Vacanze all’estero, isolamento fiduciario e “congelato” il ritorno al lavoro: legittimo il licenziamento

Clamorosa decisione del Tribunale di Trento respinta l’opposizione di una operaia di una impresa di pulizie. Fatale per la donna l’avere compiuto una vacanza all’estero, nell’agosto del 2020, e l’essere stata poi costretta, una volta rientrata in Italia, a porsi in isolamento fiduciario per quattordici giorni, non tornando così al lavoro alla data prevista.

Andare in ferie all’estero, in piena pandemia, con l’obbligo dell’isolamento fiduciario al rientro in Italia è una scelta azzardata che può costare addirittura il posto di lavoro. A dirlo in modo chiaro il Tribunale di Trento, che ha confermato il licenziamento di una donna – operaia per una impresa di pulizia – che, concluso il periodo di vacanza, non è subito tornata in servizio a causa della quarantena a cui si è dovuta sottoporre una volta tornata in Italia Tribunale di Trento, ordinanza del 21 gennaio 2021 . All’origine della vicenda giudiziaria la comunicazione con cui l’azienda, il 9 settembre del 2020, ufficializza alla dipendente – operaia con contratto a tempo indeterminato e part-time – il licenziamento per giusta causa , una volta preso atto del suo mancato rientro in servizio, previsto invece il 20 agosto. Chiara la posizione assunta dall’azienda, che contesta alla lavoratrice una gravissima violazione dell’obbligo di correttezza e buona fede nel rapporto di lavoro , avendo omesso di comunicare e giustificare la sua assenza e avendo posto in essere condotte di gravissimo rilievo disciplinare in relazione al rapporto di lavoro, oltreché con riflessi in ambiti esterni a quello lavorativo . Alla lavoratrice viene in particolare fatto presente che non presta la sua attività dal 9 luglio , avendo usufruito di quasi venti giorni di congedo COVID” a luglio, sommati a tre giorni di permesso” grazie alla legge 104, e poi essendo andata in ferie all’estero per due settimane ad agosto, a cui poi si sono aggiunti altri tre giorni di permesso” garantiti dalla 104, cinque giorni di malattia bambino”, un giorno di malattia e, infine, l’assenza per quarantena fino al 9 settembre . A suscitare le perplessità del datore di lavoro, poi, il fatto che la dipendente si è recata in vacanza all’estero nonostante i ben noti divieti e i rischi relativi agli spostamenti e nonostante gli altresì ben noti obblighi di quarantena e isolamento fiduciario conseguenti , disinteressandosi quindi completamente, secondo l’ottica dell’impresa, dei problemi organizzativi creati all’azienda, visti anche l’emergenza sanitaria in essere e il periodo interessato pieno periodo estivo . Per la società, la dipendente è tenuta a verificare gli adempimenti a suo carico connessi a eventuali spostamenti effettuati all’estero, adempimenti previsti da norme e decreti e correlati provvedimenti integrativi e attuativi, tanto nazionali quanto locali, riguardanti obblighi e divieti a carico di chiunque abbia soggiornato ossia transitato in Paesi esteri , mentre, invece, la decisione di andare in vacanza fuori dall’Italia, nonostante la pandemia, è ritenuta incompatibile con la condotta di diligenza, correttezza e buonafede richiesta nel rapporto di lavoro e gravissima poiché causava pesanti problemi organizzativi e grave nocumento all’azienda . Opposta, ovviamente, la visione proposta dalla lavoratrice. Quest’ultima sostiene la tesi del licenziamento illegittimo . Nessuna incertezza, innanzitutto, sui dettagli del periodo di inattività della donna. Ella ha richiesto e ottenuto di poter fruire di un periodo di ferie dal 3 al 16 agosto 2020 in tale periodo ella si è recata in Albania al suo ritorno in Italia