Cassa Forense: la parziale omissione del contributo non determina l’annullamento dell'annualità

Nel sistema che regola la Cassa di previdenza forense, anche gli anni non coperti da integrale contribuzione concorrono a formare l'anzianità contributiva e vanno inseriti nel calcolo della pensione, prendendo come base il reddito sul quale è stato effettivamente pagato il contributo.

Principio affermato dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, con ordinanza n. 694/21, pubblicata il 18 gennaio. Il caso esaminato opposizione di avvocato in quiescenza a cartella esattoriale di recupero contributi previdenziale non versati. Un avvocato in pensione si opponeva alla cartella esattoriale di Cassa Forense riguardante il recupero di contributi previdenziali non versati, eccependo l’intervenuta prescrizione. A sua volta la Cassa proponeva domanda riconvenzionale volta a far dichiarare l’ inefficacia degli anni di iscrizione per i quali i versamenti contributivi erano stati inferiori al dovuto. L’opposizione proposta veniva accolta parzialmente dal primo giudice. Decidendo l’appello proposto dalla Cassa, la corte di merito aveva confermato la sentenza di primo grado e rigettato la domanda riconvenzionale di stralcio degli anni non coperti integralmente. Ricorreva così in Cassazione Cassa Forense. L’effettiva contribuzione deve considerarsi integrale Secondo l’ente previdenziale la decisione resa dalla Corte d’Appello si porrebbe in contrasto con l’art. 2 l. n. 576/1980 che prevede che la pensione venga corrisposta ai soggetti che abbiano maturato almeno trent’anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa. Contribuzione che va intesa come integrale,. Comprensiva sia di contributo soggettivo correlato al reddito IRPEF, sia al contributo integrativo correlato al volume d’affari Iva. Una contraria interpretazione, come quella effettuata dalla corte territoriale, si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza e di parità di trattamento tra i soggetti iscritti alla Cassa, consentendo un diverso trattamento tra i professionisti. L’ente ricorrente giunge a chiedere, ove venisse ritenuta corretta la tesi interpretativa dei giudici d’appello, che venga sollevata questione di legittimità costituzionale dell’invocato art. 2 l. n. 576/1980. ma non secondo i Giudici di legittimità. Gli ‘Ermellini’ non condividono i motivi di censura proposti dalla Cassa. E’ principio ormai affermato dalla corte di legittimità che nel sistema previdenziale forense, anche gli anni non coperti da integrale contribuzione concorrono a formare l'anzianità contributiva e vanno inseriti nel calcolo della pensione di vecchiaia, in quanto nessuna norma prevede che venga annullata l'annualità in cui il versamento sia stato inferiore al dovuto. Ne consegue che l'art. 1 l. n. 141/1992, secondo il quale la pensione di vecchiaia è pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, all'1,75 per cento della media dei più elevati dieci redditi professionali dichiarati dall'iscritto ai fini IRPEF nel quindicennio anteriore alla maturazione del diritto a pensione, va interpretato nel senso che la pensione si commisura alla contribuzione effettiva , non rilevando cioè il principio di automatismo delle prestazioni valido nel lavoro dipendente, mentre il termine effettivo , estraneo al concetto di misura , non può intendersi come sinonimo di integrale . Il termine effettivo” e il termine integrale”. Afferma il Supremo Collegio che il termine effettiva contribuzione di cui all'art. 2 l. n. 576/80, come sostituito dall'art. 1 l. 141/92 non può interpretarsi come precettivo del fatto che la contribuzione deve essere integrale , lo vieta in primo luogo la comune accezione del termine che non fa alcun riferimento ad una misura . L'aggettivazione usata sta invece ad indicare che la pensione si commisura sulla base della contribuzione effettivamente versata , escludendo così ogni automatismo delle prestazioni in assenza di contribuzione, principio che vige invece per il lavoro dipendente e che è ovviamente inapplicabile alla previdenza dei liberi professionisti, in cui l'iscritto e beneficiario delle prestazioni è anche l'unico soggetto tenuto al pagamento della contribuzione. Posto che nessuna norma della previdenza forense prevede che la parziale omissione del contributo determini la perdita o la riduzione dell'anzianità contributiva e della effettività di iscrizione alla Cassa, giacchè la normativa prevede solo il pagamento di somme aggiuntive, non deve considerarsi consentito che venga annullata l'annualità in cui vi siano stati versamenti inferiori al dovuto. E' pur vero, prosegue la Corte, che con questo meccanismo si giunge a computare sia ai fini della anzianità contributiva prescritta, sia ai fini della misura della pensione, anche gli anni in cui si è versato meno del dovuto e che detto minore versamento potrebbe anche non influire sull'ammontare della prestazione, andando così a scapito della Cassa, dal momento che, come detto, rileva la media de 10 redditi professionali più elevati di cui alle dichiarazioni dei redditi del quindicennio anteriore alla pensione. Tuttavia sembra questo un effetto ineliminabile della mancanza, nell'ambito della legge professionale, di una disposizione che ricolleghi