Mutui e finanziamenti agli amici grazie alle pressioni sui colleghi: licenziato

Nessuna via di fuga per l’ormai ex dipendente di un istituto di credito. I fatti contestatigli sono gravi e sufficienti a legittimare il provvedimento adottato dall’azienda.

Pressioni su colleghi d’ufficio e lavoratori sottoposti per spingerli a dare il ‘via libera’ ad alcune pratiche relative a mutui e finanziamenti. Il comportamento, accertato dal datore di lavoro – un istituto di credito –, è sufficiente per legittimare il licenziamento del dipendente Cassazione, ordinanza n. 21476/19, sez. Lavoro, depositata oggi . Posizione. Il quadro tracciato dall’azienda – una banca – consente di appurare che il lavoratore nel mirino si è adoperato per favorire persone fisiche e giuridiche a lui legate, consentendo loro di ottenere mutui e finanziamenti a seguito delle pressioni da lui fatte su colleghi e sottoposti. Queste condotte vengono censurate dai vertici dell’istituto di credito, che subito dopo optano per il licenziamento del lavoratore. Provvedimento legittimo, secondo i Giudici di merito, che prima in Tribunale e poi in Appello sottolineano la gravità dei comportamenti tenuti dal dipendente dell’istituto di credito. In particolare, in secondo grado viene evidenziato che alla luce delle testimonianze raccolte e della documentazione a disposizione, incluse numerose emails, è evidente che il lavoratore ha ripetutamente abusato della sua posizione subordinata all’interno della banca per esercitare indebite pressioni su colleghi e sottoposti al fine di indirizzare in senso positivo pratiche di mutui e finanziamenti di persone fisiche e giuridiche a lui legate da interessi personali ed economici . Violazione. Inutile si rivela la decisione del lavoratore di proporre ricorso in Cassazione per contestare ulteriormente la decisione adottata dall’azienda. Irrilevante, innanzitutto, osservano i Giudici del ‘Palazzaccio’, il fatto che la banca non abbia comunicato per iscritto i motivi del licenziamento, pur richiesti dal dipendente . Su questo fronte, infatti, viene evidenziato che ci si trova di fronte a un licenziamento disciplinare preceduto dalla necessaria preventiva contestazione contenente i fatti contestati e l’intrinseco o palese giudizio datoriale di gravità e la lettera di licenziamento si riporta a tali fatti in sostanza, il recesso è ampiamente motivato dal datore di lavoro. Privo di fondamento anche il richiamo difensivo alla mancata affissione del codice disciplinare. Ciò perché i gravi fatti addebitati concretizzano violazioni di leggi, anche penali, e in sostanza la violazione del cosiddetto ‘minimum’ etico e quini non necessitano per la loro sanzionabilità dell’affissione del codice disciplinare .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 15 maggio – 19 agosto 2019, numero 21476 Presidente Bronzini – Relatore Balestrieri Rilevato che Il Tribunale di Siena respingeva il ricorso proposto da Be. Pa. di impugnativa del licenziamento per giusta causa intimatogli dal Monte dei Paschi di Siena il 9.9.11, per indebite ingerenze nei confronti di colleghi per favorire talune persone, fisiche e giuridiche, nelle richieste di finanziamenti. Il primo giudice riteneva illegittime, per difetto di immediatezza, le prime due contestazioni, delle tre su cui si fondava il recesso, e sussistente la terza. Avverso tale sentenza proponeva appello il Pa. resisteva il MPS, proponendo appello incidentale. Con sentenza depositata il 2.11.17, la Corte d'appello di Firenze respingeva entrambi i gravami, compensando per un terzo le spese del grado, ponendo a carico del Pa. il residuo. La Corte fiorentina riteneva pienamente provate, in base alle testimonianze escusse, la documentazione in atti, comprese numerose emails, che il Pa. avesse ripetutamente abusato della sua posizione sovraordinata all'interno della Banca per esercitare indebite pressioni su colleghi e sottoposti al fine di indirizzare in senso positivo pratiche di mutui e finanziamenti di persone fisiche e giuridiche a lui legate da interessi personali e\o economici. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il Pa., affidato a cinque motivi, cui resiste la Banca con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Considerato che Deve pregiudizialmente respingersi eccezione di inammissibilità del presente ricorso per violazione dell'art. 348 ter c.p.c. non essendo stata data prova che la sentenza impugnata si sia basata sui medesimi accertamenti di fatto esaminati dal primo giudice. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione dell'art. 7 L. numero 300\70, per violazione del principio di specificità della contestazione. Il motivo è infondato avendo la sentenza impugnata congruamente accertato che nella contestazione erano puntualmente indicate le pratiche, le condotte ed i soggetti relativi ai comportamenti contestati, peraltro già emersi dal rapporto ispettivo dell'11.7.11. Con secondo motivo il Pa. denuncia la violazione e\o falsa applicazione dell'art. 7 L. numero 300\70, per violazione del principio di immodificabilità della contestazione, con particolare riferimento al fatto che in sede giudiziaria la Banca avrebbe introdotto ulteriori contestazioni, quali le minacce nei confronti dei sottoposti. Il motivo è infondato posto che, come correttamente affermato dalla sentenza impugnata secondo pacifica giurisprudenza, è legittima una precisazione dell'infrazione contestata anche in sede giudiziaria, purché non sia modificato nella sostanza il fatto posto a base del licenziamento Cass. numero 3752\85, Cass. numero 3245\03 . Con terzo motivo il Pa. denuncia la violazione e\o falsa applicazione dell'art. 18, co.4, nonché dell'art. 7 L. numero 300\70 in combinato disposto con l'art. 115 c.p.c, per erronea valutazione delle prove, ritenendo fondati fatti che non erano stati provati dalla Banca, lamentando inoltre la sproporzione tra essi ed il licenziamento adottato. Il motivo è inammissibile. Deve infatti considerarsi cfr. di recente Cass.numero l3798\17, Cass. numero 21455\17 che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell'art. 360, comma 1, numero 3 c.p.c, ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto posta dal giudice a fondamento della decisione id est del processo di sussunzione , sicché quest'ultimo, nell'ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata ipotesi non ricorrente nella fattispecie al contrario, il sindacato ai sensi dell'art. 360, primo comma numero 5 c.p.c. oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione Cass. sez. unumero 7 aprile 2014, numero 8053 , coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti ipotesi ricorrente nel caso in esame . Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell'ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l'accertamento del fatto controverso e la sua valutazione rimessi all'apprezzamento del giudice di merito quanto alla proporzionalità della sanzione cfr. Cass. numero 8293\12, Cass. numero 144\08, Cass. numero 21965\07, Cass. numero 24349\06 quanto alla gravità dell'inadempimento, cfr. Cass. numero 1788\11, Cass. numero 7948\11 ineriscono ad un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, vizio limitato al generale controllo motivazionale quanto alle sentenze impugnate depositate prima dell'11.9.12 e successivamente all'omesso esame di un fatto storico decisivo, in base al novellato art. 360, comma 1, numero 5. c.p.c. Deve allora rimarcarsi che Il nuovo testo del numero 5 dell'art. 360 cod. proc. civ. introduce nell'ordinamento un nuovo e diverso vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia . L'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente dovrà indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'art. 366 c.p.c. comma 1, numero 6 e all'art. 369 c.p.c, comma 2, numero 4 , - il fatto storico , il cui esame sia stato omesso, il dato , testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il come e il quando nel quadro processuale tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la decisività del fatto stesso Cass. sez.unumero 22 settembre 2014 numero 19881 . Il ricorso non rispetta il dettato di cui al novellato numero 5 dell'art. 360, comma 1, c.p.c. limitandosi in sostanza a richiedere un mero ed inammissibile riesame delle circostanze di causa, ampiamente valutate dalla Corte di merito. Con quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione dell'art. 2 L. numero 604\66, deducendo l'inefficacia del licenziamento per non avere la Banca comunicato per iscritto i motivi del licenziamento, pur richiesti dal dipendente. Il motivo è infondato, posto che laddove, come nella specie, si tratti di licenziamento disciplinare preceduto dalla necessaria preventiva contestazione contenente i fatti contestati e l'intrinseco o palese giudizio datoriale di gravità degli stessi e la lettera di licenziamento si riporti a tali fatti contestati, il meccanismo previsto dall'art. 2 citato ante legem numero 92\12 non ha ragion d'essere, essendo il recesso già stato ampiamente motivato dal datore di lavoro Cass. numero 15986\16 . Con quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione dell'art. 7 L. numero 300\70, per non avere la sentenza impugnata correttamente valutato la questione della mancata affissione del codice disciplinare sottoposta al suo esame. Il motivo è infondato in quanto i gravi fatti addebitati, concretando violazioni di leggi, anche penali, ed in sostanza la violazione del cd. 'minimum etico', non necessitano per la loro sanzionabilità dell'affissione del codice disciplinare cfr. Cass. numero 54\17, Cass. numero 22626\13, secondo cui il principio di necessaria pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica nei casi in cui il licenziamento sia irrogato per sanzionare condotte del lavoratore che concretizzano violazione di norme penali o che contrastano con il cosìddetto minimo etico , mentre deve essere data adeguata pubblicità al codice disciplinare con riferimento a comportamenti che violano mere prassi operative, non integranti usi normativi o negoziali . Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro.200,00 per esborsi, Euro.5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. numero 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 numero 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.