Sì all’indennità al lavoratore ma solo in caso di più contratti a termine

L’indennità ex art. 32, l. n. 183/2010 deve essere riconosciuta solo nel caso in cui si verte nell'ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine e non anche nella diversa fattispecie in cui viene impugnato un singolo contratto a termine.

Lo sostiene la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 28422/20, depositata il 14 dicembre. La fattispecie. La Corte di Appello di Messina riformava la decisione del primo Giudice e dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra un lavoratore e il Consorzio per le Autostrade Siciliane, condannando il suddetto Consorzio al risarcimento del danno in favore del lavoratore quantificato in tre mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi. Secondo i Giudici, infatti, dalla declaratoria di illegittimità del contratto per difetto della forma scritta non derivava la sua conversione in rapporto a tempo indeterminato, stante la natura di ente pubblico del Consorzio, ma solo il diritto al risarcimento del danno ex art. 32, l. n. 183/2010. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il Consorzio per le Autostrade Siciliane. Il danno è determinato dalla successione di contratti o rapporti di lavoro a termine. Secondo il ricorrente, la Corte di merito aveva erroneamente liquidato il danno ex art. 32, comma 5, l. n. 183/2010, nonostante in sede di legittimità fosse stato chiarito che siffatto danno poteva essere riconosciuto solo nel caso in cui si verteva nell'ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine e non anche nella diversa fattispecie – verificatasi nel caso oggetto di esame - in cui era stato impugnato un singolo contratto a termine. La Suprema Corte di rifà alla giurisprudenza comunitaria il Giudice europeo ha, infatti, escluso la tesi secondo cui l’indennità ex art. 32, l. n. 183/2010 debba essere liquidata in ragione di ogni singolo contratto per il quale venga accertata la illegittimità del termine. Questa tesi non tiene conto del fatto che il danno comunitario presunto, ex art. 32, l. n. 183/2010, nel settore pubblico, non è quello derivante dalla nullità del termine del contratto di lavoro, ma è quello conseguente all'abuso per l' utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato . L'illecito si consuma non in relazione ai singoli contratti a termine ma soltanto dal momento e per effetto della loro successione e, pertanto, il danno presunto dovrà essere liquidato una sola volta, nel limite minimo e massimo fissato dalla norma citata, considerando nella liquidazione dell'unica indennità il numero dei contratti in successione intervenuti tra le parti sotto il profilo della gravità della violazione. Alla luce di quanto detto, la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Messina, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 28 ottobre – 14 dicembre 2020, n. 28422 Presidente Tria – Relatore Cinque Rilevato che 1. Con la sentenza n. 978 del 2017 la Corte di appello di Messina riformava la decisione del primo giudice e dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra M.C. ed il Consorzio per le Autostrade Siciliane nel periodo da 6.3.2010 al 3.6.2010 e condannato il suddetto Consorzio al risarcimento del danno in favore del lavoratore quantificato in tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi. 2. Ad avviso della Corte e per quello ancora di rilievo in questa sede, dalla declaratoria di illegittimità del contratto per difetto della forma scritta non derivava la sua conversione in rapporto a tempo indeterminato stante la natura di ente pubblico del Consorzio, ma solo il diritto al risarcimento del danno della L. n. 183 del 2010, ex art. 32, determinato nella misura sopra indicata. 3. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il Consorzio per le Autostrade Siciliane affidato ad un unico motivo, illustrato anche con memoria, cui resiste con controricorso M.C. . Considerato che 1. Con l’unico motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5 e art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché la falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte di merito erroneamente liquidato il danno L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5, nonostante in sede di legittimità fosse stato chiarito che siffatto danno poteva essere riconosciuto solo nel caso in cui si verteva nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine e non anche nella diversa fattispecie in cui era stato impugnato un singolo contratto a termine. 2. Il motivo è fondato. 