Il commercialista iscritto all’Albo (ma non alla Cassa) deve comunque versare il contributo integrativo

I commercialisti che si avvalgono della facoltà di non iscriversi alla Cassa professionale, sono comunque tenuti al versamento del contributo integrativo, in quanto – ferma la finalità solidaristica dalla contribuzione integrativa – il presupposto impositivo è da riconnettere alla mera iscrizione all’albo dei commercialisti unitamente alla presenza di corrispettivi rientranti nel volume d’affari ai fini dell’IVA.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 10216/20, depositata il 28 maggio. Il caso. La Corte di Appello di Bologna, confermando la pronuncia di primo grado, rigettava la domanda di un commercialista cancellatosi dalla cassa previdenziale di categoria ma non dall’Albo nel 2007 e pensionato da altro ente, tesa al riconoscimento dell’insussistenza dell’obbligo di versare alla predetta cassa la contribuzione integrativa sui compensi percepiti negli anni successivi alla cancellazione. Nell’avviso dei Giudici di merito, infatti, sebbene il professionista risultasse – negli anni in questione – iscritto alla Gestione Separata presso l’INPS, permaneva comunque l’obbligo di versare il contributo integrativo ai sensi dell’art. 11 della legge n. 21 del 1986, in ragione della continuità dell’iscrizione del professionista all’albo dei commercialisti e della finalità solidaristica tipica della contribuzione integrativa . Contro tale pronuncia il professionista ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando un unico motivo. La contribuzione integrativa presuppone la mera iscrizione all’albo. In particolare, il professionista si doleva, per quanto qui interessa, della violazione dell’art. 11, l. n. 21/1986 a mente del quale tutti gli iscritti agli albi dei dottori commercialisti devono applicare una maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel volume di affari ai fini dell’IVA e versarne alla Cassa l’ammontare, indipendentemente dall’effettivo pagamento che ne abbia eseguito il debitore per avere i Giudici di merito erroneamente ritenuto che egli fosse comunque tenuto a versare alla cassa previdenziale di categoria il contributo integrativo sui compensi percepiti per l’attività svolta quale sindaco di società cooperative. Motivo che tuttavia non viene condiviso dalla Cassazione la quale, affermando il principio esposto in massima, rigetta il ricorso. La Corte rileva infatti preliminarmente come, a mente del Regolamento unitario della C.N.P.A.D.C. , hanno facoltà di non iscriversi alla forma previdenziale di categoria i professionisti che risultano iscritti ad un’altra forma di previdenza obbligatoria per lo svolgimento di un’attività diversa da quella di dottore commercialista nonché quelli beneficiari di un trattamento pensionistico derivante dall’iscrizione a un’altra forma di previdenza obbligatoria . Tali soggetti, tuttavia, sono comunque tenuti al versamento del contributo integrativo , in quanto dovuto da tutti gli iscritti all’albo di dottore commercialista, indipendentemente dall’iscrizione alla Cassa professionale . In particolare, prosegue la Corte, dal disposto dell’art. 11, comma 1, della Legge n. 21/1986, risulta evidente che il presupposto impositivo è da riconnettere alla mera iscrizione all’albo dei commercialisti unitamente alla presenza di corrispettivi rientranti nel volume d’affari ai fini dell’IVA . La contribuzione integrativa ha una finalità solidaristica. Rileva inoltre la Corte, a sostegno della propria conclusione, che la contribuzione integrativa ha la finalità di concorrere al finanziamento del sistema previdenziale di categoria per ragioni solidaristiche . Finalità, quella ora descritta, che a giudizio della Corte non viene intaccata dalla facoltà di destinare parte del contributo integrativo all’incremento dei montanti individuali riconosciuta agli enti previdenziali privati di cui al D.Lgs. n. 509/1994, poiché trattasi di un mero ampliamento dei poteri gestionali delle casse tale da non modificare il dato essenziale che l’obbligo di versamento del contributo integrativo [] prescinde dall’obbligo di iscrizione alla cassa medesima .