Le buste paga sono sufficienti per dimostrare la sussistenza del rapporto di lavoro

Le copie delle buste paga rilasciate al lavoratore dal datore di lavoro, se di firma, sigla o timbro da parte di quest’ultimo, hanno piena efficacia probatoria del credito che il dipendente intenda insinuare nel passivo della procedura fallimentare riguardante il datore di lavoro.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13781/20, depositata il 6 luglio. Il Tribunale di Bologna accoglieva l’opposizione di una lavoratrice al provvedimento di esclusione del proprio credito dallo stato passivo del Fallimento di una S.p.a. ritenendo provata la pregressa sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato sulla base della documentazione fornita dalla donna, ovvero lettera di assunzione , buste paga e CUD . Il Fallimento ha proposto ricorso per cassazione negando la sussistenza del rapporto di lavoro tra le parti. Con riguardo agli elementi probatori forniti dalla donna, il Collegio ricorda che secondo la consolidata giurisprudenza le copie delle buste paga rilasciate al lavoratore dal datore di lavoro , se munite dei requisiti di cui all’art. 1, comma 2, l. n. 4/1943 firma, sigla o timbro hanno piena efficacia probatoria del credito che il dipendente intenda insinuare nel passivo della procedura fallimentare riguardante il datore di lavoro. Il contenuto delle buste paga è infatti obbligatorio e sanzionato in via amministrativa e come tale è dunque di per sé sufficiente a provare il credito maturato dal lavoratore. La Corte aggiunge che simili principi presuppongono tuttavia che il libro unico del lavoro sia stato tenuto in modo regolare e completo ne discende che il curatore non solo è abilitato a confutare il valore probatorio del medesimo libro a motivo della sua irregolare formazione, ma può anche contestarne le risultanze con mezzi contrari di difesa o, semplicemente, con specifiche deduzioni e argomentazioni volte a dimostrarne l’inesattezza, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice cfr. Cass.Civ. n. 6501/12 . In conclusione, le buste paga devono trovare corrispondenza nel libro unico del lavoro , ivi compreso il calendario delle presenze del singolo lavoratore, per quanto attiene agli elementi che compongono la retribuzione, sicché le indicazioni ivi contenute di voci a titolo di ferie, permessi ed ex festività non godute contribuiscono a costituire la base probatoria necessaria a dimostrare il fatto costitutivo del relativo credito che il lavoratore intende insinuare al passivo e vanno valutate in uno con le contestazioni del curatore in merito alla regolare tenuta del libro unico del lavoro sulla base del quale le stesse erano state formate, i mezzi probatori di opposto segno eventualmente addotti dalla procedura o gli argomenti utili a dimostrare il loro inesatto contenuto Cass.Civ. n. 13006/19 . Posto che nella vicenda in esame la controparte datoriale non ha dimostrato la divergenza degli elementi probatori forniti dalla lavoratrice rispetto alle scritture contabili della società, la pronuncia impugnata risulta immune da censure e la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 12 febbraio – 6 luglio 2020, n. 13781 Presidente Curzio – Relatore Leone Rilevato che Il Tribunale di Bologna con decreto n. 835/2018 aveva accolto l’opposizione di L.E. al provvedimento di esclusione del proprio credito dallo stato passivo del Fallimento omissis spa, ritenendo provata la pregressa sussistenza del rapporto di lavoro subordinato tra la L. e la società omissis spa. Il Tribunale aveva ritenuto che l’esistenza del rapporto di lavoro fosse attestata dalla documentazione allegata dalla lavoratrice lettera di assunzione, buste paga e CUD sottoscritto dalla procedura fallimentare e che la circostanza che la stessa lavoratrice fosse stata stabilmente nel consiglio di amministrazione della società non fosse d’ostacolo ai fini del riconoscimento della contestuale sussistenza di una prestazione di lavoro subordinato. Avverso tale decisione il Fallimento omissis spa, in persona del Curatore pro tempore, aveva proposto ricorso per cassazione affidato a 4 motivi cui aveva resistito L.E. . Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio. Il Fallimento omissis depositava successiva memoria. Considerato che 1 Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché la omessa contraddittoria e insufficiente motivazione sul punto. Parte ricorrente lamenta che sia stata accertata la presenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti solo in base alla documentazione prodotta ed al nomen iuris attribuito al rapporto, senza alcun accertamento sulle concrete modalità di svolgimento della attività svolta. 2 Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché la omessa contraddittoria e insufficiente motivazione sul punto. Il motivo censura la valutazione della esistenza del rapporto di lavoro in questione effettuata dal tribunale solo sulla base di dati formali e senza alcun accertamento sostanziale sulle modalità di svolgimento della prestazione. 