Illegittima reiterazione di contratti a termine: precisazioni sulla liquidazione del danno subito dal dipendente pubblico

Nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, il dipendente che subisce un’abusiva reiterazione di contratti a termine ha diritto al risarcimento del danno corrispondente ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto .

Così il Supremo Collegio con l’ordinanza n. 3478/19, depositata il 6 febbraio. La vicenda. Il Tribunale di Firenze accertava la nullità del termine applicato a svariati contratti a tempo determinato stipulati tra il Comune di Firenze e un lavoratore. Gli stessi Giudici, escludendo la domanda di conversione a tempo indeterminato di tali contratti, condannavano il Comune al pagamento della somma pari a venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, a titolo di risarcimento del danno, a favore del lavoratore. Tuttavia, la condanna risarcitoria veniva rideterminata dai Giudici del riesame le mensilità da versare, da venti, diminuivano a quindici. Il Comune ricorre in Cassazione lamentando la violazione dei principi in materia di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo . La liquidazione. La S.C. precisa che nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, in materia di pubblico impiego privatizzato, fermo restando il divieto di cui all’art. 36, comma 5 d.lgs. n. 165/2001 divieto di trasformazione del contratto a tempo determinato a tempo indeterminato , il dipendente che abbia subito la legittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, [], al risarcimento del danno previsto dall’art. 36 cit. con l’esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui all’art. 32, comma 5 l. n. 183/2010, e quindi nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto facendo riguardo ai criteri ex art. 8 l. n. 604/1966 norme sui licenziamenti individuali . Dunque, per l’interpretazione della misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5 d.lgs. n. 165/2001 può farsi riferimento alla fattispecie omogenea del danno presunto ex art. 32, comma 5 l. n. 183/2010 Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato con valenza sanzionatoria e qualificabile come danno comunitario senza che derivi, così, una posizione di favore del dipendente privato rispetto a quello pubblico. Nella specie, gli Ermellini evidenziano che la Corte d’Appello, in riferimento alla liquidazione del risarcimento del danno, era tenuta ad accertare la sussistenza dei presupposti della fattispecie in esame alla luce delle condizioni e dei limiti indicati dalla oramai consolidata giurisprudenza di legittimità presa in considerazione. Pertanto, la S.C. accoglie con rinvio il ricorso affinché i Giudici d’Appello si adeguino a quanto esposto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 29 novembre 2018 – 6 febbraio 2019, n. 3478 Presidente Napoletano – Relatore Blasutto Rilevato che 1. Il Tribunale di Firenze, accertata la nullità del termine apposto ai molteplici contratti a tempo determinato stipulati tra il Comune di Firenze e A.M. tra il 2004 e il 2009, esclusa la domandata conversione di tali contratti in rapporto a tempo indeterminato, condannava il Comune di Firenze al pagamento, in favore del ricorrente, a titolo di risarcimento del danno, della somma corrispondente a venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. 2. La Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza di primo grado, limitava la condanna risarcitoria del Comune al pagamento di quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. 3. Per la cassazione di tale sentenza il Comune di Firenze ha proposto ricorso affidato a due motivi. A.M. ha resistito con controricorso. 4. Il P.G. ha concluso per l’accoglimento del ricorso, richiamando l’orientamento espresso da S.u. n. 5072 del 2016, e, da ultimo, Cass. n. 17100 del 2017, emessa sempre su ricorso avente ad oggetto una sentenza della Corte di appello di Firenze in analoga fattispecie. 5. Il Comune ha altresì depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c., inserito dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1, lett. f, conv. in L. n. 25 ottobre 2016, n. 197 . Considerato che 1. Con i due motivi di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 3 e 5, nel testo vigente fino al 17.7.2012 del D.L. n. 207 del 1978, art. 5, comma 12, conv. in L. n. 3 del 1979, e della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, oltre che dei principi in materia di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo primo e secondo motivo e di eguaglianza, uniformità di trattamento, proporzionalità e graduazione delle sanzioni secondo motivo . Con il primo motivo si assume, in particolare, che il danno sarebbe stato liquidato pur in mancanza di qualsiasi allegazione e prova da parte dell’A. in ordine al pregiudizio economico derivatogli dalla stipula dei contratti a tempo determinato e si sottolinea che non sarebbe configurabile un danno in re ipsa e, tantomeno, un automatico ristoro a fronte della mancata previsione legislativa della conversione del contratto. Viene altresì evidenziato che la norma di riferimento non poteva essere l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, ma bisognava avere riguardo al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, che prevede uno specifico sistema sanzionatorio, calibrato sulle esigenze del pubblico impiego. 