla lavoratrice non sono ritenuti sufficienti dai Giudici, soprattutto tenendo presente la patologia che la affligge da tempo.

Niente indennizzo per l’ addetta allo sportello della banca che addebita alle condizioni di lavoro i problemi di salute che l’hanno colpita. Non sufficienti i riferimenti alla ergonomia della postazione di lavoro e all’ aria condizionata utilizzata nei locali dell’istituto di credito sia in primavera che in estate Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza n. 5816/21, depositata il 3 marzo . A sminuire la versione della lavoratrice – dipendente di un istituto di credito – provvedono già i Giudici di merito, respingendo, sia in primo che in secondo grado, la sua domanda volta ad ottenere l’accertamento della responsabilità della datrice di lavoro per la malattia professionale da cui ella è affetta, con conseguente risarcimento del danno . La lavoratrice ha sostenuto che l’ergonomia della postazione di lavoro nonché il microclima ambientale ,determinato dal getto dell’aria condizionata durante il periodo primaverile-estivo, hanno causato la lesione della sua integrità psicofisica , provocando cervico-dorso lombalgia, scoliosi toracica destra e lombare sinistra, discopatia lombare degenerativa, contrattura della muscolatura, nevralgia, omalgia, asma a genesi allergica, disturbo dell’adattamento d’ansia di media gravità e ha accusato il datore di lavoro, affermando che aveva omesso di adottare le cautele volte a garantire l’integrità della sua salute psico-fisica quale lavoratrice . I Giudici d’Appello però hanno respinto questa visione, escludendo la responsabilità dell’istituto di credito, non essendo provata la riconducibilità delle patologie denunciate alla pretesa condotta colpevole della datrice di lavoro . Decisiva, in particolare, la relazione del consulente tecnico , il quale ha affermato che la donna è affetta da sindrome fibromialgica, alla quale sono riconducibili tutte le malattie denunciate, ad esclusione della tendinopatia cronica della spalla, e che non vi è nesso causale tra tale fibromialgia – patologia dell’apparato motorio, contraddistinta da dolori inizialmente localizzati nel tratto cervicale o lombare e che nel corso di qualche mese o di qualche anno si diffondono all’intero corpo, associati spesso a disturbi dell’umore, insonnia, affaticamento cronico – e l’ambiente di lavoro . Peraltro, trattandosi di malattia non tabellata ai sensi della normativa INAIL, la prova della derivazione della malattia da lavoro doveva essere fornita dal lavoratore , ma tale prova non è stata fornita dalla dipendente dell’istituto di credito. Per quanto concerne infine i fattori microclimatici che, secondo la donna, hanno contribuito ad acuire i sintomi fisici e psicologici , i Giudici chiariscono che deve escludersi la sussistenza di danni permanenti derivanti dai disturbi accertati e precisano che la genericità della prova per testi non consente di accertare l’influenza in concreto determinata dal microclima, difettando di elementi sufficientemente oggettivi e circostanziati da consentire di quantificare in concreto le conseguenze dannose per la lavoratrice . Infine, anche per la tendinite alla spalla viene esclusa l’origine professionale, non essendo la lavoratrice addetta a compiti ripetitivi e operando come sportellista con esclusione invece di attività continuativa di videoterminalista . Infruttuosa la decisione della lavoratrice di portare il proprio caso in Cassazione. Anche i Giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, ritengono corretta la decisione presa in Appello, decisione basata sulla mancanza di nesso tra la malattia della donna e il luogo di lavoro. Più precisamente, viene sottolineato che tutte le malattie denunciate erano da ricondursi alla fibromialgia, malattia che non era di natura professionale e che non era inserita nell’elenco delle malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità, né nell’elenco delle malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità . E per quanto concerne i fattori microclimatici , essi non hanno prodotto danni di natura permanente né inciso sulla sindrome fibromialgica . Infine, quanto alla tendinite, si è esclusa la sua origine professionale, non essendo l’attività lavorativa caratterizzata dallo svolgimento di compiti ciclici ripetitivi o attività continuativa ai videoterminali per più di venti ore . Nessun addebito , quindi, è possibile a carico dell’istituto di credito , proprio perché la lavoratrice non ha provato il nesso causale tra la malattia lamentata e l’ambiente lavorativo .