avvenuto il giorno 27 agosto, avendo fruito dei permessi” ex legge 104 per tre giorni e avendo richiesto di godere del congedo per malattia bambino” per cinque giorni non ha potuto rientrare immediatamente al lavoro, dovendo osservare il prescritto periodo di isolamento fiduciario per quattordici giorni, fino al 9 settembre . A fronte di questo quadro, la donna sostiene che al momento della partenza il divieto degli spostamenti all’estero era decaduto da più di due mesi. Pertanto, nessuna negligenza può essere imputata a lei che si trovava già all’estero al momento della reintroduzione di tali limitazioni e che ha potuto apprendere di doversi sottoporre ad isolamento domiciliare al rientro solo dopo averne ricevuto comunicazione dal datore di lavoro, che l’ha sollecitata a contattare l’autorità sanitaria . Normativa alla mano, però, la linea difensiva della donna viene ritenuta fragile. Ciò perché a fine luglio del 2020 veniva confermata la validità del d.P.C.M. di metà luglio che richiamava e ribadiva l’operatività delle misure adottate l’11 giugno, inclusa quella con cui si stabiliva che le persone che fanno ingresso in Italia, anche se asintomatiche, sono obbligate a comunicarlo immediatamente al Dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente per territorio e sono sottoposte alla sorveglianza sanitaria e all’isolamento fiduciario per un periodo di quattordici giorni presso l’abitazione o la dimora preventivamente indicata all’atto dell’imbarco . Evidentemente, quindi, la lavoratrice, rileva il Giudice, nel momento in cui si recò in Albania per trascorrere le proprie ferie, dal 3 al 16 agosto 2020, era o comunque doveva essere pienamente consapevole che al suo rientro in Italia non avrebbe potuto ritornare al lavoro immediatamente al termine del periodo feriale, dovendo osservare, per il fatto di essersi recata in Albania, un periodo di quattordici giorni in isolamento fiduciario . Ciò significa che ella si è posta, per propria responsabilità, in una situazione di impossibilità di riprendere il lavoro alla data prescritta, ossia subito dopo la fine del periodo di ferie , e quindi la sua assenza dal lavoro per quattordici giorni, seppur dovuta alla necessità di adempiere l’obbligo pubblicistico di isolamento fiduciario, non può considerarsi giustificata , poiché, chiarisce il Giudice, la lavoratrice avrebbe ben potuto evitare di trovarsi assoggettata a detto obbligo, astenendosi dall’effettuare il viaggio in Albania durante il periodo feriale . A questo proposito, il Giudice chiarisce anche che esigere che la lavoratrice evitasse il viaggio all’estero non costituisce un’illegittima limitazione all’esercizio del diritto di fruire delle ferie. Basti pensare che il soddisfacimento delle esigenze di sanità pubblica, sottese alla necessità di contrastare la perdurante situazione di pandemia, ha comportato per ampi strati della popolazione residente in Italia il sacrificio di numerosi diritti della personalità, in particolare di libertà civile, anche tutelati a livello costituzionale . Tirando le somme, la condotta della lavoratrice, consistita nel porsi colpevolmente nella necessità di rimanere assente dal lavoro per quattordici giorni, integra una giusta causa di licenziamento , conclude il Giudice. Decisivo in questa ottica il riferimento alla durata dell’assenza e alle conseguenti disfunzioni che sono verosimilmente derivate in pregiudizio dell’organizzazione dell’attività produttiva esercitata dalla società datrice di lavoro , e, infine, alla noncuranza che la lavoratrice ha manifestato nei confronti delle esigenze dell’azienda datrice alle quali ha manifestamente anteposto i propri interessi personali .