3 Con il terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., della CEDU, art. 6, Carta diritti fondamentali Unione Europea, art. 47, e la omessa motivazione sul punto del rigetto delle istanze istruttorie formulate dalla difesa del Fallimento ai fini dell’indagine sulla sussistenza del rapporto di lavoro subordinato tra le parti. Parte ricorrente lamenta la mancata ammissione delle istanze istruttorie articolate ai fini di dimostrare l’inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato. 4 Con il quarto motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2699, 2701, 2702, 2709, 2730 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché la omessa contraddittoria e insufficiente motivazione sul punto, in relazione al rilievo probatorio attribuito alla documentazione prodotta in atti. I motivi possono essere trattati congiuntamente perché attinenti alla medesima questione relativa alla prova del rapporto di lavoro subordinato tra le parti. Deve preliminarmente osservarsi, con riguardo agli elementi di prova in discussione, che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte le copie delle buste paga rilasciate al lavoratore dal datore di lavoro, ove munite dei requisiti previsti dalla L. n. 4 del 1953, art. 1, comma 2, vale a dire, alternativamente, della firma, della sigla o del timbro di quest’ultimo ,hanno piena efficacia probatoria del credito che il dipendente intenda insinuare al passivo della procedura fallimentare riguardante il suo datore di lavoro si vedano in questo senso, ex multis, Cass.17413/2015, Cass. 10123/2017, Cass. 10041/2017, Cass.17930/2016, Cass. 1074 /1986 . Un simile valore probatorio discende non tanto dal disposto degli artt. 2709 e 2710 c.c., dato che al curatore fallimentare, che agisca non in via di successione in un rapporto precedentemente facente capo al fallito ma nella sua funzione di gestione del patrimonio di costui, non è opponibile l’efficacia probatoria tra imprenditori, di cui agli artt. 2709 e 2710 c.c., delle scritture contabili regolarmente tenute Cass. 14054/2015, Cass., Sez. U., 4213/2013 o dalla applicazione dell’art. 2735 c.c., atteso che nell’ambito dell’accertamento del passivo il curatore, quale rappresentante della massa dei creditori, si pone in posizione di terzietà rispetto all’imprenditore fallito , ma - a mente del combinato disposto del D.L. n. 112 del 2008, art. 39, L. n. 4 del 1953, artt. 1, 2 e 5, - dal fatto che il contenuto delle buste paga è obbligatorio e sanzionato un tempo penalmente e ora in via amministrativa e, come tale, è di per sé sufficiente a provare il credito maturato dal lavoratore simili principi presuppongono tuttavia che il libro unico del lavoro sia stato tenuto in modo regolare e completo ne discende che il curatore non solo è abilitato a confutare il valore probatorio del medesimo libro a motivo della sua irregolare formazione, ma può anche contestarne le risultanze con mezzi contrari di difesa o, semplicemente, con specifiche deduzioni e argomentazioni volte a dimostrarne l’inesattezza, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice Cass. 6501/2012 . Le buste paga, quindi, devono trovare corrispondenza nel libro unico del lavoro, ivi compreso il calendario delle presenze del singolo lavoratore, per quanto attiene agli elementi che compongono la retribuzione, sicché le indicazioni ivi contenute di voci a titolo di ferie, permessi ed ex festività non godute contribuiscono a costituire la base probatoria necessaria a dimostrare il fatto costitutivo del relativo credito che il lavoratore intende insinuare al passivo e vanno valutate in uno con le contestazioni del curatore in merito alla regolare tenuta del libro unico del lavoro sulla base del quale le stesse erano state formate, i mezzi probatori di opposto segno eventualmente addotti dalla procedura o gli argomenti utili a dimostrare il loro inesatto contenuto Cass. n. 13006/2019 . Posta in tal modo la efficacia probatoria delle buste paga, nei limiti assegnati all’onere di eventualmente confutarne la validità con la dimostrata divergenza con le scritture datoriali, deve in questa sede evidenziarsi che siffatto onere non risulta essere stato esercitato, attesa la assenza nei motivi del ricorso in cassazione, di ogni riferimento a tale circostanza. Le censure proposte, pertanto, risultano infondate rispetto all’esame delle buste paga svolto in sede di merito, coerentemente con i principi sopra riportati, e comunque inammissibili in quanto carenti della necessaria specificazione rispetto ad eventuali elementi in contrasto con le buste paga valutate dalla corte territoriale. Il ricorso deve quindi essere rigettato. Le spese seguono il principio di soccombenza e si liquidano come da dispositivo. In considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 3.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.