Ammissione al patrocinio a spese dello stato e pagamento del contributo unificato

Il contributo unificato costituisce un’entrata tributaria dello Stato, rispetto alla quale creditore è l’Amministrazione e non le parti in causa, pertanto essa è soggetta ad accertamento secondo le dinamiche proprie delle entrate fiscali rientranti nella giurisdizione tributaria.

Lo ribadisce la Corte di Cassazione con ordinanza n. 29424/19, depositata il 13 novembre. I fatti. La Corte d’Appello dichiarava inammissibile il gravame proposto da una lavoratrice avverso la sentenza del Tribunale che aveva respinto la sua domanda di accertamento dell’illegittimità del patto di prova e del conseguente recesso dall’azienda. Per la Corte, posto che la sentenza era stata notificata il 7 maggio 2013 e l’appello depositato il 7 giugno 2013, ritenendo non accoglibile l’istanza di rimessione in termini considerava superato il termine breve di 30 giorni. Tale decisione viene impugnata dalla lavoratrice innanzi la Corte di Cassazione. Rimessione in termini. Con il primo motivo di ricorso la lavoratrice sostiene che la Corte territoriale ha erroneamente disatteso la sua istanza di rimessione in termini per la proposizione del gravame, avendo essa dovuto modificare l’atto già predisposto per tener conto della comunicazione dell’avvenuta ammissione al gratuito patrocinio per il giudizio di primo grado. L’ultimo giorno utile per il deposito dell’appello, infatti, era stata comunicata la decisione di accoglimento del reclamo stesso e così l’appello veniva modificato, così il deposito veniva dilazionato al giorno successivo, allorquando il termine per il gravame era scaduto. Ma in giurisprudenza è consolidato l’orientamento secondo cui la rimessione in termini può essere ammessa se l’impedimento che non ha consentito di dare corso all’attività richiesta tempestivamente abbia i caratteri dell’assolutezza e non della mera difficoltà . E tali caratteri non si evincono nel caso di specie. Contributo unificato. Con l’altro motivo di ricorso si denuncia violazione di legge per aver la Corte d’Appello erroneamente applicato nei confronti della ricorrente l’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002 condannandolo a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nonostante ella fosse stata ammessa al gratuito patrocinio. È noto che il contributo unificato costituisce un’entrata tributaria dello Stato, rispetto alla quale creditore è l’Amministrazione e non le parti in causa, pertanto essa è soggetta ad accertamento secondo le dinamiche proprie delle entrate fiscali rientranti nella giurisdizione tributaria. Il ruolo del giudice della causa di impugnazione cui si riferisce il contributo, dunque, ha solo la funzione di agevolare l’accertamento amministrativo. La statuizione relativa al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ha dunque natura amministrativa. Pertanto, il Collegio aderisce alla tesi restrittiva che non ritiene ammissibile la deduzione della corrispondente questione come ragione di impugnazione, vista anche l’indifferenza della controparte rispetto ad essa. Anche questo motivo di ricorso è inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 19 settembre – 13 novembre 2019 n. 29424 Presidente Torrice – Relatore Bellé Rilevato che la Corte d’Appello di Firenze ha dichiarato inammissibile il gravame proposto da V.A. avverso la sentenza del Tribunale di Lucca che aveva respinto la sua domanda di accertamento dell’illegittimità del patto di prova e del conseguente recesso dalla ASL n. X di Lucca dal rapporto di lavoro inter partes la Corte, sul presupposto che la sentenza fosse stata ritualmente notificata il 7.5.2013 e l’appello depositato il 7.6.2013, ritenendo non accoglibile l’istanza di remissione in termini, considerava superato il termine c.d. breve di trenta giorni la sentenza è stata impugnata per cassazione dalla V. con due motivi, resistiti da controricorso della Asl, che ha anche depositato memoria illustrativa. Considerato che con il primo motivo la ricorrente adduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 la violazione dell’art. 153 c.p.c., comma 2, per avere la corte territoriale erroneamente disatteso la sua istanza di remissione in termini per la proposizione dell’appello, avendo essa dovuto modificare l’atto già predisposto al fine di 6itenere conto della comunicazione dell’avvenuta ammissione al patrocinio a spese dello Stato per il giudizio di primo grado, pronunciata in esito a reclamo D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 126, comma 3 la dinamica dei fatti processuali è pacifica, nel senso che la ricorrente chiese l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per il primo grado di giudizio, che le venne respinta dal Consiglio dell’Ordine essa propose quindi reclamo, ma poi il giudizio di merito di primo grado fu definito in senso per lei sfavorevole, senza che le fosse stata comunicata alcuna decisione sul predetto reclamo fu quindi predisposto atto di appello nell’interesse della stessa V. , che conteneva - a quanto afferma la ricorrente - anche un primo motivo dedicato alla mancata pronuncia sul reclamo attinente al patrocinio a spese dello Stato tuttavia, l’ultimo giorno utile per il deposito dell’appello, prima che tale deposito avesse luogo, fu comunicata la decisione di accoglimento del reclamo stesso l’appello fu quindi modificato, onde tenere conto di tale vicenda sopravvenuta, ma il deposito fu