Lavoratrice assente dal lavoro: licenziata per ritorsione?

Il licenziamento - per essere considerato ritorsivo - deve costituire l'ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore e proprio quest’ultimo ha l'onere di indicare e provare i profili specifici da cui desumere l'intento ritorsivo quale motivo unico e determinante del recesso.

Lo sostiene la Corte di Cassazione nell’ordinanza 1195/19, depositata il 17 gennaio. La fattispecie. La Corte di Appello di Napoli rigettava il reclamo proposto avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva ritenuto legittimo il licenziamento intimato da una snc nei confronti di una sua dipendente per assenza ingiustificata dal lavoro. Nel dettaglio, la corte territoriale non riteneva che il recesso fosse giustificato da una finalità ritorsiva e, anzi, sosteneva che il rifiuto della donna a prestare attività lavorativa nella sede assegnata a seguito del subentro nell'appalto a cui la stessa era preposta non era giustificato. Il giudice d’appello premetteva, infatti, che nelle more di altro precedente giudizio che aveva riguardato il licenziamento della donna e che si era concluso con provvedimento di reintegrazione della stessa da parte del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, si era determinata la cessazione dell'appalto cui era addetta la lavoratrice la società, già a conoscenza dell'ordine di reintegrazione, aveva consapevolmente ritardato la esecuzione dello stesso, così impedendo il passaggio della dipendente alla società subentrante. La lavoratrice ricorreva per cassazione. Licenziamento ritorsivo. La donna rileva che dolosamente la società ha ritardato l'esecuzione dell'ordine reintegratorio al fine di non farla rientrare tra i lavoratori passati alla nuova società subentrante nell'appalto. In altre parole, il licenziamento intimatole ha carattere ritorsivo. Secondo i principi spesso enunciati dalla Suprema Corte, il licenziamento - per essere considerato ritorsivo - deve costituire l'ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore e proprio quest’ultimo ha l'onere di indicare e provare i profili specifici da cui desumere l'intento ritorsivo quale motivo unico e determinante del recesso. Nel caso di specie, l’assenza della dipendente per circa sei mesi non può qualificarsi comportamento legittimo, in quanto sussisteva un provvedimento giurisdizionale di rigetto della domanda volta a far valere l'illegittimità del trasferimento. Provvedimento – questo – che non era stato impugnato e che, quindi, rende definito l'accertamento. Di conseguenza, il fatto che il rifiuto di prestare servizio non sia legittimo rende sostanziale ed effettiva la ragione del recesso datoriale assenza ingiustificata ed esclude la ritorsività del licenziamento. Alla luce di tali circostanze, il ricorso deve essere considerato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 10 ottobre 2018 – 17 gennaio 2019, n. 1195 Presidente Patti – Relatore Leone Rilevato che La Corte di appello di Napoli con la sentenza n. 1556/2017 aveva rigettato il reclamo proposto, in sede di procedimento L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 47 e segg., avverso la sentenza con la quale il tribunale di Santa Maria Capua Vetere SMCV aveva ritenuto legittimo il licenziamento intimato dalla Splendor snc di P.G. & amp c. nei confronti di G.C. . La corte territoriale, dopo aver esaminato la articolata vicenda giudiziaria che aveva riguardato le parti, aveva ritenuto che alcuna finalità ritorsiva era presente nel recesso oggetto del giudizio, determinato dalla ingiustificata assenza della lavoratrice dall’agosto 2013 al gennaio 2014, poiché il rifiuto della stessa a prestare attività lavorativa nella sede assegnata a seguito del subentro nell’appalto a cui la stessa era preposta, non era giustificato. Premetteva il giudice d’appello che nelle more di altro precedente giudizio che aveva riguardato il licenziamento della G. e che si era concluso con provvedimento di reintegrazione della stessa da parte del tribunale di SMCV del 11.7.2013, notificato alla Splendor in data 9 agosto 2013, si era determinata la cessazione dell’appalto cui era addetta la lavoratrice con ricorso ex art. 700 c.p.c. rilevando che la società, già a conoscenza dell’ordine di reintegrazione dal 11.7.2013, aveva consapevolmente ritardato la esecuzione dello stesso così impedendo il passaggio della lavoratrice al pari di tutti gli altri addetti all’appalto alla società subentrante. Il tribunale di SMCV con ordinanza del 7.1.2014, anche confermata in sede di opposizione, rigettava la domanda. Pur a seguito di tali statuizioni la lavoratrice non riprendeva servizio ed in data 24 gennaio 2014 veniva comunicato il licenziamento per la ingiustificata assenza. Poste tali premesse la corte territoriale riteneva legittimo il recesso datoriale valutando non condivisibile la ricostruzione della lavoratrice in quanto pacificamente il passaggio del cantiere e dell’appalto dalla Splendor alla nuova subentrante CPR era avvenuto in data 8.8.2013, mentre la ordinanza di reintegrazione era stata notificata alla Spendor il 10.8.2018, e quindi in un momento in cui la società non poteva più disporre la collocazione della dipendente nel cantiere di Aversa. Aveva poi comunque valutato che non sussistevano le condizioni per far ritenere corretta la exceptio inadimpleti contractus secondo quanto previsto dall’art. 1460 c.c., in quanto non grave l’eventuale inadempimento del datore di lavoro concretizzatosi nella variazione di sede. Rispetto a tale circostanza il rifiuto della lavoratrice ad eseguire la propria prestazione non poteva essere considerata legittima reazione