Incidente in fabbrica, responsabile l’amministratore unico che ora deve rimborsare l’INAIL

Definitiva la decisione con cui si è imposto all’amministratore unico della società di rimborsare all’INAIL la somma pagata, a titolo di rendita per infortunio sul lavoro, a un operaio, che ha riportato l’inabilità permanente dell’85 per cento. Indiscutibile la responsabilità in tema di prevenzione e sorveglianza degli obblighi antinfortunistici.

Bruttissimo incidente in fabbrica per un operaio. A finire sotto accusa per le carenze in materia di sicurezza è l’amministratore unico della società. Legittima perciò la sua condanna a rimborsare all’INAIL la corposa somma – oltre 600mila euro – versata al lavoratore Cassazione, ordinanza n. 1399/21, sez. Lavoro, depositata il 22 gennaio . Decisivo il passaggio in Appello. Lì i giudici, modificando parzialmente il pronunciamento del Tribunale, condannano l’amministratore unico della società a rimborsare all’INAIL la somma di 610mila e 601 euro già pagata, a titolo di rendita per infortunio sul lavoro per inabilità permanente dell’85 per cento all’operaio. Respinta, invece, la domanda di regresso dell’INAIL verso il capofficina della azienda . I Giudici di secondo grado ritengono, quanto alla posizione dell’amministratore unico , che la delega di funzioni data dall’amministratore al capofficina non comprendeva poteri di spesa e non escludeva la responsabilità per omesso controllo e vigilanza sui compiti delegati, attesa, in particolare la non rilevante dimensione aziendale . E sulla posizione del capofficina in Appello viene rilevato che il giorno dell’infortunio egli era assente per ferie e che in genere lavorava nel solo turno diurno e non era a conoscenza della disattivazione dei dispositivi di sicurezza che i colleghi facevano solo di notte . Col ricorso in Cassazione l’amministratore unico della società mette in discussione la propria responsabilità, ponendo in evidenza, soprattutto, il fatto di non essere il datore di lavoro . Dal ‘Palazzaccio’ i Giudici ribattono che quello difensivo è un presupposto errato , poiché trascura che in materia di sicurezza sul lavoro trova applicazione la nozione di datore di lavoro non in senso lavoristico ma in senso prevenzionale e che tale figura – per espressa definizione normativa della nozione relativa – comprende non solo il datore di lavoro formale ma proprio la figura dell’amministratore unico, il quale è titolare dei poteri decisionali e di spesa in materia di sicurezza sul lavoro . In sostanza, in questo caso l’amministratore unico era titolare di specifica posizione di garanzia connessa alla funzione di amministratrice della società rispetto alla quale vi era una precisa responsabilità in tema di prevenzione e sorveglianza degli obblighi antinfortunistici , con conseguente responsabilità in materia di tutela delle condizioni di lavoro e in merito all’ esercizio di attività pericolose . E tale responsabilità, aggiungono dalla Cassazione, sussiste anche in relazione al regresso esperito dall’ente previdenziale , azione esperibile non solo nei confronti del datore di lavoro, ma anche verso i soggetti responsabili o corresponsabili dell’infortunio a causa della condotta da essi tenuta in attuazione dei loro compiti di preposizione o di meri addetti all’attività lavorativa, giacché essi, pur essendo estranei al rapporto assicurativo, rappresentano organi o strumenti mediante i quali il datore di lavoro ha violato l’obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro . Per quanto concerne, poi, il presunto comportamento abnorme dei lavoratori che avevano disattivato le misure di sicurezza , a fronte del corretto funzionamento del macchinario presso il quale si era verificato l’infortunio e delle mansioni esclusivamente amministrative e contabili svolte dall’amministratore, i giudici ribattono si sono tenute in considerazione i compiti dell’amministratore ma se n’è fondata la responsabilità sulla sua posizione di garanzia e sulla mancata vigilanza del rispetto concreto delle misure di sicurezza, tanto più nei confronti del lavoratore, poi infortunatosi, che aveva solo contratto di formazione e lavoro e nei cui confronti doveva essere apprestata una più intensa tutela . Invece, è stata esclusa la rilevanza del comportamento dei lavoratori ritenendolo non abnorme , ma costituendo esso proprio il comportamento