Prescrizione e azione di regresso INAIL: la sentenza di patteggiamento è equiparata a quella di condanna

In materia di azione di regresso dell’INAIL per prestazioni erogate a seguito di infortunio sul lavoro, ai fini della prescrizione, tenendo conto della distinzione tra i casi in cui manchi un accertamento del fatto-reato da parte del giudice penale e di quelli in cui tale accertamento sussiste con pronuncia penale di condanna, la sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. è equiparata ad una condanna.

Così si esprime la Suprema Corte nell’ordinanza n. 21590/20, depositata il 7 ottobre. Il Tribunale di Oristano accoglieva la domanda dell’INAIL, volta alla condanna del convenuto al rimborso della somma capitalizzata della rendita erogata ai superstiti a causa dell’ infortunio di un dipendente, rimasto ucciso dal crollo di una gru che stava smontando insieme all’attuale ricorrente. La pronuncia veniva confermata anche dal Giudice di secondo grado, il quale aveva disatteso l’ eccezione di prescrizione proposta dall’appellante alla stregua della sentenza di patteggiamento penale e degli esiti dell’istruttoria espletata in primo grado, le quali avevano accertato la sua responsabilità penale e, di conseguenza, avevano fondato il diritto di regresso dell’INAIL. Avverso la suddetta pronuncia, lo stesso propone ricorso per cassazione, lamentando, tra i diversi motivi, il fatto che la Corte avesse respinto l’eccezione di decadenza o di prescrizione del diritto azionato dall’INAIL per via della ritenuta equivalenza all’accertamento penale di condanna della sentenza di applicazione della pena su richiesta, i cui contenuti erano stati da lui contestati. La Suprema Corte dichiara infondato il motivo di ricorso, in quanto privo di specificità. A tal proposito, gli Ermellini richiamano un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in materia di azione di regresso dell’INAIL ex art. 112 d.P.R. n. 1124/1965 nei confronti di chi è civilmente responsabile per le prestazioni erogate dopo un infortunio sul lavoro, tenendo conto della distinzione tra i casi in cui manchi un accertamento del fatto-reato da parte del giudice penale dove l’azione di regresso è soggetta al termine di decadenza di 3 anni e quelli in cui sussiste tale accertamento con sentenza penale di condanna in cui l’azione di regresso è soggetta al termine di prescrizione di 3 anni , la sentenza di applicazione della pena su richiesta dell’imputato, pronunciata dal giudice penale ai sensi dell’art. 444 c.p.p., è equiparata ex art. 445 comma 1- bis , secondo periodo, c.p.p., ad una di condanna, con la conseguenza che il termine di cui all’art. 112 cit. si configura come termine di prescrizione ed è pertanto suscettibile di interruzione . Anche per tale ragione, gli Ermellini rigettano il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 6 febbraio – 7 ottobre 2020, n. 21590 Presidente Manna – Relatore Calafiore Rilevato che l’INAIL, con ricorso depositato il 16 giugno 2008, ha convenuto in giudizio C.S.A. per sentirlo condannare al rimborso della somma capitalizzata della rendita erogata ai superstiti in relazione all’infortunio mortale occorso al dipendente M.A. in data omissis , che, era rimasto ucciso a seguito del crollo della gru che stava smontando unitamente al C. all’esito, il Tribunale di Oristano, con sentenza n. 74 del 2012, accoglieva la domanda, accertando in via incidentale la responsabilità penale del C. per il delitto di omicidio colposo aggravato ai danni del lavoratore e condannando il convenuto al pagamento a favore dell’INAIL della somma di Euro 172.169,01, oltre interessi il Tribunale, inoltre, rigettava la domanda di garanzia proposta dal C. nei confronti di FATA Assicurazioni s.p.a., chiamata in causa la decisione anzidetta, impugnata dal C. , è stata confermata dalla Corte d’Appello di Cagliari con sentenza n. 13 del 2014, che, disattesa l’eccezione di prescrizione riproposta dall’appellante, alla stregua della sentenza di patteggiamento penale ex art. 444 c.p.p. e degli esiti dell’attività istruttoria espletata in primo grado, attestante che il datore di lavoro non aveva ottemperato alle misure di prevenzione, igiene e sicurezza del lavoro, accertava la responsabilità penale del C. , presupposto del diritto di regresso azionato dall’istituto previdenziale C.S.A. ricorre per cassazione con due motivi INAIL e FATA Assicurazioni s.p.a. resistono con controricorso. INAIL ha depositato memoria. Considerato che Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10, 11 e 112 e dell’art. 2697 c.c., per avere il giudice di appello respinto il motivo d’appello con il quale era stata ritualmente riproposta l’eccezione di decadenza o della prescrizione del diritto azionato dall’INAIL in ragione del fatto che si era ritenuto equivalente all’accertamento penale di condanna la sentenza del Tribunale di Oristano n. 19 del 2001 del 13 febbraio 2001, di applicazione della pena su richiesta, i contenuti della quale e la sua stessa esistenza erano stati contestati dall’odierno ricorrente il motivo, singolarmente intestato alla violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, pur