alla parziale omissione contributiva, l'annullamento sia di quanto versato, sia della intera annualità. Tale patologia del sistema è comunque superabile attraverso l’adozione di più rigorosi controlli sulle dichiarazioni inviate dagli iscritti, così da consentire tempestivamente il recupero coattivo di quanto dovuto e non versato. Né coglie nel segno quanto evidenziato dall’ente ricorrente circa la difficoltà di gestione di milioni di dichiarazioni difficoltà ormai superabili con l’ausilio dell’attuale tecnologia informatica. Si deve allora concludere che gli anni non coperti da integrale contribuzione concorrono a formare l'anzianità contributiva e vanno inseriti nel calcolo della pensione, prendendo come base il reddito sul quale è stato effettivamente pagato il contributo. Consegue che il ricorso proposto dall’ente previdenziale debba essere ritenuto infondato e così rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 26 giugno 2020 – 18 gennaio 2021, n. 694 Presidente Berrino – Relatore Calafiore Rilevato che La Corte d’Appello di Salerno, con sentenza n. 940 del 2014, ha confermato in parte la sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore che aveva accolto parzialmente l’opposizione a cartella esattoriale, proposta dall’avvocato I.V. , ed aveva rigettato la domanda riconvenzionale con la quale la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense aveva chiesto dichiararsi l’inefficacia, ai fini del calcolo della pensione di vecchiaia liquidata al medesimo avvocato I.V. , degli anni 1992, 1993 e 1994, per i quali il pagamento dei contributi non era stato integrale, contributi i quali non potevano essere recuperati in quanto prescritti la Corte territoriale ha richiamato la sentenza di questa Corte n. 5672 del 2012, secondo la quale nessuna norma della legge professionale prevede, così come invece avviene per i lavoratori dipendenti, che l’annualità non possa essere accreditata ove i versamenti contributivi siano inferiori al dovuto e si è limitata ad accogliere l’appello limitatamente alla parte di contribuzione non versata del tutto e prescritta per la cassazione della sentenza, la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, cui l’avvocato I. non ha opposto attività difensiva Equitalia Sud s.p.a. è rimasta intimata la ricorrente ha depositato memoria. Considerato che la Cassa deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. 20 settembre 1980, n. 576, artt. 2, 10 e 11 e sostiene che la soluzione sposata dalla Corte territoriale si porrebbe in contrasto con l’art. 2, richiamato in quanto, laddove prevede che la pensione debba essere corrisposta a coloro che abbiano almeno trent’anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa, farebbe riferimento alla contribuzione integrale, comprendente sia il contributo soggettivo della L. n. 576 del 1980, ex art. 10, commisurato al reddito Irpef, sia il contributo integrativo ex art. 11, commisurato al volume d’affari ai fini IVA sostiene che l’interpretazione adottata dal giudice di merito violerebbe gli artt. 2, 3 e 38 Cost., per contrasto con i basilari canoni di ragionevolezza ed idoneità allo scopo che devono presiedere all’interpretazione della legge in materia di previdenza e assistenza nel caso, sarebbe lesa la parità di trattamento tra i vari avvocati iscritti alla Cassa Forense, perché il pregiudizio arrecato alla Cassa si estende necessariamente agli altri avvocati, così ledendo il principio di solidarietà aggiunge che dall’anno 2005 è stata emanata apposita normativa che prevede l’inefficacia, a fini pensionistici, dell’anno oggetto di omissione contributiva, anche parziale, contenuta nel Regolamento per la costituzione della rendita vitalizia reversibile in caso di parziale omissione di contributi per i quali sia intervenuta la prescrizione Deliberato dal Comitato dei delegati del 16.12.2005 e approvato con Delib. Interministeriale 24 luglio 2006, pubblicato in G.U. del 16.8.2006, successivamente modificato in Regolamento per il recupero di anni resi inefficaci a causa di parziale versamento di contributi per i quali sia intervenga la prescrizione Deliberato da Comitato dei delegati del 23.9.2011 e approvato con Delib. Interministeriale 27 dicembre 2011 la ricorrente, inoltre, chiede a questa Corte, nel caso in cui ritenga corretta l’opzione interpretativa adottata dal giudice di merito, di sollevare questione di legittimità costituzionale della2 della L. 20 settembre 1980, n. 576, art. 2, per violazione dell’art. 2 Cost., art. 3 Cost., comma 1 e art. 38 Cost. la questione proposta è stata esaminata, come rileva la stessa ricorrente nella memoria depositata, da ultimo con le sentenze di questa Corte n. 30421 del 2019 e n. 7621 del 2015, con esito negativo rispetto alla tesi prospettata in ricorso ed a tale orientamento va data continuità questa Corte, nella sentenza n. 5672 del 10/04/2012, ha chiarito che nessuna norma della previdenza forense prevede che la parziale omissione del versamento dei contributi determini la perdita o la riduzione dell’anzianità contributiva e dell’effettività di iscrizione alla Cassa, giacché la normativa prevede solo il pagamento di somme aggiuntive l’unico aggancio normativo reperibile è quello di cui della L. n. 576 del 1980, citato art. 2, come