Tribunale di Trento, sez. Lavoro, ordinanza 14 – 21 gennaio 2021 Giudice Flaim Fatto il licenziamento intimato al ricorrente dalla societa' datrice La ricorrente omissis premesso di aver lavorato a far data dal 17.5.2014 alle dipendenze della societa' omissis , in virtu' di contratto a tempo indeterminato e parziale 16 ore settimanali , con inquadramento nel 2 livello CCNL imprese di pulizia e servizi integrati/multiservizi e con mansioni di operaia omissis impugna il licenziamento disciplinare per giusta causa intimatole con lettera del 9.9.2020 docomma 12 fase, ric. , in relazione agli addebiti contestati con lettera dell'1.9.2020 docomma 10 fase, ric. del seguente tenore Le contestiamo di non prestare servizio dal 20 agosto u.s., in gravissima violazione dell'obbligo di correttezza e buona fede nel rapporto di lavoro, omettendo di comunicare e giustificare la Sua assenza alla scrivente societa' secondo le modalita' e i termini previsti dalle disposizioni contrattuali e di legge e ponendo in essere condotte di gravissimo rilievo disciplinare in relazione al rapporto di lavoro, oltreche' con riflessi in ambiti esterni a quello lavorativo. Corre preliminarmente l'obbligo di sottolineare che Ella non presta la Sua attivita' dal 09.07.2020 risulta infatti che Ella prolungava il periodo di ferie concesso dal 3.8.2020 al 16.8.2020 , assentandosi per Congedo Covid dal 09.07.2020 al 28.7.2020 e permesso ai sensi della L. 104/92 nei giorni 29,30 e 31 luglio, facendo seguire ulteriori 3 giorni di permesso ai sensi della L. 104/92 nei giorni 17,18 e agosto, 5 giorni di malattia bambino nei giorni 20, 21, 24, 25 e 26 agosto, un giorno di malattia il giorno 27 agosto 2020 e, infine, assenza per quarantena fino al 09.09.2020. Cio' premesso, Le contestiamo che Ella, stando a quanto da Ella stessa dichiarato, si sarebbe recata in Albania nonostante i ben noti divieti restrizioni e i rischi relativi agli spostamenti e nonostante i altresi' ben noti obblighi di quarantena/isolamento fiduciario conseguenti, disinteressandosi quindi completamente dei problemi organizzativi creati all'azienda visti anche l'emergenza sanitaria in essere e il periodo interessato pieno periodo estivo . Siamo inoltre a contestarLe che da un'analisi dei fatti avvenuti la Sua assenza risulterebbe essere stata programmata in maniera intenzionale e con gravissima malafede in particolare in data 20.8.2020 Ella inviava alla scrivente certificazione medica rilasciata in Italia riguardante la necessita' di assentarsi per motivi di salute della figlia dal 20.8.2020 al 21.08.2020 sebbene, come da Ella stessa dichiarato successivamente, il 20.8.2020 si trovava in Albania. Ma vi e' di piu'. In data 24 agosto, come poi appurato, sempre dall'Albania, Ella trasmetteva ulteriore certificazione medica, sempre rilasciata in Italia, analoga a quella poc'anzi menzionata, questa volta con date dal 24.08.2020 al 28.08.2020. La Sua responsabile provvedeva a comunicarle che Ella non aveva a disposizione 7 giorni di malattia bambino e pertanto il 27 agosto 2020 avrebbe dovuto rientrare come confermatole anche dal nostro ufficio personale. Risulta poi che Ella avrebbe addirittura chiesto alla Sua responsabile di poter anticipare su agosto i giorni spettanti per il mese di settembre ai sensi della L. 104/92, in modo da coprire la Sua assenza. Tale Sua richiesta veniva chiaramente negata. Ancora, Le contestiamo che, in ulteriore aggravamento della situazione, il giorno 27 agosto 2020, giornata nella quale Ella avrebbe viaggiato rientrando dall'Albania via Bari, come da Ella stessa dichiarato, Ella trasmetteva il seguente messaggio Buongiorno, omissis sono oggi sono malattia il numero per ufficio personale , al quale effettivamente corrispondeva, incomprensibilmente, un certificato medico rilasciato in Italia con prognosi dal 27.08.2020 al 27.08.2020. Vista la situazione, in data 26.08.2020, la scrivente un comunicava come gia' comunicatoLe, Le ripetiamo che Ella e' tenuta rientrare al lavoro il giorno 27.08.2020. Risultando che Ella avrebbe dichiarato di trovarsi in Albania, Le ricordiamo che e' altresi' tenuta a verificare gli adempimenti a Suo carico connessi a eventuali spostamenti da Ella effettuati all'estero, previsti da norme e decreti e tali correlati provvedimenti integrativi/attuativi tanto nazionali quanto locali riguardanti obblighi e divieti a carico di chiunque abbia soggiornato ossia transitato negli ultimi 14 giorni in Paesi esteri. Da sottolineare