Vestiario fornito in ritardo, niente ristoro economico per i vigili urbani

Respinte le richieste avanzate nei confronti del Comune. Secondo i Giudici i lavoratori non hanno fornito prove concrete sul danno subito a seguito dell’inadempimento dell’ente locale, che ha fornito le divise con un anno di ritardo rispetto alla prevista consegna.

Vigili urbani costretti a tenere per un anno le divise vecchie. Ciò a causa della tardiva sostituzione ad opera del Comune. Per i lavoratori, però, nonostante il disagio, non vi è alcun ristoro economico. Cassazione, ordinanza n. 24146/20, depositata il 30 ottobre . Scenario della vicenda è un paese in Campania. Lì il Comune viene citato in giudizio dagli agenti della Polizia municipale per la tardiva fornitura delle nuove divise . I dipendenti chiedono l’accertamento del diritto alla fornitura dei capi di vestiario da indossare in servizio e la condanna del Comune al pagamento dell’indennità sostitutiva, parametrata al valore dell’acquisto delle divise, oltre al risarcimento dei danni all’immagine ed alla dignità personale e professionale . Per i Giudici di merito, però, le pretese dei lavoratori sono prive di fondamento. In particolare, in Appello viene rilevato che in realtà il Comune ha provveduto a fornire le uniformi, estive e invernali, ma la fornitura è avvenuta con un anno di ritardo rispetto alla data prevista per la sostituzione . Allo stesso tempo, i Giudici chiariscono che dall’inadempimento del Comune non poteva discendere in via automatica il diritto dei lavoratori al pagamento dell’indennità sostitutiva rivendicata, non prevista dalla contrattazione collettiva, da norme di legge o da atti deliberativi , e, quindi, avrebbero potuto solo richiedere il rimborso della spesa sostenuta, nell’ipotesi in cui avessero provveduto all’acquisto, e il risarcimento del danno che, però, doveva essere allegato e provato , mentre, invece, i dipendenti dell’ente non hanno fornito alcuna prova, osservano i Giudici. Il legale dei vigili urbani contesta la sentenza d’Appello, ed evidenzia in Cassazione l’inadempimento del Comune, integrante un illecito e sufficiente, a suo dire, per vedere riconosciuto il diritto dei suoi clienti al risarcimento del danno emergente e del lucro cessante, danno da parametrare al valore di mercato della divisa non tempestivamente sostituita . Per quanto concerne poi il danno , esso può essere liquidato con valutazione equitativa, assumendo come parametro la spesa che gli agenti avrebbero dovuto sostenere per l’acquisto , sostiene il legale, aggiungendo che l’inadempimento del Comune ha costretto i lavoratori ad indossare una divisa già vecchia, e, pertanto, il danno non patrimoniale è da ritenere in re ipsa . Tutte le osservazioni proposte dall’avvocato degli agenti di Polizia municipale non convincono però i Giudici della Cassazione. Confermato, quindi, il no alle richieste avanzate dai lavoratori, una volta constatata la natura non retributiva dell’indennità rivendicata e l’insussistenza, in concreto, di un danno risarcibile . Per i magistrati nella mancata fornitura della massa vestiaria va ravvisato un inadempimento contrattuale che legittima l’azione risarcitoria, ma a condizione che il lavoratore alleghi e dimostri di avere subito un pregiudizio economico , qual è l’usura di abiti propri, o di avere dovuto sopportare un costo per l’acquisto dei beni non forniti dal datore . Però alla mancata prova del danno non può sopperire la valutazione equitativa, perché l’esercizio del potere discrezionale conferito al giudice dagli articoli 1226 e 2056 del Codice Civile presuppone che sia dimostrata l’esistenza di danni risarcibili ma risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicché resta fermo l’onere della parte di dimostrare l’ an debeatur del risarcimento , mentre, in questo caso, i lavoratori non hanno fornito alcuna prova concreta. Per quanto concerne, infine, il danno all’immagine per la mancata tempestiva sostituzione delle divise , esso non può essere ritenuto in re ipsa , poiché deve essere allegato e provato da chi ne pretende il risarcimento, in quanto non coincide con l’inadempimento ma ne è una conseguenza . E anche su questo fronte i lavoratori non hanno fornito elementi certi.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 30 settembre – 30 ottobre 2020, n. 24146 Presidente e relatore Torrice Rilevato 1. la Corte d'Appello di Napoli ha respinto l'appello proposto dagli odierni ricorrenti, agenti di Polizia Municipale del Comune di San Giorgio a Cremano, avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato il ricorso volto ad ottenere l'accertamento del loro diritto alla fornitura dei capi di vestiario da indossare in servizio e la condanna del Comune al pagamento dell'indennità sostitutiva, parametrata al valore dell'acquisto delle divise, oltre al risarcimento dei danni all'immagine ed alla dignità personale e professionale, da liquidare in via equitativa 2. la Corte territoriale ha premesso in fatto che il Comune, in realtà, aveva provveduto a fornire le uniformi, estive e invernali, ma la fornitura era avvenuta con un anno di ritardo rispetto alla data prevista per la sostituzione 3. ha rilevato che dall'inadempimento del Comune non poteva discendere in via automatica il diritto degli appellanti al pagamento dell'indennità sostitutiva rivendicata, non prevista dalla contrattazione collettiva, da norme di legge o da atti deliberativi, sicché i ricorrenti avrebbero potuto solo richiedere il rimborso della spesa sostenuta, nell'ipotesi in cui avessero provveduto all'acquisto, e il risarcimento del danno che, però, doveva essere allegato e provato dai dipendenti dell'ente, i quali nella specie non avevano assolto all'onere sugli stessi gravante 4. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso Pa. Ci. e gli altri litisconsorti indicati nell'epigrafe di questa sentenza sulla base di tre motivi, illustrati da successiva memoria, ai quali ha opposto difese il Comune di San Giorgio a Cremano Considerato sintesi dei motivi 5. con il primo motivo, formulato ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ., i ricorrenti deducono che la sentenza impugnata è affetta da nullità conseguente alla violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. e addebitano alla Corte territoriale di avere pronunciato su una domanda diversa da quella proposta perché, stante l'inadempimento del Comune, erano stati richiesti il pagamento dell'indennità sostitutiva della fornitura dei capi di vestiario ed il risarcimento del danno, non già il rimborso delle spese di acquisto delle uniformi 6. la seconda censura, ricondotta al vizio di cui al n. 3 dell'art. 360 cod. proc. civ., denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1173, 1218 e 1223 cod. civ. e fa leva sull'inadempimento del Comune, integrante un illecito, per sostenere che doveva essere riconosciuto il diritto di essi appellanti al risarcimento del danno emergente e del lucro cessante, danno da parametrare al valore di mercato della divisa non tempestivamente sostituita 7. il terzo motivo denuncia, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell'art. 2697 cod. civ. e addebita alla Corte territoriale di avere ritenuto non provato il danno che, al contrario, poteva essere liquidato con valutazione equitativa, assumendo come parametro la spesa che gli agenti avrebbero dovuto sostenere per l'acquisto 8. aggiungono che l'inadempimento del Comune li aveva costretti ad indossare una divisa già vecchia e, pertanto, il danno non patrimoniale era da ritenere in re ipsa esame dei motivi 9. il ricorso deve essere rigettato per le ragioni già indicate da questa Corte con l'ordinanza n. 21986/2018 pronunciata in fattispecie esattamente sovrapponibile a quella che oggi viene in rilievo 10. il primo motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi della sentenza gravata che, come evidenziato nello storico di lite, ha inteso la domanda proprio nei termini indicati nel ricorso, ed ha poi svolto considerazioni sull'infondatezza della stessa, argomentando sia sulla natura non retributiva dell'indennità rivendicata, sia sull'insussistenza, in concreto, di un danno risarcibile 11. il rigetto dell'appello non si riferisce, come sostengono i ricorrenti, ad una domanda di rimborso mai formulata, sicché non si ravvisa alcuna violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., perché il richiamo alla spesa mai sostenuta attiene alle ragioni per le quali la pretesa risarcitoria è stata ritenuta non meritevole di accoglimento 12. il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, sono infondati alla luce della giurisprudenza di questa Corte, richiamata anche dagli stessi ricorrenti, che ha ravvisato nella mancata fornitura della massa vestiaria un inadempimento contrattuale che legittima l'azione risarcitoria, ma a condizione che il lavoratore alleghi e dimostri di avere subito un pregiudizio economico, qual è l'usura di abiti propri Cass. n. 4100/1995 , o di avere dovuto sopportare un costo per l'acquisto dei beni non forniti dal datore Cass. n. 23897/2008 13. alla mancata prova del danno non può sopperire la valutazione equitativa, perché l'esercizio del potere discrezionale conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 cod. civ. presuppone che sia dimostrata l'esistenza di danni risarcibili ma risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicché resta fermo l'onere della parte di dimostrare Van debeatur del risarcimento Cass. n. 20889/2016 onere che la Corte territoriale, con accertamento di fatto non censurabile in questa sede, ha ritenuto non assolto nella fattispecie 14. il danno all'immagine per la mancata tempestiva sostituzione delle divise non può essere ritenuto in re ipsa perché al contrario, al pari di ogni altra voce di danno, deve essere allegato e provato da chi ne pretende il risarcimento, in quanto non coincide con l'inadempimento ma è una conseguenza dello stesso Cass. n. 31537/2018 15. al rigetto del ricorso non può conseguire la condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità perché il Comune di San Giorgio a Cremano ha notificato il controricorso una volta spirato il termine di quaranta giorni dalla notifica del ricorso fissato dal combinato disposto degli artt. 370 e 369 cod. proc. civ. il ricorso è stato notificato il 21 gennaio 2015 ed il controricorso è stato notificato il 26 giugno 2015 e pertanto dell'atto inammissibile non si può tenere conto ai fini della liquidazione delle spese 16. ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dai ricorrenti. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.