sostituito dalla L. 11 febbraio 1992, n. 141, art. 1, che prevede che la pensione di vecchiaia è pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, all’1,75 per cento della media dei più elevati dieci redditi professionali . Tuttavia il termine effettivo non può interpretarsi come precettivo del fatto che la contribuzione debba essere integrale , in quanto la comune accezione del termine non fa alcun riferimento ad una misura . L’aggettivazione usata sta invece ad indicare che la pensione si commisura sulla base della contribuzione effettivamente versata, escludendo così ogni automatismo delle prestazioni in assenza di contribuzione, principio che vige invece per il lavoro dipendente e che è ovviamente inapplicabile alla previdenza dei liberi professionisti, in cui l’iscritto e beneficiario delle prestazioni è anche l’unico soggetto tenuto al pagamento della contribuzione l’obbligo contributivo gravante sul professionista si compone di un contributo soggettivo L. n. 576 del 1980, art. 10 commisurato al reddito Irpef e determinato sulla base di scaglioni di reddito, con una misura minima predeterminata ed un contributo integrativo art. 11 ossia una maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel volume annuale d’affari ai fini dell’IVA nessuna disposizione della legge professionale prescrive che l’annualità non possa essere accreditata, ove i versamenti siano inferiori ad una determinata soglia, non vi è quindi la regola del c.d. minimale per la pensionabilità, come invece previsto per i lavoratori dipendenti cfr. L. n. 638 del 1983, art. 7 è pur vero che con questo meccanismo si finisce computare sia ai fini della anzianità contributiva prescritta, sia ai fini della misura della pensione, anche gli anni in cui si è versato meno del dovuto e che detto minore versamento potrebbe anche non influire sull’ammontare della prestazione, andando così a scapito della Cassa, dal momento che allo scopo, come si è detto, rileva la media dei 10 redditi professionali più elevati di cui alle dichiarazioni dei redditi del quindicennio anteriore alla pensione, tuttavia sembra questo un effetto ineliminabile della mancanza, nell’ambito della legge professionale, di una disposizione che ricolleghi alla parziale omissione contributiva, l’annullamento sia di quanto versato, sia dell’intera annualità tale soluzione è stata ribadita da Cass. n. 26962 del 02/12/2013 e da Cass. n. 7621 del 15/04/2015 non induce a diversa considerazione l’argomento per il quale, a seguire la soluzione indicata dalle pronunce richiamate, basterebbe il versamento di un minimo contributo, perché il professionista si veda conteggiato l’intero anno di contribuzione, con conseguenti riflessi negativi sull’intera categoria dei professionisti iscritti, e ciò in aperta contraddizione con la logica della previdenza professionale, improntata a principi solidaristici si rileva che, per quanto sopra si è detto sulle modalità di calcolo della pensione, la minore contribuzione versata potrebbe influire sull’ammontare della prestazione ed, inoltre, si tratta di un inconveniente dovuto, come già sottolineato nelle predette sentenze, alla mancanza, nell’ambito della legge professionale, di una disposizione che preveda espressamente l’annullamento della contribuzione versata e della relativa annualità in caso di parziale omissione esso è comunque frutto di una patologia del sistema, superabile attraverso l’adozione di più rigorosi controlli sulle comunicazioni e sulle dichiarazioni inviate dagli iscritti, al fine di procedere tempestivamente a recupero di quanto dovuto e non versato, in un’ottica di prevalenza dell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici rispetto a quella dell’esatta corrispondenza, senza limiti di tempo, delle annualità oggetto di contribuzione rispetto a quelle computabili ai fini pensionistici, che pertanto non appare collidere con il principio di uguaglianza, nè ledere il principio di solidarietà che impronta il sistema previdenziale non incrina tale valutazione quanto ancora sostenuto nella memoria depositata in vista della presente adunanza, posto che gli inconvenienti segnalati nel gestire milioni di dichiarazioni si inquadrano nell’ambito di difficoltà meramente fattuali, di certo superabili con l’ausilio della tecnologia non vi è luogo, infine, ad esaminare gli effetti del Regolamento per la costituzione della rendita vitalizia reversibile in caso di parziale omissione di contributi per i quali sia intervenuta la prescrizione deliberato dal Comitato dei delegati del 16.12.2005 e approvato con Delib. Interministeriale 24 luglio 2006, non risultandone l’applicabilità alla fattispecie ratione temporis, considerato che le previsioni di detto Regolamento non possono che applicarsi alle pensioni liquidate successivamente alla sua entrata in vigore e che, nel caso in esame, la ricorrente, con ciò contravvenendo all’onere di specificità del motivo, non ha indicato in che epoca la pensione di vecchiaia è stata erogata all’avvocato I. il ricorso è, quindi, in parte infondato e, quanto all’ultimo profilo esaminato, inammissibile, e va in definitiva rigettato non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva delle parti intimate. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.