I poteri-doveri officiosi del giudice del lavoro

I poteri-doveri officiosi di cui agli artt. 421 e 437 c.p.c., nel ricorrere i presupposti di coerenza rispetto ai fatti allegati dalle parti e di indispensabilità per percorrere una pista probatoria evidenziata dagli atti, possono essere esercitati dal giudice in deroga non solo alle regole sulle prove indicate dal codice civile, ma anche alle norme sull’assunzione delle prove dettate dal rito ordinario.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 32265/19, depositata il 10 dicembre. Il caso. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, condannava l’azienda datrice di lavoro al pagamento di una somma di denaro in favore della lavoratrice, ritenendo l’incarico di questa da inquadrare nell’ambito del pertinente accordo collettivo nazionale la Corte distrettuale disponeva poi una CTU per svolgere accertamenti necessari, i cui esiti portavano ad una condanna dell’azienda. Quest’ultima ricorre, dunque, in Cassazione, denunciando il fatto che la CTU avesse utilizzato documenti che le parti mai avevano prodotto in giudizio ed inoltre che la Corte territoriale avesse sollevato la parte dall’onere di prova. I poteri del giudice del lavoro. Tale dinamica processuale, adottata dalla Corte d’Appello risulta del tutto legittima per i Giudici di legittimità. Infatti, i poteri-doveri officiosi di cui agli artt. 421 e 437 c.p.c. sono esercitabili anche in deroga alle regole proprie del codice civile e da ciò si desume che sia anche ammessa la deroga alle norme sul rito ordinario e quindi quanto all’esibizione dell’art. 210 c.p.c. ove prevede l’iniziativa di parte e quanto alla CTU contabile dell’art. 198 c.p.c. dove prevede che solo il consenso di tutte le parti consenta la consultazione di documenti non prodotti in precedenza. Pertanto, rigettando il ricorso la S.C. afferma che i poteri-doveri officiosi di cui agli artt. suddetti 421 e 437 c.p.c., ricorrendo i presupposti di coerenza rispetto ai fatti allegati dalle parti e di indispensabilità per percorrere una pista probatoria evidenziata dagli atti, possono essere esercitati dal giudice in deroga non solo alle regole sulle prove indicate dal codice civile, ma anche alle norme sull’assunzione delle prove dettate dal rito ordinario e dunque, quanto all’esibizione di cose e documenti a prescindere dall’iniziativa di parte in deroga all’art. 210 c.p.c. e, quanto alla consulenza tecnica d’ufficio in materia contabile, a prescindere dal consenso di tutte le parti alla consultazione di documenti non precedentemente prodotti .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 30 ottobre – 10 dicembre 2019, n. 32265 Presidente Tria – Relatore Belle’ Rilevato che 1. la Corte d’Appello di Caltanissetta, riformando la pronuncia del Tribunale della stessa città, ha condannato la Azienda Sanitaria Provinciale ASP di Caltanissetta al pagamento in favore di M.A. della somma di Euro 8.155,41 oltre accessori, a titolo di corrispettivo per il numero di assistiti in carico nel periodo in cui alla ricorrente erano stati assegnati i pazienti già propri di altro medico pediatra convenzionato da essa sostituito la Corte territoriale riteneva che l’incarico era da inquadrare nell’ambito di quanto previsto dall’art. 37 del pertinente Accordo Collettivo Nazionale, in quanto inerente appunto al conferimento di incarico temporaneo in concomitanza con il verificarsi di una carenza nell’assistenza pediatrica avendo la ASP disatteso l’istanza di accesso agli atti avanzata dalla M. in via stragiudiziale al fine di appurare il numero esatto di pazienti ad essa così affidati, la Corte territoriale aveva disposto c.t.u. contabile al fine di svolgere gli accertamenti e le quantificazioni necessarie, i cui esiti avevano portato alla determinazione di cui alla citata sentenza di condanna avverso tale pronuncia della Corte nissena la ASP ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, per illustrati da memoria e resistiti da controricorso della M. . Considerato che 1. con il primo motivo la ricorrente assume, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la violazione degli artt. 194 e 195 c.p.c., nonché dell’art. 90 disp. att. c.p.c., per avere il c.t.u. utilizzato documenti, attinenti al numero di pazienti avuti di tempo in tempo in carico alla M. , che le parti mai avevano prodotto in giudizio il secondo motivo afferma invece la violazione art. 360 c.p.c., n. 3 , art. 2697 c.c., per avere la Corte territoriale sollevato la parte, attraverso le acquisizioni officiose di cui sopra, dall’onere a suo carico di dimostrare quanto utile alle proprie tesi di causa. 