che tale circostanza risulterebbe peraltro incompatibile sia con le richieste e la documentazione medica da Ella presentata, sia con la condotta di diligenza, correttezza e buona fede richiesta nel rapporto di lavoro. La scrivente formula pertanto fin d'ora ogni piu' ampia riserva in merito a eventuali azioni da intraprendere, anche in considerazione di Sue ulteriori controdeduzioni , comunicazione che rimaneva senza alcun riscontro da parte Sua. Non solo Ella non forniva alcun riscontro, il giorno 28 agosto 2020 Ella contattata la Sua responsabile perche' voleva rientrare al lavoro lo stesso giorno. La responsabile Le rispondeva di' chiamare in sede e, contattata la sede, Le veniva ribadita la necessita' di chiamare il numero verde dedicato. Solo in data 31 agosto u.s. Ella comunicava alla scrivente Buongiorno sono omissis Ho chiamato i servizi sanitari e mi hanno detto che devo fare la quarantena quindi non mi presentero' al lavoro fino al 09/09/2020. Il certificato da parte del mio medico di base per l'isolamento dovro' mandarglielo domani visto che il mio medico oggi non e' in ufficio . La Sua condotta, come sopra stigmatizzata, causava oltretutto pesanti problemi organizzativi, visto anche il periodo interessato pieno periodo estivo procurando in tal modo grave nocumento all'azienda le domande proposte dal ricorrente In ordine al licenziamento a lei intimato la ricorrente omissis propone 1 domanda di accertamento della nullita' del licenziamento de quo per carattere ritorsivo chiede l'applicazione della tutela ex articolo 18 co. 1 e 2 St.Lav. 2 domanda di annullamento del licenziamento de quo per insussistenza della giusta causa con obbligo di reintegra chiede l'applicazione della tutela ex articolo 18 co.4 St. Lav. 3 domanda di accertamento dell'illegittimita' del licenziamento de quo perche' non ricorrono gli estremi della giusta causa chiede l'applicazione della tutela ex articolo 18 co.5 St. Lav. i motivi della decisione 1 in ordine alle domande di accertamento della nullita' del licenziamento perche' ritorsivo La ricorrente propone domanda di accertamento della nullita' del licenziamento perche' ritorsivo in quanto malcelata manifestazione del risentimento che. la datrice di lavoro nutriva nei confronti della ricorrente, per il fatto che la stessa, pur esercitando un suo diritto, avrebbe fruito di troppe giornate di assenza dal lavoro con ferie, permessi ex 104 del 1992 e congedo straordinario Covid recentemente introdotto . Orbene, ad avviso della Suprema Corte il licenziamento per ritorsione costituisce l'ingiusta e arbitraria reazione a un comportamento legittimo del lavoratore colpito o di altra persona a lui legata e pertanto accomunata nella reazione, con conseguente nullita' ex articolo 1345 cod. civ. del licenziamento, quando la finalita' ritorsiva abbia costituito il motivo esclusivo e determinante dell'atto espulsivo ex multis, anche di recente, Cass. 3.12.2019, n. 31527 Cass. 17.1.12019, n. 1195 Cass. 19.11.2018, n. 29764 Cass. 3.12.2015, n. 24648 Cass. 18.3.2011, n. 6282 . Ne consegue che, allorquando il lavoratore alleghi che il licenziamento gli e' stato intimato per un motivo illecito esclusivo e determinante ex articolo 1345 cod. civ., il datore di lavoro non e' esonerato dall'onere di provare, ai sensi dell'articolo 5 L. 15.7.1966, n. 604, l'esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso quindi l'indagine in ordine alla sussistenza nonche' al carattere esclusivo e determinante del motivo ritorsivo dovra' essere condotta successivamente a quella concernente il presupposto giustificativo addotto dalla societa' datrice a fondamento del licenziamento intimato e solo nell'ipotesi di accertata insussistenza della stessa diversamente, infatti, il motivo ritorsivo non sarebbe, per forza di cose, esclusivo e determinante e quindi non renderebbe nullo il negozio estintivo. In questo senso si e' pronunciata di recente la Suprema Corte Cass. 23.9.2019, n. 23583 Cass. 4.4.2019, n. 9468 , la quale ha statuito con cristallina chiarezza Per accordare la tutela prevista per il licenziamento nullo [L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 1 [oggi anche d.lgs. 23/2015 articolo 2], perche' adottato per motivo illecito determinante ex articolo 1345 c.c occorre che il provvedimento espulsivo sia stato determinato esclusivamente da esso, per cui la nullita' deve essere esclusa se con lo stesso concorra un motivo lecito, come una giusta causa articolo 2119 c.c. o un giustificato