Impugnazione del licenziamento: spetta al lavoratore rispettare il doppio termine di decadenza

L'impugnazione del licenziamento, per essere efficace, richiede che venga rispettato un doppio termine decadenziale, interamente rimesso al controllo esclusivo del lavoratore che impugna.

Così la Cassazione con la sentenza n. 7659/19, depositata il 19 marzo. Decadenza del termine per impugnare il licenziamento. Il Tribunale di Cagliari, ritenendo tempestiva l’impugnazione del licenziamento proposta da un lavoratore, aveva dichiarato illegittimo il recesso del datore dovuto al fatto che il dipendente non si fosse presentato alla visita medica e fosse rimasto assente ingiustificato. Il Tribunale aveva così deciso poiché il lavoratore soffriva di dipendenza da alcool e bipolarismo e dunque, essendo incapace di intendere e volere, non poteva essere chiamato a rispondere di un inadempimento non sorretto dall’elemento soggettivo. La Corte territoriale, invece, riformando la sentenza del Tribunale, riteneva che fosse maturata la decadenza del termine per depositare il ricorso giudiziale previsto dalla legge. Per la cassazione della sentenza propone ricorso in Cassazione il lavoratore. Due distinti e successivi termini decadenziali. La Cassazione, dando continuità a consolidato orientamento giurisprudenziale, ribadisce che il termine di decadenza previsto dall’art. 6 della legge n. 604/1966, decorre dalla trasmissione dell’atto scritto di impugnazione del licenziamento e non dal momento del perfezionamento dell’impugnazione stessa per effetto della sua ricezione da parte del datore di lavoro né dallo spirare del termine di sessanta giorni . Quando sopra espresso evidenzia che l’impugnazione del licenziamento, come prevista dalla legge, è soggetta a due distinti e successivi termini decadenziali. In relazione a questi risulta dunque indifferente il momento perfezionativo dell’atto poiché la norma non prevede la perdita di efficacia di un’impugnazione già perfezionata ma impone un doppio termine di decadenza affinché l’impugnazione stessa sia efficace. La questione sta nel fatto che indipendentemente dal perfezionarsi dell’atto ossia della sua conoscenza da parte del destinatario , il lavoratore deve attivarsi per la promozione del giudizio. Appare evidente che la volontà del legislatore è stata quella di subordinare l’efficacia dell’impugnazione al rispetto di un doppio termine di decadenza, rimesso al controllo di chi impugna. Quest’ultimo infatti deve fare in modo che il destinatario riceva l’atto entro i termini ed attivare, sempre entro il termine prefissato, la fase giudiziaria. Tale onere non lede il diritto di difesa del lavoratore poiché ciò gli permette di conoscere in maniera immediata il dies a quo per l’istaurazione della fase giudiziaria. Nel caso concerto, i Giudici rilevano che il ricorrente non ha svolto adeguate motivazioni che possano far rimeditare la decisione presa dalla Corte territoriale, ragione per cui la Cassazione rigetta il ricorso del lavoratore.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 13 febbraio – 19 marzo 2019, n. 7659 Presidente Napoletano - Relatore Di Paolantonio Fatti di causa 1. La Corte d’Appello di Cagliari, adita dal Ministero della Difesa con ricorso L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 58, ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa sede che, all’esito del giudizio di opposizione, aveva ritenuto tempestiva l’impugnazione proposta da P.S. avverso il licenziamento intimato dal Ministero il 23 dicembre 2013 ed aveva dichiarato l’illegittimità del recesso, perché l’intossicazione cronica da alcol ed il disturbo bipolare avevano privato il dipendente della capacità di intendere e di volere e, quindi, il P. , che non si era presentato alla visita medica ed era rimasto assente ingiustificato, non poteva essere chiamato a rispondere di un inadempimento non sorretto dal necessario elemento soggettivo. 2. La Corte territoriale, riassunti i termini della vicenda, ha ritenuto fondato ed assorbente il primo motivo di reclamo, con il quale era stata denunciata la violazione della L. n. 604 del 1966, art. 6, come modificato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, e dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 38, ed ha evidenziato, richiamando giurisprudenza di questa Corte, che il termine di 180 giorni per il deposito del ricorso giudiziale decorre dalla data di spedizione dell’atto di impugnazione stragiudiziale e non dal ricevimento di quest’ultimo da parte del datore di lavoro. Ha conseguentemente ritenuto maturata la decadenza, in quanto il licenziamento era stato impugnato con lettera del 31 gennaio 2014, spedita il 1 febbraio, ed il ricorso era stato depositato solo il 4 agosto 2014. 3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso P.S. sulla base di due motivi, contrastati dal Ministero della Difesa, il quale, ricevuta la rinnovazione della notifica, inizialmente indirizzata all’Avvocatura Distrettuale anziché a quella Generale dello Stato, ha tempestivamente notificato controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata inapplicabilità al caso di specie dei principi enunciati dalla Corte di Cassazione, così come individuati e richiamati dal giudice d’appello, per c.d. overruling omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia . Rileva il ricorrente che al momento del deposito del ricorso, risalente al 4 agosto 2014, la Corte di Cassazione non si era ancora pronunciata sull’interpretazione della L. n. 604 del 1966, art. 6, come modificata dalla L. n. 183 del 2010, sicché l’iniziativa giudiziaria doveva essere ritenuta tempestiva, essendo all’epoca consolidato l’orientamento, affermatosi a partire da Cass. S.U. n. 8830/2010, secondo cui all’impugnazione del licenziamento si applica il principio della scissione degli effetti, con la conseguenza che la decadenza è impedita dalla spedizione dell’atto ma quest’ultimo, in quanto recettizio, produce i suoi effetti tipici solo con la ricezione da parte del datore di lavoro. Su detti principi il ricorrente aveva fatto affidamento, sicché la Corte d’appello non poteva dichiarare preclusa l’azione, mortificando il diritto del lavoratore. 