Escluso dalla rotazione CIG: il suo “peso” economico legittima la scelta dell’azienda

Niente risarcimento per il dipendente. Corretto l’operato della società. Comprensibile, secondo i giudici, la decisione di non includere il lavoratore nella rotazione CIG, preso atto che egli deve ricevere un trattamento economico superiore al limite individuato dalle convenzioni concluse dalla società.

Lungo periodo in cassa integrazione , contrariamente ai colleghi di lavoro, tornati operativi a rotazione per alcuni periodi. Comprensibili le proteste del lavoratore, ma è impossibile catalogare come discriminatoria la scelta dell’azienda, dovuta anche al peso” economico del dipendente. Cassazione, ordinanza n. 28216/20, sez. Lavoro, depositata il 10 dicembre . Riflettori puntati su una società per azioni totalmente partecipata da una Regione. A citarla in giudizio è un dipendente quest’ultimo sostiene di essere stato vittima di discriminazione, testimoniata, a suo dire, da demansionamento e mancata rotazione CIG . Questa lamentela è ritenuta fondata dai giudici di primo grado, con conseguente condanna dell’azienda a versare al lavoratore 85mila e 625 euro a titolo di risarcimento. Di parere opposto, invece, sono i giudici d’Appello, i quali ritengono non vi sia stata discriminazione nell’ambito della rotazione in ordine alla cassa integrazione ed escludono anche l’ipotesi del demansionamento. Cancellato, di conseguenza, il risarcimento stabilito in Tribunale. A chiudere il caso provvede ora la Cassazione , condividendo la posizione assunta dai giudici di secondo grado e sancendo così la legittimità dell’operato dell’azienda. Inutili le obiezioni proposte dal legale del lavoratore. Impossibile, secondo i magistrati, riconoscere la discriminazione lamentata dal dipendente, sia relativamente all’attribuzione di mansioni dequalificanti, sia con riguardo alla rotazione in CIG . Mancano prove concrete a sostegno della tesi sostenuta dal lavoratore, e, comunque, è emerso che la sua mancata assegnazione a commesse in atto e il fatto che ruotasse meno degli altri lavoratori dipendeva dalla circostanza che egli, a differenza di coloro che venivano richiamati più di frequente, non disponeva delle competenze tecniche richieste dalle convenzioni e, inoltre, godeva di un trattamento economico superiore al limite individuato dalle convenzioni medesime . Significativo, a questo proposito, il richiamo a una convenzione per l’affidamento diretto di attività stipulata da un Comune e da cui si evince che non sussistevano professionalità sovrapponibili a quella del lavoratore che, peraltro, godeva, appunto, di un trattamento retributivo superiore rispetto a quello oggetto di convenzione . Conclusioni simili, poi, anche riguardo alla questione del demansionamento. Su questo fronte la contestata nuova assegnazione del dipendente è ritenuta legittima, poiché si è osservato che tutta l’attività della società era bloccata, sia per l’inagibilità della sede che per la mancanza di commesse da parte della Regione e degli Enti locali, che aveva indotto la società alla cassa integrazione . E comunque, aggiungono i giudici, viste le caratteristiche del nuovo incarico , è evidente la sua compatibilità con la qualifica di ‘quadro’ del dipendente, che, peraltro, era stato allontanato dal precedente incarico su richiesta della società interessata al progetto . Impossibile, quindi, ipotizzare una discriminazione nei confronti del lavoratore.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 10 settembre – 10 dicembre 2020, n. 28216 Presidente Della Torre – Relatore Piccone Rilevato che con sentenza in data 22 ottobre 2015, la Corte d'Appello di L'Aquila ha accolto l'appello proposto da Abruzzo Engineering SCPA in liquidazione avverso la sentenza del locale Tribunale che ne aveva disposto la condanna al pagamento, in favore di Do. Pi., della somma di Euro 85.625,00 a titolo di risarcimento del danno da demansionamento e da mancata rotazione CIG in particolare, la Corte, riesaminando integralmente le risultanze processuali, ha escluso che vi fosse stata qualsivoglia discriminazione nell'ambito della rotazione in ordine alla cassa integrazione e, altresì, negato la sussistenza del demansionamento lamentato avverso tale pronunzia propone ricorso Do. Pi., affidandolo a quattro motivi resiste, con controricorso, la Abruzzo Engineering SCPA in liquidazione. Considerato che con il primo motivo di ricorso si denunzia l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti con riguardo al ritenuto difetto di prova