dilazionato al giorno successivo, allorquando il termine per il gravame, di trenta giorni stante l’avvenuta notifica della sentenza di primo grado, era pacificamente scaduto il motivo è infondato in giurisprudenza è consolidato l’orientamento per cui la remissione in termini, applicabile anche rispetto all’impugnazione delle pronunce giudiziali, può essere ammessa ove l’impedimento che non ha consentito di dare corso tempestivamente all’attività richiesta abbia i caratteri dell’assolutezza e non della mera difficoltà Cass., S.U., 12 febbraio 2019, n. 4135 Cass. 6 luglio 2018, n. 17729 nel caso di specie, anche a voler seguire la tesi della ricorrente secondo cui l’atto di appello avrebbe contenuto un primo motivo inerente la mancata decisione sul reclamo ex art. 127 t.u. spese giustizia, poi conosciuta l’ultimo giorno utile per il deposito, è palese come ciò non determinava alcun impedimento munito dei menzionati caratteri di assolutezza, in quanto l’atto ben poteva esser depositato così come formato, salvo poi - o anche lo stesso giorno, a ciò bastando poche righe - rettificarne il contenuto con riferimento al primo motivo superato dall’evolversi dei fatti neppure ha rilievo il richiamo, su cui insiste la ricorrente, ai rischi riconnessi al c.d. filtro in appello, in quanto comunque la pronuncia ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c. non è destinata ad intervenire prima dell’instaurazione del contraddittorio e dunque vi è era tutto il tempo di integrare o rettificare, come si è detto, le difese, così ovviando al rischio palesato con il ricorso per cassazione, ammesso e non concesso che davvero un tale rischio sussistesse con il secondo motivo la ricorrente sostiene la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater per avere la Corte distrettuale erroneamente applicato nei suoi confronti la norma condannando a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nonostante essa fosse stata ammessa al gratuito patrocinio e risultasse quindi esentata dal versamento del contributo stesso il motivo è inammissibile è noto che il contributo unificato costituisce debito fiscale Cass., S.U., 5 maggio 2011, n. 9840 ovvero entrata tributaria erariale Cass., 29 dicembre 2016, n. 27331 , rispetto alla quale creditore è l’Amministrazione e non le parti in causa del singolo giudizio, sicché essa è soggetta ad accertamento secondo le dinamiche proprie delle entrate fiscali e rientranti, quanto a contenzioso, nella giurisdizione tributaria Cass. 9840/2011 cit. in tale contesto, la declaratoria, ad opera del giudice della causa di impugnazione cui inerisce il contributo, della sussistenza dei presupposti per il raddoppio di esso in ragione del’integrale rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione stessa, non ha natura di condanna come erroneamente afferma la ricorrente , nè di fatto costitutivo del diritto al raddoppio, ma ha soltanto funzione di agevolazione dell’accertamento amministrativo, rispetto alla sussistenza dei presupposti processuali del raddoppio stesso tale dichiarazione non impedisce dunque nè all’Amministrazione di perseguire il raddoppio che ritenga dovuto nonostante la mancata dichiarazione, nè al privato di contestare la sussistenza del diritto al raddoppio a fronte di una dichiarazione di tale presupposto da parte del giudice della causa e che egli ritenga erronea, il tutto nelle sedi e con i procedimenti amministrativi e giurisdizionali propri delle entrate tributarie in sostanza la statuizione relativa al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non riguardando l’oggetto del contendere tra le parti in causa, ha natura amministrativa Cass. 11 giugno 2018, n. 15111 su tali presupposti il collegio ritiene di aderire alla tesi restrittiva che non ritiene ammissibile la deduzione della corrispondente questione come ragione di impugnazione, stante l’indifferenza della controparte del giudizio rispetto ad essa e la piena possibilità di affrontare la medesima, se del caso, attraverso la contestazione, nelle sedi proprie, della pretesa che si ritenesse indebitamente esercitata dall’Amministrazione a tale titolo neppure può condividersi il timore che cìò comporti un indebito prolungamento dei tempi di giustizia in quanto non è detto - ed è anzi improbabile - che l’Amministrazione, pur a fronte di una erronea dichiarazione sui presupposti processuali del raddoppio, lo persegua ugualmente, stante il fatto che la duplicazione di un importo pari a zero, dà comunque zero come risultato, mentre consentire che tale profilo possa essere oggetto di impugnazione prolunga senza dubbio il processo con riferimento a controparti del giudizio che sono del tutto estranee alla questione stessa nè la perdita della tutela giurisdizionale in quanto come detto la dichiarazione giudiziale ha mera valenza amministrativa, priva di effetti preclusivi sulle pretese che l’una o l’altra parte del rapporto obbligatorio possono far valere nelle sedi giurisdizionali competenti il motivo va dunque dichiarato inammissibile le spese del giudizio di cassazione restano regolate secondo soccombenza l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato per il giudizio di cassazione è stata respinta dal Consiglio dell’Ordine, sicché nulla osta alla declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio della contribuzione, ove dovuta secondo la disciplina, anche reddituale, che regola l’istituto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.