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 21 ottobre 2020 – 3 marzo 2021, n. 5816 Presidente Manna – Relatore D’antonio Considerato in fatto 1.La Corte d'appello di Trento ha confermato la sentenza del Tribunale di Bolzano di rigetto della domanda di De. De., dipendente della Cassa di Risparmio di Bolzano fin dal 1981, volta ad ottenere l'accertamento della responsabilità della datrice di lavoro per la malattia professionale da cui era affetta con conseguente risarcimento del danno. La Corte ha esposto che la ricorrente, in servizio dal 1995 presso la filiale di Sinigo, lamentava che l'ergonomia della postazione di lavoro nonché il microclima ambientale determinato dal getto dell'aria condizionata durante il periodo primaverile /estivo, avevano causato la lesione dell'integrità psicofisica provocando cervico-dorso lombalgia scoliosi toracica destra e lombare sinistra, discopatia lombare degenerativa, contrattura della muscolatura, nevralgia, omalgia asma a genesi allergica, disturbo dell'adattamento d'ansia di media gravità, e che il datore di lavoro aveva omesso di adottare le cautele volte a garantire l'integrità della salute psico-fisica della lavoratrice. La Corte territoriale, all'esito di una nuova CTU, ha affermato l'insussistenza dei presupposto per configurare la responsabilità ex art 2087 ce,dovendosi escludere la riconducibilità delle patologie denunciate alla pretesa condotta colpevole della datrice di lavoro. La Corte ha esposto che il CTU aveva affermato che la ricorrente era affetta da sindrome fibromialgica alla quale erano riconducibili tutte le malattie denunciate ad esclusione della tendinopatia cronica della spalla e che non vi era nesso causale tra tale fibromialgia e l'ambiente di lavoro. Ha osservato altresì che trattandosi di malattia non tabellata ai sensi della normativa Inail la prova della derivazione della malattia da lavoro doveva essere fornita dal lavoratore e che nella specie tale prova non era stata fornita. La Corte ha osservato, con riferimento ai fattori microclimatici che avrebbero contribuito ad acuire i sintomi fisici e psicologici, che doveva escludersi la sussistenza di danni permanenti derivanti dai disturbi accertati e la genericità della prova per testi non consentiva di accertare l'influenza in concreto determinata dal microclima difettando di elementi sufficientemente oggettivi e circostanziati da consentire di quantificare in concreto le conseguenze dannose per la ricorrente con riferimento alla tendinite alla spalla doveva escludersi l'origine professionale non essendo la lavoratrice addetta a compiti ripetitivi in relazione alle mansioni ha precisato che la De. era sportellista con esclusione invece di attività continuativa di videoterminalista. 2.Avverso la sentenza ha proposto ricorso in cassazione la De. con 5 motivi. Resiste la Cassa di Risparmio di Bolzano nonché l'Inail, chiamato in causa dalla Cassa fin dal primo grado. Ritenuto in diritto 3.Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 132 e 161 epe, nonché nullità della sentenza per omessa sottoscrizione del giudice. Il motivo è infondato avuto riguardo all'apposizione sulla sentenza impugnata della firma del presidente, dell'estensore e del cancelliere in forma digitale essendo avvenuto il suo depositato con modalità telematiche nel fascicolo informatico. 4.Con il secondo motivo si denuncia violazione dell'art 132 epe, nullità della sentenza per mancanza di motivazione, illogicità manifesta avendo la Corte escluso l'incidenza dell'ambiente di lavoro in relazione alla fibromialgia,pur avendo rilevato che il microclima aveva contributo ad acuire i sintomi. 5.Con il terzo motivo,in relazione all'art 360 n 5, denuncia omesso esame di fatto decisivo, violazione dell'art 132cpc per aver omesso la valutazione di un fatto storico rappresentato dalla malattia riscontrata e dipesa dalle condizioni di lavoro sia in relazione al microclima ambientale, sia in relazione alla non ergonomicità della postazione lavorativa. 6.Con il quarto motivo denuncia violazione dell'art 132 epe, degli artt. 1218 e 2087 e 2697 c.c., richiama le tabelle Inail ed il D.M. 27/4/2004 lamentando che la Corte non aveva posto a carico del datore di lavoro l'onere di provare l'insussistenza del nesso causale tra la malattia e l'ambiente lavorativo, nesso che doveva presumersi in quanto nelle tabelle citate erano inclusi i microtraumi e posture incongrue a carico degli arti superiori per attività eseguite con ritmi continui e ripetitivi per almeno la metà del tempo del turno di lavoro e disfunzioni dell'organizzazione del lavoro costrittività organizzative 7.Con il quinto motivo denuncia violazione degli artt. 115,116 e 132 epe con riferimento all'art 2697 ce dolendosi della mancata ammissione della prova. 8.I motivi, congiuntamente esaminati stante la loro connessione, sono infondati. 9.Preliminarmente va rilevato che ciascun motivo contiene plurime e non chiare censure in relazione all'art 360 n 3,4 o 5 epe in assenza di una specifica indicazione delle parti della sentenza censurata in relazione a ciascun vizio denunciato e l'individuazione precisa per ciascuna censura della norma violata. 10. Va, altresì, rilevato che il ricorso, ove denuncia in relazione all'art 360 n 5 epe l'omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, è inammissibile non presentando alcuno dei requisiti richiesti dall'art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. nella nuova formulazione così come interpretato da SU n. n. 8053 del 07/04/2014 finendo a con il lamentare non l'omesso esame di un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, cioè un fatto principale o primario ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato o secondario cioè un fatto dedotto in funzione probatoria ,bensì l'omessa o carente valutazione di risultanze istruttorie b con il criticare la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell'interpretazione di determinati atti del processo, e dunque un caratteristico vizio motivazionale, in quanto tale non più censurabile si veda la citata Cass., S.U., n. 8053/14 secondo cui il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione al n. 4 dell'art. 360 cod. proc. civ. il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all'art. 132, n. 4, cod. proc. civ., esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di 'sufficienza' della motivazione . 