Trattamento di fine rapporto: la natura retributiva di un emolumento aggiuntivo

Per la determinazione della base di calcolo del TFR, ai sensi dell’art. 2120, comma 2, c.c. e in mancanza di una espressa deroga contenuta nella contrattazione collettiva, la natura di retribuzione di un emolumento aggiuntivo corrisposto al lavoratore per lo svolgimento di lavoro all’estero o in altra sede lavorativa è desumibile da indici sintomatici che denotino la non occasionalità dell’emolumento stesso.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 15123/19, depositata il 3 giugno. Il caso. Il Tribunale di Milano accoglieva le domande attoree nei confronti di una banca relative al riconoscimento della incidenza sul trattamento di fine rapporto della elargizione per l’abitazione. Anche la Corte d’Appello confermava la decisione di primo grado, condannando la banca al pagamento delle spese di lite, così quest’ultima ricorre in Cassazione. Determinazione della base di calcolo del TFR. Secondo costante orientamento giurisprudenziale, al quale anche la Corte territoriale si è conformata, ai fini della determinazione della base di computo del trattamento di fine rapporto, ai sensi dell’art. 2120, comma 2, c.c. e in mancanza di una espressa deroga contenuta nella contrattazione collettiva, la natura di retribuzione di un emolumento aggiuntivo corrisposto al lavoratore per lo svolgimento di lavoro all’estero o in altra sede lavorativa è desumibile da indici sintomatici che denotino la non occasionalità dell’emolumento . Si attribuisce invece natura non retributiva alle voci che abbiano la finalità di tenere indenne il lavoratore da spese che non avrebbe incontrato se non fosse stato trasferito. Da ciò deriva che all’elargizione per abitazione corrisposta a un funzionario bancario trasferito con familiari deve attribuirsi natura retributiva. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 17 aprile - 3 giugno 2019, n. 15123 Presidente Bronzini – Relatore Cinque Rilevato che, con le sentenze n. 187 e 350 del 2013, il Tribunale di Milano ha accolto le domande presentate da M.V. e B.C. nei confronti di Intesa Sanpaolo spa relative al riconoscimento della incidenza sul trattamento di fine rapporto della elargizione per l’abitazione che la Corte di appello di Milano n. 797 del 2014 ha confermato le suddette pronunce, condannando la Banca anche al pagamento delle spese di lite che avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione Intesa Sanpaolo spa affidato ad un unico articolato motivo, illustrato con memoria che B.C. ha resistito con controricorso mentre M.V. è rimasto intimato che il P.G. non ha formulato richieste scritte. Considerato che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 69 e 53 del ccnl per il personale direttivo delle aziende di credito del 1990 e dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. la ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso che l’erogazione al funzionario trasferito di una somma di denaro in occasione del trasferimento per il periodo dal 1990 al 1998 per quanto attiene al M. , e nel periodo dal 1989 al 1998 con riferimento al B. potesse essere stata corrisposta per finalità similari a quelle che caratterizzano i trattamenti previsti, in favore del funzionario trasferito, dall’art. 53 del ccnl rileva che anche l’elargizione per cui è causa, come quelle di cui alla norma pattizia, non è diretta a rimborsare spese effettive evidenzia che tra gli emolumenti di cui all’indicata norma sono previste una diaria e soprattutto la fornitura di un alloggio nella nuova sede di residenza , la cui finalità è proprio quella di alleviare il disagio connesso al cambio di abitazione e della residenza familiare, ovvero la medesima finalità che, a dire della Corte di merito, è alla base dell’erogazione de qua non si giustificherebbe, pertanto, secondo la società, il diverso trattamento in termini di inclusione dell’erogazione nella base di calcolo del tfr, derivando, al contrario, in via immediata e diretta la sua esclusione dal computo suddetto dal richiamato art. 69 ccnl di categoria, con la conseguenza che è del tutto irrilevante verificare la natura dell’erogazione in discussione, in presenza della deroga contrattuale ai sensi dell’art. 2110 c.c., comma 2 censura, inoltre, la sentenza impugnata per avere ritenuto incombente sulla Banca l’onere di provare l’equivalenza del trattamento di cui all’art. 53 ccnl e della cd. erogazione abitativa che il ricorso non è fondato essendo la sentenza della Corte territoriale conforme all’orientamento espresso in sede di legittimità -e cui si intende dare seguito per le condivisibili argomentazioni su cui è basato cfr. Cass. 31.8.2018 n. 21519 - secondo il quale, ai fini della determinazione della base di computo del trattamento di fine rapporto, ai sensi dell’art. 2120 c.c., comma 2 e in mancanza di una deroga espressa contenuta nella contrattazione collettiva, la natura di retribuzione di un emolumento aggiuntivo corrisposto al lavoratore per lo svolgimento di lavoro all’estero o in altra sede lavorativa è desumibile da indici sintomatici, inclusi quelli emergenti in sede di conclusione del contratto individuale, che denotino la non occasionalità dell’emolumento, dovendosi invece attribuire natura non retributiva alle voci che abbiano la finalità di tenere indenne il lavoratore da spese che non avrebbe incontrato se non fosse stato trasferito, sostenute nel’interesse dell’imprenditore. Ne consegue che all’elargizione per abitazione corrisposta a un funzionario bancario trasferito con familiari conviventi, deve attribuirsi natura retributiva, desunta dal carattere periodico dell’erogazione, dalla sua corresponsione in misura fissa e senza documentazione giustificativa, al suo essere condizionata al permanere dell’abitazione e all’avvenuto assoggettamento a retribuzione che alla stregua di quanto esposto il ricorso deve, pertanto, essere rigettato che al rigetto segue la condanna della ricorrente, secondo il principio della soccombenza, alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, con distrazione nulla va disposto per quelle relative al’intimato non costituito che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfettario in misura del 15% da corrispondersi all’Avv. Michele Iacoviello, antistatario. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.