Ricollocazione poco gradita dalla dipendente: impossibile parlare di demansionamento

Demolito il castello accusatorio presentato da una lavoratrice, inquadrata come cassiera in un ipermercato. Lei ha posto nel mirino l’azienda, ritenendola colpevole di mobbing e demansionamento. Per i Giudici della Cassazione, come per quelli di appello, però, le azioni e le decisioni della società sono state razionali e non finalizzate alla vessazione della lavoratrice.

Ricollocazione mal digerita dalla lavoratrice, che da cassiera si ritrova collocata nei reparti commerciali di vendita. Questo spostamento non è sufficiente per parlare di mobbing e demansionamento, nonostante la dipendente accusi l’azienda di averla vessata in vario modo, anche affidandole mansioni che, a suo dire, erano dequalificanti, gravose e incompatibili col suo stato di salute Cassazione, ordinanza n. 2004/20, sez. Lavoro, depositata oggi . Spostamento. Scenario della vicenda è un ipermercato in Sardegna. Lì una lavoratrice pone sotto accusa la società proprietaria della struttura commerciale, sostenendo di avere subito comportamenti illeciti” e spiegando, più in dettaglio, che ella è stata assunta quale cassiera” ma all’improvviso è stata spostata ai reparti commerciali di vendita” come reazione al rifiuto di prestare attività nelle giornate di domenica”. In aggiunta, poi, la donna sostiene anche di essere stata adibita a mansioni dequalificanti e gravose, incompatibili col suo stato di salute” pur in assenza di preventiva visita di idoneità e senza mezzi individuali di protezione”, e di avere osservato un orario diverso e deteriore rispetto a quello contrattualmente pattuito”. Il quadro tracciato dalla lavoratrice convince i Giudici del Tribunale, che ritengono evidenti le scorrette compiute dal datore di lavoro, e lo condannano, di conseguenza, a versare oltre 28mila euro alla dipendente a titolo di risarcimento. Di parere opposto, però, i Giudici d’appello, che escludono l’ipotesi che la società proprietaria dell’ipermercato possa essere considerata responsabile di mobbing e demansionamento” nei confronti della lavoratrice, che, di conseguenza, deve dire addio alla cifra di denaro percepita come risarcimento. Episodio. A fare chiarezza arriva ora la decisione della Cassazione, che respinge il ricorso proposto dal legale della lavoratrice e fa cadere le accuse mosse alla società. Corretta, in sostanza, la linea seguita in Appello, laddove, contrariamente a quanto sostenuto in Tribunale, si è osservato che la lavoratrice, già addetta alla ‘barriera casse’, non ha subito alcun demansionamento con l’adibizione ai reparti commerciali di vendita”. Viene così meno il primo pilastro del castello accusatorio proposto dalla lavoratrice. Allo stesso tempo, viene ritenuto legittimo il dedotto mutamento dell’orario di lavoro”. Poi, per quanto concerne il ritardo nell’effettuazione della richiesta visita medica di idoneità e nella consegna dei mezzi individuali di protezione”, esso era attribuibile anche al comportamento della lavoratrice”, ossia alle sue ripetute e prolungate assenze”. Infine, per chiudere il cerchio, viene preso in esame anche il rifiuto datoriale di consegnare alla lavoratrice il ‘foglio presenze’” ebbene, su questo fronte, i giudici riconoscono il diritto del lavoratore di conoscere eventuali ore di straordinario” ma aggiungono che, in questo caso, la dedotta mancata consegna del ‘foglio timbrature’” costituisce un episodio isolato, non idoneo a concretare il comportamento vessatorio della società” lamentato dalla dipendente.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 11 settembre 2019 – 29 gennaio 2020, numero 2004 Presidente Bronzini – Relatore Balestrieri Rilevato che Con ricorso al Tribunale di Cagliari Li. Tr., dipendente della SSC-Società Sviluppo Commerciale s.r.l. presso l'ipermercato di Quartu S. Elena, ha convenuto in giudizio la società, lamentando di avere subito una serie di comportamenti asseritamente illeciti da parte della datrice di lavoro. In particolare deduceva di essere stata assunta quale cassiera e di avere svolto tale mansione fino al marzo 2004, quando sarebbe stata illegittimamente spostata ai reparti commerciali di vendita, per essersi rifiutata di prestare attività nelle giornate di domenica di essere stata adibita a mansioni dequalificanti e gravose, incompatibili col suo stato di salute, in assenza di preventiva visita di idoneità e senza mezzi individuali di protezione di avere osservato un orario diverso e deteriore rispetto a quello contrattualmente pattuito e precedentemente osservato di essere stata costretta a svolgere compiti in contrasto con le prescrizioni del medico competente. Deduceva inoltre una serie di comportamenti datoriali scorretti il rifiuto della società di consegnarle la copia delle timbrature