in ordine ad elementi fattuali concernenti la discriminazione lamentata dal ricorrente sia relativamente all'attribuzione di mansioni asseritamente dequalificanti sia con riguardo alla rotazione in CIG con il secondo motivo si deduce ancora l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti con riferimento al ritenuto demansionamento per effetto dell'assegnazione dell'incarico di Responsabile Ufficio Monitoraggio e Controllo, previa revoca del precedente incarico di Responsabile Progetto Acquisizione Dati Sistri con il terzo motivo si fa valere l'omesso esame di un fatto decisivo, sempre ai sensi dell'art. 360, n. 5 cod. procomma civ., in relazione alla ritenuta legittimità delle modalità di effettuazione della rotazione dei dipendenti nell'ambito della CIG con il quarto motivo, infine, si fa valere la violazione di norme di diritto con riguardo all'art. 115 cod. procomma civ., in ordine all'asserito difetto di elementi probatori atti a dimostrare l'impossibilità di adibire il Pi. ad un nuovo impiego, anche a tempo determinato i primi tre i motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni di ordine logico giuridico, devono ritenersi inammissibili va preliminarmente rilevato che, in seguito alla riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5 del cod. procomma civ., disposto dall'art. 54 co.1, lett. b , del D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti , con la conseguenza che, al di fuori dell'indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto minimo costituzionale richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost. ed individuato in negativo dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario in relazione alle note ipotesi mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale motivazione apparente manifesta ed irriducibile contraddittorietà motivazione perplessa od incomprensibile che si convertono nella violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4 , c.p.comma e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità fra le più recenti, Cass. n. 23940 del 2017 d'altro canto, in seguito alla riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.comma disposta dall'art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all'obbligo di motivazione previsto in via generale dall'art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall'art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.comma 22598 del 25/09/2018 nel caso di specie, appare evidente, con riguardo al primo motivo, che, deducendo l'omesso esame di un fatto decisivo, parte ricorrente mira, in realtà ad ottenere una nuova valutazione fattuale della vicenda, inammissibile in sede di legittimità va rilevato, invero, che la censura ricorrente si appunta sulla ritenuta insussistenza di elementi probatori addotti a sostegno della discriminazione lamentata dallo stesso sia relativamente all'attribuzione di mansioni asseritamente dequalificanti sia con riguardo alla rotazione in CIG, sulla base della espressa eccezione formulata in primo grado dalla società deve ritenersi che, avendo la Corte reputato insussistente la prova dell'intento discriminatorio con riguardo alla rotazione della CIG e, cioè, avendo ritenuto non soddisfatto l'onere probatorio gravante sulla parte sulla base dell'orientamento vigente in materia nella giurisprudenza di legittimità non possa rinvenirsi una omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia va, in ogni caso, rilevato che la Corte ha ritenuto, sulla base delle dichiarazioni testimoniali dei testi Ranieri e Calabrese, che la mancata assegnazione del Pi. a commesse in atto e, comunque, il fatto che egli ruotasse meno degli altri lavoratori, dipendeva dalla circostanza che il ricorrente, a differenza di coloro che venivano richiamati più di frequente, non disponeva delle competenze tecniche richieste dalle convenzioni e, inoltre, godeva di un trattamento economico superiore al limite individuato dalle convenzioni medesime di tale circostanza la Corte ha poi trovato conferma anche nella convenzione per l'affidamento diretto di attività stipulata dal Comune di L'Aquila in data 10 gennaio 2011 da cui si evince che non sussistevano professionalità sovrapponibili a quella del Pi. che, peraltro, godeva, appunto, di un trattamento retributivo superiore rispetto a quello oggetto di convenzione deve, quindi escludersi qualsivoglia ipotesi di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, mentre, d'altra parte, il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall'art. 360, primo