2. Con il secondo motivo si deduce poi che l’utilizzo del paramento previsto dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, in luogo del sistema previsto dall’art. 36 cit., avrebbe comportato l’applicazione di un uguale trattamento risarcitorio a situazioni diverse, in violazione dei principi in tema di uguaglianza e graduazione della misura risarcitoria. 3. Tanto premesso le censure, ammissibili e da trattare congiuntamente in quanto connesse, sono fondate. 3.1. In argomento, trova applicazione la sentenza delle S.U. di questa Corte n. 5072/2016, secondo cui in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13 , sicché, mentre va escluso - siccome incongruo - il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come danno comunitario , determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito. 3.2. Il principio è stato ribadito da Cass. nn. 4911, 4912, 4913, 16095, 23691 del 2016 e da nn. 8927 e 8885 del 2017 e da molte altre successive, nei seguenti termini Nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 36, comma 5, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, e quindi nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8 . 3.3. Il principio di diritto enunciato dalle S.U. con la sentenza n. 5072 del 2016 deve trovare applicazione nell’ipotesi di reiterazione, mediante proroga o rinnovo sulla assimilabilità della proroga al rinnovo ai fini dell’applicazione della clausola 5 dell’accordo quadro, v Cass. 5229 del 2017 , di rapporti che si siano svolti nelle forme tipiche del lavoro subordinato, a condizione che degli stessi la parte abbia allegato la illegittimità anche in ragione del carattere abusivo della reiterazione del termine. 4. Alla stregua di tali principi, la Corte di merito era tenuta a verificare la sussistenza dei presupposti, alle condizioni e nei limiti indicati dalle Sezioni Unite di questa Corte, del danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come danno comunitario , tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha quantificato il danno applicando un parametro diverso da quello costituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5. 5. È da rilevare, per completezza, che la Corte di Giustizia, con la recente sentenza del 7 marzo 2018, C-494/16 Giuseppa Santoro contro Comune di Valderice e Presidenza del Consiglio dei Ministri , adita in sede di rinvio pregiudiziale dal Tribunale civile di Trapani, ha affermato, in tema di contratti conclusi con un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico e di misure dirette a sanzionare il ricorso abusivo ai contratti a tempo determinato, che la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che, da un lato, non sanziona il ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, a una successione di contratti a tempo determinato mediante il versamento, al lavoratore interessato, di un’indennità volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato bensì, dall’altro, prevede la concessione di un’indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione di detto lavoratore, accompagnata dalla possibilità, per quest’ultimo, di ottenere il risarcimento integrale del danno dimostrando, mediante presunzioni, la perdita di opportunità di trovare un impiego o il fatto che, qualora un concorso fosse stato organizzato in modo regolare, egli lo avrebbe superato, purché una siffatta normativa sia accompagnata da un meccanismo sanzionatorio effettivo e dissuasivo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. 6. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata in ordine alle statuizioni relative al risarcimento del danno, con rinvio alla Corte di appello di Firenze, che deciderà la causa adeguandosi al seguente principio di diritto Nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 36, comma 5, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, e quindi nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8 . 7. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità. 8. Stante l’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del Comune ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 legge di stabilità 2013 . P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza in relazione alle conseguenze economiche dell’accertata illegittimità dei termini e rinvia alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.