all’inadempimento in ipotesi del datore di lavoro. La corte escludeva altresì la tardività della contestazione disciplinare, pure eccepita dalla lavoratrice. Avverso detta decisione la G. proponeva ricorso ritualmente notificato affidato a due motivi. La società Splendor rimaneva intimata. Considerato che 1 Con il primo motivo è dedotta la violazione dell’art. 133 c.p.c., L. n. 604 del 1966, art. 4, L. n. 300 del 1970, art. 15, L. n. 108 del 1990, art. 3, L. n. 300 del 1970, art. 18, artt. 1175, 1324, 1337, 1343, 1345, 1416 e 1418 c.c., artt. 1460, 2119, 2727 e 2697 c.c. art. 360 c.p.c., n. 3 . Parte ricorrente rileva che la corte territoriale, omettendo di considerare il dettato dell’art. 133 c.p.c., dispositivo del momento in cui la sentenza diviene pubblica attraverso il deposito nella cancelleria del giudice, abbia valutato solo la data di notifica della predetta sentenza contenente l’ordine di reintegrazione, al fine di individuare l’avvenuta conoscenza da parte della società. In concreto la lavoratrice ritiene che dolosamente quest’ultima avesse ritardato l’esecuzione dell’ordine reintegratorio al fine di non far rientrare la G. tra i lavoratori passati alla nuova società subentrante nell’appalto. Val la pena premettere che oggetto del presente giudizio è il licenziamento intimato 24 gennaio 2013 che, a giudizio della ricorrente, ha carattere ritorsivo in ragione delle pregresse vicende intercorse tra le parti. Occorre precisare altresì che il licenziamento in questione è stato intimato per l’assenza ingiustificata della lavoratrice che, pur a seguito del provvedimento di reintegrazione presso l’appalto di Caserta assunto il 13 agosto 2013, non ha mai prestato servizio sino al dì del licenziamento, e ciò anche a seguito della impugnazione del trasferimento in questione rigettata dal tribunale di SMCV in sede sommaria e di opposizione . Estraneo al presente giudizio risulta ogni vicenda inerente la legittimità o meno del detto trasferimento. Questa Corte ha chiarito che Il licenziamento per ritorsione, diretta o indiretta - assimilabile a quello discriminatorio, vietato dalla L. n. 604 del 1966, art. 4, L. n. 300 del 1970, art. 15 e L. n. 108 del 1990, art. 3 - costituisce l’ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore colpito o di altra persona ad esso legata e pertanto accomunata nella reazione, con conseguente nullità del licenziamento, quando il motivo ritorsivo sia stato l’unico determinante e sempre che il lavoratore ne abbia fornito prova, anche con presunzioni. Cass. n. 17087/2011 Ha poi soggiunto che Ai fini della nullità del licenziamento, anche nella vigenza della L. n. 300 del 1970, art. 18 anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 92 del 2012, affinché resti escluso il carattere unico e determinante del motivo illecito, non basta che il datore di lavoro alleghi l’esistenza di un giustificato motivo oggettivo, ma è necessario che quest’ultimo risulti comprovato e che, quindi, possa da solo sorreggere il licenziamento Cass n. 27325/2017 infine rilevando che In tema di licenziamento ritorsivo, il lavoratore deve indicare e provare i profili specifici da cui desumere l’intento ritorsivo quale motivo unico e determinante del recesso, atteso che in tal caso la doglianza ha per oggetto il fatto impeditivo del diritto del datore di lavoro di avvalersi di una giusta causa, o di un giustificato motivo, pur formalmente apparenti Cass. n. 20742/2018 . Secondo i principi enunciati il licenziamento per essere considerato ritorsivo deve costituire l’ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore il lavoratore ha l’onere di indicare e provare i profili specifici da cui desumere l’intento ritorsivo quale motivo unico e determinante del recesso . Il motivo di censura in questa sede lamenta in sostanza l’errata valutazione circa l’esistenza di siffatte condizioni. Se pur si superi il profilo inerente la natura di valutazione di merito svolta dal tribunale, non più ripetibile in questa sede, che già farebbe propendere per la inammissibilità del motivo , deve rilevarsi che la mancata prestazione lavorativa assenza del lavoratore per circa sei mesi non può qualificarsi comportamento legittimo in presenza di un provvedimento giurisdizionale di rigetto della domanda volta proprio a far valere l’illegittimità del trasferimento. Quest’ultimo provvedimento non risultando impugnato, rende definito l’accertamento anche se fondato sul solo requisito del periculum in mora. Tali circostanze inesistenza del legittimo rifiuto alla prestazione rendono quindi sostanziale ed effettiva la ragione del recesso datoriale assenza ingiustificata ed escludono comunque ogni rilievo di altri profili di ritorsività eventuale che non costituirebbero comunque motivo unico e determinante del recesso . Il motivo deve essere disatteso. 2 con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti art. 360 c.p.c., n. 5 . Parte ricorrente lamenta la mancata valutazione da parte della corte territoriale della documentazione inerente le missive intercorse tra le parti ed in particolare l’omessa valutazione sulla possibilità di disporre il passaggio della ricorrente alla società subentrante nell’appalto sino alla data di inizio del contratto stesso 1.9.2013 . Il motivo risulta inconferente per quanto già precisato in ordine all’oggetto del presente giudizio. Come già rilevato in questa sede non si discute della legittimità o meno del trasferimento essendo stato, questo, già trattato da una pronuncia che ha definito quella domanda. Il motivo risulta quindi inammissibile. Il ricorso è inammissibile. Nulla per le spese. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.