comma, cod. procomma civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l'esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi conseguentemente, qualora volesse ritenersi lamentata l'omessa pronuncia, da parte dell'impugnata sentenza, in ordine alla domanda proposta, va rilevata l'impossibilità dell'operazione, atteso che, sebbene non sia indispensabile che si faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell'art. 360 cod. procomma civ., con riguardo all'art. 112 cod. procomma civ., è, tuttavia necessario che il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge sul punto, SU n. 17931 del 24/07/2013 a conclusioni non dissimili si perviene avendo riguardo alla questione del demansionamento, in ordine al quale la Corte ha ritenuto di non condividere la tesi secondo cui dall'assegnazione dell'incarico di Responsabile Ufficio Monitoraggio e Controllo, previa revoca del precedente incarico di Responsabile Progetto Acquisizione Dati Sistri, era derivata, tout court, secondo il primo giudice, la dequalificazione, essendo tutta l'attività della società bloccata dopo il sisma del 2009, sia per l'inagibilità della sede che per la mancanza di commesse da parte della Regione e degli Enti locali, che aveva indotto la società alla cassa integrazione in particolare, con riguardo alla seconda censura, va rilevato che essa omette totalmente di considerare la parte della motivazione p. 5 , ove la Corte di appello spiega le caratteristiche del nuovo incarico e la sua compatibilità con la qualifica e chiarisce anche che dal precedente incarico il Pi. era stato allontanato su richiesta della società interessata al progetto prescindendo dalla motivazione sull'intento discriminatorio, irrilevante in questa sede, va d'altro canto sottolineato come la Corte territoriale abbia escluso, in fatto, la sussistenza di una discriminazione, motivando in maniera approfondita sul perché avesse ritenuto non condivisibile l'iter argomentativo del giudice di primo grado, avendo reputato essersi verificata una illogica sovrapposizione fra la vicenda del mutamento di mansioni e quella del collocamento in cassa integrazione con la conseguente strumentalità della seconda rispetto alla prima, ma, soprattutto, avendo ritenuto il complesso di mansioni attribuite al Pi. perfettamente rientrante nella declaratoria della qualifica di quadro di cui all'art. 33 del CCNL di settore è evidente che tale valutazione, del tutto fattuale, deve ritenersi sottratta al sindacato di legittimità con riguardo, poi, segnatamente, alla terza censura, secondo cui la Corte avrebbe omesso di considerare che il ricorrente, sospeso per la seconda volta dal lavoro nel giugno 2010, non è più rientrato in azienda, a differenza degli altri dipendenti, è evidente come la censura si palesi inammissibile in quanto in contrasto con gli specifici oneri di deduzione non è chiarito se, come e quando tale circostanza sia stata portata alla cognizione del giudice di secondo grado, cui si imputa di averla ignorata, né è chiarito se essa sia decisiva a fronte di sentenza che esamina attentamente la natura delle poche commesse in essere e, sulla base di documenti e prove testimoniali, esclude che le medesime richiedessero le competenze professionali possedute dal ricorrente. le ultime considerazioni della Corte d'appello, segnatamente riguardanti l'impossibilità di assegnare al dipendente altre mansioni confacenti con il proprio inquadramento, alla luce degli elementi probatori raccolti, consentono di reputare inconfigurabile anche la lamentata violazione di legge atteso che, con il quarto motivo, si fa valere la violazione di norme di diritto con riguardo all'art. 115 cod. procomma civ., in ordine all'asserito difetto di elementi probatori atti a dimostrare l'impossibilità di adibire il Pi. ad un nuovo impiego, anche a tempo determinato va premesso, al riguardo, che, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. procomma civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000 Cass. 19.6.2014 n. 13960 risulta di palmare evidenza, alla luce delle suesposte considerazioni, l'inconfigurabilità del vizio lamentato e la sostanziale richiesta di rivalutazione nel merito, non ammessa in sede di legittimità il ricorso deve, quindi, essere dichiarato inammissibile le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell'art. 1 -bis dell' articolo 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 5000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell'art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.