Il contributo per gli avvocati in stato di bisogno e l'autonomia regolamentare di Cassa Forense

In seguito all’entrata in vigore del d.lgs. n. 509/1994, recante attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, l. n. 537/1993 in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza tra i quali Cassa Forense , la determinazione della relativa disciplina è stata affidata all’autonomia regolamentare degli enti, i quali, nel rispetto dei vincoli costituzionali ed entro i limiti delle loro attribuzioni, possono dettare disposizioni anche in deroga a disposizioni di legge precedenti.

Con ordinanza n. 27541/20, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso proposto dall’avvocato avverso la sentenza con la Corte d’Appello aveva confermato di rigettare la domanda volta a conseguire il contributo previsto per gli assistiti di Cassa Forense che versino in stato di bisogno . Ebbene, nel rigettare il ricorso la Corte ha avuto l’occasione di chiarire che con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 509/1994 , recante attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, l. n. 537/1993 in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza tra i quali la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense , e della connessa delegificazione della disciplina relativa sia al rapporto contributivo, che tali enti intrattengono con i loro iscritti, sia al rapporto previdenziale, che concerne le prestazioni che essi sono tenuti a corrispondere ai beneficiari, la determinazione della relativa disciplina è stata affidata dalla legge all’autonomia regolamentare degli enti , i quali, nel rispetto dei vincoli costituzionali ed entro i limiti delle loro attribuzioni, possono dettare disposizioni anche in deroga a disposizioni di legge precedenti . Pertanto, la Corte ha dichiarato infondati sia il primo motivo , con cui l’avvocato ha denunciato la violazione e falsa applicazione della l. n. 141/1992 e del regolamento per il trattamento assistenziale degli avvocati in stato di bisogno, per avere la Corte di merito ritenuto che non fosse possibile un’interpretazione del regolamento ciato che fosse più corretta e aderente alla lettera e allo spirito della legge ed alla funzione assistenziale e solidaristica della stessa, in modo da consentire l’accesso alla prestazione anche a chi, come lui, superando anche di poco la soglia stabilita, in uno solo dei due anni previsti dal regolamento, versi in stato di bisogno sia il secondo e il terzo motivo , riferiti alla lamentata decisione della Corte territoriale di ritenere che la Cassa non avesse ecceduto i limiti della potestà regolamentare attribuitale ex lege attribuendo rilievo, ai fini dell’individuazione della soglia di reddito utile a integrare lo stato di bisogno , al reddito lordo, e non avere conseguentemente disapplicato il regolamento sopra citato, valutando autonomamente se i fatti addotti in causa fossero realmente tali da giustificare o meno la richiesta di accesso alla prestazione assistenziale.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 26 giugno – 2 dicembre 2020, n. 27541 Presidente Berrino – Relatore Cavallaro Rilevato in fatto che, con sentenza depositata l’11.4.2017, la Corte d’appello di Catania ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda dell’avv. S.G. volta a conseguire il contributo previsto per gli assistiti della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense che versino in stato di bisogno che avverso tale pronuncia l’avv. S.G. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura, successivamente illustrati con memorie che la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense ha resistito con controricorso che il Pubblico Ministero ha concluso per il rigetto del ricorso. Considerato in diritto che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 141 del 1992, artt. 17 e 20 e art. 3, comma 2, del Regolamento per il trattamento assistenziale degli avvocati in stato di bisogno, in relazione al successivo art. 21 e agli artt. 2727 c.c. e segg., per avere la Corte di merito ritenuto che non fosse possibile un’interpretazione del Regolamento cit. che fosse più corretta e aderente alla lettera e allo spirito della legge ed alla funzione assistenziale e solidaristica della stessa così il ricorso per cassazione, pag. 6 , in modo da consentire l’accesso alla prestazione anche a chi, come lui, superando anche di poco la soglia stabilita, in uno solo dei due anni previsti dal regolamento, ciò nonostante versi in stato di bisogno ibid., pag. 11 che, con il secondo e il terzo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 3-4 preleggi, , art. 76 Cost., L. n. 2248 del 1865, art. 5, all. E e L. n. 141 del 1992, art. 20, nonché omesso esame circa un fatto decisivo, per avere la Corte territoriale ritenuto che la Cassa non avesse ecceduto i limiti della potestà regolamentare attribuitale ex lege attribuendo rilievo, ai fini dell’individuazione della soglia di reddito utile a integrare lo stato di bisogno, al reddito lordo, e non avere conseguentemente disapplicato il regolamento cit., valutando autonomamente se i fatti addotti in causa fossero realmente tali da giustificare o meno la richiesta di accesso alla prestazione assistenziale che, con il quarto motivo, il ricorrente si duole di violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per avere la Corte di merito rigettato la sua domanda senza dar conto delle ragioni in fatto e in diritto della decisione che i primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente, in ragione dell’intima connessione delle censure svolte che i motivi sono infondati nella parte in cui lamentano violazioni di legge, essendosi chiarito che, in conseguenza dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 509 del 1994, recante attuazione della delega conferita dalla L. n. 537 del 1993, art. 1, comma 32, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza tra i quali la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense , e della connessa delegificazione della disciplina relativa sia al rapporto contributivo, che tali enti intrattengono con i loro iscritti, sia al rapporto previdenziale, che concerne le prestazioni che essi sono tenuti a corrispondere ai beneficiari, la determinazione della relativa disciplina è stata affidata dalla legge all’autonomia regolamentare degli enti, i quali, nel rispetto dei vincoli costituzionali ed entro i limiti delle loro attribuzioni, possono dettare disposizioni anche in deroga a disposizioni di legge precedenti così, in particolare, Cass. n. 24202 del 2009 e, più recentemente, Cass. n. 5287 del 2018 che i motivi sono invece inammissibili nella parte in cui censurano ex art. 360 c.p.c., n. 3, l’interpretazione che la Corte di merito ha dato del regolamento recante la disciplina della prestazione assistenziale invocata, trattandosi di normativa che non ha valore regolamentare in senso proprio cioè ex art. 1 preleggi, n. 2 , bensì natura squisitamente negoziale, indipendentemente dalla successiva approvazione con decreto ministeriale, e rispetto alla quale il sindacato di legittimità è confinato all’evenienza che venga dedotta una qualche violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg. così, da ult., Cass. n. 31000/2019 che palesemente infondato è il quarto motivo, essendosi chiarito che il vizio di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, ricorre soltanto allorché la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, nel senso che risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile così, da ult., Cass. n. 22598 del 2018, sulla scorta di Cass. S.U. n. 8053 del 2014 , ciò che all’evidenza non potrebbe dirsi nel caso di specie senza privare di ogni significato i primi tre motivi di censura, che quelle affermazioni e argomentazioni hanno sia pur infondatamente e inammissibilmente attaccato che il ricorso, conclusivamente, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.