rappresentando violazioni di legge sostanziale, è infondato lo stesso sconta un difetto di specificità laddove riferisce di aver contestato nel corso del giudizio la specifica circostanza della effettiva esistenza della sentenza di patteggiamento del 13 febbraio 2001, considerata dalla sentenza impugnata come un tipo di accertamento penale, senza riportare il passo dell’atto del processo di primo grado nel quale tale contestazione sarebbe avvenuta, nè allegarlo al ricorso tale carenza impedisce alla Corte di cassazione di verificare quanto affermato dal ricorrente, con la conseguenza che l’accertamento della sentenza impugnata, richiamando quanto affermato dal primo giudice come si arguisce dallo storico di lite , relativo al fatto che il C. era stato sottoposto a procedimento penale di condanna conclusosi con sentenza di patteggiamento n. 19/2001, non può essere scalfito dal ricorso per cassazione ciò detto, va ricordato che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte di cassazione Cass. n. 2242 del 02/02/2007 Cass. n. 28295 del 2009 in tema di azione di regresso dell’Inail ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112 nei confronti delle persone civilmente responsabili per le prestazioni erogate a seguito di infortunio sul lavoro, e avuto riguardo alla distinzione tra le ipotesi in cui manchi un accertamento del fatto - reato da parte del giudice penale ove l’azione di regresso è soggetta a termine triennale di decadenza e le ipotesi di sussistenza di tale accertamento con sentenza penale di condanna in cui l’azione di regresso è soggetta a termine triennale di prescrizione , la sentenza di applicazione della pena su richiesta dell’imputato, pronunciata dal giudice penale ai sensi dell’art. 444 c.p.p., è equiparata ex art. 445 c.p.p., comma 1-bis, secondo periodo, ad una di condanna, con la conseguenza che il termine di cui all’art. 112 cit. si configura come termine di prescrizione ed è pertanto suscettibile di interruzione inoltre, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la Corte d’appello ha dato atto, senza che tale accertamento sia stato specificamente denunciato con mezzo idoneo, che, dopo la sentenza di patteggiamento, l’interruzione del termine prescrizionale da parte dell’INAIL è avvenuto con le raccomandate elencate alla pagina 14 della sentenza con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1366 e 1370 c.c. in tema di interpretazione del contratto, là dove la sentenza impugnata ha rigettato anche il motivo d’appello relativo alla domanda di garanzia proposta nei confronti della chiamata in causa F.A.T.A. Assicurazioni s.p.a. l’errore risiederebbe nell’aver confuso la nozione di soggetto terzo, sovrapponendo il concetto di vittima del fatto con quello giuridicamente diverso di danneggiato e così negando che i congiunti del lavoratore deceduto, titolari di diritti iure proprio e nei confronti dei quali l’INAIL ha agito in surroga, potessero essere considerati terzi cui la polizza assicurativa era estesa il motivo è infondato giacché la Corte d’appello ha applicato correttamente i canoni interpretativi che si pretendono violati. In primo luogo ha riportato l’art. 3, lett. c delle condizioni di polizza, che delimita la copertura assicurativa e le esclusioni ed espressamente stabilisce che non sono considerati terzi ai fini dell’assicurazione r.c.t. le persone che essendo in rapporto di dipendenza con l’assicurato subiscano il danno in occasione di lavoro o di servizio” ed infatti la polizza per il massimale è pari zero quanto alla responsabilità civile per i prestatori di lavoro” dunque, dal testo del contratto e dalla concreta disamina del documento che lo contiene, la Corte territoriale ha concluso che la copertura del rischio fosse prevista nei confronti dei terzi, ma non in favore dei lavoratori dipendenti e che, quindi, essa non si estendesse anche ai congiunti dell’infortunato deceduto in altri termini, ciò si è ritenuto sul presupposto che le istanze risarcitorie formulate dagli originari ricorrenti e la relativa copertura assicurativa derivavano da un’attività professionale di un soggetto che non era terzo nell’accezione convenzionalmente fissata dal contratto di assicurazione e che gli eredi dei lavoratori deceduti subentravano nella medesima posizione contrattuale rivestita dal loro dante causa e ne subivano il relativo effetto sotto il profilo assicurativo indipendentemente dal titolo iure proprio o iure hereditatis sulla base del quale il risarcimento era domandato le ragioni che sorreggono la statuizione non sono validamente censurate si rileva che la critica alla interpretazione del contratto di assicurazione, critica nella quale esclusivamente si sostanzia la censura articolata, non è veicolata tramite la specificazione delle considerazioni e del modo attraverso i quali il giudice del merito si sarebbe discostato dai canoni legali di interpretazione, come prescritto dalla giurisprudenza di questa Corte Cass. n. 19044 del 2010, Cass. n. 15604 del 2007, in motivazione, Cass. n. 4178 del 2007 in conclusione, il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.