motivo L. n. 604 del 1966. ex articolo 3 . Il motivo illecito puo' ritenersi esclusivo e determinante quando il licenziamento non sarebbe stato intimato se esso non ci fosse stato, e quindi deve costituire l'unica effettiva ragione del recesso, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. L'esclusivita' sta a significare che il motivo illecito puo' concorrere con un motivo lecito, ma solo nel senso che quest'ultimo sia stato formalmente addotto, ma non sussistente nel riscontro giudiziale. Il giudice, una volta riscontrato che il datore di lavoro non abbia assolto gli oneri su di lui gravanti e riguardanti la dimostrazione del giustificato motivo oggettivo, procede alla verifica delle allegazioni poste a fondamento della domanda del lavoratore di accertamento della nullita' per motivo ritorsivo, il cui positivo riscontro giudiziale da' luogo all'applicazione della piu' ampia e massima tutela prevista dalla L. n. 300 del 1970, articolo 18. comma 1 [oggi anche d.lgs. 23/2015, articolo 2]. Dunque, in ipotesi di domanda proposta dal lavoratore che deduca la nullita' del licenziamento per il suo carattere ritorsivo, la verifica di fatti allegati dal lavoratore richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del recesso, che risulti solo allegata dal datore, ma non provata in giudizio, poiche' la nullita' per motivo illecito ex articolo 1345 c.comma richiede che questo abbia carattere determinante e che il motivo addotto a sostegno del licenziamento sia solo formale e apparente In definitiva, l'indagine in ordine alla sussistenza nonche' al carattere esclusivo e determinante del motivo ritorsivo addotto dovra' essere condotta successivamente a quella concernente il presupposto giustificativo addotto dalla societa' datrice a fondamento del licenziamento intimato qui giusta causa e solo nell'ipotesi di accertata insussistenza dello stesso diversamente, infatti, il motivo ritorsivo non sarebbe, per forza di cose, esclusivo e determinante e quindi non renderebbe nullo il negozio estintivo . 2. in ordine alla domanda di annullamento e alla domanda di accertamento dell'illegittimita' del licenziamento de quo per difetto della giusta causa La ricorrente propone domanda di annullamento e, in subordine, domanda di accertamento dell'illegittimita' del licenziamento de quo per difetto della giusta causa. Le domande non sono fondate. Appare incontestato che la ricorrente a ha richiesto e ottenuto di poter fruire di un periodo di ferie dal 3 al 16 agosto 2020 b in tale periodo ella si e' recata in Albania c al suo ritorno in Italia avvenuto il giorno 27.8.2020, avendo fruito dei permessi ex L. 104/1992 nei giorni 17, 18 e 19.8.2020 e richiesto di godere del congedo per malattia della figlia nei giorni 20, 21, 24, 25 e 26.8.2020 , non ha potuto rientrare immediatamente al lavoro, dovendo osservare il prescritto periodo di isolamento fiduciario per 14 giorni, fino al 9.9.2020. La ricorrente sostiene pag. 11 che al momento della partenza della ricorrente il divieto degli spostamenti all'estero era decaduto da piu' di due mesi. Pertanto, nessuna negligenza puo' essere imputata alla ricorrente che si trovava gia' all'estero al momento della reintroduzione di tali limitazioni e che ha potuto apprendere di doversi sottoporre ad isolamento domiciliare al suo rientro solo dopo averne ricevuto comunicazione dal datore di lavoro, che l'ha sollecitata a contattare l'Autorita' sanitaria. Si tratta di assunti non fondati. L'articolo 1 co. 5 D.L. 30.7.2020, n. 83 in G.U. 30.7.2020 ha disposto Nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell'articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 19 del 2020, i quali saranno adottati sentiti i presidenti delle regioni interessate nel caso in cui le misure ivi previste riguardino esclusivamente una Regione o alcune regioni, ovvero il presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome nel caso in cui riguardino l'intero territorio nazionale, e comunque per non oltre dieci giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, continua ad applicarsi il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 luglio 2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 14 luglio 2020, n. 176 . L'articolo 1, primo periodo d.p.c.m. 14.7.2020 aveva disposto Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 sull'intero territorio nazionale, le misure di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 giugno 2020, richiamato in premessa, sono