3. Nel caso in esame, oggetto della declaratoria di nullità è l’unico contratto a termine stipulato tra le parti in considerazione del rilevato difetto di forma e, dunque, non si rientra nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine che configura violazione del diritto dell’Unione ai sensi della clausola 1 lett. b e della clausola 5 dell’Accordo quadro sui contratti a tempo determinato attuato con la Direttiva 1999/70/CE per la quale opera -in funzione di agevolazione dell’onere probatorio del danno subito dal dipendente pubblico assunto reiteratamente a termine - il risarcimento di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come danno comunitario Cass. SSUU n. 5076 del 15 marzo 2016 per la differenza tra le due ipotesi cfr. Cass. 2.12.2016 n. 24666 Cass. 17.11.2016 n. 23433 . Infatti, nell’ipotesi di ritenuta illegittimità di un unico contratto non può trovare applicazione il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 5076/2016, perché l’agevolazione probatoria è stata ritenuta necessaria al solo fine di adeguare la norma interna alla ipotesi direttiva Eurounitaria, nella parte in cui impone l’adozione di misure idonee a sanzionare la illegittima reiterazione del contratto. Invece, ove venga in rilievo un unico rapporto, non vi è ragione alcuna che possa portare a disattendere la regola, imminente nel nostro ordinamento, e richiamata dalle Sezioni Unite, in forza della quale il danno deve essere allegato e provato dal soggetto che assume di averlo subito v. Cass. n. 9.7.2014 n. 15714 . 4. È stato anche precisato che sono, invece, estensibili alla fattispecie, pur nella pacifica inapplicabilità del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, le considerazioni espresse nella richiamata sentenza n. 5076 del 2016 quanto alla impossibilità di fare coincidere il danno con la mancata conversione, posto che il pregiudizio è risarcibile solo se ingiusto e tale non può ritenersi la conseguenza che sia prevista da una norma di legge, non sospettabile di illegittimità costituzionale o di non conformità al diritto dell’Unione. 5. A detti principi, cui non si è attenuta la Corte territoriale, il Collegio ritiene di dare continuità anche perché ribaditi in numerose decisioni di questa Corte e successive Cass. n. 6818 del 2018 Cass. n. 6772 del 2018, Cass. n. 5525 del 2018 Cass. n. 10410 del 2019 a quella di segno contrario richiamata dal giudice del gravame a sostegno dell’applicazione al caso in esame dell’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5 ciò esclude, quindi, anche la sussistenza di un ipotizzabile contrasto giurisprudenziale che richieda un intervento delle Sezioni Unite. 6. Deve, da ultimo respingersi la richiesta, avanzata dal controricorrente, di rimessione degli atti, ai sensi dell’art. 267 TFEU alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sotto il profilo del rispetto di effettività ed equivalenza delle tutele apprestate dallo Stato italiano tra i lavoratori privati e pubblici assunto con contratti a termine, nella ipotesi di stipula di un solo contratto dedotto in causa, per non incorrere nella decadenza di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32. 7. Giova, al riguardo, precisare, che non è sufficiente che una parte sostenga che la controversia verta su una questione d’interpretazione del diritto UE perché l’organo giurisdizionale interessato - anche se di ultima istanza - sia tenuto a considerare che sussiste una questione da sollevare ai sensi dell’art. 267 TFUE Corte giust., 10 gennaio 2006, causa C-344/04, IATA e ELFAA, punto 28 1 marzo 2012, causa C484/10, Ascafor e Asidac, punto 33 ord. 18 aprile 13, causa C-368/12, Adiamix, punto 17 ord. 14 novembre 2013, causa C-257/13, Mlamali, punto 23 . 8. Come chiarito dalla stessa consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia UE a partire dalla sentenza 6 ottobre 1982, causa C-283/81, 5 Cilfit , il giudice di ultima istanza, in presenza di una questione interpretativa del diritto della UE, deve adempiere l’obbligo del rinvio, soltanto dopo aver constatato alternativamente che a la suddetta questione esegetica è rilevante ai fini della decisione del caso concreto b la disposizione di diritto UE di cui è causa non ha già costituito oggetto di interpretazione da parte della CGUE c la soluzione della questione non è ricavabile da una costante giurisprudenza della Corte che, indipendentemente, dalla natura dei procedimenti da cui sia stata prodotta, risolva il punto di diritto litigioso, anche in mancanza di stretta identità fra le materie del contendere d la corretta applicazione del diritto Europeo non è tale da imporsi con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata , con l’avvertenza che la configurabilità di tale ultima eventualità deve essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze di giurisprudenza vedi Corte giust., 17 maggio det2001, causa C340/99, TNT Traco, punto 35 30 settembre 2003, causa C224/01, Kiibler, punto 118 4 giugno 2002, causa C-99/00, Kenny Roland Lyckeskog . 