11.La ricorrente,in definitiva, pur denunciando la violazione di numerose norme, pretende una nuova valutazione degli elementi probatori e dei risultati della CTU sollecitando questa Corte ad una rivisitazione del merito non consentita in questa sede. Ed infatti, è stato in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di legittimità che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive cfr, e plurimis, Cass. n. 16056 del 02/08/2016 Cass. n. 17097 del 21/07/2010 Cass. n. 12362 del 24/05/2006 Cass. n. 11933 del 07/08/2003 . Nella specie la Corte territoriale ha spiegato, in maniera esaustiva e niente affatto perplessa, le ragioni della decisione che escludono la fondatezza delle pretese della ricorrente. 12. Circa la mancata ammissione della prova testimoniale,erroneamente ricondotta dalla ricorrente al vizio di cui all'art 360 n 5 epe, va rilevato che essa costituisce un potere tipicamente discrezionale del giudice di merito adeguatamente motivato dalla Corte territoriale, la quale ha sostanzialmente affermato l'irrilevanza della prova sottolineando la genericità delle allegazioni contenute nell'atto introduttivo e pertanto la genericità della prova con riferimento alle medesime circostanze v pag 34/35 della motivazione essendo state evidenziate solo vagamente la rilevante sofferenza fisica e psicologica, manifestata con umore depresso e sintomi ansiosi le precarie condizioni di salute le frequenti crisi di pianto isolamento ed umore depressele gravi limitazioni funzionali l'impossibilità di svolgere attività sportive e di svago essendo impossibilitata ad eseguire movimentazione del rachide , circostanze non inquadrabili temporalmente e che,secondo la Corte territoriale, non consentivano di apprezzare né l'intensità dei fenomeni dolorosi, né le concrete conseguenze dannose, né in quale misure fossero da imputare ragionevolmente all'uso improprio dell'impianto di condizionamento, dati neppure desumibili dalla documentazione medica. 13.Rsultano poi inappropriati i richiami sia all'art. 2697 ce.,sia agli artt. 115 e 116 c.p.c. per il primo aspetto la violazione dell'art. 2697 ce. è censurabile per cassazione ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece ove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti Cass. n. 15107 del 2013 Cass. n. 13395 del 2018 per l'altro aspetto, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c. opera interamente sul piano dell'apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità. 14. Quanto infine ai richiami alla normativa Inail ed ai dubbi sollevati dal ricorrente in ordine all'individuazione della parte onerata della prova dell'origine professionale della malattia appare invero sufficiente richiamare quanto esposto nella sentenza che ha escluso la riconducibilità delle accertate patologie alla pretesa condotta colpevole del datore di lavoro. Ha rilevato, infatti, che tutte le malattie denunciate erano da ricondursi alla fibromialgia,che detta malattia non era di natura professionale e che essa non era inserita nell'elenco delle malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità, né nell'elenco delle malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità.Nella decisione impugnata si è anche specificato, quanto ai fattori microclimatici, che gli stessi non avevano prodotto danni di natura permanente né inciso sulla sindrome fibromialgica e, quanto alla tendinite, si è esclusa la sua origine professionale non essendo l'attività lavorativa caratterizzata dallo svolgimento di compiti ciclici ripetitivi o attività continuativa ai videoterminali per più di 20 ore. 15. Deve, pertanto, essere ribadito che in caso di malattia non tabellata, incombe sul lavoratore l'onere di provare il nesso causale tra la malattia e ambiente lavorativo ad esempio per tutte, Cass n 8773/2018 , prova che l'impugnata sentenza ha escluso. 16.In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente condannata a pagare le spese nei confronti della Cassa. Non si deve provvedere alla liquidazione delle spese a favore dell'Inail. La notifica del ricorso nei confronti dell'istituto da parte della De. soccombente in appello che non ha formulato alcuna domanda nei confronti dell'Istituto chiamato in causa dalla Cassa, non ha valore di vocatio in ius ,ma di mera litis denuntiatio , sicché l'Istituto non diventa, per ciò solo, parte del giudizio. Non sussistono, pertanto, i presupposti per la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite a favore dell'Inail, in assenza di impugnazione incidentale di quest'ultimo, atteso che, ai sensi dell'art. 91 c.p.c. detta pronuncia presuppone la qualità di parte nonché la soccombenza. 17. Avuto riguardo all'esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all'art 13, comma 1 quater, D.P.R. n 115/2002. PQM Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare alla Cassa di Risparmio le spese di lite liquidate in Euro 5.000,00, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge, nonché Euro 200,00 per esborsi. Ai sensi dell'art 13, comma 1 quater del D.P.R. n 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis, dello stesso art 13. Roma 21/10/2020.