prorogate sino al 31 luglio 2020 . L'articolo 4 co. 3 d.p.c.m. 11.6.2020 aveva disposto Le persone, che fanno ingresso in Italia con le modalita' di cui al comma 1, anche se asintomatiche, sono obbligate a comunicarlo immediatamente al Dipartimento di prevenzione dell'azienda sanitaria competente per territorio e sono sottoposte alla sorveglianza sanitaria e all'isolamento fiduciario per un periodo di quattordici giorni presso l'abitazione o la dimora preventivamente indicata all'atto dell'imbarco ai sensi del comma 1, lettera b . Appare, quindi, evidente che la ricorrente, nel momento in cui si reco' in Albania per trascorrere le proprie ferie, dal 3 al 16 agosto 2020, era o comunque doveva essere pienamente consapevole che al suo rientro in Italia non avrebbe potuto ritornare al lavoro immediatamente al termine del periodo feriale, dovendo osservare, per il fatto di essersi recata in Albania, un periodo di 14 giorni in isolamento fiduciario. Ella, quindi, si e' posta, per propria responsabilita', in una situazione di impossibilita' di riprendere il lavoro alla data prescritta, ossia subito dopo la fine del periodo di ferie. La sua assenza dal lavoro per 14 giorni, seppur dovuta alla necessita' di adempiere l'obbligo pubblicistico di isolamento fiduciario, non puo' considerarsi giustificata. Infatti la ricorrente avrebbe ben potuto evitare di trovarsi assoggettata a detto obbligo astenendosi dall'effettuare il viaggio in Albania durante il periodo feriale. D'altra parte esigere che la ricorrente tenesse quest'ultimo comportamento non costituisce un'illegittima limitazione all'esercizio del diritto di fruire delle ferie. Basti pensare che il soddisfacimento delle esigenze di sanita' pubblica, sottese alla necessita' di contrastare la perdurante situazione di pandemia, ha comportato per ampi strati della popolazione residente in Italia il sacrificio di numerosi diritti della personalita', in particolare di liberta' civile, anche tutelati a livello costituzionale. La condotta, di cui la ricorrente si e' resa responsabile, e consistita nel porsi colpevolmente nella necessita' di rimanere assente dal lavoro per 14 giorni, integra una giusta causa di licenziamento. Occorre in proposito ricordare che secondo il consolidato orientamento di legittimita' ex multis, di recente, Cass. 5.7.2019, n. 18195 Cass. 25.10.2018, n. 27082 Cass. 7.11.2018, n. 28492 Cass. 28.9.2018, n. 23605 la giusta causa si configura quale lesione grave e irreparabile dell'elemento fiduciario, che sta alla base del rapporto di lavoro, costituendo presupposto fondamentale della collaborazione tra datore di lavoro e lavoratore ne deriva la necessita' di accertare se la condotta addebitata sia in grado di ingenerare il legittimo dubbio circa la futura correttezza degli adempimenti da parte del prestatore. A tal fine occorre valutare il comportamento del prestatore non solo nel suo contenuto oggettivo ossia con riguardo alla natura e alla qualita' del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento che sia richiesto dalle mansioni espletate , ma anche nella sua portata soggettiva vale a dire con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui e' stato posto in essere, ai modi, agli effetti e all'intensita' dell'elemento volitivo dell'agente . Venendo alla vicenda in esame, in ordine al profilo oggettivo assume rilievo la durata dell'assenza 14 giorni e le conseguenti disfunzioni che sono verosimilmente derivate in pregiudizio dell'organizzazione dell'attivita' produttiva esercitata dalla societa' datrice. In ordine al profilo soggettivo, occorre considerare la noncuranza che la ricorrente ha manifestato nei confronti delle esigenze dell'azienda datrice alle quali ha manifestamente anteposto i propri interessi personali. Dall'accertamento della sussistenza di una giusta causa discende anche il rigetto della domanda volta al l'accertamento della nullita' del licenziamento per ritorsivita'. In definitiva le domande proposte dalla ricorrente devono essere rigettate. Le spese non possono che seguire la soccombenza, stante il rigore del novellato articolo 92 cod. proc.civ P.Q.M. visto l'articolo 49 L. 28.6.2012, n. 91 1. Rigetta le domande proposte dalla ricorrente. 2. Condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della societa' convenuta, delle spese di giudizio, che liquida nella somma complessiva di euro 2.000,00, maggiorata del 15% per spese forfettarie ex articolo 2 co. 2 d.m. 10.3.2014, n. 55, oltre ad IVA e CNPA.