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 5 dicembre 2019 – 28 maggio 2020, n. 10216 Presidente Berrino – Relatore Calafiore Rilevato che Con sentenza n. 810 del 2015, la Corte d’Appello di Bologna ha rigettato l’appello proposto da A.N. , nei confronti della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza in favore dei Dottori Commercialisti CNPADC e di Equitalia Centro s.p.a., avverso la sentenza del Tribunale di Ravenna che aveva rigettato la domanda del dottor A. iscritto all’Albo dei dottori commercialisti ma non alla Cassa dalla quale si era cancellato dal 1.1.2007, in quanto pensionato da altro ente e non soggetto al relativo obbligo relativa, per quanto ora di interesse, alla insussistenza dell’obbligo del medesimo di versare il contributo integrativo sui compensi percepiti negli anni 2007, 2008 e 2009, ai sensi della L. n. 21 del 1986, art. 11 avverso tale sentenza ricorre per cassazione A.N. sulla base di un motivo, illustrato da memoria, avente ad oggetto la violazione e o falsa applicazione della L. n. 21 del 1986, art. 11 in relazione agli artt. 1, 2 e 15 del Reg. di disciplina del regime previdenziale per i dottori commercialisti approvato con D.I. 14 luglio 2004 resiste con controricorso CNPADC Equitalia Centro s.p.a. è rimasta intimata. Considerato che il ricorrente deduce la violazione delle disposizioni sopra citate in relazione al disposto della L. n. 21 del 1986, art. 22 e dell’art. 7, punto 3, dello Statuto della Cassa che coinvolge i soli associati, nonché del successivo art. 9, punto 1, che al fine di garantire le risorse necessarie per ’erogazione delle prestazioni, obbliga chi esercita la libera professione con carattere di continuità a versare il contributo soggettivo, e del punto 2 del medesimo articolo che impone il versamento del contributo integrativo solamente per gli iscritti o comunque tenuti alla iscrizione alla Cassa ad avviso del ricorrente, in particolare, l’esonero dall’obbligo di versare il contributo integrativo deriverebbe dalla circostanza che lo stesso si è cancellato legittimamente dalla Cassa, in quanto non più esercente in modo continuativo la professione di commercialista, posto che l’attività svolta è quella di Sindaco di Società Cooperative appartenenti ad un consorzio che non attiene alla professione di commercialista, ed ha quindi perso la qualità di associato con consequenziale venir meno degli obblighi solidaristici, peraltro negati dall’orientamento giurisprudenziale che aveva ritenuto illegittimo il prelievo di solidarietà operato sulle pensioni dei professionisti nel caso di specie, inoltre, la sentenza non avrebbe considerato che il reddito prodotto dall’attività di sindaco della società cooperativa non era reddito professionale e che la giurisprudenza di legittimità aveva sottratto tale tipo di reddito dalla soggezione alla contribuzione integrativa il motivo è infondato occorre premettere - per quanto ora di interesse - che, dal punto di vista della ricostruzione in fatto della fattispecie, la Corte d’appello di Bologna ha rilevato che la questione oggetto di causa riguardava la pretesa della CNPADC di ottenere, nei confronti dell’A. , il pagamento della contribuzione soggettiva per gli anni 2004, 2005 e 2006 e della sola contribuzione integrativa per gli anni 2007, 2008 e 2009 successivi alla cancellazione dalla Cassa ma non dall’Albo e relative sanzioni per tale secondo aspetto, l’unico qui rilevante, la Corte territoriale ha riferito che risultava pacifica in causa la circostanza che il ricorrente si era cancellato dalla Cassa dal 1.1.2007 e si era iscritto alla Gestione separata tuttavia, tale iscrizione non poteva comportare il venir meno dell’obbligo di versare il contributo integrativo ai sensi della L. n. 21 del 1986, art. 11 in ragione della continuità dell’iscrizione dell’A. all’albo dei commercialisti e della finalità solidaristica tipica della contribuzione integrativa a fronte di tale motivazione e dello stesso svolgimento del processo riportato in ricorso, è evidente che il profilo della violazione di legge derivante da non aver considerato che l’attività in concreto svolta era quella di sindaco di società, estranea all’ambito professionale del dottore commercialista e come tale non passibile di essere gravata della contribuzione