9. Orbene, osserva il Collegio che sulla vicenda sostanziale la Corte di giustizia si è già espressa, pronunziandosi sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Tribunale di Trapani, con la ordinanza del 5 settembre 2016, e partendo dai principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, sopra richiamati, ha osservato - sotto il profilo del principio di equivalenza, che da esso discende che gli individui che fanno valere i diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione non devono essere svantaggiati, rispetto a quelli che fanno valere diritti di natura meramente interna tanto le misure adottate dal legislatore nazionale nel quadro della direttiva 1999/70/CE al fine di sanzionare l’uso abusivo dei contratti a tempo determinato da parte dei datori di lavoro del settore pubblico che quelle adottate per sanzionare l’uso abusivo da parte dei datori di lavoro del settore privato attuano il diritto dell’Unione, con la conseguenza che le modalità proprie di questi due tipi di misure non possono essere comparate sotto il profilo del principio dell’equivalenza, in quanto entrambe hanno ad oggetto l’esercizio di diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione sentenza Corte di Giustizia UE 7 marzo 2018 in causa C-494/2016, punti da 39 a 42 - sotto il profilo della effettività, che, gli Stati membri non sono tenuti, alla luce della clausola 5 dell’accordo quadro, a prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato sicché non può essere nemmeno loro imposto di concedere in assenza di ciò un’indennità destinata a compensare la mancanza di una siffatta trasformazione del contratto sentenza Corte di Giustizia UE cit., punto 47 - che, tenuto conto delle difficoltà inerenti alla dimostrazione dell’esistenza di una perdita di opportunità, il ricorso a presunzioni dirette a garantire ad un lavoratore che abbia sofferto -a causa dell’uso abusivo di contratti a tempo determinato stipulati in successione - una perdita di opportunità di lavoro, la possibilità di cancellare le conseguenze di una siffatta violazione del diritto dell’Unione è tale da soddisfare il principio di effettività sentenza Corte di Giustizia UE cit., punto 50 . 10. Il giudice Europeo ha, poi, escluso la tesi secondo cui la indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32, debba essere liquidata in ragione di ogni singolo contratto per il quale venga accertata la illegittimità del termine. Essa tesi, invero, non tiene conto del fatto che il danno comunitario presunto, L. n. 183 del 2010, ex art. 32, nel settore pubblico, non è quello derivante dalla nullità del termine del contratto di lavoro, ma è quello conseguente all’abuso per l’ utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato , come prevede la clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE. L’illecito si consuma non in relazione ai singoli contratti a termine ma soltanto dal momento e per effetto della loro successione e, pertanto, il danno presunto dovrà essere liquidato una sola volta, nel limite minimo e massimo fissato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, considerando nella liquidazione dell’unica indennità il numero dei contratti in successione intervenuti tra le parti sotto il profilo della gravità della violazione cfr. in tali termini, Cass. 3.12.2018 n. 31175 . 11. Il giudice Europeo ha dunque già esaminato e superato le questioni mosse con la richiesta di rinvio ex art. 287 TFUE. 12. Non sarebbe, poi, rilevante, nell’ambito della prospettata questione interpretativa, la circostanza che, nel caso in esame, sia stata dedotta in causa l’illegittimità della clausola del termine di un solo contratto per non incorrere, per altri, nelle decadenze di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, come asserisce il M. nel suo controricorso. 13. La sussistenza di altri contratti a termine, intercorsi tra le parti, non emerge dalla impugnata sentenza nè il lavoratore ha specificato il come , il dove ed il quando essa sia stata sottoposta al giudice di merito adito. 14. Non essendo, pertanto, la questione stata rite et recte prospettata, la stessa incontra il limite della irrilevanza ai fini della decisione del presente giudizio e, pertanto, non può essere oggetto di richiesta di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFEU. 15. Alla luce di tali considerazioni, la sentenza impugnata - che, ha riconosciuto il risarcimento del danno L. n. 183 del 2010, ex art. 32, nell’ipotesi di declaratoria di illegittimità di un unico contratto, si è posta in contrasto con i richiamati principi - va cassata e la causa va rimessa alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, che si atterrà, nel nuovo esame della fattispecie, ai principi su richiamati, provvedendo, altresì, sulle spese anche del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.