La mancata comunicazione all’INPS dell’attribuzione della pensione di reversibilità comporta la restituzione dell’assegno assistenziale

In ragione dell’accertata violazione dell’obbligo di comunicazione all’INPS delle situazioni rilevanti ai fini del diritto alla percezione della prestazione assistenziale di cui aveva goduto il lavoratore, non si può ritener corretta la condotta di quest’ultimo e deve escludersi la sussistenza di un affidamento idoneo a giustificare la irripetibilità delle somme richieste dall’INPS da indebita percezione dell’assegno assistenziale.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 10642/19, depositata il 16 aprile. La vicenda. La Corte d’Appello, in riforma della decisione di primo grado, rigettava la domanda di una lavoratrice per la declaratoria di irripetibilità delle somme che le aveva richiesto l’INPS da indebita percezione dell’assegno mensile di assistenza a seguito del riconoscimento della pensione di reversibilità. Avverso tale pronuncia la lavoratrice propone ricorso per cassazione, denunciando violazione di legge per aver la Corte di merito qualificato come dolosa la sua condotta nonostante ella avesse confidato in buona fede nel fatto che il centro di assistenza fiscale cui si era rivolta comunicasse all’INPS l’avvenuta attribuzione della pensione di reversibilità. La buona fede. Occorre innanzitutto ricordare che l’assegno assistenziale è ripetibile solo successivamente al momento in cui intervenga il provvedimento che accerti il venir meno delle condizioni di legge, a meno che non ricorrano ipotesi a priori che escludano un affidamento, come nell’ipotesi di erogazione di prestazione a chi non sia parte di alcun rapporto assistenziale, nel caso di incompatibilità tra beneficio e di esigenze assistenziali o in caso di dolo dell’ accipien s. Dunque, rispetto all’operato dell’ente debitore, la buona fede del percettore si rileva in una condotta connotata dall’assenza di ogni violazione dei doveri di correttezza su di lui gravanti, coerentemente col principio secondo cui, ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio ha il dovere di tutelare l’utilità e gli interessi dell’altra, nei limiti in cui questo possa avvenire. Pertanto, non potendo ritenere, nel caso in esame, la correttezza della condotta della ricorrente, in ragione dell’accertata violazione dell’obbligo di comunicazione all’INPS delle situazioni rilevanti ai fini del diritto alla percezione della prestazione assistenziale di cui aveva goduto, deve escludersi la sussistenza di un affidamento idoneo a giustificare la irripetibilità dell’indebito. Il ricorso va rigettato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 5 dicembre 2018 – 16 aprile 2019, n. 10642 Presidente Esposito – Relatore Cavallaro Rilevato in fatto che, con sentenza depositata il 13.2.2017, la Corte d’appello di Caltanissetta, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda di B.C. volta alla declaratoria d’irripetibilità delle somme richiestele dall’INPS e rivenienti da indebita percezione di assegno mensile di assistenza successivamente trasformato in assegno sociale nel periodo 1.1.2004 - 30.9.2011, a seguito del riconoscimento della pensione di reversibilità che avverso tale pronuncia B.C. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura che l’INPS ha resistito con controricorso che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio che B.C. ha tardivamente depositato memoria. Considerato in diritto che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 88 del 1989, art. 52, così come interpretato dalla L. n. 412 del 1991, art. 13, per avere la Corte di merito qualificato come dolosa la sua condotta nonostante che ella avesse confidato in buona fede nel fatto che il centro di assistenza fiscale al quale si era rivolta comunicasse all’INPS l’avvenuta attribuzione della pensione di reversibilità che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 412 del 1991, art. 13, comma 2, e art. 1227 c.c., per avere la Corte territoriale consentito il recupero dell’indebito oltre il limite dell’anno previsto dalla disposizione cit. che l’INPS ha resistito argomentando che la sentenza, pur essendo erronea in diritto per aver ritenuto applicabile alla fattispecie la L. n. 88 del 1989, art. 52, e L. n. 412 del 1991, art. 13, riferibili all’indebito previdenziale laddove nel caso di specie si controverte in tema di indebito assistenziale, sarebbe nondimeno corretta quanto al dispositivo, non essendo applicabili a tale ultimo indebito i limiti di ripetibilità propri dell’indebito previdenziale e operando invece al riguardo il diverso principio secondo cui, allorché il diritto ad una prestazione assistenziale sia venuto meno per motivi collegati alla perdita del c.d. requisito reddituale, si fa luogo all’integrale recupero della somma indebitamente percepita successivamente al 30.6.2003, data di entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 5, conv. con L. n. 326 del 2003 , non ravvisandosi alcuna norma speciale di settore che valga a sottrarre l’indebito assistenziale alla disciplina generale dell’art. 2033 c.c. che tale principio, già affermato da Cass. n. 23097 del 2013, è stato recentemente precisato nel senso che l’indebito assistenziale, in mancanza di norme specifiche che dispongano diversamente, è ripetibile solo successivamente al momento in cui intervenga il provvedimento che accerta il venir meno delle condizioni di legge, a meno che non ricorrano ipotesi che a priori escludano un qualsivoglia affidamento, come nel caso di erogazione di prestazione a chi non sia parte di alcun rapporto assistenziale nè ne abbia mai fatto richiesta, nel caso di radicale incompatibilità tra beneficio ed esigenze assistenziali o in caso di dolo comprovato dell’accipiens, in quanto coefficiente soggettivo idoneo a far venir meno l’affidamento alla cui tutela sono preposte le norme limitative della ripetibilità dell’indebito Cass. n. 28771 del 2018 che, nel caso di specie, la Corte di merito ha accertato che l’odierna ricorrente ha omesso, fin dal 2002, di comunicare all’INPS di essere diventata percettrice di pensione di reversibilità INPDAP e di non possedere dunque più i requisiti reddituali per beneficiare della prestazione assistenziale che aveva in godimento così la sentenza impugnata, pag. 9 che, rispetto all’operato dell’ente debitore, la buona fede del percettore è rilevabile in una condotta che sia connotata dall’assenza di qualsiasi violazione dei doveri di correttezza su di lui gravanti cfr., per fattispecie analoghe, Cass. nn. 17576 del 2002, 537 del 2015 , coerentemente con il principio generale secondo cui ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio ha il dovere di tutelare l’utilità e gli interessi dell’altra, nei limiti in cui ciò possa avvenire senza un apprezzabile sacrificio Cass. n. 17642 del 2012 che, non potendo nel caso di specie ritenersi la correttezza della condotta dell’odierna ricorrente, in ragione dell’accertata e non rivedibile in questa sede, in mancanza di uno specifico motivo di gravame ex art. 360 c.p.c., n. 5 violazione degli obblighi di comunicazione all’INPS delle situazioni rilevanti ai fini del diritto alla percezione della prestazione assistenziale di cui aveva il godimento, deve escludersi la sussistenza di un affidamento idoneo a giustificare la irripetibilità dell’indebito che, pertanto, corretta negli anzidetti termini la motivazione della sentenza impugnata, il ricorso, assorbito il secondo motivo, va rigettato che le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.