che la misura di sicurezza inattuata mirava a prevenire, restando irrilevante il pregresso corretto funzionamento dei macchinari, ove l’evento si sia comunque verificato in correlazione con l’omessa misura di sicurezza . E poi va esclusa la rilevanza del comportamento del lavoratore al di fuori della configurabilità di rischio elettivo , anche ricordando che l’elusione del meccanismo di sicurezza, pur dovuta all’iniziativa del lavoratore, non esclude la responsabilità datoriale, atteso che la tipicità di un procedimento lavorativo pericoloso, nel quale l’operatore, per maggiore libertà di movimento, manovri la macchina dopo aver reso inoperante i meccanismi di sicurezza, non esclude né riduce la colpa dell’imprenditore .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 6 febbraio 2020 – 22 gennaio 2021, n. 1399 Presidente Manna – Relatore Buffa Rilevato che 1. Con sentenza del 9.12.13, la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza 6.10.10 del tribunale di Cassino, condannava O. , amministratore Unico della [] srl, società già fallita, a rimborsare all’Inail la somma di Euro 610.601, oltre accessori e spese, già pagate al lavoratore infortunato Mo. a titolo di rendita per infortunio sul lavoro per inabilità permanente del 85% la stessa sentenza rigettava la domanda di regresso dell’INAIL verso M. , capofficina della azienda, compensando le spese del doppio grado di giudizio. 2. In particolare, la corte territoriale riteneva, quanto alla posizione dell’amministratore unico, che la delega di funzioni data dall’amministratore al M. non comprendeva poteri di spesa e non escludeva la responsabilità per omesso controllo e vigilanza sui compiti delegati, atteso in particolare la non rilevante dimensione aziendale. 3. Quanto al capo officina, la sentenza rilevava che il giorno dell’infortunio era assente per ferie, che lavorava in genere nel solo turno diurno e che non era a conoscenza della disattivazione dei dispositivi di sicurezza che i colleghi facevano solo di notte. 4. Avverso tale sentenza ricorrono la O. per quattro motivi e M. - con ricorso successivo - per un motivo, illustrato da memoria resiste l’INAIL con distinti controricorsi. Considerato che 5. Con il primo motivo la ricorrente O. lamenta - ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - violazione dell’art. 2050 in relazione all’art. 2697 c.c., per avere applicato a fondamento della responsabilità l’art. 2050 c.c., sebbene l’amministratore unico non fosse il datore di lavoro. 6. Con il secondo motivo si lamenta - ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - violazione degli artt. 10 e 11 Testo Unico Infortuni, in relazione agli artt. 2050 e 2043 c.c., nonché art. 24 Cost. 7. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente e le censure si rivelano infondate perché partono da presupposto errato, trascurando che in materia di sicurezza sul lavoro trova applicazione la nozione di datore di lavoro non in senso lavoristico ma in senso prevenzionale, e che tale figura - per espressa definizione normativa della nozione relativa - comprende non solo il datore di lavoro formale ma proprio la figura dell’amministratore unico, il quale è titolare dei poteri decisionali e di spesa in materia di sicurezza sul lavoro. 8. La ricorrente era dunque titolare di specifica posizione di garanzia connessa alla funzione di amministratrice della società rispetto alla quale vi era una precisa responsabilità in tema di prevenzione e sorveglianza degli obblighi antinfortunistici, con conseguente responsabilità ex art. 2087 e 2050 c.c. 9. Tale responsabilità sussiste anche in relazione al regresso esperito dall’ente previdenziale jure proprio ai sensi del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 10 ed 11 azione esperibile non solo nei confronti del datore di lavoro, ma anche verso i soggetti responsabili o corresponsabili dell’infortunio a causa della condotta da essi tenuta in attuazione dei loro compiti di preposizione o di meri addetti all’attività lavorativa, giacché essi, pur essendo estranei al rapporto assicurativo, rappresentano organi o strumenti mediante i quali il datore di lavoro ha violato l’obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro, senza che a ciò sia di ostacolo la possibile affermazione della loro responsabilità solidale atteso che l’art. 2055 c.c. consente la diversità dei rispettivi titoli di responsabilità contrattuale per il datore di lavoro ed extracontrattuale per gli altri Cassazione Sez. U, Sentenza n. 3288 del 16/04/1997, Rv. 503736 - 01 Sez. L, Sentenza n. 6212 del 07/03/2008, Rv. 602495 - 01 con riferimento alla responsabilità da attività pericolosa, altresì, Sez. 3, Sentenza n. 1966 del 27/01/2009, Rv. 606328 - 01 . 10. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta - ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 - l’omesso esame tre fatti asseritamente decisivi, consistenti nel comportamento abnorme dei lavoratori che avevano disattivato le misure di sicurezza, nelle mansioni esclusivamente amministrative e contabili svolte dalla ricorrente e nel corretto funzionamento del macchinario presso il quale si era verificato l’infortunio. 11. Il motivo è infondato in quanto la corte di appello ha considerato le mansioni dell’amministratrice ma ne ha fondato la responsabilità sulla sua posizione di garanzia e sulla mancata vigilanza del rispetto concreto delle misure di sicurezza, tanto più nei confronti del lavoratore poi infortunatosi, che aveva solo contratto di formazione e lavoro e nei cui confronti doveva essere apprestata una più intensa tutela cfr. Cassazione Sez. L, Sentenza n. 11622 del 18/05/2007, Rv. 596905 - 01 . 12. Per altro verso, la corte territoriale ha escluso la rilevanza del comportamento dei lavoratori ritenendolo non abnorme, ma costituendo esso proprio il comportamento che la misura di sicurezza inattuata mirava a prevenire, restando irrilevante il pregresso corretto funzionamento dei macchinari, ove l’evento si sia comunque verificato in correlazione con l’omessa misura di sicurezza. 13. Quando da ultimo rilevato dà ragione anche della infondatezza del motivo sollevato - ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - con il quarto motivo di ricorso, con il quale si lamenta violazione dell’art. 1227 c.c. In particolare, anche a supporre che la doglianza non sia nuova e come tale inammissibile ma sia stata proposta nel giudizio di merito sebbene ciò non risulti dalla sentenza impugnata nè dal motivo di ricorso , la stessa è comunque infondata in quanto la corte ha fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali in materia che escludono la rilevanza del comportamento del lavoratore al di fuori della configurabilità, nella specie non ricorrente, di rischio elettivo Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 4980 del 08/03/2006, Rv. 587587 - 01, che ha ritenuto che l’elusione del meccanismo di sicurezza, pur dovuta all’iniziativa del lavoratore, non esclude la responsabilità datoriale, atteso che la tipicità di un procedimento lavorativo pericoloso, nel quale l’operatore, per maggiore libertà di movimento, manovri la macchina dopo aver reso inoperante i meccanismi di sicurezza, non esclude nè riduce la colpa dell’imprenditore . 14. Con unico motivo di ricorso M. lamenta violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere la sentenza compensato le spese del doppio grado di giudizio nei suoi confronti senza motivazione e benché egli fosse pienamente vittorioso. 15. Il motivo è fondato, risultando erroneo ed immotivato il regolamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio. 16. Il capo della sentenza deve essere cassato e può decidersi nel merito delle spese in relazione sia al due gradi del giudizio di merito che al giudizio di legittimità. 17. Le spese del giudizio di legittimità per il resto seguono la soccombenza di O. . Si dà inoltre atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. P.Q.M. Accoglie il ricorso di M. , cassa in parte qua la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna l’INAIL al pagamento delle spese dei due gradi di merito e del giudizio di legittimità, che si liquidano per competenze professionali in Euro 10.000 per il giudizio di primo grado, Euro 10.000 per il giudizio di appello, Euro 12.000 per il giudizio di legittimità, oltre per ciascun grado di giudizio ad Euro 200 per esborsi, spese generale nella misura del 15% ed accessori come per legge Rigetta il ricorso di O. e condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’INAIL delle spese, liquidate in Euro 12.000 per competenze professionali, oltre Euro 200 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della O. , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.