2. La seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, addebita alla sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 6, nonché dell’art. 1334 c.c Il ricorrente ribadisce che l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento è atto recettizio, che si perfeziona solo nel momento in cui lo stesso viene portato a conoscenza del datore di lavoro. Perché, quindi, possa iniziare a decorrere il secondo termine previsto dall’art. 6, comma 2, è necessario che il primo atto abbia prodotto i suoi effetti, non essendo ammissibile che un atto ancora inefficace possa fare decorrere i termini per l’impugnazione giudiziale. Invoca il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 8830/2010 per sostenere che occorre sempre distinguere sul piano logico il comportamento interruttivo del primo termine di decadenza ed il perfezionamento della fattispecie impugnatoria, che si verifica solo allorquando il destinatario acquista conoscenza legale dell’impugnazione. 3. I motivi di ricorso, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logico-giuridica, sono infondati. Il Collegio intende dare continuità all’orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui il termine di decadenza, previsto dalla L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2, decorre dalla trasmissione dell’atto scritto di impugnazione del licenziamento imposto dal comma 1, dell’articolo citato e non dal perfezionamento dell’impugnazione stessa per effetto della sua ricezione da parte del datore di lavoro né dallo spirare del termine di sessanta giorni cfr. Cass. n. 23890/2018 Cass. n. 20666/2018 Cass. n. 12352/2017 Cass. n. 17165/2016 Cass. n. 21410/2015 Cass. n. 20068/2015 Cass. n. 17373/2015 Cass. n. 5717/2015 . Con le richiamate pronunce, alla cui motivazione si rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c., si è evidenziato che l’impugnazione del licenziamento, così come legislativamente strutturata a seguito dell’ultimo intervento di riforma, costituisce una fattispecie a formazione progressiva, soggetta a due distinti e successivi termini decadenziali, rispetto alla quale risulta indifferente il momento perfezionativo dell’atto, perché la norma non prevede la perdita di efficacia di un’impugnazione già perfezionatasi, dunque pervenuta al destinatario, ma impone un doppio termine di decadenza affinché l’impugnazione stessa sia in sé efficace. Orienta in tal senso il tenore letterale della disposizione perché la locuzione L’impugnazione è inefficace se . sta ad indicare che, indipendentemente dal suo perfezionarsi e quindi dai tempi in cui lo stesso si realizzi con la ricezione dell’atto da parte del destinatario , il lavoratore deve attivarsi, nel termine indicato, per promuovere il giudizio. Il legislatore ha voluto subordinare l’efficacia dell’impugnazione al rispetto di un doppio termine di decadenza, interamente rimesso al controllo dello stesso impugnante, il quale, dopo avere assolto alla prima delle incombenze di cui è onerato, è assoggettato a quella ulteriore di attivare la fase giudiziaria entro il termine prefissato. Tale soluzione è coerente con la lettera del testo normativo nonché con la finalità acceleratoria che ha improntato la novella legislativa e non lede in alcun modo il diritto di difesa del lavoratore, perché, al contrario, quest’ultimo viene posto immediatamente in grado di conoscere quale sia il dies a quo per l’instaurazione della fase giudiziaria, non essendo tenuto ad attendere la prova della ricezione dell’atto da parte del datore di lavoro. Il ricorso non sviluppa argomenti che possano indurre a rimeditare l’orientamento già espresso, in quanto si limita a fare leva sulla natura ricettizia dell’impugnativa stragiudiziale e sul principio affermato da Cass. S.U. n. 8830/2010, che, in realtà, non contrasta con la richiamata interpretazione della L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2, ed anzi la conferma, perché la stessa si fonda proprio sulla scissione degli effetti, affermata dalla Corte Costituzionale in relazione agli atti processuali ed estesa dalle Sezioni Unite anche all’impugnazione del licenziamento. Se, infatti, quest’ultima è efficace per il lavoratore dal momento della spedizione, è sistematicamente coerente con detta ricostruzione dogmatica una disciplina normativa che dalla spedizione, non dalla ricezione, faccia decorrere il secondo termine imposto a pena di decadenza. 3.1. Parimenti infondato è il primo motivo perché, nello sviluppare il principio affermato da Cass. S.U. n. 15144/2011, questa Corte ha precisato che si può parlare di prospective overruling solo qualora ricorrano cumulativamente i seguenti presupposti che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cioè, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso che il suddetto overruling comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte Cass. n. 28967/2011 negli stessi termini Cass. n. 6801/2012 Cass. n. 5962/2013 . È evidente che il principio non possa essere invocato nella fattispecie giacché il ricorso è stato proposto, come riconosce lo stesso ricorrente, quando ancora questa Corte non si era pronunciata sull’interpretazione della L. n. 604 del 1966, art. 6, come modificato dalla L. n. 183 del 2010, e quindi all’epoca la questione doveva ritenersi ancora controversa, non essendo emerso alcun orientamento sul quale il lavoratore potesse fare incolpevole affidamento. 4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato dovuto dal ricorrente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.