integrativa, appare questione di mero fatto non esaminata nei gradi di merito e quindi del tutto nuova, non ammissibile in questa sede in difetto di esatta indicazione del tempo e del modo della relativa deduzione nel giudizio di merito, oltre che di specifico motivo di ricorso per cassazione la questione, sul presupposto di fatto della cancellazione dalla Cassa e del mantenimento dell’iscrizione all’albo dei dottori commercialisti considerato dalla sentenza impugnata, va ricondotta al tema della individuazione dei presupposti di imposizione del contributo integrativo previsto per talune categorie professionali ed è dalla fonte normativa di tale obbligo che occorre prendere le mosse giova ricordare che ai sensi dell’art. 3 del Regolamento unitario della Cassa nazionale per i dottori commercialisti, sono esonerati dall’iscrizione alla Cassa dei dottori commercialisti i professionisti che pur essendo in possesso di entrambi i requisiti previsti per l’iscrizione iscrizione all’Albo, sezione A, con abilitazione alla professione di dottore commercialista inizio dell’attività professionale con relativa posizione IVA individuale e/o partecipazione in associazione professionale e/o svolgimento dell’attività professionale mediante società tra professionisti STP di cui alla L. n. 183 del 2011 risultano iscritti ad un’altra forma di previdenza obbligatoria per lo svolgimento di un’attività diversa da quella di dottore commercialista, oppure come accade nel caso di specie sono beneficiari di un trattamento pensionistico derivante dall’iscrizione a un’altra forma di previdenza obbligatoria tali soggetti possono avvalersi della facoltà di non iscriversi alla Cassa presentando, entro lo stesso termine previsto per l’iscrizione, la domanda di esonero costoro, conseguentemente, non sono tenuti al versamento del contributo soggettivo, bensì unicamente al versamento del contributo integrativo, dovuto da tutti gli iscritti all’albo di dottore commercialista, indipendentemente dall’iscrizione alla Cassa professionale dispone, in particolare, la L. n. 21 del 1986, art. 11, comma 1, A partire dall’entrata in vigore della presente legge, tutti gli iscritti agli albi dei dottori commercialisti devono applicare una maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti ne volume di affari ai fini dell’IVA e versarne alla Cassa l’ammontare,indipendentemente dall’effettivo pagamento che ne abbia eseguito il debitore”, è, dunque, evidente che il presupposto impositivo è da riconnettere alla mera iscrizione all’albo dei commercialisti unitamente alla presenza di corrispettivi rientranti nel volume d’affari ai fini dell’IVA la finalità della contribuzione integrativa è stata ravvisata da questa Corte di cassazione Cass. n. 32167 del 2018 Cass. n. 5376 del 2019 in quella di concorrere al finanziamento del sistema previdenziale di categoria per ragioni solidaristiche, proprio in quanto obbligatoria anche nei casi in cui non vi è obbligo di iscrizione alla Cassa professionale, e tale finalità non è messa in discussione dall’intervento della L. n. 133 del 2011 successivo all’epoca dei fatti oggetto della presente fattispecie che, al fine di migliorare i trattamenti pensionistici degli iscritti alle casse o enti di cui al D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, che adottano il sistema di calcolo contributivo, è riconosciuta la facoltà di destinare parte del contributo integrativo all’incremento dei montanti individuali, trattandosi di un mero ampliamento dei poteri gestionali delle casse che di certo non modifica il dato essenziale che l’obbligo di versamento del contributo integrativo, nei casi in cui ciò è previsto, prescinde dall’obbligo di iscrizione alla cassa medesima in definitiva, alla luce della complessiva considerazione sistematica che va riconosciuta alla contribuzione integrativa, è evidente l’infondatezza della pretesa del ricorrente di sottrarsi all’obbligo di versare la contribuzione integrativa oggetto della pretesa fatta valere dalla Cassa controricorrente il ricorso va, dunque, rigettato e le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,UU per esborsi spese fortetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato D.P.R., art. 13, comma 1 bis.