richieste a maggio 2004 il rifiuto di consegnarle la copia del referto del medico competente il rifiuto di concederle un periodo di ferie a dicembre 2004, cui ha fatto seguito la collocazione obbligatoria in ferie nel gennaio successivo e l'imputazione di parte dei giorni di assenza come permesso individuale l'adozione di provvedimenti disciplinari a seguito di contestazioni infondate l'atteggiamento umiliante tenuto da parte della Responsabile Risorse Umane a maggio 2005, per essersi rifiutata di seguire un orario articolato su turni . Chiedeva dunque la condanna della società al risarcimento del danno da demansionamento e mobbing, oltre a differenze retributive, comprese indennità cassa e maneggio denaro. Resisteva la società. Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, condannando la SCC s.r.l. al pagamento di Euro.28.695,76 per danno biologico e morale, rigettando le ulteriori domande. Proponeva appello la SCC s.r.l. resisteva la Tr., proponendo appello incidentale in ordine alle domande non accolte. Con sentenza depositata il 12 maggio 2015, la Corte d'appello di Cagliari accoglieva il gravame principale, respingendo le domande tutte della Tr., e rigettava l'incidentale. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Tr., affidato a cinque motivi, cui resiste la società con controricorso, poi illustrato con memoria. Considerato che 1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli articolo 2103 e 2697 c.c., oltre che degli articolo 113, 115 e 116 c.p.c. per aver ritenuto che la lavoratrice, già addetta alla barriera casse, non avesse subito alcun demansionamento con l'adibizione ai reparti commerciali di vendita. Il motivo è inammissibile in quanto, pur lamentando una violazione di legge, peraltro non meglio chiarita, la censura finisce per contestare accertamenti e valutazioni di fatto compiuti dal giudice di appello, in contrasto col novellato numero 5 dell'articolo 360, co.1, c.p.c. 2. Con secondo motivo la Tr. denuncia la violazione degli articolo 2697 c.c., 113, 115, 116, 132 e 345 c.p.c. in ordine al dedotto mutamento dell'orario di lavoro. Il motivo è inammissibile per le stesse ragioni esposte sopra, anche qui essendo la censura rivolta a contrastare congrui accertamenti in fatto compiuti dal giudice del merito sulla base delle emergenze istruttorie. 3. Con terzo motivo la Tr. denuncia la violazione dell'articolo 2697 c.c., 113, 115 e 116 c.p.c. oltre agli articolo 4, 16, 40 e segg. D.Lgs. numero 626\94, 18 e 41 D.Lgs. numero 81\08, contestando che il ritardo nell'effettuazione della richiesta visita medica di idoneità e nella consegna dei mezzi individuali di protezione era attribuibile anche al comportamento della lavoratrice. Il motivo è ancora una volta inammissibile per le stesse ragioni esposte sopra, avendo la corte di merito accertato che i comportamenti datoriali denunciati derivavano da ripetute e prolungate assenze della Tr 4. Con quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione degli articolo 113, 115 e 116 c.p.c. e 7 D.Lgs. numero 196\03 in ordine alla valutazione del rifiuto datoriale di consegnarle il foglio di presenza del maggio 2004. Anche tale motivo risulta inammissibile in quanto, oltre a censurare ancora accertamenti ed apprezzamenti di fatto svolti dalla sentenza impugnata, la ricorrente non chiarisce perché essa dovrebbe cassarsi per la ragione esposta ed in sostanza quali sarebbero gli effetti giuridicamente rilevanti in tesi derivanti, nell'economia del presente giudizio, dalla declaratoria di violazione dell'articolo 7 D.Lgs. numero l96\03 con riferimento alla dedotta mancata consegna del foglio timbrature del mese di maggio 2004, che la Corte di merito ha congruamente escluso al di là del diritto del lavoratore di conoscere eventuali ore di straordinario su cui cfr. ora CGUE 14 maggio 2019, causa C-55/2018 . In sostanza tale isolato episodio non risulta idoneo a concretare il dedotto generale comportamento vessatorio della società ed il dedotto diritto al risarcimento del relativo danno, peraltro non meglio specificato. 5. Con quinto motivo la Tr. denuncia la violazione degli articolo 113, 115 e 116 c.p.c. oltre all'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, circa il mutamento dell'orario di lavoro, la sanzione disciplinare del rimprovero scritto ed altri similari fatti. Il motivo è inammissibile in quanto attraverso la menzionata dedotta violazione di norme processuali inerenti essenzialmente la valutazione delle prove si mira ad una rivalutazione delle emergenze istruttorie. 6. Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro.200,00 per esborsi, Euro.4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, del D.P.R. numero 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 numero 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.