Nessuna penale da parte del datore di lavoro senza prova del danno

La previsione di clausole penali accessorie al contratto di lavoro non esclude la regola generale della necessità del consenso né quella della prova del danno effettivamente subito, non rientrando tra i poteri unilaterali di conformazione della prestazione di lavoro rimessi alla parte datoriale.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 8726/2019, depositata il 28 marzo. Il capotreno sbadato Trenitalia addebitava ad un proprio capotreno una somma a titolo di penale, inferta a seguito del furto di 80 biglietti. In sostanza, il capotreno lasciava incustodito, a bordo del treno, il suo borsello di servizio ritrovandolo poi svotato di oltre 80 biglietti. A seguito di detta negligenza il capotreno subiva una penale pari a 20 euro per biglietto così come previsto da un accordo sottoscritto tra le parti a latere del contratto individuale. Ritenendo ingiusto l’addebito della penale, il capotreno si rivolgeva al Giudice del Lavoro sostenendo di aver firmato l’accordo a latere sulla penale solo per presa visione e non per accettazione, inoltre riteneva di non aver causato a Trenitalia alcun danno. I giudici di primo e secondo grado escludevano qualsiasi responsabilità del capotreno con conseguente illegittimità della trattenuta a titolo di penale. Il caso giungeva sino in Cassazione, sede in cui la controversia è stata letta ed interpretata alla luce della reale volontà delle parti e delle regole generali sulla clausola penale. Prova del danno e necessità del consenso. La Corte di Cassazione chiarisce subito che la Corte d’Appello ha ben giudicato. Infatti, nel giudizio di secondo grado era stata acclarata la negligenza del capotreno che aveva lasciato il borsello incustodito, all’esterno della cabina di guida ove sarebbe stato controllato dal macchinista , ma non era stata data prova del danno subito dall’azienda a seguito di detta negligenza. Proprio per tale difetto di prova la Corte d’Appello aveva escluso la legittimità della trattenuta la condotta negligente, infatti, avrebbe potuto costituire un comportamento disciplinarmente rilavante, ma era di per sé insufficiente a determinare l’inflizione di una penale, rispetto alla quale è necessario provare il consenso delle parti ed il danno subito dalle parte che si è voluta tutelare mediante clausola penale. Non sussistendo prova alcuna in tal senso, la sentenza d’appello è immune da vizi con conseguente rigetto del ricorso in Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 5 dicembre 2018 – 28 marzo 2019, numero 8726 Presidente Esposito – Relatore Spena Rilevato che con sentenza del 23 marzo 27 aprile 2017 numero 386 la Corte di Appello di Bologna confermava la sentenza del Tribunale di Parma, che aveva accolto la domanda proposta da Z.P. , dipendente di TRENITALIA S.p.A. con qualifica di capotreno, per l’accertamento della illegittimità della pretesa della società datrice di lavoro di recuperare con trattenute mensili sulle retribuzioni la somma di Euro 1.620, addebitata al dipendente in conseguenza del furto di 81 biglietti che la Corte territoriale premetteva che secondo l’assunto di Trenitalia vi era negligenza del dipendente nella custodia del borsello di servizio a bordo del treno, fattispecie per la quale operava la clausola penale prevista dal regolamento aziendale. Osservava, tuttavia, che la disposizione aziendale non risultava sottoscritta per accettazione dal dipendente, in quanto la firma in calce ad essa ben poteva essere stata apposta per presa visione, come già argomentato dal giudice del primo grado. In ogni caso, un eventuale accordo negoziale sarebbe stato nullo ai sensi dell’art. 2077 c.c., in quanto il contratto individuale non poteva derogare in peius alle previsioni del contratto collettivo, introducendo clausole penali. Nel resto, le valutazioni del primo giudice, secondo cui non era stato provato alcun danno effettivo, non erano state specificamente censurate sicché sul punto si era formato il giudicato interno che avverso la sentenza ha proposto ricorso TRENITALIA S.p.A., articolato in tre motivi, cui ha opposto difese Z.P. con controricorso che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti -unitamente al decreto di fissazione dell’udienza ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c Considerato che Trenitalia S.p.A. ha dedotto con il primo motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., numero 3 violazione e falsa applicazione dell’art. 2104 c.c. censurando la sentenza per avere mandato assolto il dipendente da ogni responsabilità. Ha esposto che, come dedotto in appello, la condotta negligente del dipendente consisteva nell’avere lasciato il borsello di servizio contenente i biglietti all’interno del vestibolo della cabina semipilota, luogo non presidiato, invece di portarlo con sé o comunque lascarlo all’interno della cabina di guida, sotto il controllo del macchinista. In ogni caso, il