1.1. i due motivi, tra loro interconnessi, possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati la Corte territoriale, a fronte dell’allegazione da parte della ricorrente della percezione di corrispettivi economici inferiori rispetto al numero di pazienti che aveva in carico il medico sostituito e dell’avere la M. presentato invano istanza di accesso agli atti ante causam, ha disposto c.t.u. finalizzata ad accertare e quindi a contabilizzare quanti in concreto fossero i pazienti effettivamente avuti in carico di tempo dalla ricorrente e sviluppatasi attraverso l’acquisizione officiosa dei corrispondenti dati presso l’Azienda convenuta tale dinamica processuale, a fronte della menzionata allegazione di parte e di una pista probatoria palesemente derivante dal possesso certo in capo ad una delle parti dei dati necessari, tra l’altro non resi disponibili alla controparte nonostante esplicita domanda di accesso, è del tutto legittima i poteri-doveri officiosi di cui agli artt. 421 e 437 citt., sono infatti sempre esercitabili come è noto anche così la dizione dell’art. 421 c.p.c., comma 2 in deroga alle regole proprie del codice civile, dal che si desume che sia parimenti ammessa la deroga alle norme processuali sul rito ordinario e quindi, ed es., quanto all’esibizione, dell’art. 210 c.p.c., ove prevede l’iniziativa di parte, e, quanto alla c.t.u. contabile, dell’art. 198 c.p.c., ove prevede che solo il consenso di tutte le parti consenta la consultazione di documenti non precedentemente prodotti così operando la Corte territoriale non ha dunque indebitamente sollevato la parte gravata dai propri oneri probatori, ma ha viceversa puntualmente esercitato i poteri-doveri che l’ordinamento attribuisce al giudice del lavoro al fine di decidere, prima di applicare la regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., in aderenza alla verità materiale dei fatti di causa, acquisendone la consistenza con i mezzi a disposizione va in proposito affermato il seguente principio i poteri-doveri officiosi di cui agli artt. 421 e 437 c.p.c., nel ricorrere i presupposti di coerenza rispetto ai fatti allegati dalle parti e di indispensabilità al fine di percorrere una pista probatoria palesata dagli atti, possono essere esercitati dal giudice in deroga non solo alle regole sulle prove dettate dal codice civile, ma anche alle norme sull’assunzione delle prove dettate per il rito ordinario e quindi, quanto all’esibizione di cose e documenti, a prescindere dall’iniziativa di parte in deroga all’art. 210 c.p.c. e, quanto alla consulenza tecnica d’ufficio in materia contabile, a prescindere dal consenso di tutte le parti alla consultazione di documenti non precedentemente prodotti in deroga all’art. 198 c.p.c. 2. con il terzo motivo la ricorrente sostiene la violazione dell’art. 194 c.p.c., comma 2 e art. 90 disp. att. c.p.c., comma 1, per non essere stata data comunicazione alle parti dell’ora e del luogo di inizio delle operazioni peritali, con nullità degli atti conseguenti per violazione del principio del contraddittorio il motivo è inammissibile, in quanto la ricorrente neppure afferma, nel corpo del motivo e trascrivendo i corrispondenti verbali di giudizio, di avere tempestivamente eccepito la nullità della c.t.u., come era suo onere, nella prima istanza o difesa successiva al deposito dell’elaborato peritale, secondo la previsione di cui all’art. 157 c.p.c. tra le molte, v. Cass. 9 ottobre 2017, n. 23493 Cass. 8 aprile 2010, n. 8347 Cass. 25 ottobre 2006, n. 22843 3. il terzo motivo è infine dedicato dalla ASP all’asserita violazione art. 360 c.p.c., n. 3 dell’art. 37 dell’A.C.N. del 15 dicembre 2005 per essere stato, l’incarico oggetto di causa, conferito non per carenza di assistenza pediatrica nella zona in oggetto, ipotesi cui era destinata la previsione dell’art. 37 cit., ma per ovviare ad una situazione straordinaria, cagionata dall’esigenza di non creare disservizi nell’assistenza pediatrica, a causa delle dimissioni improvvise rassegnate dal pediatra titolare 3.1 il motivo è infondato, in quanto la norma applicata dalla Corte territoriale art. 37 cit. riguarda proprio il caso della carenza oggettiva di copertura assistenziale, derivante eventualmente anche dal definitivo venir meno qui per dimissioni dell’apporto di un pediatra convenzionato, mentre diverso e qui non pertinente è il caso art. 34 A.C.N. in cui il pediatra convenzionato, restando in carica, provveda, come è suo obbligo, a indicare idonei sostituti per il verificarsi di una sua transitoria impossibilità di prestare la propria opera 4. il ricorso va quindi integralmente rigettato, con regolazione delle spese di lite secondo soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.