dipendente era incorso nella diretta violazione delle direttive aziendali contenute nel foglio disposizioni di produzione numero 5/2012 della divisione trasporto regionale Emilia-Romagna a tenore delle quali il capotreno eventualmente poteva lasciare il borsello di servizio in testa al treno nella cabina di guida presidiata dal macchinista. Ha dedotto che la Corte territoriale aveva omesso di esaminare il comportamento del dipendente sotto il profilo del generale obbligo di diligenza aveva inoltre ritenuto decisivo il fatto che la disposizione di servizio non fosse sottoscritta per accettazione laddove il prestatore di lavoro è tenuto ad uniformarsi alle direttive ed istruzioni del datore di lavoro con il secondo motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., numero 3 violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto la formazione del giudicato interno sulla statuizione del primo giudice di assenza di prova del danno, laddove nell’atto di appello essa aveva fatto richiamo alla circolare aziendale numero 1 del 13 ottobre 2009, documento 4 del fascicolo di primo grado che prevedeva in caso di smarrimento dei biglietti in consegna al personale di scorta l’addebito al responsabile dell’importo di Euro 20 per ogni biglietto sottratto o smarrito, deducendone la natura di clausola penale, che sollevava il creditore dall’onere di fornire la prova della esistenza e dell’ammontare del danno con il terzo motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., numero 3 violazione e falsa applicazione dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e s.s., in relazione alla circolare divisionale numero 1 del 13 ottobre 2009, censurando la sentenza per avere affermato che la circolare non era stata sottoscritta dal dipendente per accettazione bensì per presa visione. Ha assunto il contrasto della statuizione con le disposizioni dell’art. 1362 c.c., in quanto la comune intenzione delle parti era quella di uniformare la condotta del personale di scorta dei treni e ciò implicava l’obbligatorietà delle disposizioni impartite dell’art. 1367 c.c., secondo cui nel dubbio le clausole si interpretavano nel senso in cui potessero avere qualche effetto mentre se la sottoscrizione del dipendente fosse stata apposta per presa visione le disposizioni contenute nella circolare avrebbero perso ogni efficacia. Ha inoltre dedotto che la pattuizione individuale non era derogativa in pelus del contratto collettivo, poiché la liquidazione anticipata del danno conseguente al furto di biglietti, considerata la modesta entità della penale, aveva la funzione di limitare la pretesa risarcitoria che ritiene il Collegio si debba rigettare il ricorso che invero il primo motivo non coglie la ratio decidendi della sentenza giacché la Corte territoriale non ha affatto inteso affermare la non obbligatorietà delle disposizioni impartite dal datore di lavoro nè escludere la responsabilità dello Z. per la negligente custodia dei titoli di viaggio il rigetto della domanda è avvenuto, piuttosto, per difetto di prova del danno derivato dall’inadempimento e per la ritenuta inapplicabilità della clausola penale prevista dal regolamento aziendale. Sotto tale profilo la statuizione della Corte territoriale è immune da censure giacché la previsione di clausole penali accessorie al contratto di lavoro non si sottrae alla regola comune della necessità del consenso e non rientra tra i poteri unilaterali di conformazione della prestazione di lavoro rimessi alla parte datoriale quanto al secondo motivo, il giudice dell’appello ha inteso evidenziare che l’impugnazione non poneva in discussione la ritenuta mancanza di prova del danno ma faceva leva, unicamente sulla applicazione della clausola penale sicché non le veniva rimessa alcuna indagine di fatto sulle conseguenze dell’inadempimento. La statuizione, così intesa, appare immune da censure mentre la affermazione della esistenza di un giudicato interno sulla assenza di danno non appare di rilievo decisivo da ultimo, deve rilevarsi la inammissibilità del terzo motivo. Esso sotto l’apparente denunzia di errori di diritto che non è conferente alla fattispecie di causa giacché dà per presupposta la formazione del consenso delle parti, che era invece da dimostrare tende ad una rivisitazione del giudizio di merito, conformemente espresso nei due gradi, circa la assenza di prova della accettazione da parte del dipendente della clausola penale. La applicabilità dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5 peraltro, preclude la deduzione in questa sede dal vizio di motivazione che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere definito con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. numero 228 del 2012, art. 1, comma 17 che ha aggiunto al D.P.R. numero 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo coi contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 1.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.